lunedì 7 settembre 2015

L'INTERVISTA DI MORDECHAI VANUNU



Mordechai Vanunu in tv, il nucleare segreto di Israele in prima serata
 
 
Mordechai Vanunu © Canale2     

 
Il Manifesto, 06.09.2015
 
http://ilmanifesto.info/mordechai-vanunu-in-tv-il-nucleare-segreto-di-israele-in-prima-serata/
 
Bombe atomiche. Venerdì sera su "Canale 2" l'ex tecnico della centrale di Dimona, che nel 1986 rivelò al "Sunday Times" i segreti del nucleare israeliano, dopo 29 anni ha potuto di nuovo denunciare pubblicamente i pericoli legati alle armi di distruzione di massa in possesso del suo Paese. Perchè governo e servizi segreti lo hanno lasciato parlare?


di Michele Giorgio

È facile incon­trare casual­mente Mor­de­chai Vanunu per le strade di Geru­sa­lemme Est, la zona pale­sti­nese della città, dove l’ex tec­nico della cen­trale di Dimona vive da quando fu libe­rato nel 2004, dopo 18 anni tra­scorsi nella pri­gione di Shikma (11 dei quali in iso­la­mento totale), per aver rive­lato nel 1986 i segreti dell’atomica israe­liana al gior­nale bri­tan­nico Sun­day Times. L’ultima volta è stata il mese scorso, dalle parti di via Salah Edin. «Hello» (Vanunu dal 1986 si esprime solo in inglese, non usa più l’ebraico), qual­che bat­tuta veloce sulle cose che cerca di fare, sul suo desi­de­rio di abban­do­nare Israele, un sor­riso sobrio a com­mento del suo recente matri­mo­nio con una docente uni­ver­si­ta­ria nor­ve­gese, Kri­stin Joa­chim­sen, e un «good­bye». Tutto qui. In pub­blico si com­porta così con tutti. Vanunu — che per i ser­vizi segreti israe­liani resta deten­tore di impor­tanti segreti di stato, anche se vec­chi di 30 anni — non può par­lare ai cit­ta­dini stra­nieri, in par­ti­co­lare ai gior­na­li­sti. È una delle tante restri­zioni sta­bi­lite dai giu­dici al momento della scar­ce­ra­zione. Non può rife­rire par­ti­co­lari, anche agli israe­liani, del lavoro che svol­geva Dimona. Vio­lando que­ste dispo­si­zioni il tec­nico nucleare si espone all’arresto e alla deten­zione, anche per mesi. Gli stra­nieri invece all’espulsione imme­diata da Israele. Per que­sto motivo ha fatto scal­pore l’intervista con l’ex tec­nico nucleare di Dimona tra­smessa venerdì in prima serata dalla rete tele­vi­siva israe­liana Canale 2.
 

È stato un evento ecce­zio­nale. Nono­stante domande e rispo­ste non siano sem­pre andate sugli aspetti più inte­res­santi delle rive­la­zioni fatte 30 anni fa da Vanunu — le fina­lità della pro­du­zione di plu­to­nio per ordi­gni ato­mici nella cen­trale di Dimona -, l’uomo che gran parte del Paese con­si­dera un “tra­di­tore” ha potuto ugual­mente par­lare del pro­gramma ato­mico segreto israe­liano e con­dan­narlo. Israele non ha fir­mato il Trat­tato di non-proliferazione nucleare e non ha mai ammesso (e nean­che smen­tito) di pos­se­dere bombe ato­mi­che (tra 100 e 200 secondo esperti inter­na­zio­nali). Da decenni Israele man­tiene la cosid­detta «ambi­guità nucleare». L’interrogativo per­ciò è d’obbligo. Per­chè i ser­vizi segreti e il governo hanno dato il via libera all’intervista in un momento deli­cato, in cui il pre­mier Neta­nyahu è impe­gnato in uno scon­tro accesso con gli alleati ame­ri­cani per il via libera che è stato dato a Vienna al pro­gramma ato­mico dell’Iran? Il rac­conto di Vanunu a Canale 2 in appa­renza è con­tro­pro­du­cente per gli inte­ressi israe­liani. Forse Neta­nyahu, lasciando par­lare il “tra­di­tore”, ha voluto man­dare un mes­sag­gio all’esterno. Ad esem­pio avver­tire Teh­ran di non dimen­ti­care che Israele le bombe le pos­siede già e potrebbe usarle se neces­sa­rio. Ma le spie­ga­zioni pro­ba­bil­mente sono più di una.
Vanunu venerdì sera ha rac­con­tato il pro­cesso gra­duale che lo portò nei nove anni di lavoro a Dimona alla deci­sione, anzi «all’obbligo», come ama dire lui, di rive­lare «ai cit­ta­dini di Israele, del Medio Oriente e del mondo», la natura della «pol­ve­riera» di Dimona. «Ho visto quello che sta­vano pro­du­cendo e il suo signi­fi­cato», ha detto. Ha aggiunto di aver por­tato nella strut­tura una nor­male mac­china foto­gra­fica, «una Pen­tax», e di aver scat­tato segre­ta­mente 58 foto, nascon­den­dola poi nel suo zaino che gli uomini della sicu­rezza non con­trol­la­vano più per­chè la sua era una pre­senza abi­tuale. Ha negato di aver fatto le sue rive­la­zioni in cam­bio di un com­penso da parte del Sun­day Times e ha ripe­tuto più volte che il nucleare è un peri­colo, un’arma ter­ri­bile, per tutti, anche per Israele e non sol­tanto per i suoi nemici. Ha infine riba­dito di voler andare via, per ricon­giun­gersi a suo moglie.
Vanunu, 60 anni, mem­bro di una fami­glia reli­giosa orto­dossa, giunse dal Marocco quando era ancora bam­bino. Comin­ciò a for­marsi una coscienza poli­tica sol­tanto all’inizio degli anni Ottanta. In pre­ce­denza aveva svolto con dili­genza il suo lavoro nella cen­trale di Dimona, costruita uffi­cial­mente per la pro­du­zione di ener­gia elet­trica ma che il labu­ri­sta Shi­mon Peres con l’aiuto del padre della ato­mica fran­cese Fran­cis Per­rin, tra­sformò in un cen­tro segreto. Vanunu comin­ciò a riflet­tere su ciò che avve­niva a Dimona quando fu tra­sfe­rito nel Machon 2, un com­plesso di sei piani sot­ter­ra­nei della cen­trale ato­mica dove veni­vano pro­dotti annual­mente una qua­ran­tina di kg di plu­to­nio. Nel 1985 Vanunu venne costretto a dimet­tersi per «insta­bi­lità psi­chica». Con uno zaino pieno di infor­ma­zioni partì per l’Australia dove si mise in con­tatto con il Sun­day Times. Giunto a Lon­dra nell’agosto del 1986, si recò al gior­nale rife­rendo per due intere set­ti­mane i suoi segreti. Il diret­tore del gior­nale però esitò a pub­bli­care il rac­conto. Sospet­tava che Vanunu fosse un agente del Mos­sad che, per conto del suo governo, inten­deva far sapere ai paesi arabi che Israele è in pos­sesso di un arse­nale nucleare in grado di ince­ne­rire l’intero Medio Oriente. Il ser­vi­zio gior­na­li­stico verrà pub­bli­cato solo il 5 otto­bre, quando si seppe della scom­parsa dell’israeliano.
Vanunu cadde in una trap­pola pre­pa­rata alla fine dell’estate da una donna affa­sci­nante, Cindy, al secolo Che­ryl Ben Tov, un’agente del Mos­sad per la quale perse la testa. Il seque­stro non avvenne a Lon­dra (i bri­tan­nici non vol­lero) ma Roma (sem­pre dispo­ni­bile) dove Cindy lo attirò pro­po­nen­do­gli un wee­kend roman­tico, come Gre­gory Peck e Audrey Hep­burn. Invece appena arri­vato in Ita­lia, gli agenti del Mos­sad lo rapi­rono e lo por­ta­rono in un appar­ta­mento nella peri­fe­ria della capi­tale, poi lo tra­sfe­ri­rono a La Spe­zia e, imbar­can­dolo sul mer­can­tile israe­liano Tapuz, lo rispe­di­rono (in una cassa) in Israele. Vanunu si rivide in pub­blico il 7 otto­bre, solo per qual­che attimo, a Geru­sa­lemme, durante il pro­cesso per diret­tis­sima, quando con uno stra­ta­gemma — scri­vendo sul palmo della mano che mostrò ai foto­grafi fuori dall’aula — fece sapere di aver rag­giunto Roma il 30 set­tem­bre con il volo 504 della Bri­tish Air­ways e di essere stato rapito. L’altra sera ha ammesso di non aver capito, anche dopo il rapi­mento, che Cindy era stata la pro­ta­go­ni­sta del piano del Mos­sad e di averlo com­preso solo dopo parec­chi giorni men­tre navi­ga­vano verso il porto di Haifa.
L’Italia, come fa spesso quando agi­sce il Mos­sad, finse di non accor­gersi della vio­la­zione della sua sovra­nità ter­ri­to­riale e del rapi­mento a Roma. Le inda­gini avviate dal sosti­tuto pro­cu­ra­tore Dome­nico Sica non por­ta­rono a nulla, nes­suno aveva visto e sen­tito. Vanunu per anni ha chie­sto invano un inter­vento delle auto­rità ita­liane su Israele. Roma non ha mai rispo­sto ai suoi appelli.

domenica 6 settembre 2015

Un generale francese: ‘L’ISIS l’hanno creato gli USA’



Un generale francese:

‘L’ISIS l’hanno creato gli USA’

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Il generale Desportes rinuncia a parlare con ‘langue de bois’, e in Parlamento denuncia le responsabilità dirette di Washington nella creazione ed espansione dell’ISIS – da megachip.globalist.it

da Agence Info Libre.

Il 17 dicembre 2014 la commissione per gli Affari Esteri, per la Difesa e per le Forze Armate ha dibattuto in seduta pubblica la proroga dell’operazione “Chammal” in Iraq. Presieduta da Jean-Pierre Raffarin, la commissione ha sentito − durante la discussione – il generale di seconda sezione Henri Bentégeat [1], ex capo di stato maggiore delle forze armate, il generale di corpo d’armata Didier Castres, vicecapo operativo di stato maggiore, l’on. Hubert Védrine, ex ministro degli Esteri, il generale di divisione a riposo Vincent Desportes − professore associato presso la facoltà di Scienze Politiche di Parigi − e l’on. Jean-Yves Le Drian, ministro della Difesa.
Rivediamo in dettaglio l’intervento del generale Vincent Desportes. Iniziando il suo discorso con una breve presentazione dell’ISIS (Daech), nel mettere soprattutto in evidenza il vero pericolo di questo gruppo terroristico rispetto ai nostri interessi vitali, ha detto senza mezzi termini :
Chi è il dottor Frankenstein che ha creato questo mostro? Diciamolo chiaramente, perché ciò comporta delle conseguenze: sono gli Stati Uniti. Per interessi politici a breve termine, altri soggetti – alcuni dei quali appaiono come amici dell’Occidente − hanno contribuito, per compiacenza o per calcolata volontà, a questa creazione e al suo rafforzamento, ma le responsabilità principali sono degli Stati Uniti. Questo movimento, con la fortissima capacità di attrarre e diffondere violenza, è in espansione. È potente, anche se è caratterizzato da punti profondamente vulnerabili. È potente, ma sarà distrutto. Questo è certo. Non ha altro scopo che quello di scomparire.
Ecco chi ha il pregio di essere chiaro!
Mettendo in guardia i membri della commissione sulle implicazioni di una guerra in un contesto di ridimensionamento delle nostre forze, il generale Desportes ha aggiunto:
In bilancio, di qualsiasi esercito si tratti, ci siamo impegnati oltre situazioni operative standard, nel senso che ogni esercito sta usando le proprie risorse senza avere il tempo di rigenerarle. In termini reali abbiamo forze insufficienti: per compensare, a livello sia tattico che bellico, le facciamo girare a un elevatissimo ritmo di utilizzo. Vale a dire che, se continua questo sovraccarico di impiego, l’esercito francese si troverà nella situazione dell’usurato esercito britannico in Iraq e in Afghanistan, costretto da alcuni anni a interrompere gli interventi e rigenerare le proprie risorse “a casa”. Il notevole sforzo prodotto ora a favore degli interventi avrà ripercussioni forti e quantificabili sulle forze nel nostro Paese, in particolare in termini di prontezza operativa. Il senso di responsabilità impone di sfatare definitivamente il mito della guerra breve.
Dopo alcuni cenni sulle basi della strategia militare, il generale Desportes ha delineato una serie di cinque principi che dovranno guidare qualsiasi decisione di intervento .
Secondo il primo principio, ci si deve impegnare solo se si può controllare il livello strategico. Se questo precetto non è rispettato, è evidenziato il rischio di usare le proprie forze armate col discredito e la perdita d’immagine che ne conseguono.
È il caso della Francia in Afghanistan: ha fatto una “guerra americana” senza un controllo strategico d’insieme, senza controllo sullo svolgimento delle operazioni e senza controllo sulla direzione della coalizione.
Il secondo principio dice che si deve intervenire solo laddove ci sia “senso strategico”.
La Francia è grande nel mondo, in particolare per il suo posto nel Consiglio di sicurezza dell’ONU, ma poiché questo posto le viene contestato ogni giorno, deve difenderlo e legittimarlo ogni giorno. E può farlo solo attraverso la sua capacità di gestione utile dei focolai di tensione del mondo. Il che, tra l’altro, richiede assolutamente la necessità di rafforzare la nostra capacità di agire come “nazione guida” e di “entrare per primi”. Non ci sono dubbi: il nostro posto tra i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU e la nostra influenza nelle questioni mondiali si basano in primo luogo sulla nostra capacità di agire concretamente nelle situazioni di crisi (capacità e credibilità).
Terzo principio: occorre definire obiettivi raggiungibili. Prendendo l’esempio dell’Afghanistan, Desportes dice che «gli obiettivi hanno assai rapidamente deviato e superato i mezzi di cui disponeva la coalizione (soprattutto in termini di tempi e di capacità di controllo dello spazio terrestre)».
Quarto principio: intervenire solo quando l’azione considerata è compatibile con i mezzi a disposizione, immediatamente e nel lungo termine. Essendo uno dei primi ad avere criticato pubblicamente il Libro bianco sulla difesa del 2013, il generale Desportes ha dichiarato:
Il Libro bianco 2013 parla di «volume di forze sufficienti». In effetti, come è noto, l’operazione “Serval” è stata una scommessa estremamente rischiosa, a causa del basso volume di forze dispiegate combinato con la grande obsolescenza della maggior parte delle attrezzature impiegate. L’operazione “Sangaris” un azzardo finito male, poiché la scommessa fatta sulla “sorpresa iniziale” non è stata vinta. Poi la negazione della realtà unita alla nostra mancanza di risorse ha impedito l’adattamento della forza alla reale situazione sul campo e allo schieramento immediato dei cinquemila uomini che erano indispensabili.
Quinto principio: non fare il primo passo senza considerare l’ultimo.
Ciò significa che si devono valutare − senza condizionamenti ideologici, senza essere ciechi − le conseguenze di un intervento, soprattutto se non si intende arrivare fino in fondo.
Al termine del suo discorso, il generale Desportes ha continuato a mettere sull’avviso i membri della Commissione sul decadimento delle nostre forze armate.
L’evidente sottodimensionamento della spesa operativa produce significativi effetti negativi di cui deve essere consapevole chi decide. Anzitutto, apprendere dai media − senza una chiara smentita − che i corpi militari spendono ingiustificatamente il magro bilancio francese evidenzia il fallimento morale, dal momento che i nostri soldati combattono su tutti i fronti, per la Francia e ai suoi ordini, con risorse veramente troppo scarse. Inoltre c’è che siamo sempre sotto il livello della “massa critica”: questo sottodimensionamento del budget ha un impatto diretto sia sul successo delle operazioni sia sulla sicurezza dei nostri soldati, che finiscono per ritrovarsi messi in pericolo.
A proposito dell’operazione “Chammal”, il generale dichiara:
Giungo a Chammal dopo un paio di giri, lo ammetto, ma non si perde mai tempo a prendere un momento di distanza strategica, in un’epoca in cui la tendenza è proprio quella di ragionare in fretta, in termini di spese di cassa, su problemi che richiedono tempi lunghi e investimenti pesanti. Non mi trattengo sull’attuale sconcertante contraddizione tra, da un lato, il conflitto del mondo alle nostre porte, nel nostro est, nel nostro sud-est, nel nostro sud, la moltiplicazione dei nostri interventi e, dall’altro lato, il deterioramento rapido e profondo delle nostre capacità di bilancio con, a valle, quello delle nostre capacità militari. A destra e a sinistra lo sanno tutti; alcuni, troppo pochi, lo dicono. […] E allora? Atteniamoci al ben noto principio della guerra, il principio di concentrazione… o alla sua versione popolare: “chi troppo vuole nulla stringe”. Smettiamo di espanderci! Guardiamo in faccia la realtà.
Stato islamico. “ISIS delenda est”: certamente! Siamo profondamente solidali, ma non siamo in alcun modo responsabili. I nostri interessi esistono, ma sono indiretti. Da quelle parti le nostre capacità sono limitate e irrisorie, rispetto agli Stati Uniti, e la nostra influenza strategica è estremamente limitata.

Fonte: http://www.agenceinfolibre.fr/general-v-desportes-les-etats-unis-ont-cree-daech/.

Traduzione per Megachip a cura di Emilio Marco Piano.

 NOTA
[1] Il termine “di seconda sezione” significa che il generale ha lasciato il servizio attivo ed è passato a disposizione del ministro della Difesa, NdT.