mercoledì 7 settembre 2016

La lettera di Brian Eno contro Israele e Stati Uniti




31 LUGLIO 2014

La lettera di Brian Eno contro Israele e Stati Uniti


Il famoso musicista britannico chiede perché l'America 
"finanzi e sostenga una rabbiosa e razzista teocrazia"

Il musicista americano David Byrne, noto soprattutto per essere il fondatore dei Talking Heads, ha pubblicato sul suo blog una lettera di Brian Eno riguardo la guerra a Gaza e soprattutto il rapporto di alleanza tra Israele e Stati Uniti. 
Brian Eno, che nella lettera si rivolge ai suoi amici americani, è un famoso e apprezzato compositore e musicista britannico.

Cari tutti,

ho la sensazione di infrangere una qualche regola non scritta, con questa lettera, ma non posso più tacere. Oggi ho visto una foto di un uomo palestinese in lacrime con in mano una busta di plastica con dentro della carne. Era suo figlio. Il bambino è stato triturato (questa è stata la parola usata dall’ospedale) da un attacco israeliano, apparentemente portato avanti con questa nuova fantastica arma, le “flechette bombs“. Probabilmente sapete di cosa si tratta: centinaia di piccoli chiodi appiccicati attorno all’esplosivo, così da fare a pezzi i corpi. Il bambino era Mohammed Khalaf al-Nawasra. Aveva quattro anni. Improvvisamente mi sono trovato a pensare che dentro quella busta avrebbe potuto esserci mio figlio, e quel pensiero mi ha fatto arrabbiare come niente mi faceva arrabbiare da molto tempo a questa parte.
Poi ho letto che secondo le Nazioni Unite Israele potrebbe essere colpevole di crimini di guerra a Gaza, e che avrebbero voluto aprire un’apposita commissione d’inchiesta. Gli Stati Uniti non sosterranno la richiesta. Che succede in America?  Io so bene quanto la vostra informazione sia tendenziosa, e quanto poco si parli dell’altra parte di questa storia. Ma – per l’amor di Dio! – non è così difficile scoprirlo. Perché l’America continua a sostenere ciecamente questo esercizio unilaterale di pulizia etnica? PERCHÉ? Davvero, non lo capisco. Non posso credere che sia solo per il potere della lobby israeliana … se fosse questo il caso, allora il vostro governo sarebbe fondamentalmente compromesso. No, non credo sia quella la ragione… ma non ho idea di quale possa essere.
L’America che conosco e che mi piace è compassionevole, aperta, creativa, eclettica, tollerante e generosa. Voi, miei cari amici americani, siete per me il simbolo di queste virtù. Ma quale America sta sostenendo questa orribile guerra colonialista? Non riesco a capirlo: so che ci sono molte persone come voi, ma perché queste voci non si sentono e non pesano? Perché quando la gran parte del mondo sente la parola “America” non pensa subito al vostro spirito, ma a un altro tipo di atteggiamento? Quanto è brutto che il paese che più di ogni altro definisce la sua identità sulla base della Libertà e della Democrazia finanzi e sostenga una rabbiosa e razzista teocrazia?
Sono stato in Israele l’anno scorso con Mary. Sua sorella lavora per le Nazioni Unite a Gerusalemme. Abbiamo fatto un giro insieme a un palestinese – Shadi, suo cognato, una guida professionista – e Oren Jacobovitch, un ebreo israeliano, un ex militare che ha lasciato l’esercito perché non voleva più uccidere palestinesi. Insieme a loro abbiamo visto cose terribili: case palestinesi circondate di filo spinato e assi di legno per evitare che i coloni gettassero merda, piscio e carta igienica verso gli abitanti; bambini palestinesi picchiati da ragazzini israeliani con mazze da baseball, coi loro genitori che applaudivano, mentre andavano a scuola; un intero villaggio sfrattato nelle caverne mentre tre famiglie di coloni occupavano la loro terra; un insediamento israeliano in cima a una collina che ha installato uno scarico fognario nella terra dei palestinesi a valle; il Muro; 
i checkpoint… e tutte le infinite umiliazioni quotidiane a cui sono sottoposti i palestinesi. E continuavo a pensare: “Davvero gli americani tollerano tutto questo? Davvero pensano sia tutto ok? O forse non sanno quello che succede?”.
Per quel che riguarda il “processo di pace”: a Israele interessa il processo e non la pace. E per “processo” si intende la continua sottrazione di terra da parte dei coloni… e quando i palestinesi finalmente insorgono con i loro patetici fuochi d’artificio, vengono massacrati e maciullati con missili all’avanguardia e munizioni all’uranio perché “Israele ha il diritto di difendersi” (i palestinesi evidentemente non ce l’hanno). Le milizie dei coloni sono sempre felici di prendere a pugni qualcuno o sradicare un albero mentre l’esercito guarda dall’altra parte. Molti di loro etnicamente non sono nemmeno israeliani – grazie alla legge sul “diritto al ritorno” sono ebrei russi, ucraini, moldavi, sudafricani o di Brooklyn, che sono arrivati in Israele di recente sulla base del loro diritto inviolabile alla terra (gliel’ha dato Dio!), e sulla base del fatto che “arabo” per loro vuol dire “verme”. Razzismo vecchia scuola, rivendicato con la stessa arroganza con cui circolava un tempo in Louisiana. Questa è la cultura che i soldi dei vostri contribuenti difendono. È come finanziare il Ku Klux Klan.
Ma a parte questo, quello che davvero mi preoccupa è il quadro generale. Che vi piaccia o no, agli occhi di gran parte del mondo, l’America rappresenta “l’Occidente”. Quindi l’Occidente è visto come favorevole a questa guerra, nonostante tutti i nostri alti discorsi sulla moralità e la democrazia. Temo che le grandi conquiste civili frutto dell’Illuminismo e della Cultura Occidentale vengano screditate – con grande gioia dei mullah matti – da questa flagrante ipocrisia. 
La guerra non ha alcuna giustificazione morale, per quel che mi riguarda, ma in questo caso nemmeno pragmatica. Non ha senso nemmeno da un punto di vista realista, kissingeriano; ci fa solo apparire come i cattivi.
Mi dispiace di annoiarvi con tutto questo. So che avete da fare e che siete in modo diverso allergici alla politica, ma questa storia va oltre la politica. Siamo noi che dilapidiamo il capitale di civiltà che abbiamo costruito nel corso di intere generazioni. 
Nessuna delle domande di questa lettera è retorica: davvero non capisco e mi piacerebbe capirlo.
XXB

http://www.ilpost.it/…/lettera-brian-eno-israele-stati-uni…/

Libia, la grande spartizione



Libia, la grande spartizione  

Petrolio, immense riserve d’acqua, miliardi di fondi sovrani. Il bottino sotto le bombe

Manlio Dinucci
 
«L'Italia valuta positivamente le operazioni aeree avviate oggi dagli Stati uniti su alcuni obiettivi di Daesh a Sirte. Esse avvengono su richiesta del Governo di Unità Nazionale, a sostegno delle forze fedeli al Governo, nel comune obiettivo di contribuire a ristabilire la pace e la sicurezza in Libia»: questo il comunicato diffuso della Farnesina il 1° agosto. 
 
Alla «pace e sicurezza in Libia» ci stanno pensando a Washington, Parigi, Londra e Roma gli stessi che, dopo aver destabilizzato e frantumato con la guerra lo Stato libico, vanno a raccogliere i cocci con la «missione di assistenza internazionale alla Libia». L’idea che hanno traspare attraverso autorevoli voci. Paolo Scaroni, che a capo dell’Eni ha manovrato in Libia tra fazioni e mercenari ed è oggi vicepresidente della Banca Rothschild, ha dichiarato al Corriere della Serache «occorre finirla con la finzione della Libia», «paese inventato» dal colonialismo italiano. Si deve «favorire la nascita di un governo in Tripolitania, che faccia appello a forze straniere che lo aiutino a stare in piedi», spingendo Cirenaica e Fezzan a creare propri governi regionali, eventualmente con l’obiettivo di federarsi nel lungo periodo. Intanto «ognuno gestirebbe le sue fonti energetiche», presenti in Tripolitania e Cirenaica. 

È la vecchia politica del colonialismo ottocentesco, aggiornata in funzione neocoloniale dalla strategia Usa/Nato, che ha demolito interi Stati nazionali (Jugoslavia, Libia) e frazionato altri (Iraq, Siria), per controllare i loro territori e le loro risorse. La Libia possiede quasi il 40% del petrolio africano, prezioso per l’alta qualità e il basso costo di estrazione, e grosse riserve di gas naturale, dal cui sfruttamento le multinazionali statunitensi ed europee possono ricavare oggi profitti di gran lunga superiori a quelli che ottenevano prima dallo Stato libico. Per di più, eliminando lo Stato nazionale e trattando separatamente con gruppi al potere in Tripolitania e Cirenaica, possono ottenere la privatizzazione delle riserve energetiche statali e quindi il loro diretto controllo.  

Oltre che dell’oro nero, le multinazionali statunitensi ed europee vogliono impadronirsi dell’oro bianco: l’immensa riserva di acqua fossile della falda nubiana, che si estende sotto Libia, Egitto, Sudan e Ciad. Quali possibilità essa offra lo aveva dimostrato lo Stato libico, costruendo acquedotti che trasportavano acqua potabile e per l’irrigazione, milioni di metri cubi al giorno estratti da 1300 pozzi nel deserto, per 1600 km  fino alle città costiere, rendendo fertili terre desertiche. 

Agli odierni raid aerei Usa in Libia partecipano sia cacciabombardieri che decollano da portaerei nel Mediterraneo e probabilmente da basi in Giordania, sia droni Predator armati di missili Hellfire che decollano da Sigonella. Recitando la parte di Stato sovrano, il governo Renzi «autorizza caso per caso» la partenza di droni armati Usa da Sigonella, mentre il ministro degli esteri Gentiloni precisa che «l'utilizzo delle basi non richiede una specifica comunicazione al parlamento», assicurando che ciò «non è preludio a un intervento militare» in Libia. Quando in realtà l’intervento è già iniziato: forze speciali statunitensi, britanniche e francesi – confermano ilTelegraph e Le Monde – operano da tempo segretamente in Libia per sostenere «il governo di unità nazionale del premier Sarraj». 

Sbarcando prima o poi ufficialmente in Libia con la motivazione di liberarla dalla presenza dell’Isis, gli Usa e le maggiori potenze europee possono anche riaprire le loro basi militari, chiuse da Gheddafi nel 1970, in una importante posizione geostrategica all’intersezione tra Mediterraneo, Africa e Medio Oriente. Infine, con la «missione di assistenza alla Libia», gli Usa e le maggiori potenze europee si spartiscono il bottino della più grande rapina del secolo: 150 miliardi di dollari di fondi sovrani libici confiscati nel 2011, che potrebbero quadruplicarsi se l’export energetico libico tornasse ai livelli precedenti. 

Parte dei fondi sovrani, all’epoca di Gheddafi, venne  investita per creare una moneta e organismi finanziari autonomi dell’Unione Africana. Usa e Francia – provano le mail di Hillary Clinton – decisero di bloccare «il piano di Gheddafi di creare una moneta africana», in alternativa al dollaro e al franco Cfa. Fu  Hillary Clinton – documenta il New York Times – a convincere Obama a rompere gli indugi. «Il Presidente firmò un documento segreto, che autorizzava una operazione coperta in Libia e la fornitura di armi ai ribelli», compresi gruppi fino a poco prima classificati come terroristi, mentre il Dipartimento di stato diretto dalla Clinton li riconosceva come «legittimo governo della Libia». 

Contemporaneamente la Nato sotto comando Usa effettuava l’attacco aeronavale con decine di migliaia di bombe e missili, smantellando lo Stato libico, attaccato allo stesso tempo dall’interno con forze speciali anche del Qatar (grande amico dell’Italia). Il conseguente disastro sociale, che ha fatto più vittime della guerra stessa soprattutto tra i migranti, ha aperto la strada alla riconquista e spartizione della Libia. 
 
(il manifesto, 3 agosto 2016)

Le macerie della democrazia




L’arte della guerra
Le macerie della democrazia

Manlio Dinucci

«Solo macerie, come se ci fosse stato un bombardamento», ha detto la presidente della Camera Boldrini visitando i luoghi terremotati. Parole su cui riflettere al di là dell’immagine. Di fronte alle scene strazianti dei bambini morti sotto le macerie del terremoto, come non pensare a tutti quei bambini (che la Tv non ci ha mai mostrato) morti sotto le macerie dei bombardamenti ai quali, dalla Jugoslavia alla Libia, ha partecipato anche l’Italia? 

«Sembra di essere in guerra», racconta uno dei tanti volontari. In guerra, quella vera, l’Italia in effetti c’è già, bruciando risorse vitali che dovrebbero essere destinate a proteggere la popolazione del nostro paese dai terremoti, dalle frane e alluvioni che provocano sempre più vittime e distruzioni. 

Politici di aree diverse hanno proposto, in un impeto di generosità, di destinare alle zone terremotate il jackpot del Superenalotto, 130 milioni di euro. Nessuno ha proposto però di usare a tal fine il «jackpot» della spesa militare italiana ammontante, secondo i dati ufficiali della Nato, a circa 20 miliardi di euro nel 2016, 2,3 miliardi più del 2015: in media 55 milioni di euro al giorno, cifra in realtà più alta, includendo le spese extra budget della difesa addebitate ad altri ministeri. 

Stando comunque ai dati della Nato, l’Italia spende in un solo giorno per il militare più di quanto ha destinato il governo per l’emergenza terremoto (50 milioni di euro), cinque volte più di quanto è stato finora raccolto con gli sms solidali. Mentre mancano i fondi per la ricostruzione e la messa in sicurezza degli edifici con reali sistemi antisismici, per un piano a lungo termine contro i terremoti e il dissesto idrogeologico. Mentre i vigili del fuoco, di cui in queste occasioni si riconoscono formalmente i meriti, hanno organici, stipendi e mezzi del tutto inadeguati all’opera che svolgono, spesso a rischio della vita, non solo nelle emergenze quotidiane, ma nei sempre più frequenti disastri «naturali» (le cui catastrofiche conseguenze sono in gran parte dovute a responsabilità umane). 

Non mancano invece i finanziamenti e i mezzi per le forze speciali italiane che operano nella nuova guerra in Libia. A Pisa, dove due anni fa è stato costituito il Comando delle forze speciali dell’esercito (Comfose), si sono intensificati da mesi i voli dei C-130J che partono per ignote destinazioni carichi di armi e rifornimenti. 

Tali operazioni sono segretamente autorizzate dal presidente Renzi scavalcando il parlamento. L’articolo 7 bis della legge n. 198/2015 sulla proroga delle missioni militari all’estero conferisce al presidente del consiglio facoltà di adottare «misure di intelligence di contrasto, in situazioni di crisi, con la cooperazione di forze speciali della Difesa con i conseguenti assetti di supporto della Difesa stessa», col solo obbligo di riferirne formalmente al «Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica». 

In altre parole, il presidente del consiglio ha in mano forze speciali e servizi di intelligence da usare in operazioni segrete, con il supporto dell’intero apparato militare. Un potere personale anticostituzionale, potenzialmente pericoloso anche sul piano interno. 

Mentre ostenta commozione al funerale delle vittime del terremoto, elargendo promesse sulla ricostruzione, il presidente del consiglio Renzi, nel quadro della strategia Usa/Nato, porta l’Italia in altre guerre e a una crescente spesa militare a scapito delle esigenze vitali del paese. Spesa a cui si aggiunge quella segreta per le operazioni militari segrete da lui ordinate. Mentre, sulla promessa ricostruzione delle zone terremotate, Renzi assicura la «massima trasparenza».
 
(il manifesto, 6 settembre 2016)