sabato 7 gennaio 2017

Il processo a Elor Azaria, l’assassino di Hebron. Il commento di Gideon Levy




di Gideon Levy


Non ci saranno altri processi Azaria. I politici e la gente non permetteranno che accada

Haaretz, 05.01.2017



Guardate bene il processo al soldato Elor Azaria: ecco a cosa assomiglia un’agonia mortale. Ecco a cosa assomigliano l’agonia di un buon governo e gli ultimi spasmi di una società sana. Ecco a cosa assomiglia l’apparente uguaglianza davanti alla legge – (che cosa sarebbe successo se Azaria fosse stato palestinese?) – quando quasi tutte le maschere sono già state strappate, compreso il velo della vergogna. Ecco a cosa assomiglia la democrazia quando pensa di poter continuare ad esistere indisturbata persino come brutale tirannia militare in casa propria. Ecco a cosa assomiglia un esercito di occupazione quando ancora insiste su un qualche sacro simulacro di legalità e valori.

Tutto precipita nella stessa direzione, e la corsa ha prodotto un ultimo e disperato tentativo di ammantarla di correttezza, sotto forma del processo ad Azaria o dell’evacuazione dell’avamposto di Amona, per esempio. Quando Moshe Ya’alon e Gadi Eisenkot, due comandanti militari responsabili di crimini di guerra ed occupazione, sono diventati i tutori della legge e della moralità in Israele, la situazione è più che disperata.

Vale la pena di soffermarsi su di loro: presto anche loro non saranno più lì. Il loro posto verrà occupato da gente persino peggiore. Ieri la folla minacciava: “Gadi, Gadi, stai attento, Rabin (primo ministro israeliano assassinato nel 1995 da un colono ebreo estremista, ndtr.) sta cercando un compagno.”

Forse perderemo Eisenkot. E’ difficile crederlo, ma anche lui ormai appartiene ad una specie a rischio. Persino il conduttore televisivo Dany Cushmaro ieri è stato preso di mira dalla gentaglia. Che cosa ridicola.

In tribunale un giudice militare ha pronunciato una sentenza circostanziata ed argomentata, chiara ed inequivocabile e che prescinde assolutamente da quanto stava avvenendo all’esterno. In tribunale l’imputato è stato applaudito, mentre i giornalisti facevano a gara su chi riuscisse a mostrare maggior compassione ed empatia per lui (per che cosa, esattamente?). E all’esterno centinaia di dimostranti minacciavano di assaltare il tribunale, l’esercito e i media, mentre il coro di incitamento dei politici li aizzava.

I ministri della cultura, dell’educazione e dell’interno stanno già perdonando Azaria. La deputata dell’Unione Sionista (coalizione di centro sinistra, ndtr) Shelly Yacimovich (!) si è già unita a loro. Le regole sono state invertite una dopo l’altra: una persona condannata per omicidio è un eroe; il capo di stato maggiore dell’esercito di occupazione è un modello di moralità; i ministri del governo stanno sovvertendo il sistema giudiziario e militare. E l’opposizione è inesistente.

Quanta strada ha fatto Israele dal perdono accordato ai predecessori di Azaria, gli esecutori dell’attacco al bus 300 nel 1984, quando due palestinesi che avevano sequestrato un autobus furono catturati vivi dal servizio di sicurezza dello Shin Bet ed in seguito messi a morte. Loro per lo meno non sono diventati degli eroi. Forse hanno persino provato un momento di vergogna per le loro azioni.

Sono passati 13 anni dall’ultima volta che un soldato dell’esercito israeliano è stato condannato per aver commesso un omicidio in servizio e quella volta si è trattato di un soldato beduino, che ha passato 6 anni in prigione esclusivamente grazie alle pressioni internazionali (aveva ucciso un fotografo britannico). Le operazioni “Piombo fuso” e “Scudo Protettivo” a Gaza, con le centinaia di morti evitabili, si sono concluse senza alcuna condanna. Le esecuzioni di ragazze armate di forbici e di ragazzi con coltelli si sono succedute anch’esse senza che nessuno venisse processato, sotto gli occhi di Eisenkot.

“C’è un giudice nel quartier generale dell’esercito?” Praticamente nessuno. Azaria non è stato il primo giustiziere e non sarà neanche l’ultimo.

E’ un bene che sia stato condannato. Se gli viene comminata una condanna adeguata forse questo impedirà qualche altra uccisione criminale. Ma non c’è da rallegrarsi per questo. Le telecamere di B’Tselem – quell’associazione di traditori e bugiardi – ha costretto l’esercito a metterlo sotto processo. Le prove hanno costretto il tribunale a condannarlo.

Ed è stato il canto del cigno. Non ci saranno altri processi Azaria. I politici e la gente non lo permetteranno.

La radice di tutto ciò è l’odio per gli arabi. Azaria è potenzialmente un eroe nazionale per una sola ragione: ha ucciso un arabo (il confine tra arabi e terroristi è labile in Israele). Ha fatto ciò che molta gente avrebbe voluto fare e ciò che molta di più pensa che avrebbe dovuto fare.

E’ stato un omicidio nato dalla pietà: l’autocommiserazione dell’occupante per l’amarezza del proprio destino. Povero soldato Azaria, costretto a sorvegliare un checkpoint a Hebron. Poveri i suoi compagni, che lo hanno mandato là. Povero Israele, che è costretto ad erigere checkpoints nel cuore di una città palestinese ed a strangolare i suoi abitanti. Ma nessuno è stato processato per questo.

Azaria non è né un eroe né una vittima. E’ un criminale. Ma al di sopra di lui ci sono criminali ancor più grandi.


(Traduzione di Cristiana Cavagna)

venerdì 6 gennaio 2017

Washington sta spingendo il mondo verso l’Armageddon.



La base della politica estera Usa è evitare il sorgere di poteri in grado di condizionare la sua azione unilaterale

di Paul Craig Roberts
Una delle lezioni della storia militare è che una volta che la mobilitazione bellica ha avuto inizio assume una dinamica propria ed incontrollabile, scrive Paul Craig Roberts sul suo sito. Questo potrebbe essere proprio quello che si sta verificando sotto i nostri occhi.
Nel suo discorso del 28 settembre per il settantesimo anniversario delle Nazioni Unite, il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che la Russia non può più tollerare l’attuale situazione nel mondo. Due giorni dopo, su invito del governo siriano, la Russia ha iniziato la [sua] guerra contro l’ISIS.
La Russia ha avuto rapidamente fortuna nel distruggere i depositi d’armi dell’ISIS e nell’aiutare l’esercito siriano a disfarne i successi. La Russia ha distrutto anche migliaia di autobotti, il contenuto delle quali stava finanziando l’ISIS trasportando in Turchia il petrolio siriano rubato, dove viene venduto dalla famiglia dell’attuale presidente Erddogan
Washington è stata colta di sorpresa dalla fermezza della Russia. Temendo che il rapido successo di tale decisiva azione russa avrebbe scoraggiato i vassalli NATO di Washington dal continuare a sostenere la sua guerra contro Assad e dall’usare il suo governo fantoccio a Kiev per tenere sotto pressione la Russia,Washington ha organizzato con la Turchia l’abbattimento di un cacciabombardiere russo, nonostante l’accordo tra Russia e NATO che non ci sarebbero stati incontri aria-aria nella zona delle operazioni aeree russe in Siria.
Anche se nega ogni responsabilità, Washington ha usato la bassa intensità della risposta Russia all’attacco, per il quale la Turchia non si è scusata, per rassicurare l’Europa che la Russia è una tigre di carta. I presstituteoccidentali hanno strombazzato: La Russia è una tigre di carta.
La bassa intensità nella risposta del governo russo alla provocazione è stata usata da Washington per rassicurare l’Europa che non vi è alcun rischio nel continuare la pressione sulla Russia in Medio Oriente, Ucraina, Georgia, Montenegro ed altrove. L’attacco di Washington ai soldati di Assad viene utilizzato per rafforzare la convinzione che si sta inculcato nei governi europei che il comportamento responsabile della Russia per evitare la guerra è [invece] un segno di paura e di debolezza.
Non è chiaro fino a che punto i governi russo e cinese capiscano che le loro politiche indipendenti, ribadite dai presidenti di Russia e Cina il 28 settembre, siano considerate da Washington come “minacce esistenziali” per l’egemonia statunitense. La base della politica estera degli Stati Uniti è l’impegno ad evitare il sorgere di poteri in grado di condizionare l’azione unilaterale di Washington. La capacità di Russia e Cina di fare proprio questo li rende entrambi un obbiettivo.
Washington non si oppone al terrorismo. Washington ha creato appositamente il terrorismo per molti anni. Il terrorismo è un’arma che Washington intende utilizzare per destabilizzare la Russia e la Cina esportandolo alle popolazioni musulmane in Russia e Cina. Washington sta usando la Siria, come una volta l’Ucraina, per dimostrare l’impotenza della Russia all’Europa –ed anche alla Cina, essendo una Russia impotente un alleato meno attraente per la Cina.

COME SI ESCE DAL CAOS MEDIORIENTALE?




di Domenico Moro

(Controlacrisi.org, 2.1.17)

(L'autore parla, erroneamente di "guerra civile" in Siria e di "caduta di Aleppo" - In Siria non vi è stata una guerra civile ma una aggressione dall'esterno; Aleppo non è caduta ma è stata liberata)


Gli attentati terroristici di Capodanno a Istanbul, dove sono state uccise trentanove persone, e del 19 dicembre a Ankara, dove è stato ucciso l'ambasciatore russo Andrey Karlov, e a Berlino, dove sono state uccise dodici persone, per quanto possano essere diversi, hanno qualcosa che li lega. Il collegamento è rappresentato da quanto è accaduto in Siria. Qui, la caduta di Aleppo non ha rappresentato soltanto la caduta della principale città siriana nelle mani del fronte jihadista che combatte il presidente siriano Assad.
Più in generale, rappresenta la sconfitta delle forze jihadiste in Siria, che ora si vendicano nei confronti di chi li aveva appoggiati, cercando di utilizzarli ai propri fini, per poi abbandonarli. Non si tratta di una novità assoluta. L'ex agente dei servizi segreti militari italiani, Nino Arconte, ha rivelato, come ho riportato nel mio libro "La terza guerra mondiale e il fondamentalismo islamico", che alla radice dell'odio contro gli Usa e l'Europa fu il "tradimento" dei governi occidentali, che avevano utilizzato i fondamentalisti islamici contro i governi laici del Medio-Oriente negli anni '80.
In realtà, la caduta di Aleppo non segna soltanto la sconfitta strategica del fronte jihadista. La guerra civile si è, sin dall'inizio, trasformata in una miniguerra mondiale. Essa è stata il terreno di scontro tra potenze maggiori, cioè tra Usa e Francia, da una parte, e Russia e, sebbene in modo indiretto, Cina, dall'altra. Inoltre, è stata terreno di scontro tra potenze regionali, cioè tra Iran, da una parte, e Arabia Saudita, Turchia e Qatar, dall'altra. Quindi, la caduta di Aleppo segna la sconfitta di tutti coloro i quali avevano sollecitato o sfruttato le cosiddette primavere arabe per promuovere l'abbattimento dei governi laici del Medio-Oriente, tra i quali quelli di Gheddafi e di Assad.
Infatti, non dobbiamo dimenticare che, se è vero che gli attentati in Europa, quelli di Bruxelles, di Nizza, e di Berlino sono stati organizzati o almeno ispirati dall'Isis, è altrettanto vero che:
a) L'Isis si afferma in Siria, a seguito dello scoppio della guerra civile;
b) La guerra civile in Siria ha il via libera di Usa e Francia, che speravano di cavalcare l'ondata della contestazione per liberarsi di Assad e indebolire la Russia e l'Iran, recuperando spazi strategici e economici;
c) La guerra contro Assad è stata finanziata da stati fondamentalisti come l'Arabia Saudita e il Quatar, che sono alleati di Usa e Europa occidentale. A questi stati arabi e alla loro classe di rentier parassitari gli europei vendono miliardi in armi e permettono la partecipazione al capitale delle proprie maggiori imprese e banche;
d) La guerra contro Assad è stata condotta con il ruolo organizzativo decisivo della Turchia, che ha permesso, fra le altre cose, l'apertura del corridoio tra Siria e Europa attraverso cui sono transitati i foreign fighters europei, tra cui gli autori di attentati come quello a Charlie Hebdo;
e) Le potenze occidentali e arabe hanno appoggiato le formazioni jihadiste, come Al Nustra, già emanazione di Al Quaida, che hanno rapidamente assunto l'egemonia nella lotta contro Assad.
f) Il tutto è stato avallato e coordinato da Hillary Rodham Clinton.

Però, a differenza di Gheddafi in Libia, Assad non si è trovato isolato e alla mercé di un ampio fronte di avversari. Con la Libia la Russia e la Cina non posero il veto alla risoluzione Onu, che, sebbene in modo ambiguo, permise le incursioni aeree della Nato contro Gheddafi e fece pendere i rapporti di forza a favore delle formazioni ribelli, anche lì, come si è visto successivamente, egemonizzate dai jihadisti. Con la Siria, la Russia e la Cina non solo hanno chiarito che non ci sarebbe stata alcuna benedizione Onu a un bombardamento occidentale, ma è stata la Russia a intervenire direttamente con la propria aeronautica.
Inoltre, la posizione geografica della Siria ha reso possibile l'arrivo di aiuti dal "fronte sciita", composto da hezbollah libanesi e milizie sciite iraniane e irachene. Dunque, a uscire sconfitti dal conflitto siriano sono gli Usa, in particolare la linea politica di Obama e Clinton in Medio-Oriente, l'Europa occidentale, in particolare la Francia, e le potenze regionali sunnite, Turchia, Arabia Saudita e Qatar.
La linea Obama-Clinton in Medio-Oriente, orientata al regime change e basata su proxy wars combattute da milizie locali, sostanzialmente jihadiste-islamiche, con l'appoggio aereo occidentale, è fallita, come era chiaro già da molto tempo prima della caduta di Aleppo. Le conseguenze principali della sconfitta degli statunitensi e dei loro alleati occidentali e arabi sono tre:
a) Il mutamento delle alleanze in Medio-Oriente. La Turchia, resasi conto della sconfitta e arrivata a un passo da un disastroso scontro militare con i russi, ha fatto una inversione a U sul piano delle alleanze, stringendo un accordo con la Federazione Russa e abbandonando le formazioni jihadiste di cui fino ad allora era stato lo sponsor più diretto. La catena di attentati terroristici che insanguina la Turchia più di altri Paesi è dovuta proprio a tale giravolta. Inoltre, molto probabilmente il tentativo di colpo di stato di luglio, subito abortito, fu una reazione, forse ispirata dagli Usa, degli ufficiali turchi legati alla Nato a questo brusco cambiamento di rotta. Secondo alti ufficiali Usa, oggi tutto il personale militare turco che lavorava stabilmente con la Nato è stato arrestato, con immaginabili conseguenze anche sul piano pratico nei rapporti tra Nato e Forze Armate turche. Non bisogna dimenticare che la Turchia ha, dopo gli Usa, l'esercito più potente della Nato e che copre il decisivo fianco Sud-Est dell'Alleanza. Le scelte turche in termini di alleanze e le conseguenze del fallito colpo di stato indeboliscono gli Usa, la Nato e il loro sistema di alleanze nel Mediterraneo.
b) Il mutamento dei rapporti di forza a livello internazionale. A uscire vincente, almeno fino ad ora, è la Russia. Questa, per la prima volta dalla fine dell'Urss, riacquista un ruolo decisivo a livello internazionale, riuscendo a mettere sotto scacco gli Usa e i loro alleati europei e arabi. La Russia, invece di essere cacciata dal Medio-Oriente, come era nella strategia della Clinton, si è insediata ancora più saldamente nel Mediterraneo, incrinando la compattezza della Nato. Oltre a conservare in Siria la base navale di Latakia e a acquisire in modo permanente quella aerea di Hmeimin, la Russia si è assicurata mediante l'alleanza con la Turchia, non solo il passaggio degli oleodotti dalla Russia verso l'Europa, ma anche il passaggio della flotta della Crimea (decisivo il mantenimento del controllo russo sulla penisola) attraverso il Bosforo. In questo modo si risolve uno dei problemi strategici della Russia, la mancanza di un accesso ai mari caldi, rendendo possibile mantenere operativa la propria flotta anche durante l'inverno che blocca i porti nordici.
c) Il mutamento drastico della linea politica estera e del gruppo dirigente statunitense. Il disastro prodotto da Hillary Clinton come ministro degli esteri soprattutto in Medio-Oriente è una delle cause della sua mancata elezione alla Casa Bianca. Allo stesso tempo, la sconfitta statunitense in Siria e in Medio-Oriente ha contribuito alla vittoria di Trump. Questi, ha basato la sua campagna elettorale, tra le altre cose, sul cambiamento di rotta rispetto alla Russia. Ciò, in parte, rappresenta la registrazione del mutamento dei rapporti di forza usciti dal campo di battaglia, nella consapevolezza che solo con un accordo con la Russia si può uscire dal ginepraio siriano. In parte, però, è la dimostrazione che, alla fin fine, il vero avversario strategico degli Usa è la Cina, unico Paese in grado, in prospettiva, di metterne in discussione l'egemonia mondiale. La Russia ha dimostrato notevoli capacità militari. Inoltre, ha un arsenale nucleare pari a quello degli Usa e possiede vastissime risorse in materie prime. Ma demograficamente, e ancor più economicamente e industrialmente è tutt'altro che un peso massimo, con un Pil nominale al di sotto di quello italiano e un Pil pro-capite quattro/cinque volte inferiore. Evitare che si saldi un blocco russo-cinese, è l'orientamento che, se Trump riuscirà a mantenere i propositi dichiarati fino ad ora, ispirerà la prossima amministrazione statunitense. In tal caso, la linea diplomatica statunitense con la Russia sarebbe una versione rovesciata della strategia adottata nel 1972 dal presidente Nixon con la Cina di Mao. All'epoca Nixon isolò l'Urss dalla Cina, oggi Trump cerca di fare il contrario.
La strategia del presidente Obama, premio Nobel per la pace, si lascia dietro una scia di distruzioni, sangue e caos, come poche altre volte è accaduto nella storia degli ultimi due secoli, quando gli imperialismi avevano come obiettivo quello di organizzare i territori sottomessi. Il regime change obamiano-clintoniano non ha prodotto alcun governo democratico-liberale, ma ha promosso l'ondata di piena del jihadismo, con il suo corollario di lotte settarie tra sciiti e sunniti e brutali massacri, e l'affermazione, nel migliore dei casi, di signori della guerra o di regimi militari. Contrariamente a quanto sostengono alcune fonti, tra cui siti come Open democracy, finanziato da Soros e dalla Fondazione Ford, in Siria non abbiamo assistito a una lotta popolare contro un sanguinario dittatore, secondo lo stereotipo applicato ai personaggi e ai regimi scomodi per l'Occidente. Il carattere della guerra in Siria è passato rapidamente da guerra civile a guerra di aggressione dall'esterno. Ciò è avvenuto perché i Paesi occidentali e i loro alleati arabi hanno dato inizio alla lotta per rovesciare il governo siriano, mediante milizie provenienti dall'esterno del Paese. Nessuna meraviglia che il governo siriano, messo alle strette, abbia accettato e sollecitato l'aiuto russo e degli altri Paesi del fronte sciita.
In ogni caso, sarebbe bene evitare, da una parte, di subordinarsi a una logica di neutralismo, astrattamente al di sopra delle parti, e, dall'altra parte, a una logica di schieramento acritico, che tenga conto soltanto dei rapporti di forza militari. Il governo Assad ha combattuto una guerra il cui carattere prevalente, anche se non esclusivo, è quello di guerra di aggressione dall'esterno. La Federazione russa ha bloccato l'aggressività dell'imperialismo occidentale, per la prima volta dalla fine dell'Urss, e sconfitto Isis e jihadisti. Ma la Russia di oggi non è l'Urss. L'evoluzione dei rapporti di produzione capitalistici in Russia non è assimilabile a quella registrata negli Usa e che li spinge a un ruolo espansivo e aggressivo. Rimane, però, il fatto che oggi la Russia è un Paese capitalista, fondato su una classe di oligopolisti, che si muove in base ai suoi interessi economici e geostrategici.
Il punto principale su cui focalizzarsi è, quindi, un altro: la ricostruzione di una sinistra con un punto di vista autonomo in Medio-Oriente. Qui, la sinistra è stata ridotta ai minimi termini da tre fattori. Il primo è rappresentato dalla crisi agricola, dovuta principalmente all'inserimento nel mercato capitalistico mondiale, e dal processo di urbanizzazione troppo rapido e massiccio. Il secondo è l'abbandono da parte dei regimi laici populistici di politiche socialisticheggianti per aderire alle indicazioni neoliberiste del Fmi e dei Paesi capitalistici avanzati. Fatto questo che li ha portati a tramutarsi spesso in regimi burocratico-autoritari. Il terzo è l'emergere del radicalismo islamico che si è affermato sia per l'appoggio dell'imperialismo occidentale e di alcuni regimi autoritari, sia per la capacità, grazie ai fondi delle petromonarchie reazionarie arabe, di offrire agli ex contadini inurbati un welfare che lo stato non era in grado di offrire. I radicali islamici, in particolare quelli di orientamento jihadista, sono stati l'arma usata per schiacciare la sinistra, indebolita dai suoi errori e dalla crisi e poi dal crollo dell'Urss. Nello specifico la Siria è stata travolta dalla imponente crescita demografica, dalla siccità, durata dal 2006 al 2011, dalla crisi agricola e dall'esodo massiccio dei contadini nelle città. Inoltre, la Siria di Assad ha praticato la politica più aperta tra gli stati dell'area verso chi era in fuga dalla guerra, accogliendo, oltre a mezzo milione di palestinesi, circa 1,5 milioni di iracheni. In proporzione, è come se in Francia ci fosse una guerra e sette-otto milioni di francesi si rifugiassero in Italia, considerando, in aggiunta, che le condizioni economiche della Siria non sono neanche lontanamente paragonabili a quelle di un Paese avanzato e industrializzato come l'Italia. Possiamo dire che la guerra in Siria è stata l'ultimo effetto del domino iniziato con l'invasione dell'Iraq nel 2003 da parte degli Usa e proseguito negli anni successivi con il contributo degli europei occidentali.

È evidente, quindi, che senza la sconfitta militare del jihadismo e delle componenti del radicalismo islamico fanaticamente avverse a qualsiasi accordo con le forze laiche non si può parlare di ricostruzione di un movimento popolare o di rinascita della sinistra. Inoltre, la sconfitta del jihadismo passa per la sconfitta dei suoi sponsor internazionali più o meno diretti. La lotta, però, non può essere svolta solamente sul piano militare, in quanto per le ragioni suddette, la riuscita della battaglia contro il jihadismo e l'imperialismo richiede la capacità di offrire soluzioni economiche, politiche e sociali accettabili alle masse impoverite del Medio-Oriente alle prese con le conseguenze non solo dei cambiamenti climatici, ma soprattutto con la globalizzazione capitalistica. A questo proposito, è evidente che una tale lotta deve avere un appoggio all'interno del centro del sistema capitalistico mondiale, che è determinante sui processi economici e politici che hanno un impatto così devastante sul Medio-Oriente. Di conseguenza, anche la sinistra europea occidentale è direttamente chiamata in causa. Non si tratta, però, soltanto di offrire una solidarietà umanitaria o di manifestare per la pace. La lotta per la pace e per la stabilizzazione del Medio-Oriente passa soprattutto per la critica alla collusione degli stati europei con le petromonarchie arabe, a una alleanza militare occidentale, la Nato, che dopo la fine dell'Urss non ha più alcuna ragione di esistere, e, infine, all'Europa capitalistica nel suo assetto attuale. Passa, quindi, per la critica di quei processi di integrazione economica e valutaria che, accentuando la contrazione della base produttiva e della domanda interna, spingono i Paesi europei a espandersi all'estero e a controllare aggressivamente i mercati e le fonti energetiche del Medio-Oriente.

giovedì 5 gennaio 2017

IN MEMORIAM DI ELIZAVETA GLINKA, L'ANGELO DEI BAMBINI, E DEL CORO DELL'ARMATA ROSSA



 di Enrico Vigna


 dicembre 2016

Il 25 dicembre 2016 è caduto sul Mar Nero in Russia un aereo Tupolev TU –154 del Ministero
della Difesa russo con 92 persone a bordo, tutte decedute.
Era diretto in Siria per portare un carico di aiuti umanitari destinati all’Ospedale Tishreen e a
quello di Lattakia. A bordo c’era una parte del coro dell’Armata Rossa, che avrebbe cantato il 31
dicembre in un concerto per le truppe russe. Sull’aereo vi erano anche 9 giornalisti tra cui tre
reporter del Canale Uno di Russia e tre del canale televisivo Zvezda Tv.
La delegazione sanitaria era guidata da Elizaveta Glinka, meglio nota in tutta la Russia e tra i
popoli in guerra come “Dottor Liza”. Elizaveta era Membro del Consiglio della Presidenza per i
diritti umani in Russia, medico sempre in prima linea nell’assistenza sociale, in particolar modo dei
bambini e degli ultimi a Mosca e “angelo” dei bambini vittime delle guerre, dalla ex Jugoslavia, al
Donbass, alla Siria. Migliaia di loro debbono al suo impegno e dedizione disinteressata la vita e un
futuro. Senza nessuna concessione alla retorica, penso che questa sia una gravissima perdita per
l’umanità, oltreché per i bambini “sventurati” vittime delle guerre. In Russia, anche negli angoli più
sperduti di essa, “Dottor Liza” era conosciuta, amata, rispettata, così come presso migliaia di
bambini e madri dell’Afghanistan, della ex Jugoslavia, dell’Ucraina, del Donbass e della Siria.
Penso che la testimonianza che più di tutte dà il senso di chi era questa donna consista nelle parole
di un bambino di Donetsk curato e salvato dopo un bombardamento dei Battaglioni ucraini, che alla
domanda perché fosse così legato a “Dottor Liza” ha risposto che “quando lei mi prese in braccio
ferito, ero soprattutto terrorizzato dagli scoppi e dal dolore che sentivo, e quando piangente la
guardai, vidi che il mio dolore era nei suoi occhi, allora non ebbi più paura, non mi sentivo più
solo a soffrire”.
Nel dolore e ricordo di tutte le vittime perite all’interno di una missione pacifica e umanitaria, con
intenti di solidarietà verso gli altri e disinteressata, intendo qui ricordare e onorare la memoria di
una grande donna, una grande dottoressa e una grande persona. Ho avuto la fortuna di incontrarla e
conoscerla sui sentieri della solidarietà e delle devastanti conseguenze delle guerre sugli esseri
umani, che anch’io ho vissuto e conosciuto sul campo.
Ricordo con commozione e tristezza profonda nell’anima, il primo contatto che ebbi con lei due
anni fa all’interno dell’apertura dei Progetti di Solidarietà con il Donbass, oggi denominato “SOS
Donbass”, che stavamo impostando dopo la drammatica apertura della crisi ucraina, sfociata
nell’aggressione alla popolazione di quella regione. Un amica russa, Ana, che a Rostov ci faceva da
referente, mi parlò di questa dottoressa di Mosca che si occupava direttamente della solidarietà con i
bambini, fornendomi il contatto e i suoi riferimenti.
Dopo alcune mail e la presentazione delle mie credenziali e curriculum delle attività svolte in Serbia
negli ultimi 15 anni scoprimmo di avere una conoscenza comune: una dottoressa serba con cui
avevo collaborato. Così tutto divenne semplice e fluido. Ricordo il primo collegamento skype e non
lo dimenticherò mai più; serberò per sempre nell’anima quel suo sorriso bello, sereno, semplice,
con un velo di tristezza. Allo stesso modo non dimenticherò la sua disponibilità, pur sapendo quanto
fosse prezioso il suo tempo.


Ancora non sapevo di aver incontrato una persona rara, una donna eccezionale, una dottoressa
speciale. Così cominciò una collaborazione che poi trovò altri sentieri e sviluppi e che oggi vivono
nei Progetti di solidarietà interni a “SOS Donbass” del CISDU (Centro di Informazione e
Solidarietà con il Donbass e l’Ucraina resistente).
Ricordo che nell’ultima conversazione che avemmo, dopo avere risposto ad una mia richiesta di
consigli su un Progetto in Donbass, la trovai più affaticata del solito. Non sapevo che in realtà lei
stava costruendo un ennesima progettualità e stava lavorando senza posa ai Progetti per i bambini
sventurati della Siria. Ovviamente per problemi di sicurezza non ne parlava: addirittura ricordo che
io le dissi del nostro Progetto “SOS Siria” e lei non aggiunse nulla, si limitò a complimentarsi. La
nostra ultima conversazione finì con serenità, una serenità un pò triste e malinconica, ma distesa,
quando lei mi salutò in serbo, sorridendo dolcemente, con un “doviden ja”.


Un arrivederci che non ci sarà più. Ora io sono qui con un bicchiere di Sijvovica, un oceano di
malinconia e dolore, e un altro buco nel cuore e nell’anima divenute ormai brughiere.
E stasera io purtroppo alzando il bicchiere sono costretto a dire ADDIO, piccola grande donna
russa.
Come recita un detto cinese ci sono morti leggere come piume e morti che pesano come una
montagna.
Chi era Elizaveta Petrovna Glinka.
Nata il 20 febbraio 1962, onorata tre volte, con riconoscimenti di Stato per le sue straordinarie
attività umanitarie e di solidarietà:Ordine dell’Amicizia, Decorata per la Beneficenza e Solidarietà,
Premio di Stato della Federazione Russa per l’Umanitarismo.
Alla cerimonia di presentazione del Premio di Stato al Cremlino la Glinka ringraziò il Presidente
russo Vladimir Putin “per conto di centinaia di madri con i loro figli feriti, di Donetsk e della
regione di Donetsk, che sono state portate fuori dalle zona di combattimento grazie al vostro
intervento. Oltre a tutti coloro che hanno aiutato i bambini nei trasferimenti”.
In quella occasione in diretta televisiva Elizaveta Glinka invitò i funzionari politici e statali “a
guardare dentro le pieghe della vita, la sofferenza dei bambini, dei malati e dei feriti, dei
bisognosi”.


Era nata in una famiglia di militari, aveva studiato all’Istituto Nazionale Russo di Ricerca Medica a
Mosca, laureandosi in Anestesia Pediatrica. Sposata, aveva tre figli, di cui uno adottato. Nel 1986
era andata negli USA per specializzarsi nelle “cure palliative”, che l’hanno poi portata a lavorare e
costruire le strutture degli Hospice per malati terminali. Tornata a Mosca ha fondato il Primo
Hospice di Mosca. Poi, ironia e farsa del destino, andò in Ucraina è fondò il Primo Hospice
pubblico a Kiev per i malati ucraini. Scrivo ironia e farsa, perché nei giorni seguenti sui media e
social net work ucraini dei neonazisti, e anche in piazza, la sua morte è stata festeggiata, e Liza è
stata disgustosamente dileggiata, insultata…una sporca moskal (termine dispregiativo per
indicare un russo in Ucraina) in meno, hanno scritto. Potenza del fanatismo e dell’idiozia: lei che
per prima aveva aiutato disinteressatamente gli ucraini più bisognosi. Vergogna Ucraina odierna!
Nel 2007 Liza ha fondato la ONG umanitaria “Il Giusto Aiuto”.
La fondazione si occupa di aiutare i malati terminali di cancro, i bisognosi, i senza tetto, barboni,
fornendo loro assistenza sanitaria gratuita, aiuti economici e altri servizi sociali essenziali.
Era amata in tutta la Russia ed era nei cuori della gente, per un motivo molto semplice. Per molti
anni, ogni giorno, ha fornito cure mediche, alimentando i senza tetto, offrendo loro riparo e vestiti.
Nel 2014 dopo lo scoppio della guerra in Donbass la Glinka si è adoperata per far evacuare
centinaia di bambini feriti o mutilati dalle zone del conflitto, andandoli a prendere con il suo staff,
tra bombardamenti e attentati, e portandoli negli ospedali di Mosca e San Pietroburgo, dove sono
state garantite loro operazioni e cure gratuite. Ha anche organizzato un ambulatorio per bambini con
arti amputati, dove possono condurre la riabilitazione dopo il trattamento in ospedale.
E’ stato calcolato che ha attraversato i confini oltre 20 volte, rischiando ogni volta la vita in quanto
non aveva permessi dalle autorità. Il governo golpista di Kiev le lanciò anche accuse di sottrazione
di minori e violazioni dei confini, ma lei rispose che le parti politiche erano irrilevanti per lei,
quando in gioco c’erano vita e morte: “Io non sono schierata da nessuna parte, io sono schierata
dalla parte di bambini feriti e indifesi che per qualche ragione sono lasciati senza aiuti e
assistenza. Anche a costo della mia vita e basta”, dichiarò in una intervista radio. Ribadendo che la
sua organizzazione aveva aiutato con medicine, strumentazioni sanitarie, cibo e aiuti vari, anche
ospedali in Ucraina e di questo il governo di Kiev era al corrente, ma si guardava bene dal
ricordarlo.
Elizaveta Glinka in molte interviste non si sottraeva anche ad un ruolo sociale attivo nel suo paese,
da cittadina attiva, esponendo suoi punti di vista o giudizi, pur non schierandosi mai con partiti o
gruppi politici.
In una intervista a Pravmi.ru ribadiva della necessità dell’unità del popolo russo in questa fase
storica, della sua unione, e raccontava dei Progetti di solidarietà e il suo impegno: “attorno alla
Russia si sta dispiegando una situazione molto difficile. E le sanzioni sono prive di fondamento.
Visito regolarmente di persona Donetzk e il Donbass e non ho visto le truppe russe lì, piaccia o non
piaccia sentire questo. Ci sono le milizie locali di autodifesa e ci sono le truppe ucraine che si
fronteggiano. C’è una guerra civile riconosciuta anche dalle Nazioni Unite. Insieme ad altri medici
abbiamo dato vita al Progetto denominato «Noi siamo una cosa sola». Lo scopo di questa
campagna è dimostrare l'unità nella ricerca della pace, l'unità e la capacità di lavorare per il dialogo, non per la guerra.
A Donetsk la situazione è molto pesante, abbiamo portato via altri bambini che sono terrorizzati e
che si chiudono le orecchie ad ogni suono. Il loro viaggio, grazie a Dio, è andato bene. Ma hanno
pianto moltissimo quando sono stati presi in braccio da persone in uniforme anche se erano del
Pronto Soccorso e del Ministero delle Situazioni di Emergenza.
Proprio così, scrivetelo: quando sono arrivate persone in divisa ho pregato loro di togliersele; ho
detto che i bambini li portavamo noi stessi. Tuttavia, la gente è arrivata in divisa e tutti i bambini
hanno iniziato a piangere. Cercavo di spiegare a tutti che eravamo in viaggio da oltre un giorno ed
i bambini si stavano abituando a noi e avevano molta paura delle persone in divisa. Per questo,
quando sono arrivati gli equipaggi delle ambulanze hanno iniziato cominciato a gridare come
subissero una ferita. In questo viaggio per tre di questi bambini c’è bisogno di sedie a rotelle. Un
bambino cieco di sei mesi necessita di un passeggino. Un dodicenne ha una paralisi cerebrale e ha
bisogno di un buon passeggino per un bambino con la sua patologia. Perché la sua mamma non
può più portarlo in braccio, è troppo grande.
E c'è un bambino di due anni che soffre di encefalite. Egli non riesce a sedersi ed ha bisogno di un passeggino per bambini della sua età.
E inoltre tutti questi bambini sono vestiti molto male. Sul posto non ci sono soldi. Quindi se
qualcuno può portare loro dei vestiti, sarà molto utile, biancheria intima, abbigliamento esterno,
calze, pantaloncini, tute, cappelli”.
Il difensore civico dei bambini della Federazione Russa Anna Kuznetsova ha dichiarato:
“Elizaveta Glinka! Questo nome nel nostro paese e nel mondo deve rimanere una bandiera
dell’umanità”. Giornali, media, reti sociali sono stati inondati di pensieri, messaggi, lettere,
testimonianze.
Il direttore dell’Hospice di Ekaterinburg, Yevgeny Roizman, ha deciso di chiamare l’ospedale con
il nome “Dr. Liza”. In una intervista ha dichiarato che seppur non avesse una amicizia stretta con
lei, Liza “è stata molto importante per me. La sua vita è stata una vera predicazione incessante
della battaglia per la protezione dei bambini. Lei rappresentava il vero valore dei nostri intenti e
non le priorità dello show business. Ha salvato molte vite, vite di bambini e non solo. Dobbiamo
mantenere la sua memoria.
Questi nomi dobbiamo innalzarli come una bandiera, con tali nomi dobbiamo battezzare strade e
edifici, stabilire Premi umanitari in nome dei valori che raffigurava e devono divenire patrimonio
della memoria storica e dei nostri figli. Cosa mi ricorderò di lei? Probabilmente il suo camice
bianco. Lei con i suoi figli in qualche viaggio. Il significato della sua opera e della sua vita, i suoi
sogni, l’energia che emanava”.
Un’altra lettere recita: “ci ricorderemo di lei, pensando alla sua vita di tutti i giorni, l’Hospice,
l'assistenza ai senza casa, gli aiuti umanitari. Sui Forum, in Facebook, dove scriveva sempre
invitando le persone a resistere e sopportare il dolore e la sofferenza, a pensare al bene, al futuro.
Lei è stata una santa nella vita terrena, ogni giorno della sua vita. Cara Dr. Liza, ti amo molto, e
sono così disperata che non voglio ancora credere a questa notizia e alla lista dei morti”.
Yelena Kotova, direttrice del Fondo di carità "Culla della speranza": “Un anno fa, quando il mio progetto per i bambini disabili sembrava non sarebbe stato approvato dai funzionari federali, ho chiesto per caso un colloquio con Dottor Liza. Volevo proprio incontrarla, ma pensavo che sarebbe
stato difficile organizzare un incontro, poi ho deciso di provare. Era stato molto più facile di quel
che pensavo. Elizaveta mi convocò nel suo ufficio. Avevo così tanta paura di arrivare in ritardo,
che arrivai 2 ore prima. Ho aspettato le due ore ma poi ho incontrato una donna straordinaria; si è
seduta al tavolo e intorno era pieno di cose, di scatole, kit di aiuto umanitario, confezioni di
medicinali pronti per essere spediti. Ho preso un respiro e cominciò a parlare spiegando tutto sul
nostro progetto. Lei sorridendo mi ha fermato. Ha subito detto che mi avrebbe sostenuto
promettendo di aiutarmi. La sensazione era di star parlando con una persona di famiglia, una
persona cara. Liza per me è una donna con la D maiuscola. Del Progetto non sappiamo ancora
nulla al momento. Ma so che lei ha portato ai media le nostre argomentazioni in difesa del diritto
alla vita. La sua perdita è una mia perdita personale. Ora mi restano solo lacrime, di mattina e di
sera”.
Il Presidente della Cecenia Ramzan Kadyrov ha annunciato che è stato dato il nome di Dottor Liza
all’Ospedale Statale per bambini di Grozny. “Dr. Liza si è dedicata alla causa più nobile - salvare i
bambini”, ha dichiarato Kadyrov. “Aveva una formazione medica brillante e avrebbe potuto
lavorare in qualsiasi clinica, ma lei ha scelto la via difficile di aiutare coloro, che non hanno potuto
ricevere aiuto da un'altra parte.

Anche il direttore Responsabile del Coro Armata Rossa, Valery Mikhailovich [Khalilov] è stato
insignito della medaglia della Repubblica di Cecenia per meriti umanitari “Sono fiducioso che i
nomi di queste grandi persone rimarranno per sempre nella storia della Russia e della Cecenia, il
loro sforzo per salvare i bambini in luoghi di guerra e di conflitto rimarrà per sempre nella
memoria dei popoli.”, ha concluso il presidente ceceno.
Grapham Philips, inglese, uno dei rari giornalisti occidentali che ha documentato la guerra civile
in Donbass, in una intervista a Dottor Liza del mese di aprile 2016 le disse che “molte persone
pensano che siete un angelo”. Lei rispose: “Dicano pure Grisha (una russificazione amichevole di
Graham), è divertente, è piacevole, ma è solo divertente. Che tipo di angelo sono io? Io sono solo
una donna comune. Lasciate che lo dicano. Per quanto riguarda il lavoro, sto lavorando molto. E’
molto difficile, e non c'è nulla di angelico in questo lavoro, si vede. Esso comporta lunghi negoziati
con burocrati, che non finiscono sempre con un successo. Vede qui, ad esempio, ho appena ricevuto
una lista, questa è una nuova lista per ricoveri in ospedale. 2 bambini feriti, 2 bambini ciechi,
bambini nati nel 2014, quindi già durante la guerra.
Stiamo andando per prenderli. Per portarli a San Pietroburgo, siccome negli ospedali di Mosca
non hanno posti per questi tipi di pazienti - e voglio richiamare l'attenzione giornalistica su questo fatto. E qui ci sono i documenti per i bambini che sono già stati trasportati fuori, lavoriamo su
ciascun caso di bambino singolarmente. Ma tutto può essere possibile. Vede, c'era una ragazza, a cui era stata data una prospettiva terribile, ma con Vika (diminutivo di Viktoria), alla fine vinse il bene, era stata sul punto di morire e poi alla fine è arrivata a ballare, come un piccolo cigno o qualche altra creatura sublime; fu uno spettacolo commovente, una bambina che prima non riusciva nemmeno a sedersi e si appoggiava sulle braccia. Ora riusciva a ballare. Ecco, vede, tutto è possibile, Grisha.”. Questo era “Dottor Liza”.
Lana Zhurkina dottoressa, collega: “Era una persona eccezionale. Ha fatto cose che la maggior
parte delle persone pensava fossero impossibili. Ma questo è esattamente ciò che Elizaveta era. Si
preoccupava per i suoi colleghi al punto che preferiva recarsi lei nei punti più caldi e pericolosi”.
A Life.ru. una giovane madre di Donetsk, il cui figlio Elizaveta Glinka aveva aiutato per una
grave malattia, ha così espresso il suo dolore: “a mio figlio era stata diagnosticata una cardiopatia
congenita, doveva essere operato d'urgenza, ma noi non eravamo in condizioni economiche da
permetterci un trasferimento. Abbiamo incontrato la Glinka a Donetsk, lei subito si è adoperata per
farci andare a San Pietroburgo, dove il bambino è stato operato con successo, lei gli ha donato una
seconda vita. Questa è una tragedia terribile, ha aiutato tanti bambini, tanti adulti e a tutti ha dato
speranza e fede nel futuro”.
Qui il video con i sottotitoli in italiano a cura di SakerItalia, del suo discorso l’8 dicembre al ricevimento del Premio di Stato della Russia, al Cremlino.
“…Quando partiamo non sappiamo mai se torneremo vivi, perché la guerra è l'inferno sulla terra, e so di cosa sto parlando. Ma siamo certi che la bontà, la compassione e la misericordia sono più forti di qualsiasi arma…”. 



L’Alexandrov Ensemble, noto come il Coro dell’Armata Rossa, tra le vittime del disastro aereo.
Erano 64 uomini e donne, membri del Coro ufficiale delle Forze Armate russe, tra cui il Generale Valery Khalilov, direttore dell’Alexandrov.


Nel coro vi erano cantanti, musicisti e ballerini. Il coro fu creato nel 1928; il suo nome è in ricordo
al suo primo direttore Alexander Alexandrov Vasilyevich, che ha anche scritto la musica dell’inno
nazionale sovietico e di quello russo.


Dopo la notizia della sciagura il famoso attore russo Vasily Lanovoy, in una intervista televisiva,
dove a stento riusciva a parlare tra le lacrime, ha spiegato il significato epocale di questo coro:
“Quando ero bambino durante l’occupazione nazista nel 1941, sentii per la prima volta la loro
esortazione -Alzati, grande paese!-, il terzo giorno di guerra. Penso che sia un pezzo della storia
del popolo russo, una storia leggendaria che non può scomparire, che deve essere ricostruito”.


Enrico Vigna per SOS Siria, SOS Donbass, SOS Kosovo Methoijha, Forum di Belgrado, CIVG.IT