sabato 25 gennaio 2014

PAPA FRANCESCO E L'ECONOMIA POLITICA DELLA ESCLUSIONE




Papa Francesco e l'economia 
politica della esclusione 
 
di Leonardo Boff Teologo e Filosofo


Chi ascolta i vari interventi del Vescovo di Roma e attuale Papa, si sente a casa e in America Latina. Egli non è eurocentrico, nè romanocentrico e molto meno vaticanocentrico.
Egli è se stesso, un pastore che è venuto dalla fine del mondo, dalla periferia della vecchia cristianità europea, decadente e agonica (solo il 24% dei cattolici sono europei);
Proviene dal nuovo cristianesimo che si è elaborato in oltre 500 anni in America Latina con il suo volto e la sua teologia.
Papa Francesco non ha conosciuto il capitalismo centrale e trionfante dell'Europa ma il capitalismo periferico, subalterno, aggregato e socio minore del grande capitalismo mondiale.
Il grande pericolo non è mai stato il marxismo, ma la barbarie del capitalismo incivile.
Questo tipo di capitalismo ha generato nel nostro continente latino-americano un accumulazione scandalosa di pochi a scapito della povertà e dell'esclusione della stragrande maggioranza del popolo.
Il suo discorso è diretto, esplicito, senza metafore nascoste, come è abitudine del discorso ufficiale e equilibrista del Vaticano, che mette l'accento più sulla sicurezza e l'equidistanza che sulla verità e la chiarezza della propria posizione.
La posizione di Papa Francesco è chiarissima: a partire dai poveri e dagli esclusi, non ci deve essere alcun dubbio che indebolisca questa opzione, che esiste un legame indissolubile tra la nostra fede e il povero (Esortazione n.48).
Denuncia con forza che il sistema sociale ed economico è ingiusto nella sua radice (n.59), dobbiamo dire di no a una economia di esclusione e disuguaglianza sociale; questa economia uccide, l'essere umano è considerato, in se stesso, come un bene di consumo che si può usare e poi buttare via, gli esclusi non sono gli sfruttati, ma sono i rifiuti e avanzi (n. 53).
Non si può negare che questo tipo di formulazione di Papa Francesco richiama il magistero dei vescovi latinoamericani a Medellin (1968), Puebla (1979) e Aparecida (2005), come il pensiero comune della teologia della liberazione.
Questo ha come suo asse centrale l'opzione per i poveri, contro la povertà e in favore della vita e della giustizia sociale.
C'è un'affinità evidente con l'economista Karl Polanyi, che per primo ha denunciato la Grande Trasformazione (Titolo del libro del 1944), per rendere l'economia di mercato una società di mercato. In essa tutto diventa merce, le cose più sacre e le più vitali. Tutto è oggetto di profitto.
Tale società si regge strettamente sulla concorrenza, sull'individualismo e l'assenza di qualsiasi limite. Quindi non rispetta niente e crea un brodo di violenza, intrinseca al modo in cui si è costruita e lavora, duramente criticato dal Papa Francisco (n. 53). Essa ha nutrito un effetto atroce.
Nelle parole del Papa questa società ha sviluppato una globalizzazione dell'indifferenza; diventiamo incapaci di simpatizzare quando sentiamo le grida degli altri; ormai non piangiamo alla vista dell'altrui dramma, né ci interessiamo a prenderci cura di loro (n.54).
In una parola, viviamo in tempi di grande disumanità, crudeltà e mancanza di pietà.
Ci possiamo considerare ancora civilizzati se per civilizzazione intendiamo l'umanizzazione dell'essere umano? In realtà, siamo regrediti alle forme primitive di barbarie.
Conclusione finale che il Pontefice deriva da questa inversione è che non possiamo più confidare su forze cieche e sulla mano invisibile del mercato (n.204).
Così attacca il cuore ideologico e falso del sistema vigente.
Dove cercare alternative? Non in una attesa Dottrina Sociale della Chiesa. Rispettala, ma osserva che non possiamo evitare di essere concreti affinchè i grandi principi sociali non diventino semplici generalizzazioni che non chiamano in causa nessuno (n.182).
Vai a cercare nella pratica umanitaria del Gesù storico. .
Non intendere il suo messaggio come regola, ingessato nel passato, ma come fonte di ispirazione che si apre alla storia in continua evoluzione. Gesù è colui che ci insegna a vivere e convivere, a riconoscere l'altro, curare le ferite, costruire ponti, rafforzare i legami e a aiutarci a portare i pesi l'uno dell'altro (N.67).
Personalizzando il suo scopo, ci dice: a me interessa far sì che quanti vivono schiavi di una mentalità individualista, egoista e indifferente, possano liberarsi di tali indegne catene e raggiungere uno stile di vita e pensiero più umano, più nobile, più fecondo che nobiliti il suo passaggio su questa terra (n.208). Questo intento è simile a quello della Carta della Terra e che appunta valori principi per una nuova umanità, che abiti con amore e cura il pianeta Terra.
Il sogno di Papa Francesco realizza il sogno del Gesù storico, il regno della giustizia, dell'amore e della pace. Non era nell'intenzione di Gesù creare una nuova religione, ma persone che amano, solidarizzano, mostrano misericordia, sentono tutti come fratelli e sorelle, perché tutti figli e figlie nel Figlio.
Questo tipo di cristianesimo non ha nulla del proselitismo, ma conquista per l'attrazione della sua bellezza e profonda umanità.
Tali sono i valori che salveranno l'umanità.
 
Leonardo Boff ha scritto: Il Cristianesimo: il minimo del minimo,Vozes 2011.
 
(traduzione Antonio Lupo)

PERCHE' IL SUDAFRICA AMA CUBA?





Perché il Sudafrica ama Cuba?


di Piero Gleijeses*
Mentre i mezzi di comunicazione statunitensi si sono interessati recentemente alla “stretta di mano” fra il Presidente Obama e Raúl Castro, vale la pena di riflettere sulle ragioni per cui gli organizzatori delle celebrazioni funebri di Nelson Mandela hanno invitato Raúl Castro fra i sei leaders –sui novantuno partecipanti stranieri- per parlare durante la cerimonia. Non solo è stato concesso a Raúl Castro questo onore, ma a lui è toccata anche la più calda delle presentazioni durante la cerimonia:
“Adesso vi presentiamo un leader che viene da una piccola isola, il rappresentante di una piccola isola, di un popolo che ci ha liberato, che ha lottato per noi ... il popolo di Cuba”, ha detto il Presidente del Congresso Nazionale Africano (ANC).
Queste parole sono l’eco di quello che lo stesso Mandela aveva detto durante la sua visita a Cuba nel 1991:
“Siamo venuti qui coscienti del grande debito contratto con il popolo di Cuba. Quale altro paese può mostrare una storia più disinteressata di quella che ha esibito Cuba nei suoi rapporti con l’Africa?”
Molti fattori hanno portato alla sparizione dell’Apartheid. Il governo bianco sudafricano è stato sconfitto non solo per il potere di Mandela, per il coraggio del popolo del Sudafrica o per la capacità del movimento mondiale di imporre sanzioni. E’ stato anche eliminato dalla sconfitta dell’esercito del Sudafrica in Angola. Ecco come si spiega il protagonismo di Raúl Castro durante il funerale: sono state le truppe cubane che hanno umiliato l’esercito sudafricano. Fra gli anni 1970 e 1980, Cuba ha cambiato il corso della storia nel sud dell’Africa nonostante gli sforzi degli Stati Uniti per evitarlo.
Nell’ottobre del 1975, i sudafricani, incoraggiati dal governo di Gerald Ford, hanno invaso l’Angola per schiacciare il Movimento Popolare per la Liberazione dell’Angola (MPLA), di sinistra. E ce l’avrebbero fatta se non ci fossero stati lì 36.000 soldati cubani in Angola.
Come ha segnalato la CIA, Fidel Castro non aveva concordato con Mosca la decisione di inviare le sue truppe (come si capisce dalle nervose riunioni sostenute in seguito con la direzione sovietica negli anni ottanta). I cubani, ha confermato Kissinger nelle sue memorie, avevano affrontato i sovietici a cose fatte. Fidel Castro aveva capito che la vittoria di Pretoria (incoraggiata da Washington) avrebbe rafforzato gli artigli della dominazione bianca contro il popolo del Sudafrica. Si è trattato di un momento decisivo: Castro ha inviato truppe in Angola per il suo impegno con quella che ha chiamato “la più bella causa”, la lotta contro l’Apartheid. Come Kissinger ha osservato più tardi, Castro era “probabilmente il più genuino leader rivoluzionario allora al potere”.
L’ondata scatenata dalla vittoria cubana in Angola si impadronì del Sudafrica. “L’Africa Nera sta cavalcando la cresta di un’onda generata dal successo di Cuba in Angola”, ha fatto notare World, un importante giornale del Sudafrica nero. “L’Africa Nera sta assaggiando l’inebriante vino della possibilità di rendere reale il sogno della liberazione totale”. Mandela avrebbe poi ricordato di aver saputo della vittoria cubana in Angola quando era prigioniero a Robben Island:
“Io stavo in carcere quando ho saputo dell’aiuto massiccio che le truppe internazionaliste cubane stavano offrendo al popolo angolano ... Noi in Africa siamo abituati ad essere vittime dei paesi che vogliono impossessarsi del nostro territorio o sovvertire la nostra sovranità. In tutta la storia dell’Africa è l’unica volta che un popolo straniero ha preso le armi per difendere uno dei nostri paesi”.
Ma Pretoria non si era data per vinta; perfino dopo la ritirata dei cubani, sperava di sconfiggere il governo del MPLA dell’Angola. Le truppe cubane sono rimaste in Angola per proteggerla da un’altra invasione sudafricana. Perfino la CIA ha ammesso che “erano necessarie per preservare l’indipendenza dell’Angola”. Inoltre i cubani hanno addestrato i guerriglieri del ANC e i ribelli della SWAPO che combattevano per l’indipendenza della Namibia contro i sudafricani che l’avevano occupata illegalmente.
Dal 1981 al 1987, i sudafricani hanno lanciato ondate di invasioni nel sud dell’Angola. La guerra era a un punto morto nel novembre del 1987 quando Fidel Castro ha deciso di espellere i sudafricani fuori da quel paese una volta e per sempre. La sua decisione è stata provocata dal fatto che l’esercito sudafricano aveva stretto d’assedio le migliori unità dell’esercito angolano in una città dell’Angola meridionale, Cuito Cuanavale. La qual cosa era stata possibile in qualche modo perché Washington si dimenava nello scandalo Iran-contra. Prima che scoppiasse lo scandalo Iran-contra, alla fine del 1986, che debilita e distrae il Governo Reagan, i cubani temevano che gli Stati Uniti potessero lanciare un attacco contro la loro patria. Per cui non erano disposti a dar fondo alle loro riserve di armi. Ma l’Iran-contra ha limato le zanne di Reagan e ha liberato Castro dalla limitazione ad inviare migliori aerei da Cuba, piloti e armi antiaeree in Angola. La sua strategia consisteva nel rompere l’offensiva sudafricana contro Cuito Cuanavale al sudest e poi attaccare dal sudovest, “come un pugile che con la sinistra colpisce e con la destra dà il KO”.
Il 23 marzo del 1988, i sudafricani hanno lanciato il loro ultimo attacco importante contro Cuito Cuanavale. Fu un fallimento totale. Lo Stato Maggiore degli Stati Uniti ha dichiarato:”La guerra in Angola ha avuto una svolta drammatica e – per quel che riguarda i sudafricani – indesiderato”.
La mano sinistra dei cubani aveva bloccato il colpo del Sudafrica, mentre la mano destra si preparava al KO: poderose colonne cubane avanzavano verso le frontiere della Namibia, inducendo i sudafricani a ripiegare. I MIG 23 cubani hanno cominciato a sorvolare il nord della Namibia. Documenti degli Stati Uniti e del Sudafrica dimostrano che i cubani hanno conquistato tutta la frangia superiore dell’Angola. I cubani pretesero che Pretoria ritirasse senza condizioni le truppe dall’Angola e permettesse elezioni controllate dalle Nazioni Unite in Namibia. Lo Stato Maggiore degli Stati Uniti avvertì il Sudafrica che se si rifiutava, i cubani si trovavano in una posizione di vantaggio. I sudafricani riconobbero di avere un problema “a lanciare un’offensiva ben appoggiata in Namibia”: se rifiutavano le richieste cubane correvano “il rischio reale di trovarsi coinvolti in una guerra convenzionale a grande scala con i cubani, i cui risultati sono potenzialmente disastrosi”. La prospettiva dell’esercito sudafricano era nera: “Dobbiamo fare tutto il possibile per evitare scontri”.
Pretoria capitolò. Accettò le richieste dei cubani e si ritirò incondizionatamente dall’Angola accettando l’accordo sulle elezioni controllate dall’ONU in Namibia, vinte dallo SWAPO.
La vittoria cubana ebbe ripercussioni al di là della Namibia e dell’Angola. In parole di Nelson Mandela, la vittoria cubana “ha distrutto il mito dell’invincibilità dell’oppressore bianco ... ha ispirato le masse in lotta in Sudafrica ... Cuito Cuanavale è stato il punto di svolta per la liberazione del nostro continente –e del mio popolo- dal flagello dell’Apartheid”.
 
*Piero Gleijeses è professore di politica estera degli Stati Uniti presso la Scuola di Studi Internazionali Avanzati (SAIS), dell’Università John Hopkins. Tutte le citazioni provengono dal suo ultimo libro, Visiones de la libertad: La Habana, Washington, Pretoria y la lucha por el sur de Africa, 1976-1991, The University of North Carolina Press, 2013.
 
 
Traduzione di Alessandra Riccio

giovedì 16 gennaio 2014

IL FALLIMENTO MORALE DI TONY BLAIR





Il fallimento morale di Blair

Le parole di Tony Blair di elogio per Ariel Sharon , il "macellaio di Beirut" e il simbolo di una più ampia impunità di Israele sulla scena internazionale, mostrano il suo fallimento come inviato del Quartetto.


di  Mustafa Barghouti 

16 Gennaio 2014, pubblicato in HAARETZ

Lunedi ' 13 gennaio , nell'ufficio dell'inviato speciale del Quartetto (ONU, USA, RUSSIA, UNIONE EUROPEA) a Gerusalemme , il signor Tony Blair , circolava l'elogio [ vedi sotto ] consegnato al funerale di Ariel Sharon , sotto forma di una dichiarazione del Quartetto . Il testo integrale del suo elogio , ora accessibile al pubblico , dimostra perché Blair ha totalmente fallito nel suo ruolo .

Blair dovrebbe rappresentare la comunità internazionale a Gerusalemme. Egli dovrebbe operare nel quadro del diritto internazionale , che prevede la fine dell'occupazione israeliana iniziata nel 1967 e stabilire uno stato palestinese pienamente indipendente e sovrano . Il suo discorso non ha mostrato alcun rispetto per le migliaia di famiglie che ancora piangono i loro cari , massacrati in Qibya nel 1953 , a Sabra e Shatila nel 1982 , per non parlare dei 20.000 palestinesi e libanesi uccisi sotto gli ordini di Sharon durante l'invasione israeliana del Libano nel 1982 e le migliaia di morti durante la seconda intifada o le centinaia di egiziani prigionieri di guerra che sono stati brutalmente uccisi dai suoi ordini .

Ariel Sharon se ne è andato, ma la sua eredità rimane con noi . La sua è la "visione" di portare un milione di coloni nella Cisgiordania occupata . Suo è il progetto di ritirarsi da Gaza e il suo isolamento dal resto della Palestina al fine di rimodellare l'occupazione israeliana e consolidare l'annessione di vaste aree di Palestina occupata .

Nonostante i tentativi di presentare se stesso come uno "statista" , Sharon sarà ricordato da molti come quel criminale di guerra che era: Il macellaio di Beirut, come egli è conosciuto nel mondo arabo, che aveva l'ossessione di uccidere Yasser Arafat. I tentativi di portarlo in tribunale sono falliti, sia a causa della protezione accordatagli dalla Stato di Israele o per il suo status di primo ministro, come era il caso quando gli avvocati belgi che rappresentano i sopravvissuti al massacro di Sabra e Shatila cercarono di portarlo al processo nel 2002. Proprio come il generale Pinochet , Sharon è morto senza processo per i suoi crimini.

La morte di qualsiasi essere umano non dovrebbe mai essere un motivo per festeggiare e questa non è un'eccezione. Ma i messaggi di addio che hanno completamente liquidano la storia di Sharon, fatta di atti criminali, sono un insulto alla memoria delle migliaia di morti sotto i suoi ordini. Sharon è diventato un simbolo di una più ampia impunità di Israele sulla scena internazionale . Eppure il signor Blair sembra essere fiero delle sue parole. E' dubbio che anche un membro della corrente della coalizione di governo israeliano , che comprende molti estremisti , avrebbe consegnato una dichiarazione come quella che Blair ha fatto. Anche se Blair presumibilmente rappresenta il Regno Unito , l' ONU, l'UE e la Russia , il suo discorso non ha menzionato la Palestina o i palestinesi , né l'occupazione israeliana , né la soluzione dei due Stati . Il discorso è servito come occasione di pubbliche relazioni per qualcuno che non ha mostrato alcuna simpatia per le migliaia di morti sotto gli ordini di Sharon.

Quando Yasser Arafat morì nel 2004 , Sharon , a quel tempo Primo Ministro d'Israele , parlava di lui come un terrorista che ha creato ostacoli alla pace . Ma anche dopo che il presidente Abbas è stato eletto , Sharon non ha cambiato le sue politiche di occupazione e colonizzazione . La sua visione non era fatta di trattative , ma di imposizioni , e questo fa parte della sua eredità politica , oggi favorita dall'attuale governo israeliano .

Contrariamente allo  "statista" che Mr. Blair ha elogiato , Sharon non ha mai accennato alla pace , né a una soluzione a due stati sul confine del 1967, ma all'annessione di Gerusalemme e alla costruzione di ulteriori insediamenti . Egli da solo ha distrutto il processo di pace nel 2000 e provocò una seconda intifada palestinese . Mentre il portavoce della Knesset israeliana Mr. Edelstein , un colono lui stesso , ha sottolineato durante la sepoltura , Sharon ha fatto tutto il possibile per rendere gli insediamenti israeliani un'impresa irreversibile . Queste politiche , che hanno portato alcuni a lodarlo per il suo "pragmatismo" , avrebbero potuto facilmente essere ereditate dal suo collega  Menahem Begin , anche lui responsabile di diversi crimini di guerra , e Primo Ministro di Israele nel 1982. Oggi , il Primo Ministro Netanyahu ha interiorizzato tali politiche . Anche lui sarà ricordato come un uomo di pace ?

Sharon capì solo il linguaggio della forza e del potere . Si è descritto come un guerriero e non come un pacificatore . Oggi , Israele ha bisogno di un diverso tipo di leader che può capire il nostro messaggio di resistenza non violenta quando diciamo che lottiamo non solo per liberarci dall'oppressione dell'occupazione israeliana , l'apartheid e il colonialismo , ma anche per liberare gli israeliani da questa situazione orribile . Israele ha bisogno di leader in grado di capire che la sicurezza non sarà raggiunta da muri di segregazione e con la forza brutale , ma attraverso una pace vera e giusta, col rispetto reciproco e l'accettazione dei palestinesi come uguali esseri umani .

Nel frattempo , l'elogio di Blair ha semplicemente dimostrato perché ha fallito come inviato del Quartetto : Egli non ha fatto nessun sforzo per ritenere Israele responsabile per le sue azioni terribili . In realtà, egli ha elogiato Israele e i suoi dirigenti , dirigenti che continuano a sabotare le prospettive di due Stati sovrani e democratici ch vivono fianco a fianco in pace e sicurezza .

(L'autore: - Dr. Mustafa Barghouthi è leader dell'Iniziativa Nazionale palestinese , membro del Consiglio legislativo palestinese e il Consiglio Centrale dell'OLP , e un ex candidato presidenziale .)

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 PANEGIRICO DI TONY BLAIR IN OCCASIONE DEI FUNERALI DEL CRIMINALE ISRAELIANO ARIEL SHARON


 13 Gennaio 2014 
 
Controllare contro consegna 
 
-Omri, Gilad, famiglia Sharon,  Presidente, Primo Ministro, Vice Presidente,  Primo Ministro della Repubblica Ceca, eccellenze edelegazioni .

I miei incontri ufficiali con Arik Sharon erano difficili . Lui non era comodo in incontri formali circondato da protocollo . Lui leggeva a lungo dalle note ripetute e ripetendo la posizione di Israele .

"Davvero Arik " volevo dire.
"Capisco quello che stai dicendo."
" Ok ", egli rispondeva e poi pausa. 
«Ma, nel caso, lo dirò di nuovo."

Poi l'ho invitato a casa mia per cena. Nessun protocollo. Volevo conoscere l'uomo. Ora ho visto un Arik
completamente diverso, caldo,  di buon cuore, umoristico, affascinante e passionale. Del suo paese, naturalmente. Ma anche della sua meravigliosa famiglia e la sua agricoltura. Col passar degli anni abbiamo lavorato insieme e prese iniziative che nessuno ha mai pensato che avrebbe preso: concordando la Road Map, il ritiro da Gaza, fondando il partito Kadima. Ma l'idea che egli sia cambiato da uomo di guerra a uomo di pace non riesce a definirlo. In realtà, non è mai cambiato. Il suo obiettivo strategico non vacillò mai. Lo Stato, che dall'età di 14 anni ha lottato per realizzarlo, doveva essere protetto per le future generazioni. Quando ciò significava combattere, ha combattuto. Quando ciò significava fare la pace, cercava la pace. E la stessa determinazione di ferro che ha portato nel campo della guerra ha portanto nella camera della diplomazia. Audace, non ortodosso, inflessibile. Non dovremmo mai pensare, tuttavia che egli non riflettesse profondamente. Come ho avuto modo di conoscerlo, io ho capito che quest'uomo era uno stusioso della storia così come un creatore di essa. Egli portò l'angoscia del vero decisore. Aveva la qualità del capo in abbondanza, ma ha avuto l'intelligenza di essere consapevole dei suoi pericoli e le oscillazioni incerte del destino. Quando prendeva una decisione, era inflessibile. Portava tutti sulle sue posizioni. E in questo modo, non si muoveva, andava alla carica. Le posizioni, i partiti, le politiche, egli poteva lasciare considerevoli detriti nella sua scia. Ma sempre la sua destinazione era chiara. Come la sua motivazione. E in questo lui è un alfiere, non solo per Israele, ma per il suo gruppo dirigente. Aveva la durezza d'animo di disprezzare tutte le illusioni circa le minacce che doveva affrontare Israele. Ma aveva l'immaginazione di sapere che la pace autentica, se raggiungibile con onore e dignità, sia per gli arabi che per gli israeliani, è l'ancora finale rimasta per la sicurezza di Israele. Egli non perseguì la pace come un sognatore. Ma sognò la  pace e la fine della guerra. In questo ha rappresentato una cosa che ho notato in tutti i leader israeliani che ho incontrato, coloro che sono stati  Primi Ministri, coloro che aspirano a essere Primo Ministro. Sotto ciò che è comune a tutta la politica, le manovre e le macchinazioni, i trucchi e gli orpelli del potere, nella politica in Israele si trova qualcosa di insolito e prezioso: un vero amore di patria. Un amore supremo per lo Stato di Israele e la terra di Israele. Per quello che essa è. Quanto è costato per costruirla e quanto costerà sostenerla. Non c'era vocazione più alta di questa per Arik Sharon e non esisteva altra vocazione. E in Israele voleva dire non solo un paese e  un popolo, ma un'idea.

Traduzione dall'inglese di Diego Siragusa

domenica 12 gennaio 2014

L'ECONOMIA DELLA PAURA di Paul Krugman



New York Times - 27 dicembre 2013

 
L'economia della paura
di Paul Krugman
Più di un milione di americani disoccupati stanno per ricevere il più crudele dei regali di Natale, il taglio dei loro sussidi di disoccupazione. Per i deputati repubblicani chi non ha trovato un lavoro dopo mesi di ricerche non ha cercato con abbastanza impegno. Perciò è necessario dargli l'incentivo in più della pura disperazione.

Il risultato è che la situazione dei disoccupati, già terribile, diventerà perfino peggiore. Chi ha un lavoro sta certo molto meglio. Tuttavia la persistente debolezza del mercato del lavoro fa pagare un prezzo anche a loro. Vediamo come.
Ci vorrebbero far credere che i rapporti di lavoro sono proprio come qualsiasi altra operazione di mercato: i lavoratori hanno qualcosa da vendere, i datori di lavoro hanno i mezzi per comprare, si tratta semplicemente di mettersi d'accordo. Ma chiunque ha mai avuto un lavoro nel mondo reale - o anche solo visto un cartone animato di Dilbert - sa bene che non è così.
Il fatto è che un rapporto di lavoro comporta generalmente un rapporto di potere: hai un capo che ti dice cosa fare, e se ti rifiuti puoi essere licenziato. Questo non è necessariamente negativo. Se il prodotto dei lavoratori fa guadagnare i datori di lavoro, questi non faranno richieste irragionevoli, ma non si tratta mai di una semplice transazione commerciale. Quando c'è di mezzo un rapporto di lavoro è possibile che si creino situazioni come quella descritta da quella canzone di musica country che dice "Take This Job and Shove It" (Prendi questo lavoro e ficcatelo in quel posto). Per una normale transazione commerciale un'analoga canzone che dica "Puoi tenerti la merce durevole che mi offri" non avrebbe senso.
Il rapporto di potere tra lavoratori e datori di lavoro, già sbilanciato a danno dei lavoratori, è oggi notevolmente peggiorato dall'alto tasso di disoccupazione. Una misura del peggioramento è data dalla percentuale di lavoratori che ogni mese lasciano volontariamente il posto di lavoro (invece di essere licenziati). Ovviamente ci sono molte ragioni per le quali un lavoratore può desiderare di lasciare il suo lavoro, ma a meno che un lavoratore non ne abbia già un altro che lo aspetta, farlo è rischioso, perché a priori non sa né quanto tempo ci vorrà per trovarne uno nuovo, né a quali condizioni, rispetto a quello vecchio, lo troverà.
E il rischio è molto maggiore quando la disoccupazione è alta e le persone in cerca di occupazione sono molte di più delle offerte disponibili. Perciò il tasso di abbandoni volontari dovrebbe salire durante i boom e calare quando l'economia ristagna, e questo è quello che accade. Gli abbandoni sono diminuiti durante la recessione del 2007-2009, e hanno recuperato solo parzialmente, riflettendo la debolezza e l'inadeguatezza della nostra ripresa economica.
Ora pensate a cosa significa questo per il potere contrattuale dei lavoratori. Quando l'economia è forte, sono i lavoratori ad avere il potere di scegliere. Possono lasciare il lavoro se non sono contenti di come sono trattati e sanno che possono trovare rapidamente un nuovo lavoro se vengono licenziati. Ma quando l'economia è debole i lavoratori sono in una posizione molto debole, e i datori di lavoro sono in grado di chiedergli di lavorare di più, o di essere pagati di meno, o tutte e due le cose.
C'è qualche prova che questo stia accadendo? E come starebbe accadendo? Come ho detto altre volte la ripresa economica è stata debole e insufficiente, e tutto il peso della debolezza è stato sopportato dai lavoratori. I profitti delle imprese sono affondati durante la crisi finanziaria, ma hanno rapidamente invertito la corsa, sono continuati a salire e a questo punto gli utili dopo le tasse sono del 60 per cento più alti di quanto non lo fossero nel 2007, prima dell'inizio della recessione. Non sappiamo quanta parte di questo aumento di profitti possa essere spiegata dal fattore paura - cioè dalla capacità di spremere i lavoratori che sanno di non avere nessun altro posto dove andare. Ma questo fattore deve essere almeno parte della spiegazione, ed è possibile (anche se non certo) che i profitti delle aziende crescano di più in un'economia un po' depressa di quanto non farebbero in regime di piena occupazione.
Tuttavia la cosa più importante è che non sarebbe poi una gran forzatura dire che il nostro sistema politico ha voltato le spalle ai disoccupati. No, non credo a un complotto di amministratori delegati per mantenere l'economia debole. Ma credo che una delle ragioni principali per cui la riduzione della disoccupazione non è una priorità politica è che l'economia può essere pessima per i lavoratori, ma l'America delle aziende sta andando bene.
Una volta capito questo si capisce anche perché è così importante cambiare le priorità.
Ultimamente c'è stato un dibattito un po' strano tra progressisti, qualcuno sosteneva che il populismo e le condanne della disuguaglianza sono un diversivo, che la priorità assoluta dovrebbe invece essere la piena occupazione. Tuttavia, come alcuni importanti economisti progressisti hanno sottolineato, la piena occupazione è di per sé un argomento populista: mercati del lavoro deboli fanno perdere terreno ai lavoratori, e lo strapotere delle aziende e dei ricchi è il motivo principale per cui non si fa nulla per aumentare i posti di lavoro.
Troppi americani vivono attualmente nella paura per le possibili conseguenze della crisi economica. Ci sono molte cose che possiamo fare per porre fine a tale stato di cose, ma la più importante è rimettere all'ordine del giorno il problema dell'occupazione.
(Traduzione di Gianni Mula)

martedì 7 gennaio 2014

LA FRATELLANZA MUSULMANA





Recensione di Jeff Steinberg, pubblicata il 17 febbraio 2006 dalla rivista Executive Intelligence Review (anno 33 n. 7).

«Devil's Game: How the United States Helped Unleash Fundamentalist Islam» di Robert Dreyfuss.
New York: Henry Holt and Company, 2005 – 388 pp. 27.50 $


Una sporca storia d'amore con la Fratellanza Musulmana di Londra
Chi scrive ha recentemente partecipato ad una conferenza del Senato USA che doveva essere un simposio di esperti su Al-Qaeda. Ai tre massimi esperti presenti ho rivolto una domanda sui collegamenti tra Al-Qaeda e la Fratellanza Musulmana, facendo anche presente che i rapporti della Commissione sull'11 settembre riferiscono che il presunto coordinatore dell'attacco dell'11 settembre, lo sceicco Khaled Mohammed, che è stato catturato, afferma di essere stato reclutato all'età di 16 anni dalla Fratellanza Musulmana. La mia domanda ha suscitato occhiate nel vuoto dei presunti esperti ed è rimasta senza risposta. Dopo però uno dei tre mi ha avvicinato per dirmi confidenzialmente di sapere qualcosa sui legami tra la Fratellanza e Al-Qaeda, ma che quel pubblico, comunque composto di personale che lavora al Congresso e secchioni dei massimi pensatoi politici, non sarebbe stato capace di capire la risposta complicata che lui mi avrebbe voluto dare.
L'episodio sintetizza in maniera eloquente la preparazione dei cosiddetti esperti di terrorismo, molti dei quali vantano titoli accademici in sociologia, psicologia, e scienze dei computer. La storia però non è il loro forte, e ancor meno pensano di dover applicare le lezioni che essa impartisce alle questioni di cui si dichiarano esperti.
Ho avuto poi occasione di riferire l'episodio ad alcuni ufficiali militari e dei servizi in congedo, che effettivamente possono essere ritenuti degli esperti in questioni mediorientali, ed essi non hanno fatto altro che scuotere la testa, rammaricandosi del fatto che si tratta di un problema che, purtroppo, conoscono molto bene.
Fortunatamente il giornalista e ricercatore Robert Dreyfuss supplisce, con il libro «Devil's Game...», ad alcune di queste lacune dei presunti esperti di terrorismo statunitensi, e del mondo politico e diplomatico in generale.
«Devil's Game» fornisce un quadro molto vivido di come, da circa un secolo, gli Stati Uniti si lascino trascinare nella palude mediorientale dall'apparato imperiale britannico che ha sponsorizzato e manipolato il fondamentalismo islamico fin dagli albori della politica del petrolio, alla fine del XIX secolo. L'opera di Dreyfuss espone una buona panoramica della principale letteratura sulla Fratellanza Musulmana e le sue varie filiazioni del XX secolo, attentamente integrata con interviste ad alcuni diplomatici e funzionari dell'intelligence che hanno fatto molta esperienza in Medio Oriente.
Nel capitolo introduttivo Dreyfuss presenta una diagnosi e una terapia per la guerra al terrorismo dell'amministrazione Bush. “Una guerra al terrorismo”, scrive Dreyfuss, “è il modo più sbagliato di affrontare la sfida politica rappresentata dall'Islam. Si tratta di una sfida che presenta due aspetti. Primo, c'è la minaccia specifica all'incolumità e alla sicurezza degli americani posta da Al-Qaeda; secondo, c'è un più ampio problema politico creato dalla crescita della destra islamica in Medio Oriente e nell'Asia meridionale”. “A proposito di Al-Qaeda, l'amministrazione Bush ha deliberatamente esagerato le dimensioni della minaccia che rappresenta”.
“Non è un'organizzazione onnipotente ... Il ricorso ai militari, perché conducano una guerra convenzionale, non è il modo di attaccare Al-Qaeda, perché essa costituisce primariamente un problema per l'intelligence e le forze di polizia. La guerra in Afghanistan è stata concepita male, non è riuscita a distruggere la dirigenza di Al-Qaeda, non è riuscita a distruggere i Talebani, che si sono sparpagliati, e non è riuscita a stabilizzare se non temporaneamente quella nazione martoriata, creando un debole governo centrale alla mercè dei signori della guerra e delle ex bande dei Talebani. Peggio, la guerra in Iraq non è solo malconcepita e non necessaria, ma ha colpito una nazione che non aveva assolutamente legami con la banda di Bin Laden. E' come se, ha spiegato un esperto, Franklin Delano Roosevelt avesse attaccato il Messico in risposta all'attacco di Pearl Harbor ... Un problema che poteva essere affrontato chirurgicamente - ricorrendo ad azioni di incursori e Forze Speciali abbinate a risolutezza in diplomazia, e ad azioni legali, coordinazione internazionale e misure di autodifesa molto ragionevoli - è stato gonfiato a dismisura dall'amministrazione Bush”.
A proposito della destra islamica e della sua travolgente affermazione, Dreyfuss scrive: “Primo, gli Stati Uniti debbono fare il possibile per eliminare i rancori che inducono i musulmani adirati a cercare conforto in organizzazioni come la Fratellanza Musulmana. ... Come minimo gli Stati Uniti possono compiere dei passi importanti, miranti ad indebolire la capacità della destra islamica di reclutare.
Unendosi all'ONU, agli Europei ed alla Russia, gli Stati Uniti potrebbero contribuire a risolvere il conflitto israeliano-palestinese in maniera tale da garantire giustizia per i palestinesi; uno stato che sia effettivamente capace di essere geograficamente ed economicamente indipendente, cosa che richiede il ritiro degli stanziamenti israeliani illegali, un ritiro di Israele all'incirca entro i confini del 1967, ed una divisione stabile ed equa di Gerusalemme. Questo, più di ogni altra iniziativa, eliminerebbe le motivazioni su cui prospera la destra islamica.
“Secondo, gli Stati Uniti dovrebbero abbandonare le proprie pretese imperiali sul Medio Oriente. Ciò esigerebbe un ritiro delle forze USA dall'Afghanistan e dall'Iraq, lo smantellamento delle basi militari USA nel Golfo Persico e le strutture in Arabia Saudita, ed una drastica riduzione della presenza navale, delle missioni di addestramento militare e delle vendite di armi”.
La ricetta piena di buon senso presentata da Dreyfuss per neutralizzare il fermento della destra islamica è utile, ma l'aspetto più qualificante del suo libro è certamente la ricostruzione storica attenta e documentata di come l'Inghilterra ha sponsorizzato la Fratellanza Musulmana e le reazioni sconclusionate da parte degli americani che hanno condotto il mondo sull'orlo della guerra perpetua da “scontro delle civiltà” che Londra ha sempre istigato e a cui gli USA tradizionalmente sono contrari.
La sinarchia imperiale britannica
     

 Jamal ed-Din Al Afghani


Sebbene sia stata formalmente costituita in Egitto nel 1928, la Fratellanza Musulmana affonda le sue radici nella massoneria che gli inglesi avevano promosso due generazioni prima, nell'ultimo quarto del XIX secolo. A quell'epoca l'intelligence britannico pilotò l'affermazione di uno sciita di origine Persiana, Jamal ed-Din poi noto come Jamal ed-Din Al Afghani (1838-1897). Massone britannico e francese, e ateo dichiarato, Al Afghani promosse le insurrezioni “islamiche” laddove esse tornavano sistematicamente utili agli obiettivi imperiali britannici. Ad un certo punto egli arrivò a ricoprire in Iran gli incarichi di ministro della guerra e primo ministro, prima di capeggiare un'insurrezione contro lo scià. In Egitto fondò il movimento Giovane Egitto, come parte di una rete mondiale di organizzazioni giacobine di facciata che nella seconda metà del XIX secolo L'Inghilerra mise in campo contro i suoi rivali imperiali. In Sudan, a seguito della rivolta nazionalista di Mahdi e l'assassinio di lord Gordon, Al Afghani organizzò una controrivoluzione “islamista” a sostegno della restaurazione del controllo coloniale britannico.
L'impronta di una sofisticata tradizione “veneziana” in Al Afghani si riconosce nella sua “economia della verità”, e cioè la verità usata come strumento di intrighi imperiali. Forse fu ad onore di questa “verità” che adottò il nome di Al Afghani per nascondere le origini persiane e le radici sciite perché gli inglesi avevano bisogno di lui nelle regioni sunnite.
Tra gli orientalisti britannici più in vista che gestirono Al Afghani ci fu Edward Granville Browne. Ogni volta che ne aveva bisogno, Al Afghani si recava a Londra per ricevere tutto il denaro che chiedeva e per disporre di case editrici e altri comforts.
Al Afghani contava soprattutto sulla collaborazione di Mohammed Abduh (1849-1905), suo discepolo e come lui al servizio degli inglesi. Nato in Egitto, Abduh fondò il movimento Salafiyya con l'appoggio del proconsole britannico in Egitto Evelyn Baring (lord Cromer). Nel decennio del 1870 Al Afghani e Abduh fondarono il movimento Giovane Egitto soprattutto per contrastare i nazionalisti secolari egiziani. Verso la metà del decennio successivo i due erano a Parigi, dove fondarono una rivista sponsorizzata da massoni inglesi e francesi chiamata «al-'Urwa al-wuthqâ» (Legame indissolubile).
Da alcuni resoconti si può desumere che durante i tre anni che vissero a Parigi Al Afghani e Abduh ebbero rapporti con Saint-Yves D'Alveydre, il fondatore del movimento sinarchista. Da Parigi poi i due tornarono a Londra.
Nel 1899, due anni dopo la morte di Al Afghani, lord Cromer fece di Abduh il Gran Mufti d'Egitto. A sua volta Abduh nominò come suo successore Mohammed Rashid Rida (1865-1935), un siriano emigrato in Egitto e presto diventato suo discepolo prediletto. Rida fondò l'organizzazione che sarebbe diventata l'immediata precorritrice della Fratellanza Musulmana, la «Società di propaganda e guida» (Society of Propaganda and Guidance). Quest'organizzazione massonica pubblicò una rivista, «al-Manar» (Il faro), che raccoglieva i sostegni “islamici” al dominio imperiale britannico sull'Egitto denigrando i nazionalisti secolari egiziani bollandoli come “atei ed infedeli”. Sempre sotto l'egida britannica, Rida lanciò anche al Cairo un suo «Institute of Propaganda e Guidance» che si occupava di raccogliere da ogni parte islamici da addestrare per agitare la piazza. Rida e altri discepoli di Abduh fondarono il Partito del Popolo, che faceva apertamente campagna a favore del dominio coloniale britannico.
     

Hassan al-Banna


Dall'Institute for Propaganda and Guidance proviene una figura centrale anche nel Partito del Popolo, Hassan al-Banna (1906-49), che nel 1928 fondò la Fratellanza Musulmana. All'origine questa formazione era una operazione di facciata pura e semplice dell'intelligence britannico. La moschea di Ismailia, in Egitto, dove la fratellanza ebbe il suo primo centro, fu edificata da un'impresa britannica, la Suez Canal Company, nei pressi di una base militare britannica della prima guerra mondiale. Durante la seconda guerra mondiale la Fratellanza Musulmana funzionò di fatto come un reparto delle forze armate britanniche. Nel 1942 la fratellanza creò un “Apparato Segreto”, un'organizzazione paramilitare clandestina specializzata in operazioni di assassinio e spionaggio. Hitler e il Gran Mufti di Londra
Negli anni formativi della Fratellanza Musulmana l'apparato coloniale britannico dell'Arab Bureau promuoveva anche un altro “islamista”, chiamato Hajj Amin al-Husseini. Decisamente debolino in teologia islamica, al-Husseini compensava le lacune con un acceso anti-semitismo. Su di lui cadde la scelta di sir Ronald Storrs, governatore generale britannico e collaboratore di sir Herbert Samuel, l'alto commissario britannico per la Palestina. Nel 1921 al-Husseini era già stato piazzato come presidente del Consiglio Supremo Musulmano, un'associazione molto selezionata di clerici sponsorizzata dagli inglesi. L'anno successivo sir Ronald Storrs fece in modo che dalle “elezioni” al-Husseini emergesse come Gran Mufti di Gerusalemme.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale al-Husseini, che intanto era stato spinto a fare comunella con al-Banna, fuggì da Gerusalemme per rispuntare a Berlino, dove fece propaganda per la politica antisemitica dei nazisti. Sebbene il gesto fosse un aperto tradimento degli inglesi, alla fine della seconda guerra mondiale al-Husseini tornò tranquillamente in Terra Santa, di nuovo al soldo dei servizi di Sua Maestà, questa volta con l'incarico di fare propaganda anticomunista per la Near East Broadcasting Station, all'epoca la principale emittente radio per tutto il Vicino Oriente, con centro a Cipro e di proprietà del governo britannico. Al-Husseini continuò ad operare agli ordini inglesi nella destra islamica del Vicino Oriente offrendo anche rifugio agli avanzi del regime nazista che i servizi inglesi mandarono in quella regione come esperti di anti-comunismo.
Hassan al-Banna fu assassinato nel 1949 dagli agenti dei servizi egiziani. Ma a quel punto la Fratellanza Musulmana aveva già ampliato notevolmente le sue file in Medio Oriente, in corrispondenza con le zone dove gli inglesi esercitavano il maggiore controllo. A capo della Fratellanza subentrò Said Ramadan, il genero di Al-Banna. Questi aveva in precedenza creato nuove strutture della fratellanza con una serie di intensi viaggi in tutto il Vicino Oriente. Si stima che nel 1947 la fratellanza potesse contare su 25 mila uomini nella sola Palestina, una parte dei quali era attiva in formazioni paramilitari clandestine.
Cervello inglese e muscolo americano
La prematura scomparsa del presidente americano Franklin D. Roosevelt, nell'aprile del 1945 dette a Londra mano libera nel cercare di ridefinire a modo suo gli assetti mondiali del dopoguerra. Con il famoso discorso della “Cortina di ferro”, nel 1946 Winston Churchill lanciò la Guerra Fredda e quindi quell'alleanza Anglo-Americana che lui stesso ebbe poi modo di definire in questi termini: “Con il cervello inglese ed il muscolo americano possiamo dominare il mondo”. Fu così che cominciò la collusione anglo-americana con la Fratellanza Musulmana e le sue filiazioni della destra islamica, il tutto sotto un ombrello comune, quello della lotta all'ateismo comunista. Purtroppo i politici americani, sapientemente imbeccati dagli inglesi, hanno spesso finito per travisare i movimenti nazionalisti legittimi nel mondo arabo, considerandoli delle operazioni dei sovietici, nonostante le proteste provenienti da diplomatici ed esperti americani.
Dreyfuss passa attentamente in rassegna le diverse fasi della politica americana degli anni Cinquanta nei confronti dell'Iran e dell'Egitto, due paesi islamici in cui il nazionalismo secolare rappresentò un fenomeno molto importante. In ambedue i casi, gli Stati Uniti hanno finito per stare dalla parte della Gran Bretagna contro i legittimi governi secolari popolari di Gamal Abdel Nasser, in Egitto, e di Mohammed Mossadeq, in Iran. Ed in ambedue i casi gli anglo-americani hanno usato la Fratellanza Musulmana per affossare quei governi indesiderati. Nel caso dell'Egitto gli sforzi anglo-americani inizialmente fallirono (e il presidente Dwight Eisenhower, in quella che fu la più decisa presa di distanze da Londra, sconfisse l'invasione congiunta di britannici-francesi-israeliani di Suez nel 1956, sostenendo temporaneamente il regime di Nasser. Per molti anni, dopo la crisi di Suez, Eisenhower e gli Stati Uniti furono ammirati in Egitto).
     

Bernard Lewis


Tra gli architetti del Grande Gioco concepito dall'Inghilterra per mettere l'Islam contro il comunismo nel Vicino Oriente, spicca Bernard Lewis, esperto dell'Arab Bureau durante la guerra che poi coniò il famoso slogan “scontro di civiltà”. Dreyfuss analizza il libro scritto da Lewis nel 1953 «Communism and Islam» in cui fu presentata la proposta di promuovere movimenti e regimi islamisti di destra da utilizzare come arma contro i tentativi dei sovietici di far sentire la loro influenza nel Vicino Oriente.
Il piano di Lewis riscosse l'entusiasmo dei fratelli Dulles, il segretario di stato John Foster Dulles e il direttore della CIA Allen Dulles, mentre il presidente Eisenhower e alcuni specialisti mediorientali della CIA come Miles Copeland, che era stato l'uomo di contatto con Nasser, manifestarono le loro riserve. Nel 1953, poco dopo la pubblicazione del libro di Lewis, i fratelli Dulles organizzarono alla Casa Bianca un incontro del presidente con Said Ramadan. Quest'ultimo era negli USA per una conferenza sull'Islam all'Università di Princeton alla quale parteciparono molti notabili della Fratellanza Musulmana provenienti da ogni parte del mondo arabo.
Mentre nei confronti di Nasser a Washington regnava l'ambivalenza, il primo ministro britannico Anthony Eden non aveva alcun dubbio nel considerare il presidente egiziano come una minaccia che occorreva eliminare con decisione.
Nel 1954 George Young, alto ufficiale dei servizi segreti britannici MI6 di stanza al Cairo, ricevette da Eden l'ordine di assassinare Nasser. Young, stando ai documenti dell'MI6, si sarebbe rivolto all'“Apparato Segreto” della Fratellanza Musulmana per affidargli l'incarico. Verso la metà dell'anno tra Fratellanza Musulmana e Nasser era guerra aperta e le vittime si contavano a migliaia. La fratellanza fu poi costretta a ripiegare e sloggiare dall'Egitto, riparando in Arabia Saudita, Giordania e altri stati arabi nella sfera britannica o americana.
Nel libro «Sleeping with the Devil», l'ex ufficiale della CIA Robert Baer narra come gli USA finirono per adottare la “carta islamica” degli inglesi: “Alla base di tutto a Washington c'era questo piccolo e sporco segreto: la Casa Bianca considerava la Fratellanza come un alleato silenzioso, un'arma segreta contro (cos'altro?) il comunismo. Le azioni coperte furono avviate negli anni Cinquanta dai fratelli Dulles - Allen alla CIA e John Foster al dipartimento di Stato - quando essi permisero all'Arabia Saudita di finanziare i Fratelli in Egitto contro Nasser. Per Washington Nasser era un comunista ... La logica della guerra fredda condusse ad una chiara conclusione: se Allah era d'accordo a combattere dalla nostra parte benissimo. Se Allah conveniva che l'assassinio politico era permesso, anche questo andava bene, basta che non se ne parlasse in pubblico tra gente perbene”.
Baer aggiunge: “Come ogni altra operazione coperta ben riuscita, questa era rigorosamente tenuta fuori dal bilancio. Non ci furono rapporti della CIA, o promemoria al Congresso. Nemmeno un centesimo fu sborsato dal Tesoro per finanziarla. In altre parole, nessuna traccia documentale. Bastava che dalla Casa Bianca facessero un cenno con la testa o strizzassero l'occhio ai paesi che ospitavano la Fratellanza Musulmana, come Arabia Saudita e Giordania”.
Le operazioni in Iran: “Made in England”
Mentre le iniziative di Eden per liquidare Nasser fecero fiasco, la risposta anglo-americana agli sviluppi iraniani fu al paragone un successo, anche se notevolmente esagerato. Ma fu un successo che alla fine finì per ritorcersi contro Londra e Washington.
Dreyfuss documenta come, contrariamente a quanto generalmente creduto, la Fratellanza Musulmana non fosse un movimento esclusivamente sunnita. In Iran, un clerico sciita come l'ayatollah Seyyed Abolqassin Kashani era stato stretto collaboratore di Al Banna, Ramadan e altri Fratelli. Nel 1943 fondò in Iran la branca sciita della Fratellanza Musulmana nota come i Devoti dell'Islam. Come la Fratellanza Musulmana, i Devoti dell'Islam disponevano di proprie squadre di assassini. Nel 1949 essi fallirono un attentato ordito contro lo scià e due anni dopo riuscirono invece ad assassinare il primo ministro iraniano gen. Ali Razmara.
Ironicamente, proprio a seguito di questo assassinio lo scià nominò primo ministro Mohammed Mossadeq e da qui maturò la situazione per un altro colpo di mano anglo-americano contro un regime nazionalista secolare, erroneamente bollato come “comunista”. Come in Egitto, gli inglesi si rivolsero alla Fratellanza Musulmana - i Devoti dell'Islam - perché orchestrassero scontri di piazza ed altri episodi che condussero al rovesciamento di Mossadeq. Il golpe in Iran fu poi usato per alimentare la leggenda sugli agenti della CIA Kermit e Archibald Roosevelt, che avrebbero organizzato i bazaari (gli strati dei commercianti) per soffocare l'ondata comunista e impedire la nazionalizzazione delle holding petrolifere britanniche. Una fonte iraniana ben informata spiega invece che Mossadeq prese la decisione di farsi da parte piuttosto che schierarsi con il partito comunista iraniano sostenuto dai sovietici o istigare i suoi sostenitori ad ingaggiare scontri con la Fratellanza Musulmana ed i bazaari ad essa alleati. In quel cosiddetto “golpe”, il fatto che Mossadeq decise di tenere in massima considerazione gli interessi della popolazione iraniana ebbe un peso ben più determinante delle presunte prodezze clandestine dei nipoti di Theodore Roosevelt e dei loro soci britannici.
La principessa Ashraf Pahlevi, la sorella gemella dello scià, nonostante i dubbi che circondano il ruolo da lei personalmente ricoperto, dette senz'altro voce a quello che allora molti pensavano a proposito del ruolo degli inglesi quando affermò: “Molti clerici influenti si sono alleati ai rappresentanti di potenze straniere, sopratutto britannici, tanto che in Persia circolava insistentemente una battuta che diceva che se tiri su la barba ad un clerico, dietro vedrai scritto “Made in England”... Con l'incoraggiamento degli inglesi, che vedevano nei mullah una forza valida contro i comunisti, gli elementi della destra religiosa estrema cominciavano di nuovo ad affiorare, dopo essere stati soppressi per anni”.
Obiettivo: Siria e Afghanistan
Lo scontro successivo tra la destra islamica sostenuta da Londra ed il comunismo fu orchestrato in Siria. A Londra scelsero di nuovo la Fratellanza Musulmana come cavallo di battaglia. Il ramo siriano della Fratellanza si chiamava Shabab Muhammed ed aveva nella Avanguardia dei combattenti il suo braccio paramilitare. La formazione era stata costituita da Ramadan, genero ed erede di Hassan al-Banna, fondatore della Fratellanza.
Con il golpe del partito Baath del 1969, la Fratellanza si dette ad una guerra irregolare che si protrasse per tutti gli anni Settanta. Nel 1979 la Fratellanza Musulmana inscenò un attacco militare contro l'Accademia dell'Esercito siriano ad Aleppo, incendiando l'edificio principale e uccidendo 83 cadetti. La guerra tra il governo e la Fratellanza provocò migliaia di morti. Alla fine i membri siriani della Fratellanza cercarono riparo in Arabia Saudita.
Mentre questo braccio di ferro sulla Siria si stava ancora svolgendo, gli Stati Uniti furono di nuovo trascinati in quella che è stata la più chiara alleanza tra Washington, Londra e la destra islamica: la guerra in Afghanistan. Dreyfuss offre a questo proposito un sintetico riepilogo sull'evoluzione della Fratellanza Musulmana nel remoto Afghanistan. Anche in questo caso le radici vanno ricondotte all'Egitto. Un gruppo di giovani studenti afghani trascorse qualche anno alla moschea al-Azhar del Cairo, un centro delle attività della Fratellanza Musulmana. Rientrati in Afghanistan, gli studenti costituirono una branca della Fratellanza, la Società Islamica.
“I professori”, come erano chiamati i fondatori, costituirono il nucleo centrale dei mujaheddin afghani che per decenni condussero una guerra finanziata dagli americani e dagli inglesi contro le forze di occupazione sovietica. I tre “professori” principali furono Abdul Rasul Sayyaf, Burhanuddin Rabbani e Gulbuddin Hekmatyar. Sayyaf e Hekmatyar in particolare godevano del sostegno dei servizi militari pachistani ISI e della branca pachistana della Fratellanza, il Gruppo Islamico fondato da Abdul Ala Mawdudi.
Contrariamente alle leggende che vanno per la maggiore, la Guerra in Afghanistan non fu la risposta occidentale all'invasione di quel paese iniziata dai sovietici nel Natale del 1979. In un’intervista rilasciata a giornalisti francesi, Zbigniew Brzezisnki, allora Consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Jimmy Carter, si vantò di aver convinto il presidente ad autorizzare operazioni di sostegno preventivo per i ribelli mujaheddin, provocando in tal modo l'invasione sovietica. I tre personaggi sopra menzionati guidarono i gruppi principali dell'insurrezione afghana. Ma, come documenta Dreyfuss, si stima che almeno 35 mila arabi “afghansi” furono reclutati in altri paesi per combattere in quella guerra, che si protrasse per un decennio.
Tra i personaggi più importanti di questo reclutamento spicca Abdullah Azzam, membro della Fratellanza Musulmana in Palestina. Nel 1984, sotto il patrocinio anglo-americano e pakistano, Azzam e il suo principale protetto, Osama bin Laden, fondarono a Peshawar in Pakistan il Service Bureau.
Questo Service Bureau si occupava di raccogliere e coordinare i volontari arabi provenienti dall'estero per unirsi alla resistenza afghana. Azzam era stato reclutato alla Fratellanza in Siria negli anni Sessanta.
Mentre i neoconsevatori di Washington come Michael Ledeen e Richard Perle si prodigarono, negli anni di Reagan, a presentare al mondo politico americano Hekmatyar e altri leader “Afghansi” come “combattenti per la libertà”, c'era almeno un ufficio della CIA, con vaste esperienze nel Medio Oriente, che si preoccupava di lanciare moniti contro questa pericolosa cecità della politica americana.
Martha Kessler, funzionario dirigente alla CIA tra il 1970 ed il 2000, ha spiegato a Dreyfuss: “Dopo la seconda guerra mondiale avevamo un sistema in cui i nostri funzionari venivano piazzati nelle principali città, e lì il movimento islamista non attecchiva, si sviluppava invece nelle campagne e nei centri minori”. Durante la guerra in Afghanistan la Kessler scrisse una serie di promemoria per spiegare come gli sviluppi stessero prendendo decisamente una piega anti-americana in Pakistan, Afghanistan, Egitto e Sudan.
“Dissi che quando i governi della regione cominciarono a voler cooptare gli islamisti, questo avrebbe cambiato il carattere di quei governi. Io ero tra coloro che erano convinti che ciò avrebbe assunto toni generalmente anti-occidentali”, sostiene il sopra citato Robert Baer, confermando il giudizio di Kessler. Egli operava nel centro anti-terrorismo della CIA, dopo l'assassinio del presidente egiziano Anwar Sadat perpetrato dalla Fratellanza Musulmana nel novembre 1981. Sadat, che per un periodo era stato membro della Fratellanza Musulmana, era stato bollato come traditore per aver firmato l'accordo di Camp David insieme al primo ministro israeliano Menachem Begin. Baer riferisce: “Cominciai a raccogliere documentazioni sulla Fratellanza Musulmana”, ma, conclude, “non era nelle nostre intenzioni perseguitarli”.
Il pericolo oggi
A 17 anni dalla conclusione della guerra in Afghanistan e a quasi 5 anni dagli attacchi dell'11 settembre, i nodi vengono al pettine, ma i neocons di Washington sono decisi a continuare ad ignorare la realtà. Nel capitolo conclusivo, Dreyfuss mette a fuoco la figura di uno “studioso” dell'American Enterprise Institute, Reuel Marc Gerecht, un ex funzionario della CIA convertitosi alle dottrine neocon. Nel libro del 2005, intitolato «The Islamic Paradox: Shiite Clerics, Sunni Fundamentalists and the Coming of Arab Democracy», Gerecht sostiene che Washington dovrebbe chiaramente schierarsi con la destra islamica, sia sciita che sunnita. Si dice convinto che la Fratellanza Musulmana in Egitto sia preferibile al regime di Mubarak e che un dominio sciita in Iraq possa condurre ad un'era di democrazia di stile occidentale. Per Gerecht persino un ayatollah Khomeini sarebbe preferibile al presidente Mubarak:
“Khomeini sottopose la proposta di una repubblica democratica ad un voto plebiscitario nel 1979, giacché per concepire una propria legittimità un regime ha bisogno di elezioni con qualche elemento di competizione, cosa che invece non si può affatto dire della dittatura del presidente Hosni Mubarak in Egitto ... L'anti-americanismo è il denominatore comune degli stati arabi che hanno dittatori 'filoamericani'. Al confronto, l'Iran è un paese profondamente filoamericano.” Sofismi di questo tipo, se si lasciano correre, finiranno per cancellare definitivamente l'immagine degli Stati Uniti come il faro della libertà per le popolazioni del mondo. Un passo essenziale per ribaltare l'attuale follia di politica estera e di sicurezza che porta il nome di “guerra globale al terrorismo” è arrivare ad una comprensione della storia universale. La ricostruzione offerta da Dreyfuss del modo in cui l'America ha sconsideratamente abbracciato i fratelli musulmani dell'Inghilterra rappresenta una utile lezione in tal senso.