martedì 24 maggio 2016

‘Cos’è di destra – o di sinistra?’. Lo dice Bernie Sanders




Premessa:  In Austria, tutto come previsto:  incredibile successo di Hofer al primo turno, sconfitta al secondo.  Nel mezzo, qualche settimana di demonizzazione (“ultra-nazionalista, xenofobo”!) che ha innescato  – come al solito – i riflessi pavloviani delle più vaghe e vacue sinistre e moderatismi: andare a votare in massa per bloccare il Pericolo Fascista. Votare per  l’altro,qualunque sia,  per  respingere Hitler alle porte.  No al salto nell’abisso!
Funziona sempre. In Europa, funziona da mezzo secolo.  La sinistra di Pavlov.  Ricordo   una memorabile presidenziale francese in cui, per contrastare Le Pen (padre) che aveva superato al primo turno i socialisti,    tutta la  Gauche si buttò a votare, turandosi il naso, tutti gli orifizi e con smorfie di schifo, un detestato gaullista, discusso sindaco di Parigi, corrottissimo:  Jacques Chirac. Regalandogli otto anni di potere.
Ovviamente in Austria, le sinistre e i moderati (gli elettorati dei due partiti consociativi di sempre, disfatti da Hofer al primo turno) hanno votato per l’euro, per la UE , per l’alluvione di migranti, per la Merkel e Juncker.

Osterreich-650x529Gli operai (quelli che con i musulmani immigrati devono convivere nei quartieri poveri) hanno votato  all’86% Hofer, ossia “la destra”. I  ricchi espatriati, votando per posta, hanno scelto il vecchissimo verde, che ha tutte le stigmate del passato – e non è certo di ecologia che  l’Austria ha bisogno.  Come sempre, i “progressisti”  hanno adottato, e fatto adottare al resto del paese, le soluzioni più conservatrici, regressive, la “continuità”  che  solidifica il potere delle oligarchie tecnocratiche e finanziarie.  Juncker, Merkel, Renzi, Hollande esultano: scampato pericolo.
Negli Stati Uniti il fenomeno è addirittura caricaturale e tragicomico.  Fra i due candidati, quello davvero “di destra” nel senso peggiore del termine, guerrafondaio, neocon, asservito alla finanza, è Hillary Clinton. Circola in rete un video  agghiacciante del 2012 dove Hillary, ridendo istericamente,  in un talk show,  promette che lei “provocherà guerre” contro l’Iran…
Votare per lei significa votare per altre guerre imperiali,   altra miseria per gli americani poveri, più forti dosi di  capitalismo terminale. Eppure negri e latinos votano per lei,   lei è “progressista”.  Trump è per il salario minimo, per il sistema sanitario pubblico,  contro la guerra,  e ha dichiarato la NATO “obsoleta” come strumento imperiale, vuole la pace con Mosca: ma lui è il “fascista” e “razzista”,   contro cui l’Establishment ha cercato di mobilitare il riflesso pavloviano di sinistre e moderati.
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I negri votano Hillary…
Il riflesso pavloviano perpetua   la frattura “destra-sinistra”  come categorie ideologiche, che da tempo la realtà ha  confuso, e già Gaber canzonava.  Ora, però, qualcosa sta forse per cambiare. Proprio in Usa. E la sta cambiando uno che di sinistra è davvero, un socialista mai pentito: il candidato Bernie Sanders.
Già è senza precedenti che un socialista dichiarato non sia stato eliminato fin dall’inizio delle primarie, e va considerato un  fatto rivoluzionario in America.  Il punto è che Sanders, invece di ritirarsi in buon ordine, continua la sua campagna –  e non certo contro Trump. Ma specificamente contro Hillary Clinton, a cui sottrae  delegati a  ogni primaria, intralciandone in modo decisivo la vittoria
E adesso fa’ anche peggio, dal punto di vista dell’Establishment: Sander attacca la direzione stessa del partito democratico. In termini  rivoluzionari,  evoca  l’esortazione maoista: “Sparate sul quartier generale!”.  E’  verso i comandi del cosiddetto partito progressista che Sanders sta  volgendo le artiglierie del suo elettorato, ragguardevole  e militante.
Come lo fa?  Raccogliendo  presso i suoi elettori fondi per far perdere il seggio (è parlamentare della Florida) alla presidentessa del Democratic National Committee  (DNC)  Debbie Wasserman Schultz.  Il DNC è la “macchina” del partito, il centro di quell’apparato quasi invisibile che congegna, fabbrica e manipola le candidature: il quartier  generale. Bernie Sander ha accusato apertamente la signora Wasserman-Schultz di essere  scandalosamente pro-Hillary, laddove il presidente del partito democratico  deve  (in teoria) essere neutrale nella selezione dei candidati; ma invece di  limitarsi alla lamentela, ha invitato i suoi seguaci a dare fondi a  tale Tim Canova,   che è il candidato che concorre per avere il seggio parlamentare che oggi è   occupato dalla signora. “Dividete il contributo di 2,70 dollari a metà fra Bernie e Tim Canova per il Congresso”, ha lanciato l’addetto alla raccolta fondi di Sanders, Jeff Weawer: “contribuirete ad eleggere dei veri progressisti,  e ad inviare un messaggio INEQUIVOCABILE sull’impegno rivoluzionario di eleggere  candidati che condividono i nostri valori”.   I termine ‘inequivocabile”  è tutto maiuscolo nel testo. E il termine “rivoluzione”,  bandito  come  impronunciabile,  pornografico  nella politica USA,  è ripetuto  senza scrupoli: “Rivoluzione politica non significa solo eleggere un presidente. Ci occorre un congresso con membri che credono, come Bernie, che non possiamo cambiare un sistema corrotto senza portargli via il denaro”.
E’ un linguaggio che non si è mai udito in USA, almeno dai tempi di Sacco  e Vanzetti.  L’attacco diretto all’Establishment del partito democratico è davvero qualcosa di rivoluzionario, come nota il sito Dedefensa (a cui devo questa segnalazione) per la sua valenza apertamente anti-Sistema.   Di fronte all’avanzata di Trump e del suo aver cambiato le carte nell’Establishment repubblicano, è stato possibile ad una sinistra vera di apparire, e di sbugiardare l’equivoco della “sinistra” fra virgolette, quella per cui le “conquiste civili” non sono i salari operai, ma le nozze gay,  i diritti LGBT;  la “sinistra di  complemento”  a Monsanto e Soros, a Wall Street e alla NATO; la sinistra dei benestanti “di larghe vedute”, del Jet-Set internazionalista e global all’ultima moda, la cui doppiezza e immoralità ha denunciato con precisione spietata Paolo Borgognone nel suo saggio fondamentale, “L’Immagine sinistra della globalizzazione”.
Chissà. Se Sanders riesce, re-insegna alla sinistra  a fare la sinistra.  E non solo a quella americana.  Tutte le mode culturali  cominciano in Usa e poi arrivano qui,  col consueto ritardo.   Data la nota esterofilia della nostra cosiddetta sinistra italiota e mediatica, e la sua ridicola subordinazione alla “cultura americana”,  anch’essa potrebbe   cominciare ad adottare il modello Sanders, una volta che diventasse di moda.  La sinistra italiana (ed europea) ha adottato per decenni il modello Blair – privatizzazioni, globalizzazione e guerre imperiali neocon – perché era di moda e conveniva.   Ha adottato il modello Obama, così glamour, Nobel per a Pace;  si è potuto additare in Matteo Renzi  “l’Obama italiano”, come fosse un complimento.  E’ stata la sinistra che ha svenduta alla globalizzazione le “conquiste operaie” senza levare la minima voce critica, ma anzi proponendosi ai poteri forti come l’amministratrice della destrutturazione dello stato sociale, la fedele credente nel liberismo senza frontiere,   la collaboratrice a quella “società senza classi  senza Stato, nazione, spiritualità religiosa tradizionale, frontiere, limiti” (Borgognone) che faceva comodo alle multinazionali, venditrici di iperconsumi-standard a consumatori che dovevano rendere “standard”,  cittadini del McWorld, del “tempo libero” (per chi se  lo può permettere). La “sinistra” italiota non ha posto alcuna obiezione intellettuale e morale alla de-industrializzazione  che prima il Washington Consensus, poi la UE divenuta   prigione dei popoli con l’euro; anzi l’ha promossa, voluta e legittimata come “Progressista” Al punto che oggi  è progressista Niki Vendola che ha affittato l’utero di una schiava,  estremo sfruttamento della povertà per scopi ludico-narcisisti.  Perché la collaborazione coi veri poteri forti, l’applicazione locale dei dogmi monetaristi di FMI, UE ed Usa, è stata ben compensata. Il tradimento della classe lavoratrice mica l’hanno fatto gratis.  Loro, hanno gli yacht da regata, le vacanze alle Maldive,  gli amanti dei cinque sessi tratti dai  cataloghi della Società dello Spettacolo; soprattutto, sono al riparo dalla competizione globale, i loro stipendioni pubblici sono del tutto fuori mercato, ma il Capitale terminale, a loro, non chiede tagli né efficienza né produttività.  Un motivo c’è.
Oggi la sinistra italiota, che esiste nei media e nei talk-show, è tutta contro Trump e per la Clinton:  pavlovianamente, sente il primo come “xenofobo” (e “omofobo”) dunque “fascista”, e Hillary l’assassina della Libia e della Siria, come progressista.  Come sempre non è ragionamento, ma un istinto settario e una moda. Se in America cambia la moda, Obama “non si porta più” e invece è “attuale” Sanders, chissà, magari la sinistra comincia a dire davvero qualcosa di sinistra, se non a farlo.
Speriamo  in questo, perché  i partiti  sovranisti (mediaticamente “ultra-nazionalisti, xenofobi”) in Europa hanno davanti a sé il destino di Hofer e del  suo partito austriaco:  trionfo al primo turno, sconfitta al secondo,  In fondo, è proprio per questi che è stato congegnato il sistema di voto a ballottaggio: tagliare “gli estremismi”, escluderli dal gioco, marginalizzali e delegittimarli.  Solo che stavolta il gioco è fatale: c’è bisogno di novità, di idee  nuove e resistenze allo status quo, ed ogni votazione che sconfigge queste “destra” che destre non sono, li ritarda.

“Destre” incapaci di aggregare

Come si constata ogni volta,  i partiti nazionali, quindi anti-UE, anti-Euro, anti-NATO, non sono capaci di aggregare: il loro elettorato resta al secondo turno quello che era al primo, mentre la cosiddetta “sinistra”,  chiamando a raccolta contro “il pericolo fascista”, aggrega cani e porci.  Che votano per la conservazione  di ciò che non deve essere conservato. La “sinistra  plurale” per settarismo  pavloviano; i moderati, che sono la palude centrista maggioritaria, per conformismo e  per viltà:  hanno paura  nel “salto nell’ignoto”   (così gli presentano i media  la vittoria   dei ‘populisti’) “e i politici degli apparati storici strumentalizzano questa paura dell’ignoto: è il solo argomento che oggi resta loro”, scrive Jacques Sapir in una disanima di questo incaglio, che  deve essere l’inizio di una seria auto-analisi per detti partiti,  se vogliono non restare eterni secondi. (Les Leçons de l’Autriche –http://russeurope.hypotheses.org/4977)
Unica eccezione,  è stata in Italia: Berlusconi sapeva aggregare,  negli anni ’90  molta gente di sinistra è accorsa sotto le sue bandiere. Ciò che aggrava la sua colpa, e rende imperdonabile aver  sprecato questa occasione storica  per la sua insipienza culturale e bassezza morale. Questa occasione  non si ripresenterà. Oggi abbiamo lo spettacolo ridicolo e tristissimo  di una “destra”  che è maggioranza nel paese, e i cui capi e capetti non riescono che a litigare;  litigandosi la eredità aggregatrice del fallito Berlusconi, non fanno che dilapidarne quel poco che resta.  In questa dilapidazione va’ citata come caso pietoso estremo una gravida  fuori  posto, che  pare rispondere al nome di Giorgia Meloni. Tutte le volte che apre bocca, fa’ danno. L’ultimo: “Romani, votate   per me, e vi darò una strada intitolata a Giorgio Almirante”.  Fra tutti i problemi di Roma,  non c’è che dire,  ha identificato il più urgente; inoltre s’è fatta dare dell’antisemita dalla comunità ebraica,  incollandosi volontariamente sulla bassa fronte la stigmata di “Estrema Destra” che spaventa  la palude  moderata e, quindi,   perpetua la sconfitta  del sovranismo.  A questo punto, i casi sono due: o è completamente scema ed è bene per tutti che vada a casa a partorire, perché non capisce niente del mestiere; oppure è una sabotatrice. In entrambi i casi, merita il titolo di Inutile Idiota.
Essa non è capace di tenersi al tema. Ignora “i punti cardine  attorno a cui si gioca il contrasto fra populismo ed  establishment”, elencati così un po’ alla svelta, ma con chiarezza politica, da Marco Tarchi: “Identità e radicamento culturale contro cosmopolitismo e omologazione; amore per la stabilità contro culto della precarietà; solidarietà e legami di prossimità contro  individualismo e  globalismo; buonsenso contro sofisticazione intellettuale; controllo costante su chi governa contro delega fiduciaria”. La  battaglia è seria e su temi seri.  Non è per false bionde in gravidanza extramaritale.

martedì 10 maggio 2016

Israele ed emiri nella Nato





di Manlio Dinucci

Il giorno stesso (4 maggio) in cui si è insediato alla Nato il nuovo Comandante Supremo Alleato in Europa – il generale Usa Curtis Scaparrotti, nominato come i suoi 17 predecessori dal Presidente degli Stati Uniti – il Consiglio  Nord Atlantico ha annunciato che al quartier generale della Nato a Bruxelles verrà istituita una Missione ufficiale israeliana, capeggiata dall’ambasciatore di Israele presso la Ue. 

Israele viene così integrato ancora di più nella Nato, alla quale è già strettamente collegato tramite il «Programma di cooperazione individuale». Ratificato dalla Nato il 2 dicembre 2008, tre settimane prima dell’operazione israeliana «Piombo fuso» a Gaza, esso comprende tra l’altro la collaborazione tra i servizi di intelligence e la connessione delle forze israeliane, comprese quelle nucleari, al sistema elettronico Nato. 

Alla Missione ufficiale israeliana presso la Nato si affiancheranno quelle del regno di Giordania e degli emirati del Qatar e del Kuwait, «partner molto attivi» che verranno integrati ancor più nella Nato per meriti acquisiti. 

La Giordania ospita basi segrete della Cia nelle quali – documentano il New York Times e Der Spiegel – sono stati addestrati militanti islamici di Al Qaeda e dell’Isis per la guerra coperta in Siria e Iraq. 

Il Qatar ha partecipato alla guerra Nato contro la Libia, infiltrando nel 2011 circa 5mila commandos sul suo territorio (come dichiarato a The Guardian dallo stesso capo di stato maggiore qatariano), quindi a quella contro la Siria: lo ammette in una intervista al Financial Times l’ex primo ministro qatariano, Hamad bin Jassim Al Thani, che parla di operazioni qatariane e saudite di «interferenza» in Siria, con il consenso degli Stati uniti. 

Il Kuwait, tramite l’«Accordo sul transito», permette alla Nato di creare il suo primo scalo aeroportuale nel Golfo, non solo per l’invio di forze e materiali militari in Afghanistan, ma anche per la «cooperazione pratica della Nato col Kuwait e altri partner, come l’Arabia Saudita». Partner sostenuti dagli Usa nella guerra che fa strage di civili nello Yemen. Vi partecipa, con una quindicina di cacciabombardieri, anche il Kuwait. 

A cui l’Italia fornisce ora 28 caccia Eurofighter Typhoon di nuova generazione, costruiti dal consorzio di cui fa parte Finmeccanica insieme a industrie di Gran Bretagna, Germania e Spagna. Un contratto da 8 miliardi di euro, il più grande mai firmato da Finmeccanica, nelle cui casse entra circa la metà. È stato firmato il 5 aprile in Kuwait dal ministro della difesa, Khaled al-Sabah, e dall’amministratore delegato di Finmeccanica, Mauro Moretti. 

Madrina dell’evento la ministra Roberta Pinotti, efficiente piazzista di armi (vedi la vendita a Israele di 30 caccia M-346 da addestramento avanzato). Gli Eurofighter Typhoon, che il Kuwait userà per fare stragi nello Yemen e altrove, possono essere armati anche di bombe nucleari: quelle in possesso dell’Arabia Saudita (vedi il manifesto del 23 febbraio). All’addestramento degli equipaggi provvede l’Aeronautica italiana, rafforzando «il fondamentale ruolo di stabilizzazione regionale svolto dal Kuwait». 

Un successo della ministra Pinotti che, una settimana dopo aver venduto i cacciabombardieri al Kuwait, è stata insignita dall'Unione Cattolica Stampa Italiana con il Premio «Napoli Città di Pace 2016». Alla cerimonia, il cardinale Crescenzio Sepe ha definito quello della Pinotti «impegno al servizio della politica come forma più  alta d’amore, che mette sempre al centro la tutela e la dignità della vita umana», proponendo perciò «il cambio di denominazione del Dicastero della Difesa in quello della Pace». 

Che ne pensa Papa Francesco?
 
(il manifesto, 10 maggio 2016)

venerdì 6 maggio 2016

Solo il boicottaggio può cambiare Israele




di Gideon Levy


Internazionale 1152, 6/12 maggio 2016

In un articolo uscito il 28 aprile il direttore di Haaretz, Aluf Benn, invitava a non essere troppo ottimisti sull’efficacia di un boicottaggio contro Israele per la sua occupazione dei territori palestinesi. Sono d’accordo con Benn, ma in ogni caso non possiamo non riconoscere che la strategia Bds (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) è l’unico modo per cambiare le cose, l’ultima speranza per ottenere il cambiamento che anche Benn desidera. È l’unico mezzo per impedire a Israele di proseguire con i suoi crimini. L’alternativa è lo spargimento di sangue, che nessuno desidera.
Le sanzioni e il boicottaggio sono lo strumento più legittimo e nonviolento a disposizione (Israele chiede continuamente al mondo di usarlo contro i suoi nemici) e hanno dimostrato di essere estremamente efficaci. Anche chi nutre le stesse perplessità di Benn (e io condivido alcuni dei suoi dubbi) deve ammettere che il direttore non offre alcuna alternativa più realistica. Il suo appello alla sinistra israeliana non ha alcuna speranza di successo, considerando fino a che punto la società sia ormai caratterizzata dal lavaggio del cervello, dall’ignoranza, dalla cecità, dall’amore per la bella vita, dalla mancanza di opposizione e dall’aumento dell’estremismo.
Questa è una situazione criminale che deve essere risolta, non possiamo permetterci di restare immobili in attesa che l’opinione pubblica ci faccia la grazia di cambiare. Non lo farà mai di sua spontanea volontà, e non avrà nessun motivo di farlo finché non pagherà per i suoi crimini e sarà punita. Una nuova vetta di arroganza è stata raggiunta: permettere alla tirannia, all’abuso e all’oppressione di perdurare in nome della democrazia.
Nel suo articolo Benn ipotizza che il mondo possa imporre sanzioni contro Israele. In verità spesso
anch’io ho accarezzato questa ipotesi, che non è altro che l’espressione del profondo desiderio di qualcuno che osserva i peccati ogni giorno e vorrebbe vedere anche la punizione. Quando gli agenti della polizia di frontiera uccidono una donna incinta e suo fratello sostenendo che avevano “lanciato un coltello” e la società reagisce con uno sbadiglio annoiato, cresce il desiderio di punire questa società. Non è un desiderio di vendetta, ma un desiderio di cambiamento. Benn è convinto che il boicottaggio radicalizzerebbe ulteriormente Israele. Ma l’esperienza ci insegna che è vero il
contrario. Israele ha sempre fatto delle concessioni dopo aver pagato un prezzo elevato o davanti a una minaccia. È vero che Cuba e la Corea del Nord non si sono piegate alle sanzioni, ma è altrettanto vero che non si tratta di democrazie e che nei due paesi l’opinione pubblica ha un peso relativo.
Basandoci sulle esperienze passate possiamo ritenere che gli israeliani siano molto più viziati dei cubani o dei nordcoreani. Chiudiamo l’aeroporto internazionale di Tel Aviv per due giorni e poi vedremo quanti sono in favore dell’insediamento di Yitzhar. Imponiamo un visto per qualsiasi breve vacanza all’esterno e vedremo quanti continueranno a usare il motto nazionalista “la terra di Israele per il popolo di Israele”. Per non parlare delle ristrettezze materiali e della crisi economica che spingerebbero inevitabilmente Israele a chiedersi: vale davvero la pena soddisfare questo capriccio dell’occupazione? Siamo pronti a pagare di tasca nostra e a sacrificare il nostro stile di vita per regioni del paese che la maggior parte degli israeliani non ha mai visto e in cui non ha nessun interesse concreto?
Probabilmente la prima reazione a un boicottaggio sarebbe quella descritta da Benn: la società farebbe quadrato e prevarrebbe la linea dura. Ma presto comincerebbero le domande, poi le proteste. Gli israeliani del 2016 non sono fatti per vivere a Sparta e neanche a Cuba. Non accetterebbero di guidare auto degli anni cinquanta e fare la fila per la carne pur di mantenere l’insediamento di Esh Kadosh. Rinuncerebbero all’insediamento di Elkana pur di continuare ad andare in vacanza in Bulgaria, ed è un bene. E se questo dovesse significare che Elkana diventerà parte di un unico stato democratico binazionale, tanto meglio. L’ipotesi che un palestinese come Marwan Barghouti venga eletto a capo del governo non mi spaventa affatto.
Il movimento Bds non ha ancora cominciato ad avere effetti sulle nostre vite. Al momento non esiste una vera guerra economica, ma solo iniziative che stanno cambiando gradualmente il dibattito internazionale su Israele. Ai margini esistono forse elementi di antisemitismo, ma in sostanza si tratta di un movimento di protesta animato da persone che hanno una coscienza e vogliono fare qualcosa. Il declino economico che ne risulterebbe potrebbe arrivare presto, e non sarebbe necessariamente graduale. Nel Sudafrica dell’apartheid a un certo punto gli imprenditori sono andati dal governo e hanno detto: “Ora basta, non si può andare avanti così”. Anche in Israele potrebbe succedere qualcosa di simile. E questo mi dà speranza, perché non vedo nessuna alternativa.



giovedì 5 maggio 2016

Operazione Venezuela: 12 misure per il colpo di stato



05 Maggio 2016 
di Hector Bernardo*


da www.resistencia.cc

Traduzione di Marx21.it

Un agghiacciante documento del Comando Sud degli Stati Uniti rivela il micidiale piano golpista del Pentagono per destabilizzare e rovesciare la Rivoluzione Bolivariana

Recentemente è venuto alla luce un documento del Comando Sud degli Stati Uniti intitolato “Venezuela Libertà 2 – Operazione” che propone 12 misure per destabilizzare e provocare una brutta fine al governo del presidente Nicolás Maduro.

Il rapporto, che è stato ripreso in vari mezzi di comunicazione, è firmato dall'ammiraglio e attuale capo del Comando Sud, Kurt Tidd. Nel testo si propone di provocare, mediante azioni violente, le condizioni che permettano di ottenere la sostituzione del governo Maduro con un governo di transizione, una coalizione composta da dirigenti dell'opposizione, leaders sindacali e le onnipresenti ONG.

Il testo, che è stato reso pubblico dall'organizzazione venezuelana “Missione Verità”, propone 12 misure che le forze speciali attuerebbero, insieme all'opposizione riunita nel “Tavolo di Unità Democratica”, per rovesciare Maduro.

Occorre ricordare che il programma strategico del Pentagono divide il planisfero in 10 parti, e in ciascuna di esse gli Stati Uniti hanno un comando militare per controllare l'area. All'interno di questa strategia, al Comando Sud è assegnato il controllo dell'America Latina e dei Caraibi.

Si fa riferimento anche alla caduta internazionale del prezzo del petrolio che, si assicura, obbligherà il governo di Maduro a sospendere i programmi sociali.

Il giornalista e analista politico Carlos Aznarez rileva che “il documento trapelato ora è, apparentemente, la seconda parte di uno simile, elaborato dal precedente capo del Comando Sud, John Kelly”.

E sottolinea: “In questo documento è chiaro che una parte di ciò che vi si dice è già stata eseguita da qualche tempo nell'ambito della strategia di assedio e rovesciamento del governo di Nicolás Maduro. Possiamo vedere i cinque punti fondamentali, in cui emerge l'impiego di una strategia che possa giustificare lo sviluppo di una politica ostile da parte dell'opposizione, l'isolamento internazionale, il discredito del sistema democratico del governo venezuelano e la creazione di un clima propizio all'applicazione della Carta Democratica dell'OSA (Organizzazione degli Stati Americani). Tutto ciò è già in corso e tende, almeno stando al documento, a fare in modo che gli sviluppi abbiano caratteristiche violente”.

Aznarez fa risaltare il fatto che “ il tema della violenza è posto al di sopra di qualsiasi altra possibile via d'uscita. Nel frattempo, l'opposizione sta proponendo la possibilità di un referendum revocatorio e anche di dare impulso all'applicazione della Carta Democratica dell'OSA, il che non potrà realizzarsi dal momento che non esistono le condizioni, ma contemporaneamente sta già promuovendo in questi giorni le “guarimbas”, come quelle che si verificarono due anni fa e che provocarono 43 morti. Per questo è importantissimo tenere in considerazione la proposta del presidente Nicolás Maduro, la necessità dell'unità del popolo venezuelano e la mobilitazione permanente, per far capire all'opposizione che il popolo non è disposto a cedere”.

Nel documento del Comando Sud si parla di un governo di transizione composto da dirigenti dell'opposizione, leaders sindacali e le famose ONG, che sempre pullulano da quelle parti. Stanno preparando l'uscita con la stessa idea del 2002, quando condussero il colpo di Stato contro Chávez”, conclude l'analista.

Tra i punti di questa prima fase ci sarebbero: “Mettere in evidenza il carattere “autoritario” del governo di Maduro, provocare l'isolamento internazionale e il discredito in quanto sistema democratico, generare un clima propizio all'applicazione della Carta Democratica dell'OSA, mettere all'ordine del giorno la premessa della crisi umanitaria che consenta l'intervento con l'appoggio di organizzazioni multilaterali, compresa l'ONU”.

L'ammiraglio Kelly assicura: “il nostro tempestivo intervento ha permesso di delineare il percorso per una rapida uscita di scena del regime, Tuttavia, si invoca la via pacifica, legale ed elettorale, ed è cresciuta la convinzione che è necessario premere con mobilitazioni di strada, cercando di paralizzare importanti contingenti militari che hanno il compito di mantenere l'ordine interno e la sicurezza del governo, situazione che diventerà insostenibile nella misura in cui si innescheranno molteplici conflitti e pressioni di ogni tipo. In questa prospettiva, propongo di esaminare alcune raccomandazioni per la seconda fase dell'Operazione “Venezuela Libertà 2”.

Come sviluppo della fase 2, il testo propone: “una serie di raccomandazioni che permettano un'efficace pianificazione del nostro intervento in Venezuela”. Tali raccomandazioni sono:

1. Provocare un scenario di tensione che permetta di combinare azioni di strada con l'impiego dosato della violenza armata.

2.  Dal punto di vista dell' “accerchiamento e del soffocamento”, utilizzare l'Assemblea Nazionale come artigli per ostacolare il governo: convocare manifestazioni e mobilitazioni, sfidare i governanti, negare crediti, revocare leggi.

3. Sul piano politico interno, insistere sul governo di transizione e sulle misure da adottare dopo la caduta del regime, compresa la formazione di un gabinetto di emergenza, che possa comprendere settori imprenditoriali, la gerarchia ecclesiastica, sindacati, ONG, Università.

4. Per raggiungere la fase terminale, si prevede di dare impulso a un piano di azione a breve termine (sei mesi con la chiusura della seconda fase per luglio-agosto 2016), affilare gli artigli per soffocare e paralizzare, impedendo che le forze chaviste possano ricomporsi e riorganizzarsi.

5. Mantenere la campagna aggressiva sul terreno propagandistico, fomentando un clima di sfiducia, provocando paure, rendendo ingovernabile la situazione.

6. Dare particolare importanza allo sfruttamento di temi come la scarsità di acqua, di alimenti e di elettricità.

7. Creare la convinzione che il Venezuela sta entrando in una fase di crisi umanitaria per mancanza di alimenti, acqua e medicinali; è necessario continuare a gestire lo scenario per cui il Venezuela è “vicina al collasso e ad implodere” esigendo dalla comunità internazionale un intervento umanitario per mantenere la pace e salvare vite.

8. Insistere sull'applicazione della Carta Democratica, come concordato con Luís Almagro Lemes, segretario generale dell'OSA, e con gli ex presidenti, sotto la direzione dell'ex segretario dell'OSA César Gaviria Trujillo (…) Qui si rende importante il coordinamento tra gli organismi della Comunità di Intelligence (IC) e altre agenzie come le organizzazioni non governative (ONG), corporazioni private di comunicazione, come la SIP, e diversi mezzi privati (TV, Stampa, Reti, circuiti radio).

9. Non si può lasciar da parte lo sforzo che abbiamo realizzato per collegare il governo di Maduro alla corruzione e al riciclaggio di denaro (…) Con queste coordinate, è necessario sviluppare campagne mediatiche con testimoni protetti che collaborino all'attuazione del decreto del 9 marzo 2015.

10. In un altro contesto, dobbiamo prestare attenzione alla questione militare. Tuttavia, fino ad ora ha avuto successo la campagna che abbiamo promosso per scoraggiare e conquistare sostenitori in settori delle istituzioni (…) Pertanto, dobbiamo sostenere il lavoro per indebolire la leadership e annullare la sua capacità di comando.

11. E' necessario operare una simile lettura in relazione all'uso che il governo farà delle cosiddette milizie e collettivi armati. La presenza di questo personale combattente e fanatico nelle città privilegiate dal piano si trasforma in ostacolo per le mobilitazioni di strada delle forze alleate e dei gruppi oppositori, rappresentando pure un impedimento al controllo effettivo degli impianti strategici. Di qui la richiesta della loro neutralizzazione operativa in questa fase decisiva.

12. Gli addestramenti e le preparazioni alle operazioni degli ultimi mesi, con la “Task Force Bravo” nella base di Palmerola, a Comayagua, in Honduras, la “Joint Interagency Task Force South Jatfs”, permettono di porre tali componenti in condizione di agire rapidamente in un arco geostrategico appoggiato sulle basi militari di “controllo e monitoraggio” nelle isole delle Antille di Aruba (Rainha Beatriz) e Curaçao (Hato Rey); in Arauca, Larandia, Tres Esquinas, Puerto Leguízamo, Florencia e Leticia in Colombia; il tutto come Basi di Operazioni Avanzate (FOL con proiezione sulla regione centrale del Venezuela, dove si concentra il potere politico-militare).

Sotto questo aspetto dobbiamo conservare la sorveglianza elettronica su questa zona di influenza, in particolare sulla costa atlantica, mantenendo le incursioni degli RC-135 COMBAT equipaggiati con sistemi elettronici che hanno permesso recentemente di raccogliere informazioni, intercettare e bloccare comunicazioni, sia del governo che dei contingenti militari (vedere il relativo rapporto confidenziale). Si deve dare anche l'OK al Primo Battaglione 228 del Reggimento aereo, con i suoi 18 aerei ed elicotteri UH-60 Blackhawk e CH-47, avvicinandoli al terreno, preferibilmente nelle installazioni di Hato Rey, Curaçao. Abbiamo stabilito le linee guida e gli ordini vincolanti.

*Giornalista e analista politico argentino, collaboratore di Prensa Latina



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martedì 3 maggio 2016

Ttip, la «Nato economica»




Ttip, la «Nato economica»


di Manlio Dinucci

Cittadini, enti locali, parlamenti, governi, interi Stati esautorati dalle scelte economiche, messe nelle mani di organismi controllati da multinazionali e gruppi finanziari, violando i diritti dei lavoratori, la tutela dell’ambiente e la sicurezza alimentare, demolendo servizi pubblici e beni comuni: per tali ragioni, espresse dalla Campagna Stop Ttip promotrice della manifestazione del 7 maggio a Roma, va respinto il «Partenariato transatlantico su commercio e investimenti» (Ttip), negoziato segretamente tra Usa e Ue. 
 
A tali ragioni se ne aggiungono altre, di cui poco o niente si parla: quelle di carattere geopolitico e geostrategico, che rivelano un progetto molto più ampio e minaccioso.
L’ambasciatore Usa presso la Ue, Anthony Gardner, insiste che «vi sono essenziali ragioni geostrategiche per concludere l’accordo». 
Quali siano lo dice lo U.S. National Intelligence Council: esso prevede che «in seguito al declino dell’Occidente e l’ascesa dell’Asia, entro il 2030 gli Stati in via di sviluppo sorpasseranno quelli sviluppati». 
Per questo Hillary Clinton definisce il partenariato Usa-Ue «maggiore scopo strategico della nostra alleanza transatlantica», prospettando una «Nato economica» che integri quella politica e militare. 
Il progetto di Washington è chiaro: portare la Nato a un livello superiore, creando un blocco politico, economico e militare Usa-Ue, sempre sotto comando statunitense, che – con Israele, monarchie del Golfo e altri – si contrapponga all’area eurasiatica in ascesa, basata sulla cooperazione tra Russia e Cina, ai Brics, all’Iran e a qualunque altro paese si sottragga al dominio dell’Occidente. 
Il primo passo per realizzare tale progetto è stato quello di creare una frattura tra Unione europea e Russia. 
Nel luglio 2013 si aprono a Washington i negoziati per il Ttip, che stentano a procedere per contrasti di interesse tra gli Usa e le maggiori potenze europee, alle quali la Russia offre vantaggiosi accordi commerciali. 
Sei mesi dopo, nel gennaio/febbraio 2014, il putsch di piazza Maidan sotto regia Usa/Nato innesca la reazione a catena (attacchi ai russi di Ucraina, distacco della Crimea e sua adesione alla Russia, sanzioni e controsanzioni), ricreando in Europa un clima da guerra fredda. 
Contemporaneamente, i paesi della Ue vengono messi sotto pressione dai flussi migratori provocati dalle guerre Usa/Nato (Libia, Siria), cui essi hanno partecipato, e da attacchi terroristici firmati dall’Isis (creatura delle stesse guerre). 
In questa Europa divisa da «muri di contenimento» dei flussi migratori, in cui si diffonde la psicosi da stato di assedio, gli Usa lanciano la più grande operazione militare dalla fine della guerra fredda, schierando a ridosso della Russia cacciabombardieri e navi da guerra a capacità nucleare. 
La Nato sotto comando Usa, di cui fanno parte 22 dei 28 paesi Ue, intensifica le esercitazioni militari (oltre 300 nel 2015) soprattutto sul fronte orientale. 
Lancia allo stesso tempo, con unità aeree e forze speciali, operazioni militari in Libia, Siria e altri paesi del fronte meridionale, connesso con quello orientale. 
Tutto ciò favorisce il progetto di Washington di creare un blocco politico, economico e militare Usa-Ue.  Progetto che ha l’incondizionato consenso dell’Italia, oltre dei paesi dell’Est legati più agli Usa che alla Ue.
Le maggiori potenze, in particolare Francia e Germania, stanno ancora contrattando. Intanto però si stanno integrando sempre più nella Nato.
 Il Parlamento francese ha adottato il 7 aprile un Protocollo che autorizza l’installazione sul proprio territorio di comandi e basi Nato, installazione che la Francia aveva rifiutato nel 1966. 
La Germania – riporta der Spiegel – è disponibile a inviare truppe in Lituania per rafforzare lo schieramento Nato nei paesi baltici a ridosso della Russia.
La Germania – riporta sempre der Spiegel – si prepara anche a installare una base aerea in Turchia, dove già operano Tornado tedeschi ufficialmente in funzione anti-Isis, rafforzando lo schieramento Nato in quest’area di primaria importanza strategica. 
La crescente integrazione di Francia e Germania nella Nato, sotto comando Usa, indica che sulle divergenze di interessi (in particolare sulle costose sanzioni alla Russia) stanno prevalendo le «ragioni geostrategiche» del Ttip.     
 
(il manifesto, 3 maggio 2016) 

lunedì 2 maggio 2016

UNA NUOVA OPERAZIONE “MANI PULITE”? LA MISERIA DELLA POLITICA ITALIANA




di Vincenzo Brandi

Roma 28/4/2016 



Il 17 febbraio del 1992 veniva arrestato Mario Chiesa mentre riceveva delle tangenti presso il Pio

Istituto Trivulzio di Milano. Era l’inizio dell’operazione, poi definita “Mani Pulite” condotta da un

gruppo di procuratori della Repubblica di Milano, tra cui Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo,

Ilda Boccassini, Gherardo Colombo, Francesco Saverio Borrelli.

Molti si illusero che fosse un’operazione che avrebbe spazzato via dall’Italia la corruzione e la mala

politica. I principali esponenti del vecchio regime (definito la Prima Repubblica) , Andreotti, Craxi,

Forlani, furono defenestrati. La Democrazia Cristiana si dileguò. Il Partito Socialista fu ridotto ad

un gruppetto. Ma si trattò essenzialmente di un passaggio di consegne ad un nuovo regime (la

Seconda Repubblica), probabilmente perché – senza voler togliere nulla alla buona fede di molti

giudici - dopo la caduta dell’URSS i vecchi esponenti del regime non erano più utili ai poteri forti

nazionali ed internazionali.

Oggi un superstite di quel gruppo di procuratori, Davigo, divenuto presidente dell’Associazione dei

Magistrati, rilancia una campagna moralizzatrice. Ed in effetti il nuovo regime, prima dominato a

lungo dall’avventuriero Berlusconi, ed oggi da un partito di regime, il PD, non risulta essere

migliore del vecchio.

Pesano gli scandali che hanno sfiorate il ministro Maria Elena Boschi, figlia dell’ex -vicepresidente

Pier Luigi, oggi indagato, di quella Banca Etruria, commissariata dopo aver ricevuto una serie di

favori dal governo, e dopo aver trascinato nel baratro chi le aveva dato fiducia. L’ex-presidente

della Banca, Rosi, risulta in affari con la famiglia Renzi ed in ottimi rapporti con il sindaco renziano

di Firenze, Nardella. Pesa lo scandalo che ha visto implicata la dimissionaria ministra Federica

Guidi, per i favori verso la TOTAL, legata al suo compagno Luca Gemelli, favori che vedono

implicata la stessa Boschi, madrina della famigerata legge di “stabilità”. Oggi è indagato il

presidente regionale del PD per la Campania, Stefano Graziano, per sospetti appalti truccati che

avrebbero addirittura favorito la famiglia camorristica dei Casalesi.

Il governo appare sempre più come l’espressione di un regime che copre gli interessi di una serie di

lobbies, come del resto erano anche i precedenti governi Letta e Monti, mentre Berlusconi

difendeva evidentemente altre lobbies in parte diverse. Il dato comune è il varo di una serie di leggi

tese ad aumentare la precarietà del lavoro e limare salari e pensioni, che hanno colpito soprattutto i

giovani, condannati al 40% alla disoccupazione: dai famigerati decreti Fornero, fino al Jobs Act

varato da un ministro già re delle cooperative rosse, ormai diventate aziende capitaliste. Il

capitalismo, ed in particolare quello italiano, è ben lontano da quegli schemi di comportamento

“classici” teorizzati anche da Marx (quando parlava anch’egli della concorrenza), ma si dimostra un

coacervo di sordidi interessi e imbrogli per favorire gli “amici”.

Ma lo squallore di questo Governo non è dimostrato solo dalla politica interna. La politica estera

renziana è persino peggiore di quella di Berlusconi, che , evidentemente anche per difendere

interessi di gruppi a lui vicini, aveva usato il buon senso di intrattenere buoni rapporti con la Russia

di Putin, la Bielorussia di Lukascenko e la Libia di Gheddafi. Oggi invece, come soldatini pronti ad

obbedire a tutti gli ordini che ci vengono da Washington e dalla UE, imponiamo disastrose (per noi)

sanzioni alla Russia, imponiamo sanzioni durissime ad un paese già martirizzato da bande terroriste

come la Siria (di cui eravamo il principale partner economico europeo), provocando impressionati

ondate di profughi. Poi scattano ipocrite lamentele sulla sorte dei “migranti” ed addirittura si

aderisce al pazzesco piano della Merkel che, per fronteggiare il ricatto dalla Turchia, che minaccia

di destabilizzare l’Europa con nuove ondate di profughi, approva la corresponsione di 6 miliardi di

Euro al criminale Erdogan , che li utilizzerà per alimentare il terrorismo in Siria, Iraq e Libia.

Nuove ondate di migranti arrivano anche da quest’ultimo disgraziato paese che abbiamo

destabilizzato aderendo nel 2011 al piano franco-statunitense di bombardamenti. Diamo atto a

Renzi, preoccupato per la sua stessa sopravvivenza politica, di aver finora resistito alle pressioni

degli USA che ci chiedono un intervento armato a difesa del nuovo governo a trazione islamica

imposto dalla cosiddetta “comunità internazionale” a Tripoli (mai votato dai Libici) e basato su

alcune frazioni dei Fratelli Musulmani locali. Ma le ultime notizie sembrano confermare che questa

resistenza sta per finire, anche perché gli USA, la Gran Bretagna, ed i loro alleati, come la Turchia

ed il Qatar non vogliono permettere il rafforzamento del parlamento “laico” di Tobruk (l’unico

legale e votato dai Libici) e dal suo esercito, guidato dal generale Haftar, che, pur con tutti i suoi

limiti, ha comunque ottenuto grandi progressi in Cirenaica liberando Derna dai miliziani dello Stato

Islamico e Bengasi dai jihadisti di Ansar al Sharia.

Politica interna ed estera convergono verso una visione dell’Italia come di uno stato vassallo degli

USA, della NATO e della UE, in continua stagnazione e dove la classe politica si limita a difendere

modesti interessi localistici, talvolta anche legati a vere organizzazioni criminali.

Vincenzo Brandi

ROBERT HOOKE: LA LEGGE DELL’ELASTICITA’ E LA RICOSTRUZIONE DI LONDRA




di VINCENZO  BRANDI


Robert Hooke è stato certamente il maggiore scienziato inglese del ‘600 dopo Newton, e senza

dubbio il più ecclettico. Fu fisico, biologo, geologo, astronomo, abile sperimentatore ed inventore,

ed infine valente architetto.

Era nato nel 1635 nell’isola di Wight in una famiglia di modeste condizioni (il padre era un curato

di campagna). Fin da giovane dimostrò una grande propensione per gli studi scientifici e la pittura.

Trasferitosi a Londra nel 1648, lavorò dapprima in una bottega di pittura, ma poi riuscì a

frequentare la Westminster School e l’Università di Oxford.

La svolta avvenne nel 1657 quando Robert Boyle (il fisico di cui abbiamo scritto nel numero

precedente) lo assunse come assistente personale. La sua particolare abilità sia negli esperimenti che

nell’invenzione di nuovi strumenti (tra cui la pompa pneumatica che permise la formulazione della

Legge di Boyle sui gas, di cui al numero precedente) gli valsero la nomina nel 1662 a “curatore

degli esperimenti” della Royal Society, di cui divenne addirittura segretario nel 1677. Due anni

prima era stato nominato anche professore di geometria al Gresham College.

L’invenzione di un microscopio perfezionato permise ad Hooke di scoprire la struttura cellulare

degli organismi viventi (si deve a lui la formulazione della parola “cellula”), risultato ottenuto

studiando i sugheri. Nella sua opera “Micrographia” illustrò, tra l’altro, la struttura degli insetti, da

lui stessi poi abilmente disegnati in dettaglio. Nel campo microscopico Hooke fu il più valido

scienziato del ‘600 insieme all’olandese Leewenhoek.

Il grande scienziato inglese si interessò anche della struttura dei cristalli, sviluppando dei modelli

tesi ad illustrare la disposizione degli atomi all’interno dei cristalli, aprendo così la strada alla

moderna cristallografia. Si interessò anche ai fossili, attribuendoli giustamente a specie animali

scomparse, e comprendendone l’importanza per determinare le ere geologiche precedenti. Si può

dire che aprì la strada alla moderna paleontologia.

L’uso di un nuovo telescopio a riflessione (di cui disputò la paternità dell’invenzione con Newton)

gli permise di scoprire la “macchia rossa” di Giove e di dimostrarne la rotazione. Determinò anche

il periodo di rotazione di Marte.

Sicuramente devono attribuirsi a lui l’invenzione di un nuovo tipo di barometro per la misura della

pressione atmosferica, di un anemometro per lo studio dei venti, e di un igrometro per la misura

dell’umidità, strumenti che gli permisero studi che anticipano la moderna meteorologia.

La necessità di avere buoni orologi meccanici per la misura della longitudine sulle navi lo indusse

all’invenzione di un nuovo orologio a molla, iniziatore dei moderni orologi meccanici, invenzione

sulla cui priorità si scatenò una polemica con l’olandese Huyghens (di cui riferimmo nel numero

dedicato a questo importante scienziato).

Nel campo della fisica Hooke è ricordato per la legge che porta il suo nome sui corpi elastici, ben

nota a qualsiasi studente di fisica o di ingegneria: la forza esercitata da un corpo elastico (ad

esempio una molla) è proporzionale alla deformazione subita dal corpo. L’ecclettico scienziato

inventò anche un dinamometro a molla per la misura delle forze.

In realtà Hooke si interessò anche a problemi di ottica. Lo studio dei fenomeni di diffrazione ed

interferenza della luce (che dimostravano che la luce, in presenza di ostacoli, poteva non

propagarsi in linea retta e formare particolari figure in cui si alternavano zone di luce e d’ombra) lo

portò ad abbracciare le teorie ondulatorie di Huyghens, secondo cui la luce si propaga sotto forma

di onda sferica come le onde su una superficie d’acqua turbata dal lancio di un oggetto. Ciò lo portò

a criticare le teoria “corpuscolare” di Newton, secondo cui la luce è formata da piccoli corpuscoli

che procedono in linea retta. Ne nacque una polemica di cui abbiamo già riferito nel numero

dedicato alla natura della luce, in cui abbiamo anche riferito che però Hooke si sbagliò nel

considerare la luce bianca come la luce naturale, e non formata dalla somma di tutti i colori

dell’iride, come dimostrato da Newton.

La polemica si spostò anche nel campo delle leggi sulla gravitazione. In realtà Hooke (tra il 1670 ed

il 1680) aveva capito che i corpi si attraggono con una forza inversamente proporzionale alla

distanza, ma non riuscì da questo a giungere (forse per la sua insufficiente preparazione matematica,

o per l’eccessiva dispersione dei suoi interessi) ad una teoria generale sulla gravitazione, come

poi fatto da Newton. Ne nacque una polemica perché Newton non volle riconoscere il contributo di

Hooke, ed anzi, indispettito dalla rivalità con il collega, quando Hooke morì nel 1703, divenuto a

sua volta segretario della Royal Society, fece rimuovere i ritratti di Hooke, cercando di offuscarne

la memoria.

In realtà nella seconda metà del ‘600 la fama di Hooke era molto cresciuta anche per un altro

motivo. Dopo il grande incendio di Londra del 1666 egli divenne il principale collaboratore di

Cristopher Wren, incaricato di ricostruire la città. Si deve a Hooke la pianificazione della

ricostruzione e la progettazione di vari nuovi edifici. Le sue opere più note furono la ristrutturazione

del famoso osservatorio di Greenwhich e soprattutto la progettazione della cupola della

cattedrale di St. Paul (la cui sezione corrisponde ad una curva speciale detta “catenaria”,

appositamente studiata dal grande architetto). La cupola domina ancora il panorama di Londra a

ricordo del suo autore, molto rivalutato oggi per i suoi esperimenti ed i suoi studi, sempre geniali

anche se non sempre sistematici come quelli del grande Newton.