lunedì 30 ottobre 2017


di Mauro Gemma

Girano in rete impropri paragoni tra la dichiarazione di indipendenza della Catalogna e la creazione delle repubbliche popolari nel Donbass.

E' opportuno precisare che, al contrario di quanto è successo in Catalogna con la rivendicazione dell'indipendenza dalla Spagna, la richiesta iniziale delle regioni russofone dell'Est dell'Ucraina era quella dell'autonomia nell'ambito dello stato ucraino* (nato, questo, da una decisione, presa dai nazionalisti ucraini in combutta con Eltsin dopo il suo colpo di Stato, che ha violato la decisione espressa, a grande maggioranza, dal popolo della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina di rimanere nell'URSS, attraverso il referendum del marzo 1991) e, in particolare del rispetto della lingua, della cultura e dell'identità peculiare delle sue popolazioni, a grande maggioranza russe e russofone. E ciò avveniva in conseguenza delle prime misure approvate dal governo golpista che si proponevano di impedire persino l'uso della lingua russa.

E' stato in seguito al rifiuto di accettare le richieste avanzate e allo scatenamento di una repressione armata senza precedenti (appoggiata da USA/UE/NATO) contro il popolo antifascista della Novorossija che è stato avviato il processo che ha portato alla proclamazione delle repubbliche popolari attraverso un referendum. E ancora oggi, lo stesso Partito Comunista di Ucraina si sta battendo con coraggio contro l'isteria nazionalista della giunta golpista di Kiev per ottenere un assetto federale dello stato, rispettoso di tutte le autonomie, le culture e le identità, con l'attribuzione al russo dello status di lingua ufficiale. Forse è troppo tardi per giungere a una simile soluzione della questione, ma questa rimane la posizione ufficiale dei compagni comunisti ucraini.

Inoltre, c'è anche da rilevare che la stessa Federazione Russa continua a considerare l'Est dell'Ucraina parte del paese confinante e non ha mai avanzato alcuna richiesta di annessione (al contrario di quanto è avvenuto in Crimea, una regione storicamente russa che solo negli anni 50 dello scorso secolo venne consegnata da Krusciov alla Repubblica Socialista Sovietica Ucraina, pur nell'ambito dell'URSS, che con un referendum è tornata alla Russia).

Ragion per cui, si può pensarla come si vuole dell'indipendenza della Catalogna, anche scambiando lucciole per lanterne e pensando che siamo di fronte alla creazione del Venezuela bolivariano in Europa occidentale. Ma per cortesia, non si metta di mezzo il Donbass. O almeno, prima di parlarne, se proprio non si vuole studiare, almeno ci si informi.

* "Nella notte del 22 febbraio 2014 decine di patrioti del Donbass sono intervenuti in difesa del monumento a Vladimir Lenin, simbolo dei lavoratori di Donetsk, e non hanno consentito ai fascisti ucraini di portare a compimento la demolizione della statua. Insieme ai difensori del monumento c'erano anche i comunisti, che per primi avevano organizzato e allestito una tendopoli. Vicino al monumento decine di migliaia di persone hanno organizzato manifestazioni di condanna del colpo di stato a Kiev. I partecipanti all'azione hanno avanzato alle autorità la richiesta di svolgere un referendum sulla struttura federale dell'Ucraina, che permettesse di garantire un corso di politica estera basato sulla collaborazione con i paesi della CSI, e in primo luogo con la Federazione Russa. Ma Kiev e la dirigenza della regione di Donetsk non hanno voluto ascoltare la richiesta del popolo" (dalle tesi programmatiche del Partito Comunista della Repubblica Popolare di Donetsk)

domenica 8 ottobre 2017

L'ANIMA NERA DEL DOCILE GIORNALISMO TEDESCO

 
L'ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder ha deciso recentemente di accettare l'invito di porsi alla guida della società russa che si dedica alla ricerca di petrolio nelle regioni artiche e siberiane.
I giornalisti dei partiti "democratici" cioè quei "galantuomini a pagamento" il cui compito è quello di creare un'opinione "democratica" nella popolazione tedesca (e che sino ad ieri appoggiavano entusiasticamente la politica di guerra contro la Jugoslavia dello stesso Gerhard Schröder) hanno condannato quasi all'unanimità questa sua decisione: Connivenza con il "nemico"; tradimento della "democrazia"; riabilitazione della dittatura di Putin; pugnalata alla schiena agli "amici" americani...
In prima fila come al solito la nota organizzazione, generosamente finanziata dal governo tedesco, che si finge amica degli oppressi e che risponde al nome di "Gesellschaft für Bedrohte Völker". (Società per i Popoli Minacciati"
Questa "Gesellschaft für Bedrohte Völker" si è posta in passato al servizio del colonialismo e dell'imperialismo e ha contribuito a far digerire all'opinione pubblica i perduranti massacri in Afghanistan in nome ... dell'emancipazione femminile
ha sostenuto apertamente le imprese neocoloniali dello stesso Schröder e del bieco Joschka Fischer in Jugoslavia, dove i bombardamenti della Germania finalmente unificata e "libera" dall'ipoteca comunista e pacifista, ha potuto imporre i propri interessi "democratici e coloniali" a prezzo della morte di almeno 2000 civili, della distruzione dell'intera struttura industriale e dell'inquinamento radioattivo che -ancor oggi miete quotidianamente nuove vittime innocenti in Iraq non ha sollevato ciglio per la morte d'inedia di 500 mila lattanti causata dall'embargo imposto dagli USA; anzi ha inneggiato alla successiva strage di militari e civili e all'assassinio del presidente iracheno.
Mai una parola contro il razzismo di Israele e la sua violenza omicida, né contro i nazisti ucraini che vengono anzi descritti -secondo i desideri dei loro finanziatori- come sinceri democratici, né contro i mercenari che hanno distrutto la "dittatura" di Gheddafi, e con essa la società e l'economia della Libia, il paese che poteva vantare il più alto livello di vita politico dell'Africa intera ed un invidiabile ed equilibrato sistema e che oggi è allo sbando.
 
 
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Deutsche Version
 
DIE SCHWARZE SEELE DES KÄUFLICHEN DEUTSCHEN JOURNALISMUS
 
Als Ex-Bundeskanzler Gerhard Schröder das Angebot neulich annahm, die Führung einer russischen Firma, die in der Arktis nach Bodenschätzen forscht, zu übernehmen, ist über ihn sofort die Meute der Journalisten hergefallen.
Die Journalisten der etablierten "demokratischen" Parteien, d. h. jene, die erwählt und bezahlt sind, um die richtige demokratische Meinung der deutschen Bevölkerung zu vermitteln (diejenigen, die bis gestern Schröders Kriegserklärung an Jugoslawien vorbehaltlos befürwortet hatten), haben dagegen heute fast ausnahmslos seine Entscheidung, das Angebot anzunehmen, verurteilt.
Sie werfen ihm stillschweigendes Einverständnis mit dem "Feind", Verrat der "Demokratie", Rehabilitierung der Diktatur Putins vor. Schröders Verhalten sei ein Dolchstoß gegen die amerikanischen "Freunde".
Zum Beispiel Herr Delius, der Vorsitzende der Organisation "Gesellschaft für bedrohte Völker", die von der deutschen Regierung finanziert wird, hat die Zuhörer des Deutschlandfunks mehrmals zu Tränen gerührt, in dem er bildreich die schwerwiegenden Folgen der Erschließung der Ölreserven für die Bevölkerung der sibirischen Tundra beschrieb.
Es ist dieselbe Organisation, die zu Diensten dem Kolonialismus und Imperialismus war, z. B. in dem sie die anhaltenden Massaker der Amerikaner in Afghanistan befürwortete im Namen der Emanzipation der Frauen!
Außerdem hatte damals diese Organisation die neokolonialen Unternehmungen von Schröder und dem machthungrigen Joschka Fischer in Jugoslawien unterstützt. Beide haben den Krieg in Jugoslawien im Namen eines vereinten Deutschlands befürwortet, das endlich von Kommunismus und Pazifismus befreit war. So konnten sie dem Land ihre eigenen "demokratischen und kolonialistischen" Interessen überstülpen zum Preis von 2000 getöteten Zivilisten, der Vernichtung der industriellen Infrastruktur und einer radioaktiven Verseuchung, die heute noch ihre Opfer fordert.
Vor dem völkerrechtswidrigen Krieg der Amerikaner gegen den Irak, starben bereits über 500 000 irakische Säuglinge aufgrund des amerikanischen Embargos... aber weder gegen dieses Ereignis, noch gegen den Massenmord an Soldaten und Zivilisten, noch gegen den Mord an den irakischen Präsident konnte man ein Kommentar der "Gesellschaft für bedrohte Völker" registrieren.
Kein einziges Wort gegen den Zionistischen Rassismus und die israelische Staatsgewalt, die ukrainischen Nazis, die -den Wünschen ihrer Gönner entsprechend, werden uns als lupenreine Demokraten verkauft, die Söldner, die die Gheddafis "Diktatur" zerstört haben, und somit ein Land, das mit dem afrikanischen Primat was die Ökonomie und die soziale Gerechtigkeit angeht, in ganz Afrika sich wappnen konnte, und heute zwischen islamischen Kämpfer und imperialistischen Lobbies bestritten wird.
 

mercoledì 4 ottobre 2017

Grandi manovre nucleari alla Camera

di Manlio Dinucci

il manifesto, 3 ottobre 2017

Il giorno prima che il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari venisse aperto alla firma alle Nazioni Unite, alla Camera dei deputati è stata approvata il 19 settembre, a grande maggioranza (296 contro 72 e 56 astenuti), una mozione Pd a firma Moscatt e altri. Essa impegna il governo a «continuare a perseguire l'obiettivo di un mondo privo di armi nucleari attraverso la centralità del Trattato di non-proliferazione (Tnp), valutando, compatibilmente con gli obblighi assunti in sede di Alleanza atlantica, la possibilità di aderire al Trattato per vietare le armi nucleari, approvato dall'Assemblea generale dell'Onu».

La mozione Pd, «su cui il governo ha espresso parere favorevole», è una cortina fumogena per nascondere il fatto che l’Italia è accodata al crescente riarmo nucleare Usa/Nato ospitando, in completa violazione del Tnp, le bombe nucleari Usa B-61 che dal 2020 saranno sostituite dalle ancora più pericolose B61-12.

La vera posizione del governo Gentiloni è emersa il giorno dopo quando, attraverso il Consiglio nord-atlantico di cui fa parte insieme agli altri 28 governi della Nato, ha respinto in toto e attaccato il Trattato Onu.

Alla Camera dei deputati la mozione Pd è stata votata da Forza Italia, Fratelli d’Italia, Scelta Civica, Alternativa Popolare, Democrazia Solidale e Gruppo Misto.

La Lega Nord, assente in aula al momento del voto, con una sua mozione chiama il governo «a non rinunciare alla garanzia offerta dalla disponibilità statunitense a proteggere anche nuclearmente l'Europa e il nostro stesso paese, non necessariamente rispetto alla Russia». Come se l’Italia fosse in grado di stabilire contro chi debbano essere puntate le armi nucleari Usa.

Sinistra Italiana e Articolo 1, nelle loro mozioni respinte dalla Camera, chiedono la rimozione delle armi nucleari Usa dall’Italia in base al Trattato di non-proliferazione e l’adesione dell’Italia al Trattato Onu. Però, sulla mozione Pd, entrambi i gruppi non hanno votato contro ma si sono astenuti.

Ha invece espresso voto contrario il Movimento 5 Stelle. Nella sua mozione, anch’essa respinta, esso non chiede però al governo né la rimozione delle armi nucleari Usa dall’Italia in base al Trattato di non-proliferazione, né l’adesione dell’Italia al Trattato Onu, ma di «relazionare al Parlamento sulla presenza in Italia di armi nucleari, non facendosi più paravento di un vincolo atlantico alla riservatezza inesistente per i cittadini e i parlamentari Usa» e di «dichiarare l'indisponibilità dell'Italia ad utilizzare armi nucleari, a non acquisire le componenti necessarie per rendere gli aerei F-35 idonei al trasporto di armi nucleari».

La mozione del M5S rispecchia la posizione espressa dall’aspirante premier Luigi Di Maio che «non vogliamo uscire dalla Nato» (come ha dichiarato lo scorso aprile in una conferenza negli Usa), che (come ha dichiarato in un’intervista lo scorso giugno) «vogliamo restare nella Nato, ma vogliamo parlamentarizzare gran parte delle scelte».

Illusione o peggio. Nel Consiglio nord-atlantico, stabiliscono le norme Nato, «non vi è votazione né decisione a maggioranza», ma «le decisioni vengono prese all’unanimità e di comune accordo», ossia d’accordo con gli Stati uniti cui spettano per diritto la carica di Comandante supremo alleato in Europa e gli altri comandi chiave, compreso quello del Gruppo di pianificazione nucleare della Nato.

Promettere che gli F-35, aerei concepiti per l’attacco nucleare soprattutto con le B61-12, possano essere usati dall’Italia con una sorta di sicura che impedisca l’uso di armi nucleari, equivale a una favola raccontata ai bambini per fargli dormire sonni tranquilli.

PERCHE’ I NEO-NAZISTI TORNANO AL BUNDESTAG

Il Bundestag

  di Livio Zanotti
(Giornalista, inviato RAI TV per il Sud America)

I recentissimi risultati delle elezioni in Germania, pur largamente previsti, sconcertano l’opinione democratica europea e mondiale. L’ingresso in forze nel sistema parlamentare tedesco di un partito con robuste componenti neo-naziste preoccupa tutti, da Mosca a Washington. Rinfocola timori antichi, spesso sopiti da circostanze eccezionali come negli anni della guerra fredda. Però mai dimenticati, tanto da non essere stati estranei del tutto neppure nel Brexit deciso da Londra. La Germania è vista infatti da sempre come un competitor globale.
L’ombra di un’Unione Europea dominata dalla prima potenza economica del continente già infastidiva l’orgoglio inglese. La prospettiva di un ritorno marcatamente nazionalista a Berlino è stato poi un fattore niente affatto irrilevante nel prevalere delle torbide manovre interne dei conservatori britannici, che oggi esplicitamente vi vedono un’ulteriore giustificazione postuma. Del resto Margareth Thatcher alla riunificazione delle due Germanie fu fieramente contraria e Donald Trump (un deutschamerikaner, peraltro) rinnova la medesima avversione.
Ma davvero a quasi trent’anni da una Vereinigung che dopo la caduta del Muro pose fine alla Guerra Fredda, il revanscismo tedesco non solo ritrova nelle massime istituzioni del paese uno spazio che lo legittima, se non che mimetizzato nella questione immigrati sarebbe in grado di condizionarne la politica?


Vero che sebbene frequente nel confronto tra i partiti e negli ambienti culturali, approfondito nella ricerca storica e sulle pubblicazioni specializzate, il dibattito sul nazismo in Germania non ha mai assunto pienamente una dimensione nazionale, capace di coinvolgere la grande massa dei tedeschi, informandoli e sollecitando la loro riflessione non solo sulle radici e le ultime conseguenze del potere hitleriano, ma anche di quanto questo fosse espressione di ambizioni certamente preponderanti quanto meno nell’establishment se non nel popolo germanico.
Una mia esperienza diretta sebbene men che limitata, degli anni immediatamente seguenti la Riunificazione e dunque ormai molto lontana nel tempo, mi sembra nondimeno che mantenga un qualche significato. Rievoca sentimenti capaci di accompagnare utilmente le nuove preoccupazioni di oggi. E’ almeno l’impressione che ho ricevuto da un recente viaggio in Germania.



Le immagini luminescenti nel buio pieno della sala, un fotogramma dopo l’altro, rischiarano nel pubblico quel passato opaco e limaccioso che sedimenta incagliato in qualche avvallamento della sua memoria. Scarse nozioni ascoltate a scuola, qualche mezza parola raccolta in famiglia, rare letture, riflessioni approfondite probabilmente nessuna. Lo schermo mostra scene di meccanica brutalità. Gente coperta da indumenti mezzi stracciati, indifesa, si trascina sotto la neve.
Le canne dei mitragliatori delle SS pungolano fianchi e spalle dei prigionieri, già storditi dalla veloce e inesorabile violenza della deportazione. Uomini e donne separati a punta di pistola. Bambini strappati dalle braccia dei genitori. Chi resiste viene abbattuto con i calci dei fucili. Grida, sangue, lagrime: penosi da sopportare. Il disagio degli spettatori s’ avverte dagli scricchiolii delle poltrone, negli improvvisi e frequenti colpi di tosse. Nessuno pronuncia una sola parola.
Nelle strazianti sequenze di “Schindler’s List”, Liam Neeson, Ralph Fiennes, Ben Kingsley interpretano la vicenda realmente accaduta dell’imprenditore tedesco che nella Polonia occupata corrompe ufficiali della Wermacht prima per fare soldi, poi per salvare migliaia di ebrei. C’ erano anche questi commerci nelle pieghe dell’ordine di Himmler. Nell’ aria gelida il fumo rappreso dei treni che trasportano le vittime attraverso mezza Europa si confonde con quello dei forni crematori nei tanti campi di sterminio.


Il realismo del film di Steven Spielberg agisce sulla platea come una seduta psicoanalitica, fa riemergere negli spettatori frammenti di ricordi e di sentimenti. Il passato storico rinviene come presente emotivo e non è facile da controllare. Impossibile dire se ci sia catarsi, la commozione è però visibile e potente. “Ho sentito il mio sguardo come trascinato via nel vortice delle figure che scorrevano sullo schermo”, dice all’ uscita una signora ancora giovane.
Con gli assistenti della troupe RAI, tutti giovani tedeschi, siamo venuti a sollecitare e raccogliere qualche commento alle persone che escono dai cinema di Berlino che proiettano il film. Sulla cattiva memoria di tanti tedeschi la polemica è sempre aperta. Siamo di fronte allo Zoo Palast, la sala che ospita il Festival al centro di Berlino, tra la stazione ferroviaria, il monumentale rudere della Gedaechtniskirche, la chiesa della Memoria, e il verde del Tiergarten, solo in minima parte  occupato dallo zoo.
Il pubblico è di classe media-alta, così come l’età della maggioranza degli spettatori. E’ attento e silenzioso, indossa abiti di buona qualità. Considerato il gran battage pubblicitario che ha preceduto le proiezioni, si tratta di persone che per lo più conoscevano il tema del film prima di andare a vederlo ed è dunque presumibile qualche loro predisposizione a rivisitare il proprio passato nazionale, ad approfondirne la conoscenza critica.
Le risposte che riceviamo sono più o meno significative nell’ immediatezza della registrazione televisiva: lette a distanza di anni molte perdono d’ intensità.  Ce ne sono comunque alcune che hanno mantenuto l’originario spessore e le trascrivo. Aiutano a dare un’idea degli stati d’ animo suscitati dal film.
“Il film è ben fatto, ma non è materiale di giudizio, non si può giudicare una nazione intera da un film”, ci risponde un uomo sui settant’ anni, cappotto e cappello, che da per scontata un’intenzione maliziosa nella nostra domanda e si allontana senza aggiungere altro.
Una giovane coppia sui trent’ anni, piange all’ unisono, accetta nondimeno di rispondere. Sono molto gentili.
“Vedere certe cose è diverso dal leggerle sui libri. . . Abbiamo i brividi addosso”, dice lui.
Lei aggiunge:” A lui costa crederci, ma diteglielo, ditegli che è tutto vero, che le cose sono andate proprio così. . .”
Lui:” Certo che ci credo, ma ho bisog
no di saperne di più, voglio capire. . .”
“Cosa vuol sapere?” Domandiamo noi.
“Ma non so, quanti sono davvero gli ebrei scomparsi. . . tutti in Germania sapevano?”, fa incerto il ragazzo.
Interviene una donna che s’ avvicina quasi con un balzo alla luce della telecamera, slacciando il braccio dall’uomo che le camminava accanto e mette in mano al ragazzo un biglietto da visita. Evidentemente lo stava ascoltando.
Il giovane legge a voce alta:”Associazione tedesca per la Memoria nella R.F.T, Tauenzien Strasse . . . Ma cos’è questo. . .”
“Vienici a trovare che ne parliamo, se davvero vuoi sapere. . .”, risponde la donna.
E a noi: ”Questo ragazzo non sa, ma tanti altri solo fingono di non sapere”. E se ne va.
Per la verità neanche i miei aiutanti, Frieder, Rudiger e Dietmar, anch’ essi trentenni, sebbene ragazzi colti, che hanno girato mezzo mondo, il primo quasi medico, un altro architetto, ne sanno molto. Per dirla tutta, ne sanno poco e ancor meno hanno voglia di parlarne. Ma vale la pena tentare di comprendere il loro stato d’ animo, poichè si tratta di persone non solo di profondo e sincero sentimento democratico, ma anche pienamente aperti alla vita, sensibili, generosi e solidali.
Se fossero miei figli ne sarei orgoglioso. Ne parliamo tra noi. E mi sembra di cogliere come una cesura tra loro e quel passato: un quel che è stato è stato, ora siamo un paese diverso e non accadrà più. Mi vogliono bene e mi rispettano, quindi mi ascoltano. E poi, dobbiamo fare tempo prima di andare all’ uscita di un altro cinema per nuove interviste. Ci prendiamo una pausa con biscotti e caffè.
Detestano dal profondo del cuore gli skinheads, antisemiti nazisteggianti, cresciuti più all’est (nella DDR) che all’ovest, nell’odio per gli immigranti. Sono inorriditi quando qualche mese addietro siamo andati a Rostock, sul Baltico, a filmare i palazzi di immigrati vietnamiti e rom in fiamme e in ospedale abbiamo visto le decine di ustionati, salvi per miracolo grazie all’ intervento spericolato dei vigili del fuoco. Il giorno seguente avrebbero volentieri marciato con i ventimila cittadini scesi in strada per protesta, se non avessero dovuto lavorare con me. Ammutoliti, loro che se la spassano tra scherzi e risolini.
Comunque l’indomani hanno sottoscritto la lettera-manifesto di ripudio al sindaco Klaus Klisman, rimasto invece tranquillamente in vacanza. E tuttavia c’è una molla che manca, non gli scatta l’indignazione, non s’ inquietano più di tanto nell’ ascoltare la donna d’ un edificio adiacente a quello bruciato che si rammarica dell’ accaduto, certo, nondimeno le scappa detto:” E’ terribile, è terribile, però sono diversi da noi, vivono come gli pare…”. E richiesta di un esempio, aggiunge senza la minima consapevolezza dell’enormità delle sue parole: ”Ce ne fosse stato uno che metteva le tendine alle finestre. . .”.
La maggior parte dei giovani non mostrano interesse alla politica, sebbene siano assai meno sordi all’impegno civile. Dei testi storico-politici letti per dovere scolastico quasi non ricordano niente. Karl Jaspers? Certo che lo conoscono. Tuttavia del suo famoso intervento all’ inaugurazione dell’anno accademico 1946 all’ università di Heidelberg –se davvero l’ hanno letto- ai miei assistenti non torna in mente neanche una parola.
Gli ricordo che secondo il filosofo e psichiatra: i tedeschi hanno una colpa metafisica; perchè dopo i milioni di morti nei campi di sterminio, sono ancora vivi. . .
“Nel ’46 era giusto dirlo, ma adesso è passato quasi mezzo secolo. . . noi non sapevamo neppure che saremmo nati”, osservano.
“Jaspers aggiunse che dimenticare è una colpa. Che l’accaduto collettivo deve essere ricordato, perchè soltanto se ne conosciamo bene le cause possiamo evitare che si ripeta”, replico io.
Andiamo a recuperare l’automobile per dirigerci al cinema Arsenal, a Postdamer Platz, Berlino est, abbastanza distante da dove ci troviamo. Lungo il Landwehr Kanal vediamo un mazzo di rose rosse ormai appassito che resiste infilato nella balaustra. Sul muro di fronte, una lapide ricorda che in questo punto, il 15 gennaio 1919, la comunista Rosa Luxemburg, dirigente dell insurrezione spartachista, fu colpita a morte dagli ufficiali della Guardia a cavallo e il suo corpo ancora palpitante gettato in acqua.
“Stasera attraversiamo la storia a piedi. . .”, dice un pò compreso e un pò ironico Dietmar.
Berlino è davvero un crocevia della storia europea e dunque uno spartiacque eccezionale tra passato e presente, memoria e oblio. Avvicinandoci alla Porta di Brandeburgo, qualcuna delle tante bancarelle che tutt’ attorno svendono i resti dell’Armata Rossa, attende gli ultimi clienti alla luce di potenti lampade elettriche. Colbacchi di pelliccia, tende mimetiche da campagna, canocchiali Zeiss fabbricati nella Jena ancora occupata dai sovietici, stivali di cuoio, cinture, stemmi, distintivi, medaglie d’ ogni foggia. Tutto quanto i magazzini militari delle divisioni sovietiche stanziate dal 1945 nella Repubblica Democratica Tedesca e ormai partite per sempre, hanno potuto liquidare per raggranellare qualche milione di marchi. E’ un’accozzaglia coloritissima e deprimente al tempo stesso. Simbolicamente racchiude l’esito catastrofico anni di guerra e centinaia di milioni di vite umane.

La RDT non esiste più da tempo, il democristiano Helmut Khol l’ ha riscattata a suon di milioni dall’ Unione Sovietica di Michail Gorbaciov, che a sua volta ha rinunciato a mantenere in vita l’ Unione imperiale costruita da Stalin alla fine della seconda Guerra Mondiale, nel tentativo disperato e inutile di salvare il salvabile. Troppo tardi: è tutto perduto. Niente più violinisti e saltimbanchi russi, soldati in libera uscita alla ricerca di qualche spicciolo, sui marciapiedi di Kreuzberg, il quartiere scapigliato, sempre in vena di baldoria. Spariti anche i suonatori di pianola. Check-point Charlie, per quarant’anni il principale posto di blocco tra le due Berlino, scambi di spie e fughe romanzesche, è ormai un set fotografico per turisti in cerca di souvenirs low-cost. La città riunita non cessa di essere doppia, tuttavia nelle kneipe di entrambe le parti giovani tedeschi e del mondo bevono e cantano.
A Postdamer Platz, il cinema Arsenal è scarsamente illuminato, come tutto l’immenso spazio circostante. Il pubblico in uscita dal film di Spielberg mostra sorpresa e perfino qualche fastidio per la nostra telecamera. Spieghiamo l’intenzione che ci ha portato fin lì. Pochi si lasciano trattenere dalle nostre parole, sebbene in questa zona di classe media ex RDT convivano artisti, scrittori, operai e impiegati pubblici, una popolazione in teoria ben disposta e anche abituata al dibattito. Ma probabilmente anche stanca di certi rituali. E’ un docente di liceo a mettere su e vivacizzare con noi per quanto possibile una qualche discussione. Per il mestiere che mette in mostra, sospettiamo che possa essere un ex agit-prop della Sed, il partito unico di Eric Honecker (oggi depurato ne Die Linke, La Sinistra, che alle urne ha sfiorato il 10 per cento). Di certo è preparato e ha pratica delle polemiche di strada.  Risponde per le rime a un paio di scettici che svalutano la testimonianza del film.
“Non vi ricordate niente! –si rivolge con foga ai due o tre che ancora lo ascoltano, tra i quali una donna avanti con gli anni: Von Keitel era stato il capo della Wermacht, a Norimberga fingeva di essersi pentito: mentiva! Gli bruciava la firma della resa a capo chino davanti a Zukhov. Con milioni di morti sulla coscienza, solo per paura il Feldmaresciallo ammetteva che la Germania avrebbe dovuto rinunciare alla dottrina nazional-socialista per salvare il Reich e la patria dalla distruzione e dalla vergogna. Ben sapevano di essere razzisti, sanguinari e demagoghi: questa era la loro dottrina! Ma i giudici non si sono fatti ingannare e l’hanno impiccato”. I presenti annuiscono in silenzio, chissà quanto davvero convinti. Il cinema spegne le ultime luci.  Ci allontaniamo tutti con rapidi cenni di saluto dall’ombra densa che avvolge la piazza.
Nessuno, in nessuna piazza del mondo, quella notte avrebbe immaginato che un quarto di secolo più tardi sarebbe apparso non un mercante d’armi o un qualche agitatore bavarese, bensì un presidente degli Stati Uniti a spronare la Germania a dotarsi di un proprio esercito moderno. Con la rozza intemperanza che gli è propria, Donald Trump ha portato allo scoperto una sfida che i suoi predecessori, democratici o repubblicani che fossero, hanno sempre gestito con cautela. Frenare la crescita dell’economia tedesca gravandola dei costi militari necessari a un maggiore protagonismo geopolitico, che però potrebbe sfociare nella nascita di un quarto Reich.

martedì 3 ottobre 2017

Presentate alla corte dell’Aja prove di apartheid, saccheggio ed assassinio da parte di Israele



21 settembre 2017,Electronic Intifada
Mercoledì [20 sett.] quattro organizzazioni palestinesi per i diritti umani hanno presentato alla procura della Corte Penale Internazionale 700 pagine di prove di crimini di guerra e contro l’umanità da parte di Israele.
Ciò avviene mentre due comunità palestinesi in Cisgiordania devono affrontare un’imminente e totale distruzione da parte di Israele.
I crimini dettagliati nel dossier includono la persecuzione, l’apartheid, il furto esteso, la distruzione ed il saccheggio delle proprietà palestinesi e prove degli “omicidi ed assassinii deliberati” di centinaia di palestinesi dal 2014.
Shawan Jabarin, direttore del gruppo per i diritti umani Al-Haq, ha affermato che il dossier “fornisce una base convincente e ragionevole” perché la procura apra un’indagine in merito a possibili crimini di guerra e contro l’umanità da parte di Israele nella Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme est.
Questo è il quarto dossier che i gruppi per i diritti umani hanno presentato alla corte. Mentre questo si concentra sulla Cisgiordania, quelli precedenti riguardavano crimini commessi da importanti personalità civili e militari israeliane durante l’attacco del 2014 contro Gaza.
Minacce di morte e vessazioni
Jabarin ha presentato il documento alla corte dell’Aja insieme alla sua collega Nada Kiswanson. Kiswanson ed altri ricercatori per i diritti umani affiliati a Al-Haq sono stati bersaglio di una lunga campagna di vessazioni e di minacce di morte che un esperto analista israeliano ha collegato a “operazioni segrete” del governo israeliano.
Al-Haq ritiene che le minacce siano legate al lavoro di Kiswanson per preparare il dossier per la corte internazionale. Il governo dell’Olanda, dove si trova la corte, ha affermato che è stata aperta un’inchiesta penale in merito alle minacce.
Dominio degli ebrei israeliani”
In base alle affermazioni di Al-Haq, l’ultimo documento “prende in considerazione il tentativo di Israele di ampliare il proprio territorio e di garantirvi il dominio degli ebrei israeliani modificando la composizione demografica dei territori palestinesi occupati.”
Raji Sourani, direttore del “Palestinian Center for Human Rights” [“Centro Palestinese per i Diritti Umani”, ndt.], ha affermato che il trasferimento di coloni nelle terre palestinesi occupate da parte di Israele “costituisce un unico crimine di guerra in quanto accompagnato dalla confisca di parti consistenti di terra palestinese, dalla distruzione massiccia di proprietà palestinesi e dalla frammentazione del tessuto sociale e del modo di vita palestinesi.”
Benché le violazioni israeliane nella Cisgiordania occupata possano essere viste separatamente da quelle a Gaza, Issam Younis, direttore del “Al Mezan Center for Human Rights” [“Centro Al Mezan per i Diritti Umani”, ndt] ha spiegato come essi siano legati: “In ultima analisi l’isolamento di Gaza, oltre ai periodici attacchi militari su vasta scala, consente a Israele di consolidare il proprio controllo su tutti i territori palestinesi occupati e nega ai palestinesi il loro diritto, internazionalmente riconosciuto, all’autodeterminazione.”
Pressione
Il comportamento di Israele durante la guerra del 2014 contro Gaza, così come denunce di numerosi crimini in Cisgiordania, è attualmente oggetto di un esame preliminare da parte della procura dell’Aja. Deve decidere se aprire un’indagine accurata, che potrebbe portare a un’incriminazione formale di dirigenti e personale militare israeliani.
Non ci sono limiti di tempo per un esame preliminare, e la procura si trova sotto costante pressione da parte di Israele e degli Stati Uniti per lasciare che Israele se la cavi. Sono incentivati in ogni modo a starsene con le mani in mano.
Indagini farsa su se stesso
Lo scorso mese due gruppi per i diritti umani hanno concluso che il sistema israeliano di inchiesta su se stesso in merito a possibili crimini contro palestinesi da parte delle proprie forze è una farsa.
Centinaia di casi, compresa la nota uccisione di quattro ragazzini che giocavano a pallone su una spiaggia nel luglio 2014 [a Gaza, ndt.], non hanno portato a nessuna sanzione nei confronti dei responsabili.
Nel maggio 2016 B’Tselem ha annunciato che non avrebbe più collaborato con le inchieste per omicidio dell’esercito israeliano né per altri attacchi contro palestinesi nella Cisgiordania occupata.
Non aiuteremo più un sistema che copre le inchieste e serve come foglia di fico per l’occupazione,” ha spiegato il direttore del gruppo israeliano per i diritti umani.
Quando si tratta di crimini come l’apartheid e la colonizzazione, Israele ovviamente non fa niente per condurre indagini e punire se stesso – dato che questi crimini sono pianificati ed eseguiti dallo Stato stesso.
Ma persino in situazioni in cui Israele ha riconosciuto – almeno sulla carta – che una determinata azione era un crimine, nessuno ne ha pagato le conseguenze.
Ciò dovrebbe essere un importante fattore nelle decisioni della procura, perché, in base al suo statuto fondativo, la Corte Penale Internazionale interviene solo quando le autorità giudiziarie nazionali non sono disposte o non possono condurre procedimenti imparziali.
Villaggi che devono far fronte alla distruzione
Né le azioni della corte sono solo una questione di responsabilizzazione per il passato, ma per porre fine a crimini in corso.
Questo mese B’Tselem ha messo in guardia importanti dirigenti israeliani, compresi il primo ministro Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa Avigdor Lieberman e il capo di stato maggiore militare, che potrebbero essere personalmente imputabili per crimini di guerra se procedessero all’apparentemente imminente distruzione di Khan al-Ahmar e Susiya, due comunità della Cisgiordania.
La demolizione di intere comunità nei territori occupati è pressoché senza precedenti dal 1967,” ha affermato B’Tselem.
Robert Piper, direttore dell’aiuto umanitario ONU in Palestina, ha twittato: “Tener d’occhio la comunità beduina di Khan al-Ahmar a rischio di deportazione da parte delle autorità israeliane nei prossimi giorni.”
Egli ha involontariamente identificato un problema in cui l’ONU gioca un ruolo fondamentale: la cosiddetta comunità internazionale se ne sta in disparte e si limita a guardare come Israele commette quotidianamente crimini.
(traduzione di Amedeo Rossi)