mercoledì 25 aprile 2018

PAPA FRANCESCO MARXISTA? - INCONTRI CON STUDENTI E CITTADINI AD ALCAMO


23 APRILE 2018 - INCONTRO PRESSO IL COLLEGIO DEI GESUITI
(Servizio fotografico di Antonino Siragusa)



DA SINISTRA: IL SINDACO DI ALCAMO AVV. DOMENICO SURDI, L'ASSESSORE ALLA CULTURA DR.A LORELLA DI GIOVANNI E IL PROF. ANTONINO PICCOLO, PRESIDENTE DI UNITRE






INCONTRO CON GLI STUDENTI DELL'ISTITUTO TECNICO "CARUSO"







INCONTRO PRESSO IL CENTRO CONGRESSI "MARCONI" CON GLI STUDENTI DELLE SCUOLE SUPERIORI




















giovedì 19 aprile 2018

L'INTERROGATORIO A CUI SONO STATO SOTTOPOSTO A FIUMICINO PRIMA DELL'IMBARCO SU UN AEREO ISRAELIANO - IL CASO "MAC DONNCHA"



HO INVIATO QUESTA LETTERA A VARI GIORNALI



Gentile direttore,

il 12 e 13 aprile ho partecipato alla nona Conferenza Internazionale su Gerusalemme che si è svolta a Ramallah, in Palestina. L’invito era rivolto a scrittori e accademici di tutti i paesi e di tutte le religioni. L’ambasciata palestinese a Roma ha scelto me e il sacerdote don Nandino Capovilla di Venezia. Il nostro viaggio prevedeva la partenza da Roma e l’arrivo a Tel Aviv, dove ci aspettava un incaricato palestinese che doveva portarci a Ramallah. All’aeroporto di Fiumicino, qualche ora prima della partenza, i funzionari della compagnia aerea israeliana mi hanno sottoposto a uno snervante e assurdo interrogatorio. Alla domanda: “Perché va in Israele?” avrei potuto rispondere con una risposta diversiva, ma ho detto la verità. Da quel momento è iniziato l’interrogatorio con una donna. “Lei è uno scrittore? Che libri ha scritto? Quindi è famoso?” Mi lascia alcuni minuti e va a consultare in internet le mie pubblicazioni. Ritorna con un altro funzionario che parlava solo inglese e, presumo, fosse un agente del MOSSAD. Mi aspetto di essere interrogato sul mio libro IL TERRORISMO IMPUNITO, un atto di accusa di 700 pagine contro Israele. Invece no. Costui, dopo aver girato e rigirato il mio passaporto, mi chiede chi mi ha invitato. “L’ambasciata palestinese”, rispondo. “Mi faccia vedere l’invito”. Risposta: Non ho un invito. L’ambasciatrice, Mai al Kaila, mi ha invitato per telefono e ha provveduto a fornirmi il biglietto di viaggio”. Mostro il biglietto. “No. Voglio vedere l’invito”. Rispondo che ho la corrispondenza come prova ma si trova nel mio calcolatore. “Mi mostri la corrispondenza.” Per fortuna avevo con me il tablet. Mi collego a internet e mostro la corrispondenza. Domanda demenziale: “Perché è tutto scritto in italiano?” Comincio a diventare nervoso, ma sono riuscito a controllarmi. “Perché siamo in Italia e qui si parla italiano. La persona che mi scrive è la segretaria dell’ambasciata.” Insiste. “E’ la sua segretaria?” Risposta: “Non è la mia segretaria. E’ la segretaria dell’ambasciata che, ovviamente, comunica con me in italiano”. Poi, per convincerlo, mostro il simbolo della Palestina, l’aquila, che si trova nella corrispondenza. Gli dico che, se vuole, possiamo telefonare all’ambasciata. Preferisce di no. Altre domande: “Chi conosce in Palestina? E in Israele? In quale albergo andrà ad alloggiare? Dove vive? Ha una famiglia? Se le succede qualcosa, chi dobbiamo avvisare?” Questa domanda mi inquieta. “E’ già stato in Israele? In quali paesi arabi è già stato?” Rispondo: Egitto, Tunisia, Marocco e anche Turchia. “In Egitto cosa è andato a fare?” “Sono andato per le vacanze, per fare snorkeling”. Aggiungo che assieme a me c’è un sacerdote cattolico: padre Nandino Capovilla. Entrambi siamo pacifisti. Don Nandino sta arrivando dalla stazione Termini. Lui prende nota e dispone una perquisizione accurata della mia valigia e della mia borsa. Alla fine mi lasciano andare alla zona dell’imbarco. Poco dopo mi raggiunge don Nandino e mi riferisce di essere stato trattenuto circa 30 minuti per il solito interrogatorio. Prima dell’imbarco, arrivano due funzionari e intimano a don Nandino di seguirli. A me chiedono di visionare di nuovo la mia borsa che contiene solo penne, carte, un libro, fazzolettini, salviette profumate e caramelle. Lo trattengono a lungo. Inizia l’imbarco e siamo gli ultimi. Arrivano con don Nandino e mi consegnano la borsa. Allargo le braccia e mi dispongo per l’ispezione corporale, ma, a questo punto, diventano gentili, mi dicono che sono a posto e che posso andare. Uno mi dice sorridendo: “Welcome in Israel!” Mi avvicina don Nandino mentre entriamo nell’aereo e mi racconta di essere stato costretto a spogliarsi. Gli hanno chiesto di togliersi i pantaloni e lui si è rifiutato. “Allora lei non può montare in aereo” – gli hanno risposto. Don Nandino non ha scelta: abbassa i pantaloni. Una vicenda umiliante per un sacerdote che deve essere raccontata e resa pubblica.


Il sindaco di Dublino

Ma la storia non è finita qui. Il giorno 12 aprile è iniziata la conferenza. Tra i primi oratori c’è anche il sindaco di Dublino, MICHEAL MAC DONNCHA, che ha dichiarato la sua adesione al BDS (Boicottaggio, Disinvestimenti e Sanzioni) contro Israele. Il governo di Netanyhau lo ha dichiarato persona non grata e non dovrebbe entrare in Israele. Cosa è accaduto? Il giorno dopo, mentre, al mattino, leggevo l’edizione inglese del giornale israeliano “Haaretz”, ho scoperto il mistero. Il governo, nella persona del ministro dell’Emigrazione, è intervenuto per spiegare che MICHEAL MAC DONNCHA non doveva entrare e che c’era stato un errore dei funzionari a causa del nome un po’ complicato del sindaco di Dublino. Forse un errore di spelling. Il giornale israeliano, per spiegare l’errore, ha usato l’espressione “screw up” che si può tradurre con “fesseria, cazzata”. Poco dopo, mi sono recato al Palestine Tower per partecipare alla seconda giornata della conferenza e ho incontrato Mac Donncha. Non sapeva nulla. Gli ho mostrato il giornale e, soddisfatto, ha voluto che facessimo una fotografia assieme.  Tutto questo è avvenuto mentre a Gaza i cecchini israeliani giocavano a tiro a segno uccidendo e ferendo centinaia di palestinesi disarmati. Questo è Israele.

Diego Siragusa


LULA IN CARCERE: GIUSTIZIA E’ FATTA?

(Ex presidente Lula)

di Livio Zanotti


Mai il Brasile (e l’intero occidente democratico) ha vissuto una tensione tra popolo e istituzioni, diritti e procedure, politica e senso comune, come questa determinata dall’inusitata condanna di Luiz Inacio Lula da Silva. Un processo per corruzione a carattere indiziario, svoltosi secondo forme arcaiche, prive di essenziali garanzie per la difesa e pertanto da tempo archiviate nel resto del continente e in Europa, ha inflitto al due volte capo di Stato (continuativamente al governo dal 2003 al 2011) 12 anni di reclusione. Le sue ferme dichiarazioni innocenza sono rimaste inascoltate così come le obiezioni procedurali dei suoi avvocati. Mai è tuttavia apparso in dubbio l’ancoraggio all’ordine costituzionale del paese sudamericano, che sia pure tra contraddizioni laceranti mostra sufficiente maturità per reggere la sfida di una crisi che è a un tempo politico-istituzionale, sociale, economica. E appare ancora ben lontana dalla conclusione.

Michel Temer


Lula non è solo l’espressione moderata di rivendicazioni storiche giunte infine al governo dell’immenso territorio, in cui latifondisti dello zucchero e del caffè fondarono la Repubblica in odio all’imperatore che contro la loro opinione aveva abolito la schiavitù (1888). Sebbene appaia evidente che l’attuale successore, Michel Temer, stia smontando le riforme grazie alle quali il tenace tornitore meccanico, divenuto sindacalista combattivo e poi presidente della nazione, l’ha modernizzata e resa meno iniqua: così sollevando come mai prima il “gigante sdraiato” cantato dalla poesia patriottica. Lula è soprattutto l’abile dirigente operaio il cui pragmatismo celebrato per anni anche a Wall street ha permesso la realizzazione di una politica di diritti e d’inclusione senza precedenti. E in quanto tale temuto.

In Brasile, il magistrato inquirente che comanda l’istruttoria, dirige le operazioni di polizia, gli interrogatori e seleziona il materiale dell’accusa, è anche il giudice che conduce il processo e decide la sentenza. L’accusa a Lula di aver ricevuto un lussuoso appartamento in cambio di favori illeciti è sostenuta essenzialmente dalle sole ammissioni del corruttore, nella prospettiva di ottenere sconti di pena. Non è mai stata comprovata in via documentale: non ci sono scritture private né registrazioni catastali. Nell’intento di giustificare questa carenza, l’argomentazione di un inquirente -il procuratore Henrique Pozzobon-, a un certo punto scivola per intero nel pantano del sofisma. Il magistrato ammette infatti di non disporre di “provas cabais” (prove inoppugnabili); ma afferma che “proprio la circostanza che Lula non figuri come intestatario dell’appartamento in questione costituisce un modo di occultarne la proprietà” (Cfr. Folha de S. Paulo, 07.04.2018).

In nessun momento il percorso giudiziario del leader più rappresentativo della sinistra riformista latinoamericana è uscito dal solco della complessa dialettica politica brasiliana e anzi ad essa si è intrecciato sempre più strettamente. Lo confermano i sondaggi d’opinione, che in 20 mesi lo hanno portato dal 16 all’attuale 36 per cento nelle intenzioni di voto: dunque il pre-candidato di gran lunga favorito alle prossime elezioni presidenziali (7 ottobre), che ormai potrà seguire solo dal carcere. Le migliaia e migliaia di militanti che lo hanno accompagnato nelle ultime settimane e ore fino all’ingresso nel penitenziario, sempre pacificamente malgrado l’emozione fortissima, ne sanciscono il crepuscolare trionfo di popolo.

A 71 anni, Lula non lascia un delfino politico, il carisma non si trasmette. Né sarà agevole per il Partido dos Trabalhadores (PT), fondato nel 1980 da socialdemocratici, cattolici di sinistra e marxisti di varie tendenze, esprimere un nuovo leader in grado di ricompattarne le diverse anime in un programma da opporre alle controriforme di Temer, già alleato e vice della deposta presidente Dilma Rousseff, convertitosi poi nel suo più insidioso nemico. Tanto i rapporti di forza interni al paese quanto il quadro internazionale appaiono oggi assai più sfavorevoli di qualche anno addietro per le forze riformatrici, che nondimeno devono farsi carico del crescente malessere sociale.

Ma il dramma personale di Lula, destinato comunque a lasciare il segno profondo sugli umori del paese, e le difficoltà del PT amplificano oltre misura il rischio di governabilità per l’intero Brasile. La società fortemente polarizzata, la politica frantumata e scossa da accuse di corruzione che a cominciare dal presidente Temer coinvolgono interi gruppi dirigenti, la miopia dei grandi gruppi economici preoccupati esclusivamente di non retrocedere dalla posizione di decima potenza economica mondiale, caricano di pesanti incognite l’orizzonte della maggiore potenza del subcontinente americano.

mercoledì 18 aprile 2018

LE TESTIMONIANZE DALLA SIRIA: NON C' E' STATO ATTACCO CHIMICO


di Piotr

Il celebre, ambiguo ma pluripremiato giornalista inglese Robert Fisk, dell'Independent, ha visitato Duma. Ha dichiarato che si è mosso molto liberamente, senza essere né scortato né seguito dalla polizia e che non ha trovato traccia di alcun attacco chimico da parte dell'Esercito Arabo Siriano. 
Un medico dell'ospedale dove è stata ripresa la scena dei bambini che stavano male, ha dichiarato a Fisk che effettivamente questi bambini avevano problemi di mancanza di ossigeno però non di avvelenamento da gas: durante i bombardamenti si erano rintanati, come al solito, nelle cantine e nei tunnel scavati sotto casa che si sarebbero riempiti di polvere con conseguenze sulla respirazione.

Anche un reporter statunitense ha raggiunto Duma e intervistato decine di persone senza trovare alcun riscontro del fantomatico attacco chimico. Ecco la sua testimonianza su Youtube: https://youtu.be/wnkhQu-e0n0

Bisogna infine ricordare che diverse personalità occidentali non hanno creduto alla storia degli attacchi chimici, che invece è ancora ripetuta non solo dalla stampa maistream ma anche da Paolo Gentiloni (e da una pletora di sedicenti "marxisti" nostrani):
- Non ci ha creduto l'ex ambasciatore britannico in Siria, Peter Ford, qui alla BBC: https://youtu.be/Jxs53OqAkN8
- Non ci ha creduto il generale Jonathan Shaw, ex assistente capo della Difesa britannica ("censurato" dall'intervistatrice di Skynews):
https://www.mirror.co.uk/news/politics/tv-news-interview-former-army-12358938
- Non ci ha creduto Richard Falk, ex inviato speciale ONU per il conflitto israelo-palestinese (https://ilmanifesto.it/trump-la-missione-compiuta-di-menzogne/)

Durante il discorso al Parlamento Europeo dell'orrido Macron (un vergognoso pupazzo di Wall Street che ha ormai contro i due terzi della Francia) c'è stata una protesta di deputati, come qui sotto potete vedere. Di sicuro hanno partecipato i rappresentanti del Sinn Fein irlandese. Altro per ora non so.
Ad ogni modo Macron, che viene considedrato "intelligentissimo" da diversi miei amici di sinistra (per lo meno così mi dissero al momento della sua elezione) si sta rivelando un cazzaro come Renzi. Ha dichiarato ai giornalisti Jean-Jacques Bourdin ed Edwy Plenel "Io sono alla pari di Putin [...] Ho deciso di colpire la SIria per far sapere a Putin che anche noi siamo della partita (sic!)". Più che uno statista sembra un ubriaco al bar! 
Domenica aveva dichiarato di aver convinto Trump a non lasciare la Siria. Pochi secondi dopo Trump lo ha sbugiardato (e sì che considera Emmanuel Macron come il miglior leader europeo, pensa un po'). Trump per altro ha sbugiardato anche la sua ambasciatrice permanente all'ONU, l'erinni Nikki Halley, che aveva promesso nuove sanzioni contro la Russia (http://www.dailymail.co.uk/news/article-5622271/White-House-pulls-new-sanctions-Russia-Syrian-gas-attack-Haley-previewed.html).
Il cazzaro criminale Macron si è anche vantato che l'attacco alla Siria ha incrinato i rapporti tra la Turchia e la Russia. Ma anche qui è stato prontamente sbugiardato dal vice premier turco, Bekir Bozdag, e dal ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu.

Continuo ad avere l'impressione del primo momento: l'incidente di Duma è stata una manovra voluta da UK e Francia in combutta con ambienti statunitensi e pompierata da Trump. Ricordo che Obama alla fine del suo mandato si sfogò rivelando che anche l'attacco alla Libia fu un'iniziativa dei britannici e dei francesi (e ovviamente della Clinton e dei suoi sodali neo-liberal-cons, basti ricordare il suo ghigno psicopatico quando la informarono che Gheddafi era stato trucidato).

Comunque tra qualche settimana arriverà in zona la portaerei nucleare Truman, con il suo "strike group". Vedremo se Trump vuole fare veramente il pompiere o aiutare i piromani.
Nel frattempo mi aspetto negli USA qualche mossa di grosso calibro contro il presidente Pannocchia per tagliargli eventualmente l'idrante.

Piotr

martedì 17 aprile 2018

IL MIO INTERVENTO ALLA 9° CONFERENZA INTERNAZIONALE SU GERUSALEMME - RAMALLAH (PALESTINA)

(Il presidente palestinese Mahmud Abbas saluta i partecipanti alla conferenza)

13 aprile 2018


Asalamu alaikum,

mentre stiamo parlando di pace, fuori c'è uno scenario di guerra. I tamburi di guerra rullano. La storia dell'Iraq viene ripetuta in Siria con le armi di distruzione di massa. 

Riguardo al tema di Gerusalemme, è ormai chiaro che lo scopo del governo israeliano è la giudaizzazione della Palestina. Gerusalemme e la Terra Santa, come luogo di pace e dialogo tra le religioni, dovranno diventare il luogo della supremazia ebraica; non solo la supremazia politica, economica e militare, ma ora anche la supremazia religiosa. Quindi gli attacchi alla moschea di Al Aqsa e ai siti del cristianesimo sono giustificati.
Vi racconterò un episodio. Tre anni fa, l'ambasciatrice palestinese in Italia, la signora Mai al Kaila, fu invitata da me nella mia città per una visita di tre giorni. Prima della sua partenza, poiché è cattolica, l'ho portata a visitare un famoso santuario della Madonna nera. In quell'occasione ebbe un incontro con il vescovo che era appena arrivato il giorno prima da Gerusalemme. Egli ci ha raccontato che, nel luogo in cui, secondo la tradizione c'era il cenacolo, il luogo dell'ultima cena di Gesù Cristo, gli israeliani hanno scavato una galleria collocandovi all'interno una falsa tomba del re Davide. Quante tombe del re Davide ci sono in Israele? Questo è un esempio molto pericoloso della giudaizzazione di Gerusalemme; è un crimine contro il sentimento religioso e la pace. Come sapete, molti sionisti sono atei, ma dicono: "Dio ci ha promesso questa terra"!
Chi di voi è uno scrittore, uno storico come me, sa che abbiamo una responsabilità: testimoniare la verità e la giustizia. Io ho contribuito alla causa palestinese con il mio libro "Il terrorismo impunito", 700 pagine di documenti per raccontare i crimini sionisti contro un intero popolo, respingendo le menzogne propagandistiche israeliane.
Un mio amico, il famoso poeta Cheyenne, Lance Henson, una volta mi disse: "La tragedia del popolo palestinese è simile alla nostra tragedia come nativi dell'America". Ma c'è una differenza: i palestinesi non si arrenderanno mai; Il popolo palestinese non accetterà mai di essere rinchiuso in una riserva indiana. In conclusione, vi chiedo, per favore, fratelli e sorelle palestinesi, nella vostra lotta SIATE UNITI. PRIMA DI TUTTO.

Grazie tante

Diego Siragusa



ENGLISH VERSION

Asalamu alaikum,

while we are talking about pace, autdoors there is a war scenario. War drums are rolling. The history of Iraq is repeated in Siria with the weapons of mass destruction. Regarding the theme of Jerusalem, it is now quite clear that the purpose of the Israeli government is the judaisation of Palestine. Jerusalem and the Holy Land, as a place of peace and dialogue among religions, will have to become the place of jewish suprermacy; non only political, economic and military supremacy, but now even religious supremacy. So the attacks on the Al Aqsa mosque and the sites  of Christianity are justified. 
I’ll tell you an episode. Three years ago, Palestinian ambassador in Italy, madame Mai al Kaila, was invited by me to my town for a three days visit. Before her departure, because she is catholic, I led her to visit a famous sanctuary of the black Madonna. In that occasion she had a meeting with the bishop who had just arrived the day before from Jerusalem. He told us that in the place where, according the tradition, there was the cenacle, the place on the last supper of Jesus Christ, the Israelis has dug a tunnel placing inside a false tomb of king David. How many tombs of king David are in Israel? This is a very dangerous example of the judaisation of Jerusalem; it is a crime against the religious sentiment and peace. As you know, many Zionists are ateists, but they say: “God promised this land to us”!
Who among you is a writer, a historian like me, knows that we have a responsibility: to witness the truth and justice. I contributed to the Palestinian cause with my book “The unpunished terrorism”, 700 pages of documents to tell the Zionist crimes against an entire people, rejecting Israeli propaganda lies. 
A friend of mine, the famous Cheyenne poet, Lance Henson, once said to me: “The tragedy of Palestinian people is similar to our tragedy as natives of America”. But there is a difference: pal4estinian people will never give up; Palestinian people will never accept to be restricted in an Indian reserve. I ask you, please, Palestinian sisters and brothers, GET UNITED. BEFORE ALL.

Thank you very much



Falsi made in Usa e bugie made in Italy


di Manlio Dinucci

il manifesto, 17 aprile 2018 

Per motivare la guerra del 2003, gli Usa accusarono l’Iraq di possedere armi di distruzione di massa: il segretario di stato Colin Powell presentò all’Onu una serie di «prove» risultate poi false, come ha dovuto ammettere lui stesso nel 2016. 

«Prove» analoghe vengono oggi esibite per motivare  l’attacco alla Siria effettuato da Stati uniti, Gran Bretagna e Francia. Il generale Kenneth McKenzie,  Joint Staff Director del Pentagono, ha presentato il 14 aprile una relazione, corredata da foto satellitari, sul Centro di ricerca e sviluppo Barzah a Damasco, definendolo «il cuore del programma delle armi chimiche siriane». 


Il Centro, che costituiva il principale obiettivo, è stato attaccato con 76 missili da crociera (57 Tomahawk lanciati da navi e sottomarini e 19 Jassm da aerei). L’obiettivo è stato distrutto, ha annunciato il generale, «riportando indietro di anni il programma delle armi chimiche siriane». 

Questa volta non c’è bisogno di aspettare tredici anni per avere conferma della falsità delle «prove». Un mese prima dell’attacco, il 13 marzo, l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opcw) aveva ufficialmente comunicato il risultato della seconda ispezione, effettuata al Centro Barzah nel novembre 2017, e dell’analisi dei campioni prelevati ultimata nel febbraio 2018: «La squadra di ispezione non ha osservato alcuna attività in contrasto con gli obblighi derivanti dalla Convenzione sulle armi chimiche». Non a caso il Centro Barzah è stato distrutto poco prima che arrivassero per la terza volta gli ispettori della Opcw. 

La Siria, Stato membro della Opcw, ha completato nel 2014 il disarmo chimico, mentre Israele, che non aderisce alla Convenzione sulle armi chimiche, non è sottoposto ad alcun controllo. Ma di questo non parla l’apparato politico-mediatico, che accusa invece la Siria di possedere e usare armi chimiche. 

Il  premier Gentiloni ha dichiarato che l’Italia, pur appoggiando «l’azione circoscritta e mirata a colpire la fabbricazione di armi chimiche», non vi ha in alcun modo partecipato. In realtà, essa è stata precedentemente concordata e pianificata in sede Nato. Lo prova il fatto che, subito dopo l’attacco, è stato convocato il Consiglio Nord Atlantico, nel quale Stati uniti, Gran Bretagna e Francia hanno «aggiornato gli Alleati sull’azione militare congiunta in Siria» e gli Alleati hanno espresso ufficialmente «il loro pieno appoggio a tale azione».

Gentiloni ha inoltre dichiarato che «il supporto logistico che forniamo soprattutto agli Usa non poteva in alcun modo tradursi nel fatto che dal territorio italiano partissero azioni direttamente mirate a colpire la Siria». In realtà, l’attacco alla Siria dal Mediterraneo è stato diretto dal Comando delle forze navali Usa in Europa, con quartier generale a Napoli-Capodichino, agli ordini dell’ammiraglio James Foggo che comanda allo stesso tempo la Forza congiunta Nato con quartier generale a Lago Patria (Napoli). 

L’operazione bellica è stata appoggiata dalla base aeronavale Usa di Sigonella e dalla stazione Usa di Niscemi del sistema Muos di trasmissioni navali. Come mostrano i tracciati radar, i droni spia Usa RQ-4 Global Hawk, decollando da Sigonella, hanno svolto un ruolo fondamentale nell’attacco alla Siria, appoggiato con aerei-cisterna per il rifornimento in volo dei caccia. 

L’Italia condivide dunque la responsabilità di un’azione bellica che viola le più elementari norme del diritto internazionale. Non si sa ancora quali saranno le sue conseguenze, è certo però che essa alimenta le fiamme della guerra. Anche se Gentiloni assicura che «non può essere l'inizio di una escalation».

lunedì 16 aprile 2018

SIRIA: LE MENZOGNE SULLE ARMI CHIMICHE


di Piotr

Gli Stati Uniti hanno dichiarato di aver lanciato 105 missili contro la Siria nel raid dell'altro giorno. Sempre secondo le fonti ufficiali statunitensi, quasi tutti, cioè esattamente 76, sono stati lanciati contro il Barzah Research and Development Center, colpevole, di nuovo secondo le dichiarazioni ufficiali, di “produrre clorina e sarin” (generale McKenzie).
Peccato che il 22 novembre scorso l'Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (OPCW) avesse ispezionato il centro di Barzah ed escluso che producesse armi chimiche e che questi risultati siano stati riconfermati il 23 e il 28 febbraio di quest'anno. Qui di seguito il report del 13 marzo scorso:

Se questo è stato l'obiettivo principale, se ne può dedurre che anche i rimanenti 29 missili sono stati lanciati contro siti dove non si producevano affatto armi chimiche.
Perché? Perché il Pentagono non aveva letto il rapporto dell'OPCW? No, ovviamente. Semplicemente perché non c'è stato nessun attacco chimico, bensì una provocazione preparata dagli UK (e dalla Francia) e messa in cartellone da circa un mese quando tutto il mondo ormai sapeva che sarebbe stata anche messa in scena.
Questo modo di procedere così sputtanato che fa sembrare la miserabile provocazione del lupo di Fedro ("Perché intorbidi l'acqua che sto bevendo?") come una raffinatissima manovra strategica, dimostra quanto le vecchie potenze coloniali europee e i loro alleati negli USA siano in affanno, disperati ed estremamente pericolosi.
Possiamo domandarci allora: “Come qualificare chi ha creduto alla fandonia dell'attacco chimico?”
Chi questa fandonia l'ha prodotta e chi l'ha divulgata ha già una qualifica precisa: criminali i primi e prezzolati (dai criminali) i secondi. Ma chi ci ha creduto?
Io, francamente, ho perso la pazienza con queste persone, perché non è sopportabile che la Meloni e Salvini rilascino dichiarazioni (formalmente) corrette mentre la sinistra al 95% crede a tutte le fake news imperiali quando addirittura non sostiene apertamente ogni singolo attacco criminale dell'impero. Persone che accolgono acriticamente la propaganda di guerra per cercare di ricavarci un bozzolo dove raggomitolarsi in posizione fetale e sperare che il mondo cattivo non li veda. Persone per le quali le menzogne dei potenti sono l'ultimo orizzonte eco-sostenibile per la loro identità destinata all'estenzione.
E che si estingua, al fine! E che il suo modo miserabile e tragicomico di pensare non risorga da altre parti alla pura insegna dell'opportunismo politico. Si stia attenti! Perché nelle fasi acute di una crisi sistemica, che è mondiale, l'impronta generale della politica è data da quella estera. Se quella estera procede nella direzione sbagliata quella interna è destinata a deragliare.

"Questo misero modo

tengon l'anime triste di coloro
che visser sanza infamia e sanza lodo.

Mischiate sono a quel cattivo coro

delli angeli che non furon ribelli
né fur fedeli a Dio, ma per sé foro.”


mercoledì 4 aprile 2018

COLPI DI CODA O OFFENSIVA FINALE? Israele, UK, Usa, UE; gas nervini e partite di caccia: Stati canaglia all’assalto


di Fulvio Grimaldi
(ex giornalista di RAI3)


Che il mostro sia ferito è indubbio, che abbia la forza per menare colpi di coda, o allestire
una soluzione finale è da vedere. La resa dei conti, in ogni caso, ha per obiettivo Putin e la
sua Russia, nonché i popoli europei a metà strada tra est e ovest. Quella Russia che,
sottratta al magliaro Eltsin e agli avvoltoi interni ed esterni che lo sbronzone aveva invitato
alla tavola apparecchiata con le membra mozzate dei popoli sovietici, rimessasi in piedi e
in cammino, ha dato l’altolà al processo della mondializzazione imperialista, ha asserito e
concretizzato il suo diritto ad avere una parola in merito a se stessa e al pianeta, si è
mossa in sostegno di tale diritto e a difesa di chi dalla mondializzazione imperialista
doveva essere spianato.
Siamo alle provocazioni che dovrebbero avvicinare quel confronto risolutivo da cui soltanto
degli invasati mentecatti, manovrati al potere dalla storica cupola finanzcapitalista,
possono aspettarsi una sistemazione dell’ordine mondiale che mantenga in vita l’umanità.
Ci stiamo avvicinando a quel confronto, inevitabilmente nucleare, o vi siamo già dentro?
That is the question. Vediamo.

Il Quarto Reich

La palma degli affossatori di ogni diritto, decenza, morale, umanità, spetta a Israele, ai
superatori dei nazisti che dirigono il paese e proclamano il “più morale del mondo” un
esercito che va alla partita di caccia contro donne uomini e bambini inermi e, dispiace
dirlo, caccia condivisa dall’incirca 80% della sua popolazione che con tale banda di
licantropi si schiera nell’occasione di ogni bagno di sangue, da 70 anni a questa parte. Per
farsi sparare come uccelli di passo da energumeni i cui cervelli grondano sangue e
cinismo, i palestinesi di Gaza, in trentamila e mani nude alle soglie delle terre loro rubate,
hanno preteso di ricordare il diritto al ritorno a dove erano stati spossessati. Un diritto
decretato innumerevoli volte dalla comunità internazionale, l’ONU, quella ufficiale,
vagamente più titolata di un’altra sedicente “comunità internazionale” che pretende di
prevalere su quella che comprende 193 nazioni, mentre non è che il decimo NATO
dell’umanità. Titoli dell’ONU manomessi nel tempo dalla protervia degli Usa e che un
segretario sguattero ha definitivamente sotterrato con la sua patetica equiparazione tra
assassini seriali e di massa e loro vittime.

Io quelli del ritorno li ho visti, conosciuti, frequentati. Ci ho vissuto insieme nei campi, da
Tel Al Zataar in Libano a Dheisheh sotto Betlemme. Ho visto dare loro la caccia, seconda
ondata di profughi, nella guerra dei Sei Giorni, 1967, su per la Galilea e sopra al Golan,
villaggi bruciati, gente in fuga con le masserizie caricate su carri e asini, i carri con la Stella
di Davide appresso, con i cingoli e le cannonate.
La “Grande Marcia del Ritorno” è stata fatta nella ricorrenza della Giornata della Terra,
quella di un altro 30 marzo, 1976. I morti ammazzati dall’esercito “più morale”del mondo”
erano stati sei, i feriti un centinaio. E una buona parte di mondo civile ha protestato,
manifestato, detto ai killer quello che gli era dovuto. Il vittimismo che Israele e buona parte
della comunità ebrea internazionale utilizzano come arma-fine- del mondo per asfaltare
chiunque osi alzare sopraccigli sulle nefandezze dello Stato etnico-confessionale sionista,
ne rimase incrinato per un po’. Stavolta la mattanza è di 17 morti (finora) e di 2000 feriti e
la stampa ciancia di “reazione sproporzionata” alle “minacce di Hamas”. Il New York

Times, standard aureo del giornalismo per la nostra comunità di presstitute, nasconde i
laghi di sangue e i campi della morte e delle mutilazioni sotto l’insegna “Il diritto di Israele
di difendersi”. Niente di sorprendente: è l’house organ degli antrpofagi di tutte le guerre, di
tutte le rapine, di tutte le devastazioni.

Israeliani contro la strage di Gaza

Ma qui non dovremmo esimerci dal tributare riconoscenza e onore a quei pochi ebrei che
hanno manifestato contro il massacro dei propri moralissimi carnefici. Basterebbe uno solo
di questi manifestanti coraggiosi, o un solo Pappè, un solo Finkelstein, un solo Atzomon,
per impedirci di generalizzare.
Come per i migranti, tutti “rifugiati”, nessuno parte mai dal primo anello della catena,
l’espulsione coatta o necessitata da interventi occidentali – bombe, multinazionali, Ong -
nel quadro dell’appropriazione di terre e risorse, così sono bastati pochi lustri perché
l’opinione pubblica, quella vigile e agguerrita, si adagiasse nella comoda sdraio dell’oblio.
Oblio del primo anello, il crimine, vero male assoluto, contro un popolo titolare millenario
della sua terra, invaso, espropriato, sradicato, massacrato, tenuto in ceppi. Un rigurgito del
più feroce colonialismo dei secoli precedenti, salutato come bastione di civiltà e unica
democrazia in un Medioriente popolato da selvaggi.

Quanto i cari rifugiati stanno sulle palle

A tale bastione di civiltà e diritti umani accorrono ora coloro che, ove incorsi nella rete
criminale di trafficanti e Ong nel Mediterraneo sono profughi da accogliere senza se e
senza ma, da Israele vengono messi davanti all’alternativa: o il carcere, o l’espulsione
verso Ruanda e altri paesi (che non li vogliono). Sono quei circa 30mila cui è riuscito di
penetrare in Israele sfuggendo alle fucilate delle guardie di frontiera nel Sinai. Si urla sulle
terribili condizioni in cui i migranti sono tenuti nei campi libici e, alla luce di racconti non
strumentali si esagera alla grande al solito scopo di incrementare il traffico, lo
sradicamento, l’operazione di spostamento di popolazioni. Andassero a vedere come sono
trattati quelli che finiscono nei campi israeliani in mezzo al deserto del Negev. Con una
sfrontatezza degna di coloro che a certi fondatori dello Stato canaglia dissero “O
Auschwitz, o la Palestina”, il plurindagato per ladrocinio e corruzione Netaniahu concorda
con i gaglioffi dell’ONU di scaricare sull’Italia parte dei primi 16mila da cacciare. Avete
udito anche solo un flebile fiato di sconcerto e riprovazione da parte di quella lobby,
israelita per buona parte, con a capo gli umanitaristi da Nobel Erri De Luca e Furio
Colombo, che si sdilinquisce h24 sulla disperazione dei migranti, la nobiltà dei soccorritori,
l’infamia di chi ne denuncia e indaga il malaffare e gli occulti mandanti?

Botta ai serbi, che Mosca non s’illuda….

Kosovo: uno Stato canaglia che non è neanche il caso di definire Stato e a cui la qualifica
di canaglia va stretta, dato che si tratta semplicemente di una gigantesca base Usa
circondata da pretoriani selezionati accuratamente tra tagliagole UCK, trafficanti di organi
e di stupefacenti e messi a capo, a Pristina, di un sedicente governo. Nel quadro
strategico delle botte da dare a destra e manca, in una dimostrazione di muscoli che
ricomponga un equilibrio largamente alterato dalle vittorie siriane, irachene e russe in

Mediorente (vittorie con retrogusto amaro, se la liberazione di Ghouta comporta la
ricollocazione degli sgherri Nato, sauditi e turchi a Idlib e Afrin, area definitivamente
sottratta dai turchi), sono state mosse anche le pedine criminali kosovare.
Un manipolo di sbirri albanesi è stato spedito nell’enclave rimasta ai serbi dopo la pulizia
etnica di 300mila dei titolari di questa terra. A Mitrovica, la città sull’Ibar divisa tra le due
nazionalità, nella parte serba era riunita la delegazione, con rappresentante di Belgrado,
incaricata delle trattative con Pristina sul futuro della regione. Era il 27 marzo ed erano
passati due mesi da quando un killer senza volto, ma con mandante certo, ha ucciso con
sette pallottole, sparate da un auto in corsa, il lader storico della minoranza serba, Oliver
Ivanovic. La soldataglia del premier narcos, Hashim Thaci, è penetrata nella sede della
riunione, ha sparato e picchiato, ferito 32 persone, arrestato il rappresentante del governo
di Belgrado, Marko Djuric, e ha sfasciato tutto. Nessun intervento, né prima, né dopo, delle
forze dell’ONU. Compiaciuto silenzio delle cancellerie e dei media che si sono inventate
questo aborto di entità. Lezione alla Serbia che tentenna su UE e Nato e, per proprietà
transitiva, alla Russia che, diversamente dal traditore della Serbia Eltsin, con Putin è
tornata a occuparsi di questa nazione sorella.

“Sinistra” di complemento per genocidi

Sullo sfondo del destino della Jugoslavia e della Serbia distrutte e devastate c’è,
ricordiamocelo, la sciagurata ed efferata “sinistra” chic, radicale, o comunque la si voglia
chiamare, in ogni caso collaborazionista, che, col “manifesto”, centri sociali, pezzi di
Rifondazione, slinguazzava i mentitori imperiali che distorcevano le figure apicali dei paesi
da obliterare in dittatori sanguinari intenti a massacrare i propri popoli e minacciare
l’Occidente. Così, satanizzando Milosevic, lastricarono la via all’aggressione, alla

restaurazione reazionaria, quando non fascista, nelle varie repubbliche, all’amputazione
dell’Europa. Truppe di complemento dei genocidi, non si sono mai fermate; ovunque il
maglio imperialista volesse abbattersi, allestivano il terreno con il loro glifosato. Peste li
colga.

Morto un Russiagate se ne fa un altro: 
i gas nervini di Londra

Il Russiagate, arma farlocca che spara a salve, ma di notevole potenza deflagrante
mediatica, era stato messo quasi fuori gioco dalle rivelazioni del Senato sul dossier
confezionato da spie britanniche in accordo con il campo di Hillary Clinton (già in grave
difficoltà per lo scandalo delle mail riservate scambiate su indirizzi privati) e inteso a
inventarsi ogni sorta di porcata di Trump, compresi i connubi con Mosca e Putin. Polveri
bagnate da asciugare ed è uscito l’avvelenamento del russo, spia britannica, Sergei
Skipral e della figlia Julia. Non è stata esibita la minima prova, non è stata aperta un
indagine, non è stato individuato un avvelenatore. E’ bastata la parola di Theresa May,
come ogni premier britannico del dopoguerra velina o paggio dell’inquilino della Casa
Bianca, per determinare la responsabilità dei russi, anzi di Putin. Presunta patria del diritto
e della democrazia moderni, tali diritto e democrazia ha intossicato peggio di chi ha
avvelenato Skipral con il famigerato agente nervino Novichok.
Un ludibrio di cui Londra si era già coperta quando addossò a Gheddafi l’esplosione in
volo su Lockerbie in Scozia, a Natale 1988, di un aereo Pan Am con 268 persone a bordo.
Il giudice della sentenza conclusiva, a Edimburgo, definì la sentenza che aveva incolpato
la Libia un “travestimento della giustizia”.

Novichok, chi ce l’ha e a chi conviene usarlo

Del Novichok si sanno per certe alcune cose, del tutto ignorate dal coro di più o meno
riluttanti domestici obbedienti che alle espulsioni di diplomatici russi hanno aggiunto le
loro, per un totale di 150, riuscendo a infliggersi il danno del peggiore deterioramento di
rapporti con un partner prezioso come la Russia dai tempi della crisi dei missili a Cuba. La
sostanza chiamata Novichok era stata sviluppata in URSS negli anni ’70, ma fu distrutta
nel 1997, insieme all’intero arsenale chimico russo, sotto la sorveglianza
dell’Organizzazione Internazionale per la Proibizione delle Armi Chimiche (OPCW). Uno
scienziato russo coinvolto in quella ricerca, Vil Mirzayanov, oggi alloggiato in una villa
milionaria a Princeton, New Jersey, nel 1996 se ne fuggì negli Usa dove illustrò agli
interessantissimi colleghi del Pentagono ogni dettaglio della sostanza, di cui con ogni
probabilità portò qualche campione con sè, visto che già ne aveva venduto dosi a boss
mafiosi degli Stati baltici. Scrisse tutto in un libro “Segreti di Stato. Il racconto di chi ha
partecipato al programma russo delle armi chimiche”. Hillary Clinton ordinò di farlo sparire
e che non se ne facesse parola.

Non è dunque vero, come affermano gli accusatori, che solo i russi sapevano di Novichok.
E’ invece vero che coloro che per la Clinton confezionarono il falso dossiere Russiagate, i
vecchi spioni del britannico Mi6 Christopher Steele e Pablo Miller, in questa storia
c’entrano e parecchio. Fu Miller l’agente dei servizi britannici a reclutare Skipral. Fu
Skipral, con ogni probabilità, a fornire a Miller e Steele materiale per il Russiagate. Skipral
e figlia furono avvelenati a Salisbury. Miller vive a Salisbury ed era in rapporti di amicizia
con l’ex-agente russo. A poche miglia da Salisbury, a Porton Down, si trovano i più grandi
laboratori per armi chimiche del Regno Unito. E’ proprio un azzardo da complottisti in
delirio pensare che se agli americani è arrivato il Novichok, questi non l’abbiano condiviso
con gli azionisti di minoranza britannici? E ora una notizia dell’ultima ora, subito
soppressa dai giornaloni e schermoni, ci rivela che da Porton Down viene dichiarato
di non poter produrre prova che quel Novichok sia di provenienza russa. Forse la
bufala della May e del suo ministro degli esteri, il caratterista Johnson, è talmente
surreale che qualche testa responsabile tra gli scienziati ci ha messo una zeppa.
E non abbiamo neanche fatto ricorso alla logica che polverizza qualsiasi teoria: a chi è
convenuto accusare la Russia di aver condotto un attacco chimico (quello che,
grazie agli occhiuti russi, non si è riuscito a combinare a Ghouta, in Siria) contro la
popolazione su suolo britannico?

Siamo vicini a mezzanotte o già lì?

Gli scienziati che sorvegliano le condizioni per le quali ci stiamo avvicinando o
allontanando dall’ora X nucleare, hanno spostato l’orologio dell’apocalisse a due minuti da
mezzanotte. Ciò su cui è lecito argomentare è se l’offensiva Usa-UK- Israele-Nato sia una
virulenta risposta ai contraccolpi arrivati dalla Siria, alla recentissima firma tedesca
dell’accordo con i russi per la costruzione del secondo oleodotto attraverso il Baltico (Nord
Stream 2) e, addirittura, all’affermarsi in Italia di forze politiche poco in linea con l’UE e
con le sanzioni alla Russia. Per la verità non è più la Russia con i suoi hacker ad aver fatto
vincere Trump, Brexit e, si parva licet… Di Maio e Salvini. Ora i ruoli si sono invertiti e pare
che questi esiti nefasti li abbiano sulla coscienza FB e Cambridge Analytica. Ma vedrai
che ci troveranno una manina russa in qualche modo. Ma quali milioni impoveriti dalle
guerre di Obama/Clinton! Ma quali lavoratori e disoccupati inglesi stufi di sputare sangue
per l’austerity di Draghi e Juncker! ma quale un italiano su cinque sotto o attorno alla
soglia di povertà e nauseati da un partito di grassatori e da una sinistra che ne regge lo
strascico…!
Per cui, in vista di uno scontro decisivo con il grande antagonista in costante crescita, con
il suo ostico presidente confermato nel voto in misura come nessun governante
occidentale si sognerebbe, è necessario inventarsi continuamente nuovi motivi per
distrarre l’Europa dalle sue inclinazioni/tentazioni verso il proprio spazio economico
naturale, che non sta a ovest, ma a est. Armeggiando e costringendo ad armeggiare
intorno ai confini dell’Orso, tagliandosi gli attributi per fargli male.
Nell’ipotesi peggiore siamo già alla vigilia di quello scontro decisivo, del redde rationem,
dell’armageddon contro coloro, Russia e Cina, che oggi come oggi costituiscono per i
forsennati del governo mondiale unipolare dei ricchi un ostacolo insormontabile .
Ricordiamoci che a Washington sono pazzi e che a tutti gli altri intorno a noi in Uccidente
sono appassite le gonadi.