di Manlio Dinucci |
da il manifesto
Bombardare – ha dichiarato la ministra della difesa Pinotti (Pd) – «non deve essere un tabù». Cade così in Italia ed Europa il tabù della guerra e, con esso, anche quello del nazismo. A Kiev, riferisce l’Ansa in un documentato reportage (4 novembre), arrivano ogni settimana da mezza Europa (Italia compresa) e dagli Usa decine di «professionisti della guerra» reclutati soprattutto da Pravy Sektor e dal battaglione Azov, di chiara impronta nazista.
I battaglioni neonazisti fanno parte della Guardia nazionale, addestrata da istruttori statunitensi e britannici. In tale ambito vengono addestrati e armati anche gli stranieri, inviati quindi a combattere nel Donbass contro i russi di Ucraina. Al rientro in patria, viene fornito loro «il passaporto ucraino, una sorta di lasciapassare che può servire in tutto il mondo».
Il quadro è chiaro. L’Ucraina di Kiev, di fatto già nella Nato sotto comando Usa, è divenuta il «santuario» del risorgente nazismo nel cuore dell’Europa. Il regime di Kiev ha messo fuori legge non solo il Partito comunista ma il comunismo in quanto tale, la cui professione viene considerata reato.
Ha trasformato l’Ucraina in centro di reclutamento di neonazisti provenienti da paesi europei ed extraeuropei, di fatto selezionati, addestrati e armati dalla Nato. Dopo essere stati messi alla prova in azioni militari reali nel Donbass, vengono fatti rientrare con il «lasciapassare» del passaporto ucraino nei loro paesi, Italia compresa. Qui i più capaci entrano nella nuova Gladio, pronta, se necessario, a provocare altre «piazze Maidan» (o peggio) in Europa. Tutto questo con la connivenza dei governi europei.
A chi considera tale scenario «complottista», consigliamo di visionare l’intervento di Ferdinando Imposimato, Presidente onorario della Suprema Corte di Cassazione, al Convegno internazionale organizzato a Roma il 26 ottobre dal Comitato No Guerra No Nato. Egli afferma che «nelle indagini che ho fatto sulle stragi, da quella di Piazza Fontana a quelle di Capaci e di Via d'Amelio, si è accertato che l'esplosivo utilizzato veniva dalle basi Nato». Qui «si riunivano terroristi neri, ufficiali della Nato, mafiosi, uomini politici italiani e massoni, alla vigilia di attentati. E questo accade dai primi anni Sessanta ininterrottamente».
In tale situazione, continua invece a dominare, nella sinistra italiana ed europea, il tabù della Nato. In Italia, nessun partito dell’opposizione parlamentare ha nel suo programma l’uscita dalla Nato.
In Grecia, Syriza ha di fatto cancellato dal suo programma l’obiettivo di «chiudere tutte le basi straniere in Grecia e uscire dalla Nato», come quello di «abolire gli accordi di cooperazione militare con Israele», che sono stati invece rafforzati da quello sottoscritto lo scorso luglio da Panos Kammenos, fondatore del partito di destra Anel, al quale il governo Tsipras ha affidato il ministero della difesa.
Lo stesso in Spagna, dove Podemos, che aveva nel suo programma un referendum per l’uscita della Spagna dalla Nato, lo ha ridimensionato mettendo nel programma per le elezioni del 20 dicembre l’obiettivo di «una maggiore autonomia strategica di Spagna ed Europa in seno alla Nato». Sergio Pascual, dirigente e candidato di Podemos a Siviglia, dichiara che, riguardo alle basi Usa in Spagna, «rispetteremo fino all’ultima virgola gli accordi sottoscritti dal nostro paese». Il generale Julio Rodriguez, candidato di Podemos quale futuro ministro della difesa, ribadisce che «la Nato è necessaria». Come lo era nel 2011 quando Rodriguez, già capo di stato maggiore, collaborava, come capo della missione spagnola nella Nato, al bombardamento della Libia.
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PALESTINA OCCUPATA, AL KHALIL
Sono entrati sotto copertura stanotte alle 3,00, fingendo di dover portare una donna incinta. Il raid nell'unità di chirurgia dell'all'Ahli Hospital di Al Khalil. Il bersaglio, Azzam Ezzat al-Shalaldeh, 20 anni, ricoverato in gravi condizioni dal mese scorso per una ferita d'arma da fuoco, da interrogare o arrestare.
Hanno ammanettato il fratello Bilal al letto, mentre il cugino Abdulla si trovava in bagno. Uscito dal bagno gli hanno sparato un proiettile dietro l'orecchio, un altro al petto e due alla mani. Cinque colpi ed Abdulla al-Shalaldeh, 28 anni, è morto sul colpo.
Azzam Ezzat al-Shalaldeh, invece, è stato rapito, nonostante le sue condizioni fisiche.
Le riprese video delle telecamere di sicurezza mostrano un gruppo di circa 16 uomini che camminano lungo i corridoi dell'ospedale appena prima 04:00 spingendo una sedia a rotelle, quando improvvisamente l'uomo seduto toglie la coperta, si alza in piedi, e tutti gli uomini estraggono pistole e fanno irruzione.
Il filmato mostra anche quello che sembra essere un soldato israeliano vestito da donna palestinese ed altri agenti israeliani vestiti da uomini palestinesi, con kuffiyeh e barbe finte.
Un portavoce dell'esercito israeliano non ha rilasciato commenti sulla presenza di forze sotto copertura durante il raid, mentre i media israeliani hanno riferito che le forze sono arrivate in due grandi furgoni con qualcuno che fingeva di essere una donna incinta.
Il portavoce dell'esercito ha detto a Ma'an che una forza combinata di membri dell'esercito e della polizia israeliani è entrato in ospedale per arrestare Azzam, quando un "sospetto ha attaccato le forze."
Le forze hanno risposto sparando, uccidendo l'uomo.
Il portavoce ha detto che le forze hanno arrestato Azzam perché accusato di "aver accoltellato un israeliano al petto a Gush Etzion" il 25 ottobre, ferendolo gravemente. Ha aggiunto che "la vittima gli ha sparato", mentre abbandonava il luogo.
Secondo il portavoce la famiglia Shalaldah fa parte di Hamas.
Fonti palestinesi riportano invece che Azzam è stato sparato da un colono israeliano mentre lavorava nei campi.
Il link del video :
Fonte : Ma'an
INTERVISTA AL PROF. YIGAL BRONNER
NENANEWS
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La biblioteca dell'Università di Oxford
In un annuncio a tutta pagina che dovrebbe essere pubblicato sul quotidiano The Guardian il Martedì, gli studiosi accusano Israele di occupazione abusiva, violazione dei diritti umani e resistenza a qualsiasi soluzione.
Haaretz 26 Ottobre 2015 08:55
Una lettera a sostegno della causa palestinese, firmata da 343 studiosi britannici, dovrebbe essere pubblicato come pagina di pubblicità integrale sul quotidiano Guardian del martedì.
Segnalando la lettera, il Jewish Chronicle ha detto che i firmatari provengono da 72 istituzioni, tra cui le prestigiose università di Oxford e Cambridge.
"Come studiosi associati a università britanniche, siamo profondamente turbati dall'occupazione illegale di Israele della terra palestinese, dalle violazioni intollerabili dei diritti umani inflitte a tutte le parti del popolo palestinese e dall'evidente determinazione israeliana a resistere a qualsiasi soluzione fattibile", scrivono gli accademici nella lettera.
I firmatari si impegnano a rifiutare inviti a visitare le istituzioni accademiche israeliane, di respingere gli arbitrati accademici e di stare lontano da tutte le conferenze "finanziate, organizzate o sponsorizzate" da istituzioni israeliane.
Tuttavia, dicono che continueranno a lavorare con i loro colleghi israeliani "a titolo personale".
La lettera risponde al lancio, nella scorsa settimana, di un'iniziativa pro-Israele sostenuta da 150 scrittori, artisti e musicisti, tra cui l’autrice di Harry Potter J.K. Rowling che si oppone al boicottaggio di Israele.
Il Jewish Chronicle ha citato la prof.ssa Jane Hardy dell'Università di Hertfordshire che ha detto: "Questa è un'opportunità per gli accademici di aggiungere la loro voce al crescente movimento internazionale che ritiene Israele responsabile delle sue violazioni dei diritti umani e, in particolare, la privazione di opportunità per i nostri colleghi palestinesi a partecipare alla comunità accademica globale.
"L'impegno non chiede la cessazione dei rapporti con i singoli colleghi, né la fine del dialogo, piuttosto si tratta di un boicottaggio delle istituzioni direttamente o indirettamente complici nell'occupazione sistematica e illegale della Palestina."
La dott.ssa Rachel Cohen della City University di Londra, ha detto che "è responsabilità di quelli tra noi che hanno la libertà di agire di esercitare quella libertà a sostegno dei nostri colleghi delle università palestinesi che non hanno questa libertà."
Mentre Israele si presenta come un finanziatore illuminato dell'attività didattica, Cohen ha detto, che "nega sistematicamente agli accademici palestinesi e agli studenti le loro libertà fondamentali, come la libertà di movimento necessaria per partecipare a conferenze accademiche internazionali, o semplicemente per arrivare alle lezioni in tempo."
(Traduzione di Diego Siragusa)
Per saperne di più: http://www.haaretz.com/israel-news/1.682420
di Susan Abulhawa
(scrittrice palestinese)
22 ottobre 2015
Nel 1845 il Luogotenente Colonnello George Gowler presentò un rapporto dettagliando il potenziale per la colonizzazione ebraica della Palestina. Gli ostacoli che prevedeva avevano a che fare con le risorse e la fattibilità di convincere gli ebrei a immigrare in Palestina. Nessuna considerazione fu data alla popolazione palestinese nativa che viveva già lì da secoli.
Decenni dopo, nel decidere il destino della Palestina, il cosiddetto mandato britannico, Lord Balfour, dichiarò: “Non proponiamo neanche di adottare il sistema di informarsi sui desideri degli attuali abitanti del paese.” Però, davanti a una rivolta palestinese, i britannici si ritirarono, resisi conto dell’errore di avere ignorato la volontà e l’umanità della popolazione indigena. Poi, quando i sionisti fecero la prima conquista della Palestina, espellendo oltre l’80% della popolazione nativa, Ben Gurion (nato in Polonia con il nome David Grunn), predisse trionfalmente che la popolazione nativa sarebbe certamente sparita. “I vecchi moriranno e i giovani dimenticheranno,” disse.
Anche lui si sbagliava, e molti decenni dopo, dato che questa fantasia sionista non si materializzò, Israele ipotizzò che la forza bruta e la completa colonizzazione della terra alla fine avrebbe ottenutolo sradicamento della società indigena della Palestina. Il capo di stato maggiore dell’esercito Raphael Eitan si è espresso con estrema onestà quando ha detto: “Quando avremo organizzato tutta la terra con gli insediamenti, tutto quello che gli arabi (palestinesi) saranno in grado di fare al riguardo, sarà muoversi rapidamente intorno come scarafaggi drogati in una bottiglia.”
Di nuovo, davanti allo stesso errore, Israele ha semplicemente aumentato la sua brutalità. “Dobbiamo uccidere, uccidere e uccidere, ogni giorno,” ha spiegato un professore israeliano e una preminente legislatrice israeliana ha lanciato questo invito di genocidio che includeva l’uccisione delle madri palestinesi e dei loro neonati che chiamava “piccoli serpenti”. E ora, come un petulante bambino viziato che non era riuscito a fare come voleva riguardo all’accordo con l’Iran, Netanyahu ha riunito i suoi gangster, facendoli camminare con passo pesante sul terreno sacro per buttare giù la casa, un capriccio epico per il presidente Obama, come a voler dire: guarda che cosa so ancora fare.
La nuova escalation di sradicare la Palestina ora è di arruolare la popolazione civile per armarla e unirsi ai loro delinquenti militari contro la nostra popolazione non armata. Video e notizie di recenti esecuzioni fatte a casaccio, accoltellamenti, e la brama di sangue abbondano su Internet.
E tuttavia noi restiamo.
La nostra società antica, sebbene frammentata e trattata in modo violento, resiste sprezzante, tenace, appassionata e salda. Sebbene traumatizzati e senza guida, restiamo ribelli, coraggiosi e risoluti. Non importa dove siamo, occupati, o trasferiti, e sparsi per il mondo – Gaza, la Cisgiordania, Gerusalemme, i campi profughi del Libano o la Siria o l’Iraq, l’esilio in una diaspora che raggiunge ogni angolo del mondo – continuiamo ad agire insieme, legati da una ferita collettiva, una ferita che gli ebrei dovrebbero comprendere.
Come devono essere sorpresi! Come devono sentirsi totalmente demoralizzati per avere tale potenza militare ed essere, in qualche modo, deboli e piccoli davanti alle nostre pietre.
Come devi sentirti senza fiato, Israele. Come deve essere devastante fallire così miseramente in un compito, anno dopo anno, decennio dopo decennio. Avere ripetutamente intensificato tattiche di morte e di crudeltà, ma non essere riusciti a schiacciarci. Aver portato via bambini a migliaia, quando ancora si facevano la pipì addosso, e scoprire che altre migliaia avevano preso il loro posto il giorno dopo a lanciare sassi contro i vostri carri armati e le vostre armi. Imprigionarli così giovani quando piangono per la paura e grideranno cercando le madri, soltanto per crescere sprezzanti e combattendovi ancora.
Demolire case e intere città, soltanto scoprire che le ricostruiamo e le moltiplichiamo più in fretta di voi. Vederci ballare, studiare, sposarci e avere figli durante il vostro assedio infinito, la vostra occupazione e le campagne di massacri. Vederci vivere dopo che avete fatto a brandelli i nostri cuori con il dolore e le perdite. Bombardare e distruggere le nostre scuole, impedire ai bambini e agli insegnanti di raggiungere le loro aule, e vedere tuttavia che il nostro tasso di alfabetizzazione uguaglia il vostro.
Come dovete essere spaventati perché ancora non vi temiamo; nei recessi del nostro essere siamo persone orgogliose, e invece siete voi ad essere spaventati. Come deve essere profondamente deludente distruggere i nostri villaggi, irrompere nel quartiere di Silwan, scavare sotto le moschee di Al Aqsa e di Al Shakhra [alla ricerca del tempio di Salomone, n.d.t.], decennio dopo decennio, e venirne comunque fuori senza prove della polizia scientifica che appoggino i vostri resoconti, e contemporaneamente avere a che fare con la moltitudine dei palestinesi le cui rivendicazioni sono presenti, ovvie, scritte, note e indiscusse.
Come dovete sentirvi frustrati che quei palestinesi che avete espulso dalle nostre case, che pensavate avreste dimenticato, continuano a scrivere, creare, protestare e a smascherare all’estero, prendendo sempre più slancio per la campagna del movimento Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) che sta riducendo il potere delle vostre bugie. Come è controproducente spendere milioni di dollari per tormentarci all’estero per farci stare zitti, soltanto per scoprire che le nostre voci diventano più forti.
Israele ha fatto e rifatto l’errore di ogni impresa coloniale realizzata prima di loro perché il colonialismo arriva sempre con un senso di supremazia che non considera umani i popoli nativi. Questo è il motivo per cui Israele ci ha sempre sottovalutato. Non capiscono, non apprezzano che noi possediamo la tendenza umana più impulsivo verso la libertà, che la nostra tendenza istintiva è orientata fermamente verso la dignità.
Vedo il dilemma di Israele. Vedo la loro paura. Il dolore di un sogno razzista che è arrivato così vicino ma non del tutto. E posso capire il modo in cui adesso si agitano – violento, brutto, follemente insicuro e incomprensibilmente crudele – è l’agonia del sionismo.
Susan Abulhawa è una scrittrice palestinese. Il suo romanzo più recente è: The Blue Between Sky and Water [L’azzurro tra cielo e mare], (Bloomsbury, 2015), i cui diritti d’autore sono stati finora venduti per tradurlo in 21 lingue. Questo articolo originariamente è stato pubblicato dal portale on line Middle East Eye.
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: Roarmag.org
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0
di Ilan Pappe
21 OTTOBRE 2015
Nel mezzo di quella che è diventata nota in Israele come “Intifada degli accoltellatori”, una scena insolita si è svolta a Ramat Gan, dove molti dei residenti sono ebrei iracheni. Una donna piccola e magra stava proteggendo un uomo steso a terra che era stato inseguito da una folla di 40 persone, compresi alcuni soldati, che voleva linciarlo.
Mentre giaceva a terra, gli è stato spruzzato spray al peperoncino negli occhi da vicino. E’ riuscito a dire al suo angelo custode: “Sono un ebreo.” Quando infine la folla ha recepito il messaggio, è stato lasciato solo.
Era stato inseguito perché quasi tutti gli ebrei iracheni assomigliano ai palestinesi; infatti molti di noi ebrei in Israele assomigliamo ai palestinesi. Gli unici ebrei che sono “protetti” sono gli ebrei Ortodossi Mizrahi che indossano gli stessi vestiti che portavano i loro predecessori askenaziti nell’Europa del 17° secolo, avendo rifiutato il loro tradizionale abito “arabo”.
Persone invisibili
Questo attacco non è stato il solo. Altri ebrei arabi sono stati scambiati per palestinesi. Essere considerato arabo in Israele, anche in base all’apparenza, significa che si è parte dei nativi invisibili, inermi e superflui.
Tale atteggiamento non è unico nella storia. La maggior parte delle società coloniali formate da coloni (si distinguono dalle colonie che si dedicano all’estrazione di risorse, n.d.t.) hanno adottato questo atteggiamento verso i nativi che per le società di questo tipo sono un ostacolo che va rimosso, insieme alle pietre nei campi, alle zanzare nelle paludi, e, nel caso del primo sionismo, insieme agli ebrei meno adeguati, sia fisicamente che culturalmente.
Dopo l’Olocausto, il sionismo non poté più permettersi di essere così schizzinoso.
Quando si analizza l’origine dell’attuale Intifada, si può giustamente indicare l’occupazione e l’estesa colonizzazione ebraica.
Però la disperazione che ha prodotto gli attuali disordini non è una conseguenza diretta della colonizzazione del 1967, ma piuttosto di quasi 100 anni di invisibilità, disumanizzazione e di potenziale distruzione dei palestinesi, ovunque siano.
Quanto profondamente sia radicata questa negazione dell’umanità dei palestinesi nativi, nell’odierno discorso politico di Israele, si è potuto vedere nei due principali discorsi di Benjamin Netanyahu e del leader dell’opposizione, Yitzhak Herzog, fatti martedì alla Knesset.
Netanyahu ha spiegato molto bene perché la disperazione dei palestinesi produrrà sempre più Intifada in futuro e perché la delegittimazione internazionale di Israele aumenterà in modo esponenziale.
Ha definito i 100 anni di colonizzazione un progetto che per nessuna buona ragione, diversa dall’istigazione islamica, ha avuto l’opposizione della popolazione palestinese nativa.
Il messaggio ai palestinesi è stato chiaro: accettate il vostro destino di invisibili detenuti della più grossa prigione sulla terra in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e come una comunità sotto un duro regime di apartheid, e possiamo tutti vivere in pace. Qualsiasi tentativo di rifiutare questa realtà è terrorismo della peggiore specie e sarà affrontata conformemente.
All’interno di questa narrazione se la persona che gli scrive i discorsi sta tentando di calmare le preoccupazioni nel mondo musulmano riguardo al destino di al-Haram al-Sharif (il Nobile Santuario detto anche Monte del tempio),* arriva invece il messaggio opposto. Gran parte del discorso su al-Haram al-Sharif è stata una lezione di storia sul motivo per cui il luogo appartiene al popolo ebraico.
E sebbene Netanyahu abbia terminato la seduta con la promessa di non cambiare lo status quo, la presenza dei capi di un partito che credono fortemente nella necessità di costruire un terzo tempio in quel luogo, non sono certo rassicuranti.
‘Mai insieme’
Nel suo discorso, Herzog, il capo dell’opposizione sionista liberale, ha manifestato la disumanizzazione dei palestinesi in modo diverso. Ha ripetutamente sottolineato che il suo incubo è un paese dove ebrei e palestinesi vivrebbero insieme.
Perciò la separazione, la ghettizzazione e le enclave sono la soluzione migliore, anche se significa restringere un poco dell’Israele più grande. “Noi siamo qui e loro sono là”, ha detto, ripetendo il famoso slogan di Ehud Barak e di Shimon Peres degli ultimi anni ’90.
Il giornalista liberale di Haaretz, Barak Ravid, ha ripetuto l’orrore dei sionisti liberali: se si ha uno stato con due paesi, gli accoltellamenti saranno un evento quotidiano, ha avvertito. L’idea che Israele/Palestina liberata sarà una democrazia per tutti, non è mai stata nell’agenda liberale sionista.
Questo desiderio degli israeliani di non condividere la vita con ogni cosa araba è un atteggiamento percepito da ogni palestinese quotidianamente. Più di un secolo di colonizzazione e nulla è cambiato nella completa negazione dell’umanità dei palestinesi nativi o del loro diritto alla pace.
E’ stata la politica israeliana e le azioni contro la Moschea Al-Aqsa che hanno acceso l’attuale ondata di proteste e di attacchi individuali che è stata però innescata da un’atrocità lunga un secolo: il culturicidio crescente della Palestina.
Il mondo occidentale è rimasto inorridito dalla distruzione delle antiche gemme culturali per mano dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL). La distruzione di Israele e la cancellazione dell’eredità islamica della Palestina è stata di gran lunga più estesa e importante. A malapena una moschea è rimasta intatta dopo la Nabka, e molte di quelle rimaste sono state trasformate in ristoranti, discoteche e aziende agricole.
Il tentativo dei palestinesi di far rivivere la loro eredità teatrale e letteraria è considerata da Israele come una commemorazione della Nabka ed è illegale se intrapresa da chiunque faccia affidamento su finanziamenti governativi.
Quello che vediamo e continueremo a vedere in Palestina, è la lotta per l’esistenza condotta dai nativi di un paese ancora sotto la minaccia della distruzione.
Ilan Pappe è il direttore del Centro Europeo di Studi palestinesi all’Università di Exeter. Ha pubblicato 15 libri sul Medio Oriente e sulla Questione palestinese.
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: Aljazeera
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0
di Uri Avnery
31 ottobre 2015
Haaretz
Non è molto piacevole quando persone serie in tutto il mondo - storici, psichiatri, diplomatici – si chiedono se il mio primo ministro è completamente sano di mente.
Ma questo sta accadendo ora. E non solo all'estero. Sempre più persone in Israele si stanno facen dola stessa domanda.
Tutto questo è il risultato di un evento. Ma le persone stanno guardando molti altri eventi - passati e presenti - in una nuova luce.
Fino ad oggi, molte azioni strane ed espressioni di Benjamin Netanyahu sono state viste come le manipolazioni di un politico abile, un demagogo di talento che conosce l'anima dei suoi elettori e li alimenta con ampie bugie.
Non più. Un sospetto inquietante è sempre in giro: che il nostro primo ministro ha gravi problemi mentali. E’ fuori di testa?
Tutto è cominciato due settimane fa, quando Netanyahu ha fatto un discorso a una assemblea sionista mondiale. Quello che ha detto è stato scioccante.
Adolf Hitler, ha pontificato, non aveva voglia di sterminare gli ebrei. Voleva solo espellerli. Ma poi incontrò il Mufti di Gerusalemme, che lo convinse a "bruciare" gli ebrei. Così è nato l'Olocausto.
La conclusione? Hitler non era così cattivo, dopo tutto. I tedeschi non sono realmente da incolpare. Furono i palestinesi i mandanti dell'omicidio di sei milioni di ebrei.
Se il soggetto fosse stato diverso, questo discorso poteva essere considerato come una delle solite menzogne e falsificazioni tipiche di Netanyahu. Hitler davvero non era così malvagio, i palestinesi sono da biasimare, il Mufti fu il precursore di Mahmoud Abbas. Proprio un pezzo di routine di propaganda politica.
Ma questo riguarda l'Olocausto, uno degli eventi più atroci dei tempi moderni, e di gran lunga l'evento più importante nella storia ebraica moderna. Questo evento ha un impatto diretto sulla vita di metà della popolazione ebraica di Israele (me compreso) che hanno perso i loro parenti nell'Olocausto, o sono essi stessi sopravvissuti.
Questo discorso non era solo una manipolazione politica minore, uno di quelli a cui ci siamo abituati da quando Netanyahu è diventato primo ministro. Questo era qualcosa di nuovo, qualcosa di terribile.
In tutto il mondo c'è stata una levata di scudi. Ci sono molte migliaia di esperti sull'Olocausto. Innumerevoli libri sono stati scritti sulla Germania nazista (tra cui uno scritto da me). Ogni singolo dettaglio è stato studiato più e più volte.
I sopravvissuti all'Olocausto sono rimasti scioccati, perché Netanyahu stava davvero assolvendo Hitler e i tedeschi in generale della colpa principale per quel crimine orrendo. Così Hitler non era così malvagio, dopo tutto. Voleva solo espellere gli ebrei, non ucciderli. Sono stati gli arabi cattivi che lo indusse a commettere l’atrocità delle atrocità.
Angela Merkel ha fatto la cosa giusta e ha emesso una smentita immediata, assumendo ancora una volta la colpa totale del popolo tedesco. Migliaia di articoli furiosi sono apparsi in tutto il mondo, molte centinaia in Israele.
Questa particolare espressione di Netanyahu non era solo stupida, e non solo ignorante. Confina con la follia.
Un MUFTI è uno studioso di religione, un'autorità di alto rango in una società islamica, ben al di sopra di un mero giudice. Un Grande Mufti è la più alta autorità religiosa del luogo. Nell'Islam non c'è papa.
Il Gran Mufti in questa storia è Hajj Amin al-Husseini, che fu scelto dalle autorità britanniche in Palestina per la carica di Gran Mufti di Gerusalemme. Come si scoprì, questo fu un grave errore.
L'uomo che fece l'errore era un Ebreo - Herbert Samuel, primo Alto commissario del Territorio Mandatario Britannico in Palestina dopo la Prima Guerra Mondiale. Il giovane Hajj Amin era già conosciuto come un tizzone, e Samuel continuò la consolidata pratica coloniale di nominare i nemici ad alte cariche, per calmarli.
La famiglia Husseini è la principale Hamula (famiglia ampia) a Gerusalemme. Ha circa 5000 soci e occupa un intero quartiere. È una delle tre o quattro famiglie più illustri della città, e per molte generazioni un Husseini è stato sia il Mufti, il sindaco o un altro dignitario nella Gerusalemme araba.
Hajj Amin (hajj è la denominazione di un musulmano che ha fatto pellegrinaggio obbligatorio alla Mecca) fu un piantagrane fin dall'inizio. Lui vide presto il pericolo dell'immigrazione sionista per la comunità araba in Palestina, e più volte incitò rivolte anti-britanniche e anti-ebraiche.
Questi diresse la Grande Ribellione del 1936 - nota agli ebrei come "gli eventi" - che scossero il paese per tre anni, fino alla Seconda Guerra Mondiale.
Durante "gli eventi", molti ebrei e molti britannici furono uccisi, ma la maggior parte delle vittime fu araba. Il Mufti (come tutti lo chiamavano) colse l'occasione di avere tutti i suoi rivali e concorrenti uccisi. Per gli ebrei in Palestina divenne il simbolo del male, l'oggetto di odio intenso.
Da questo momento anche i britannici ne avevano avuto abbastanza di lui. Cacciarono il Mufti fuori del paese. Andò in Libano, ma quando questo paese fu occupato dagli inglesi nella Seconda Guerra Mondiale (per espellere le truppe della Francia del regime di Vichy) il Mufti fuggì in Iraq, che era nelle mani di ribelli anti-britannici e filo-naziste. Quando gli inglesi ri-conquistarono l'Iraq, il Mufti fuggì in Italia, che era alla testa del tentativo dell’"Asse" fascista per conquistare gli arabi.
Il Mufti, i cui nemici principali erano gli inglesi, agì secondo la teoria che il nemico del mio nemico è mio amico. (Allo stesso tempo, un capo dell’organizzazione ebraica in Palestina, Abraham Stern, agendo sulla stessa teoria, cercò anche il contatto con gli italiani e i tedeschi.)
Sembra che gli italiani non fossero troppo entusiasti di avere Hajj Amin in giro, così il Mufti si trasferì nella Germania nazista. A quel tempo, le SS stavano cercando di arruolare volontari musulmani per la guerra contro la Russia, e qualcuno ebbe la brillante idea che una foto del Gran Mufti con Hitler potesse essere utile.
A Hitler quell'idea non piaceva del tutto. Egli era un vero credente nella teoria della razza, e gli arabi sono semiti, una razza inferiore e detestabile, proprio come gli ebrei. Ma alla fine decise di ricevere quest’arabo rifugiato per ciò che oggi chiamiamo una "una foto da cerimonia". Una foto fu scattata, l'unica immagine dell'unico incontro tra queste due persone. (Ci sono anche le foto del Mufti con musulmani bosniaci volontari SS).
L'incontro fu breve, con un protocollo superficiale e gli ebrei non appaiono mai da nessuna parte. L'intero episodio fu insignificante. Fino a Netanyahu.
E’ ridicolo incoronare il Mufti come il padre della nazione palestinese. In tutte le mie centinaia di incontri con i palestinesi, da Arafat in giù, non ho mai sentito una buona parola su Hajj Amin, nemmeno dallo splendido Faisal al-Husseini, un parente a distanza. Lo hanno descritto unanimemente come un vero e proprio patriota palestinese, ma una persona con una formazione limitata e una gretta prospettiva, che porta una parte della colpa per il disastro che colpì il popolo palestinese nel 1948. Il bagno di sangue che portò a compimento tra i palestinesi nella rivolta del 1936-1939 indebolì i palestinesi così tanto, che quando la prova cruciale venne - la spartizione del 1947 della Palestina e la guerra del 1948 - la nazione era priva di qualsiasi guida efficace.
L'idea che il potente Fuehrer avesse bisogno o ascoltasse il parere di un fuggiasco semita per decidere l'Olocausto è assurda. In realtà è folle.
Inoltre, le date non coincidono. La foto-incontro ha avuto luogo alla fine del 1941. Lo sterminio iniziò subito dopo la conquista della Polonia nel 1939, e assunse le sue dimensioni mostruose con l'invasione nazista dell’Unione Sovietica, verso la metà del 1941. Si arrivò alla soluzione finale, in formato industriale, quando Heinrich Himmler, il capo delle SS, decise che "non si può chiedere a un dignitoso tedesco" di sparare a tutta questa feccia ebraica. Il muftì non aveva assolutamente nulla in comune con questo, e, davvero, l'idea è folle.
Fino al 1939, Hitler fece infatti altre espulsioni di ebrei, perché lo sterminio fisico in un'Europa di pace era impensabile. Ma una volta che scoppiò la guerra, vide subito l'occasione per lo sterminio di massa - e lo disse apertamente.
Come ha fatto questo figlio di un "famoso storico" arrivare a dire questa follia? (Questa denominazione di Ben-Zion Netanyahu è ora di rigore tra i media israeliani, anche se non ho mai incontrato nessuno che abbia letto il suo lavoro sulla Inquisizione spagnola.)
Forse l’ha sentito da qualche pazzo assunto da Sheldon Adelson(*) - ma anche così, il fatto che egli non l’abbia respinto mostra completamente non solo che si tratta di un completo ignorante riguardo al più importante capitolo della storia ebraica moderna, ma anche che egli possa avere qualche problema mentale.
In questa luce, molte altre sue decisioni ora appaiono diverse, tra cui la decisione di questa settimana di prendere misure per annullare lo stato di "abitanti" di decine di migliaia di arabi di Gerusalemme. Quando Gerusalemme Est fu annessa a Israele nel 1967, agli abitanti non fu concessa la cittadinanza israeliana, solo
diritti ridotti di residenti, che negano loro il diritto di voto per il Knesset. Ad essi fu gentilmente permesso di richiedere la cittadinanza individualmente, ma, naturalmente, quasi nessuno l’ha fatto, poiché ciò significherebbe riconoscimento dell’annessione.
Ora ho paura. Se infatti siamo governati da un uomo con problemi mentali, dove ci sta portando?
(*) Imprenditore ebreo e sionista di estrema destra. Nel 2008 era il terzo uomo più ricco degli USA (dopo Bill Gates e Warren Buffett), e dodicesimo uomo più ricco del mondo secondo la rivista Forbes nel 2008, con un patrimonio stimato in 26 miliardi di dollari americani. Nel 2009 complice la crisi economica il patrimonio di Adelson si è ridotto in modo drastico, si stima che in pochi mesi abbia perso 24 miliardi di dollari, anche se nel 2013 è risalito a 26,5 miliardi.
(*) Imprenditore ebreo e sionista di estrema destra. Nel 2008 era il terzo uomo più ricco degli USA (dopo Bill Gates e Warren Buffett), e dodicesimo uomo più ricco del mondo secondo la rivista Forbes nel 2008, con un patrimonio stimato in 26 miliardi di dollari americani. Nel 2009 complice la crisi economica il patrimonio di Adelson si è ridotto in modo drastico, si stima che in pochi mesi abbia perso 24 miliardi di dollari, anche se nel 2013 è risalito a 26,5 miliardi.
(Traduzione di Diego Siragusa)
ENGLISH VERSION
IT IS not very pleasant when serious people around the world - historians,
psychiatrists, diplomats - ask themselves if my prime minister is completely
sane.
But this is happening now. And not only abroad. More and more people in
Israel are asking themselves the same question.
All this is the result of one event. But people are now looking at many
other events - past and present - in a new light.
Until now, many strange actions and utterances by Binyamin Netanyahu have
been seen as the manipulations of a clever politician, a talented demagogue
who knows the soul of his constituents and supplies them with ample lies.
Not anymore. A troubling suspicion is getting around: that our prime
minister has serious mental problems. Is he losing his marbles?
IT ALL started two weeks ago, when Netanyahu made a speech to a world-wide
Zionist assembly. What he said was shocking.
Adolf Hitler, he pontificated, did not really want to exterminate the Jews.
He just wanted to expel them. But then he met the Mufti of Jerusalem, who
convinced him to "burn" the Jews. Thus the Holocaust was born.
The conclusion? Hitler was not so bad after all. The Germans are not really
to blame. It was the Palestinians who were the instigators of the murder of
six million Jews.
If the subject had been different, this speech could be considered as one of
the usual lies and falsifications typical of Netanyahu. Hitler was really
not so bad, the Palestinians are to blame, the Mufti was the forerunner of
Mahmoud Abbas. Just a routine piece of political propaganda.
But this concerns the Holocaust, of the most atrocious events of modern
times, and by far the most important event in modern Jewish history. This
event has a direct bearing on the lives of half the Jewish population of
Israel (including myself) who lost their relatives in the Holocaust, or are
themselves survivors.
This speech was not just a minor political manipulation, one of those we
have become accustomed to since Netanyahu became prime minister. This was
something new, something awful.
ALL AROUND the world there was an outcry. There are many thousands of
experts on the Holocaust. Innumerable books have been written on Nazi
Germany (including one by me). Every single detail has been researched over
and over again.
Holocaust survivors were shocked, because Netanyahu was really absolving
Hitler, and the Germans in general, of the main blame for the horrendous
crime. So Hitler was not so bad, after all. He just wanted to expel the
Jews, not to kill them. It was the evil Arabs who induced him to commit the
atrocity of atrocities.
Angela Merkel did the decent thing and issued an immediate denial, assuming
again the total blame of the German people. Thousands of furious articles
appeared around the world, many hundreds of them in Israel.
This particular utterance of Netanyahu's was not just stupid, not just
ignorant. It borders on the insane.
A MUFTI is a religious scholar, a high ranking authority in an Islamic
society, well above a mere judge. A Grand Mufti is the highest local
religious authority. In Islam there is no pope.
The Grand Mufti in this story is Hajj Amin al-Husseini, who was chosen by
the British authorities in Palestine for the office of Grand Mufti of
Jerusalem. As it turned out, this was a grave mistake.
The man who made the mistake was a Jew - Herbert Samuel, the first High
Commissioner of the British Mandated territory of Palestine after World War
I. Young Hajj Amin was already known as a firebrand, and Samuel followed the
well-established colonial practice of appointing enemies to high office, to
quiet them down.
The Husseini family is the foremost Hamula (extended family) in Jerusalem.
It has some 5000 members and occupies an entire neighborhood. It is one of
the three or four most distinguished families in town, and for many
generations a Husseini has been either the Mufti, the mayor or another
dignitary in Arab Jerusalem.
Hajj Amin (hajj is the appellation of a Muslim who has made the obligatory
pilgrimage to Mecca) was a trouble-maker right from the beginning. He saw
early on the danger of the Zionist immigration for the Arab community in
Palestine, and several times incited anti-British and anti-Jewish riots.
These came to a head in the Great Rebellion of 1936 - known to the Jews as
"the events" - which shook the country for three years, until World War II.
During "the events", many Jews and many British were killed, but most of the
victims were Arabs. The Mufti (as everybody called him) used the opportunity
to have all his rivals and competitors killed off. For the Jews in Palestine
he became the symbol of evil, the object of intense hatred.
By now, the British, too, had had enough of him. They chased the Mufti out
of the country. He went to Lebanon, but when this country was occupied by
the British in World War II (to drive out the troops of the French Vichy
regime) the Mufti fled to Iraq, which was in the hands of anti-British and
pro-Nazi rebels. When the British re-conquered Iraq, the Mufti fled to
Italy, which was leading the Fascist "Axis" effort to win over the Arabs.
The Mufti, whose main enemies were the British, acted upon the theory that
the enemy of my enemy is my friend. (At the same time, a leader of the
Jewish underground in Palestine, Abraham Stern, acting upon the same theory,
also sought contact with the Italians and Germans.)
It seems that the Italians were not too keen on having Hajj Amin around, so
the Mufti moved to Nazi Germany. At the time, the SS was trying to enlist
Muslim volunteers for the war against Russia, and somebody had the bright
idea that a picture of the Grand Mufti with Hitler might be useful.
Hitler did not like the idea at all. He was a true believer in the race
theory, and the Arabs are Semites - an inferior and detestable race, just
like the Jews. But in the end he was weighed upon to receive this Arab
refugee for what we now call a "photo opportunity". A picture was taken -
the only picture of the only meeting between these two persons. (There are
also photos of the Mufti with Muslim Bosnian SS volunteers).
The meeting was short, a perfunctory protocol was taken, the Jews appear
nowhere in it. The whole episode was insignificant. Until Netanyahu.
It is ridiculous to crown the Mufti as the father of the Palestinian nation.
In all my hundreds of meetings with Palestinians, from Arafat down, I have
never heard a good word about Hajj Amin, not even from the wonderful Faisal
al-Husseini, a remote relative. They unanimously described him as a real
Palestinian patriot, but a person with limited education and narrow-minded
outlook, who bears part of the blame for the disaster that befell thep
Palestinian people in 1948. The bloodbath he carried out among the
Palestinians in the 1936-1939 rebellion weakened the Palestinians so much,
that when the crucial test came - the 1947 partition of Palestine and the
1948 war - the nation was devoid of any effective leadership.
The idea that the mighty Fuehrer needed or heeded the advice of a fugitive
Semite in order to decide on the Holocaust is preposterous. Indeed, it is
crazy.
Also, the dates don't jibe. The photo-meeting took place at the end of 1941.
The extermination started immediately after the conquest of Poland in 1939,
and took on its monstrous dimensions with the Nazi invasion of the Soviet
Union in the middle of 1941. It acquired its final, industrial format when
Heinrich Himmler, the SS chief, decided that "one cannot demand of a decent
German" to shoot all this Jewish scum. The Mufti had absolutely nothing to
do with this, and the very idea is insane.
Until 1939, Hitler did indeed further the expulsion of the Jews, because
physical extermination in a peaceful Europe was unthinkable. But once the
war broke out, he saw at once the chance for mass extermination - and said
so quite openly.
SO HOW did this son of a "renowned historian" come to say this crazy
thing?). (This appellation of Ben-Zion Netanyahu is now de rigueur in the
Israeli media, though I never met anyone who has read his work on the
Spanish inquisition.)
Perhaps he heard it from some crackpot hired by Sheldon Adelson - but even
so, the fact that he did not reject it outright shows not only that he is a
complete ignoramus about the most important chapter in modern Jewish
history, but also that he may have some mental problem.
In this light, many others of his decisions now look different, including
this week's decision to take measures to cancel the "inhabitant" status of
tens of thousands of Arab Jerusalemites. When East Jerusalem was annexed by
Israel in 1967, the inhabitants were not granted Israeli citizenship, only
reduced resident's rights, which deny them the right to vote for the
Knesset. They were graciously allowed to apply for citizenship individually,
but, of course, almost nobody did, since this would mean recognition of the
annexation.
Now I am afraid. If indeed we are governed by a man with mental problems -
just where is he leading us?
ENGLISH VERSION
Uri Avnery
October 31, 2015
Adolf, Amin and Bibi
October 31, 2015
Adolf, Amin and Bibi
IT IS not very pleasant when serious people around the world - historians,
psychiatrists, diplomats - ask themselves if my prime minister is completely
sane.
But this is happening now. And not only abroad. More and more people in
Israel are asking themselves the same question.
All this is the result of one event. But people are now looking at many
other events - past and present - in a new light.
Until now, many strange actions and utterances by Binyamin Netanyahu have
been seen as the manipulations of a clever politician, a talented demagogue
who knows the soul of his constituents and supplies them with ample lies.
Not anymore. A troubling suspicion is getting around: that our prime
minister has serious mental problems. Is he losing his marbles?
IT ALL started two weeks ago, when Netanyahu made a speech to a world-wide
Zionist assembly. What he said was shocking.
Adolf Hitler, he pontificated, did not really want to exterminate the Jews.
He just wanted to expel them. But then he met the Mufti of Jerusalem, who
convinced him to "burn" the Jews. Thus the Holocaust was born.
The conclusion? Hitler was not so bad after all. The Germans are not really
to blame. It was the Palestinians who were the instigators of the murder of
six million Jews.
If the subject had been different, this speech could be considered as one of
the usual lies and falsifications typical of Netanyahu. Hitler was really
not so bad, the Palestinians are to blame, the Mufti was the forerunner of
Mahmoud Abbas. Just a routine piece of political propaganda.
But this concerns the Holocaust, of the most atrocious events of modern
times, and by far the most important event in modern Jewish history. This
event has a direct bearing on the lives of half the Jewish population of
Israel (including myself) who lost their relatives in the Holocaust, or are
themselves survivors.
This speech was not just a minor political manipulation, one of those we
have become accustomed to since Netanyahu became prime minister. This was
something new, something awful.
ALL AROUND the world there was an outcry. There are many thousands of
experts on the Holocaust. Innumerable books have been written on Nazi
Germany (including one by me). Every single detail has been researched over
and over again.
Holocaust survivors were shocked, because Netanyahu was really absolving
Hitler, and the Germans in general, of the main blame for the horrendous
crime. So Hitler was not so bad, after all. He just wanted to expel the
Jews, not to kill them. It was the evil Arabs who induced him to commit the
atrocity of atrocities.
Angela Merkel did the decent thing and issued an immediate denial, assuming
again the total blame of the German people. Thousands of furious articles
appeared around the world, many hundreds of them in Israel.
This particular utterance of Netanyahu's was not just stupid, not just
ignorant. It borders on the insane.
A MUFTI is a religious scholar, a high ranking authority in an Islamic
society, well above a mere judge. A Grand Mufti is the highest local
religious authority. In Islam there is no pope.
The Grand Mufti in this story is Hajj Amin al-Husseini, who was chosen by
the British authorities in Palestine for the office of Grand Mufti of
Jerusalem. As it turned out, this was a grave mistake.
The man who made the mistake was a Jew - Herbert Samuel, the first High
Commissioner of the British Mandated territory of Palestine after World War
I. Young Hajj Amin was already known as a firebrand, and Samuel followed the
well-established colonial practice of appointing enemies to high office, to
quiet them down.
The Husseini family is the foremost Hamula (extended family) in Jerusalem.
It has some 5000 members and occupies an entire neighborhood. It is one of
the three or four most distinguished families in town, and for many
generations a Husseini has been either the Mufti, the mayor or another
dignitary in Arab Jerusalem.
Hajj Amin (hajj is the appellation of a Muslim who has made the obligatory
pilgrimage to Mecca) was a trouble-maker right from the beginning. He saw
early on the danger of the Zionist immigration for the Arab community in
Palestine, and several times incited anti-British and anti-Jewish riots.
These came to a head in the Great Rebellion of 1936 - known to the Jews as
"the events" - which shook the country for three years, until World War II.
During "the events", many Jews and many British were killed, but most of the
victims were Arabs. The Mufti (as everybody called him) used the opportunity
to have all his rivals and competitors killed off. For the Jews in Palestine
he became the symbol of evil, the object of intense hatred.
By now, the British, too, had had enough of him. They chased the Mufti out
of the country. He went to Lebanon, but when this country was occupied by
the British in World War II (to drive out the troops of the French Vichy
regime) the Mufti fled to Iraq, which was in the hands of anti-British and
pro-Nazi rebels. When the British re-conquered Iraq, the Mufti fled to
Italy, which was leading the Fascist "Axis" effort to win over the Arabs.
The Mufti, whose main enemies were the British, acted upon the theory that
the enemy of my enemy is my friend. (At the same time, a leader of the
Jewish underground in Palestine, Abraham Stern, acting upon the same theory,
also sought contact with the Italians and Germans.)
It seems that the Italians were not too keen on having Hajj Amin around, so
the Mufti moved to Nazi Germany. At the time, the SS was trying to enlist
Muslim volunteers for the war against Russia, and somebody had the bright
idea that a picture of the Grand Mufti with Hitler might be useful.
Hitler did not like the idea at all. He was a true believer in the race
theory, and the Arabs are Semites - an inferior and detestable race, just
like the Jews. But in the end he was weighed upon to receive this Arab
refugee for what we now call a "photo opportunity". A picture was taken -
the only picture of the only meeting between these two persons. (There are
also photos of the Mufti with Muslim Bosnian SS volunteers).
The meeting was short, a perfunctory protocol was taken, the Jews appear
nowhere in it. The whole episode was insignificant. Until Netanyahu.
It is ridiculous to crown the Mufti as the father of the Palestinian nation.
In all my hundreds of meetings with Palestinians, from Arafat down, I have
never heard a good word about Hajj Amin, not even from the wonderful Faisal
al-Husseini, a remote relative. They unanimously described him as a real
Palestinian patriot, but a person with limited education and narrow-minded
outlook, who bears part of the blame for the disaster that befell thep
Palestinian people in 1948. The bloodbath he carried out among the
Palestinians in the 1936-1939 rebellion weakened the Palestinians so much,
that when the crucial test came - the 1947 partition of Palestine and the
1948 war - the nation was devoid of any effective leadership.
The idea that the mighty Fuehrer needed or heeded the advice of a fugitive
Semite in order to decide on the Holocaust is preposterous. Indeed, it is
crazy.
Also, the dates don't jibe. The photo-meeting took place at the end of 1941.
The extermination started immediately after the conquest of Poland in 1939,
and took on its monstrous dimensions with the Nazi invasion of the Soviet
Union in the middle of 1941. It acquired its final, industrial format when
Heinrich Himmler, the SS chief, decided that "one cannot demand of a decent
German" to shoot all this Jewish scum. The Mufti had absolutely nothing to
do with this, and the very idea is insane.
Until 1939, Hitler did indeed further the expulsion of the Jews, because
physical extermination in a peaceful Europe was unthinkable. But once the
war broke out, he saw at once the chance for mass extermination - and said
so quite openly.
SO HOW did this son of a "renowned historian" come to say this crazy
thing?). (This appellation of Ben-Zion Netanyahu is now de rigueur in the
Israeli media, though I never met anyone who has read his work on the
Spanish inquisition.)
Perhaps he heard it from some crackpot hired by Sheldon Adelson - but even
so, the fact that he did not reject it outright shows not only that he is a
complete ignoramus about the most important chapter in modern Jewish
history, but also that he may have some mental problem.
In this light, many others of his decisions now look different, including
this week's decision to take measures to cancel the "inhabitant" status of
tens of thousands of Arab Jerusalemites. When East Jerusalem was annexed by
Israel in 1967, the inhabitants were not granted Israeli citizenship, only
reduced resident's rights, which deny them the right to vote for the
Knesset. They were graciously allowed to apply for citizenship individually,
but, of course, almost nobody did, since this would mean recognition of the
annexation.
Now I am afraid. If indeed we are governed by a man with mental problems -
just where is he leading us?
CHE TEMPESTIVITA' !
Amnesty sui Kurdi - Gli Olandesi sull'aereo malese
La politica del presidente mafioso della Turchia Erdogan sulla Siria e sui Kurdi è in crisi. Subito arriva in soccorso un rapporto di Amnesty International che accusa i Kurdi Siriani alleati del PKK di essere responsabili di violazione dei "diritti umani".
La Russia interviene in Siria mettendo a nudo il bluff degli USA e dei loro alleati che fingevano di combattere i terroristi dello Stato Islamico. Subito una commissione d'inchiesta con base in Olanda (paese della NATO), dopo più di un anno di silenzio e di insabbiamento, si sveglia improvvisamente e di fatto accusa i ribelli filo-Russi del Donbass di aver abbattuto l'aereo malese.
La disinformazione USA-NATO funziona perfettamente, ma non tutti abboccano.
Amnesty: "Le forze curde siriane hanno commesso crimini di guerra"
Lettera aperta a Salil Shetty – Segretario generale di Amnesty International
Caro Salil -Sto scrivendo per protestare per la pubblicazione di un rapporto della vostra organizzazione chiamato ”Non avevamo nessun altro posto dove andare-spostamento forzato e demolizioni nel nord della Siria.”
Come umanitario britannico che ha trascorso 5 mesi e mezzo con le YPG in Rojava,sono assolutamente stupefatto dal vostro rapporto di 32 pagine pubblicato a ottobre 2015.Mi sento costretto a scrivere questa lettera a nome di centinaia di volontari stranieri che si sono uniti alle YPG e alle YPJ che non stanno solamente combattendo sul fronte, ma stanno lavorando duramente accanto ai curdi negli ospedali e nei campi di rifugiati.Nel periodo in cui sono stato nel paese ho avuto pieno accesso a tutta la regione, compresa la linea del fronte.In realtà, io sarei stato presente a molti degli eventi e dei luoghi citati nel rapporto.Non ho mai visto alcuna prova di danni intenzionali o sgomberi forzati.Volevo solo affrontare rapidamente i due punti principali del rapporto:
• Ci sono state occasioni in cui ai civili è stato chiesto di lasciare una zona dove si stava combattendo.Ciò è stato fatto con l’attenzione alla loro sicurezza e una volta che una zona era sicura ai civili è stato permesso di rientrare.Ho visto molti villaggi di tutte le etnie deserti a causa dei combattimenti e poi popolata ancora una volta dopo che i combattimenti si erano spostati in avanti.Quando ero a Till Tamir (una zona citata nel vostro rapporto) il mio comandante ha voluto spesso condividere i nostri approvvigionamenti con gli abitanti locali dei villaggi arabi circostanti.• Quando entravamo in un villaggio qualche volta abbiamo utilizzato le proprietà delle popolazioni.Ciò ha comportato il fortificare con sacchi di sabbia e terra (usando scavatori).Questa era una necessità di guerra e per il rischio di un attacco di ISIS. Non c’è mai stata una politica deliberata di danneggiare la proprietà.Il rapporto si basa su testimoni inaffidabili. Se devo essere generoso allora forse ai civili -confusi e impauriti-è stato chiesto di lasciare una zona e vedere scavatori fortificare le case potrebbe essere scambiato per quello che sta accadendo intorno a loro.Peggio ancora questi rapporti sono un tentativo deliberato di gettare discredito sulle YPG/YPJ. E' ‘sconvolgente per me leggere questa relazione perché so che le YPG hanno un ottimo rapporto con le comunità arabe in Rojava.In molte delle località citate nel rapporto esponenti arabi delle YPG sono stati nelle unità che hanno liberato le zone.Prima di ogni operazione principale abbiamo informato sulle regole del reclutamento- non avevamo nessuna illusione che l’illecito (comprese le accuse contenute nella relazione) avrebbero potuto portare ad una pena detentiva.Se si considera ciò a cui le YPG sono contrarie,gli elevati standard perciò che si aspetta dai suoi combattenti sono ancora più notevoli.Dobbiamo essere l’unico gruppo che opera in Siria che si attiene alla Convenzione di Ginevra!Oltre alle complete falsità,questo rapporto ha un’altra ragione per essere sgradito da coloro che stanno combattendo per l’uguaglianza e la democrazia nel Rojava.Questo rapporto è saltato fuori dai nazionalisti turchi e dai fondamentalisti islamici per provocare violenza settaria e distruggere la fiducia per la quale le Ypg hanno duramente lavorato per costruire.Invece di basarsi su testimoni di terza parte perchè non andate nel Rojava per incontrare alcune delle persone che combattono al fronte?IL PYD ha pubblicamente chiesto sostegno alla comunità internazionale per aiutarla a sviluppare la sua democrazia in crescita. I curdi sono stati aperti e trasparenti con tutte le organizzazioni internazionali e sono stati elogiati per un loro impegno in questo senso.Io voglio che lei guardi ancora il rapporto e lo ritiri dalla circolazione.Come parte delle vostre indagini dovete andare in Rojava e vedere voi stessi l’eccellente lavoro che la gente sta facendo per la regione.Come me tornerà ispirato.
Distinti saluti
Macer Gifford
L'INTERVENTO DI ANITA SONEGO NEL CONSIGLIO COMUNALE DI MILANO
di Anita Sonego
(Gruppo "Sinistra per Pisapia")
La mia proposta di NON interrompere il consiglio per partecipare ad una cerimonia davanti al Tempio Ebraico ha ottenuto 3 voti ( il mio, Biscardini e Calise ) 7 astenuti (SEL e alcuni PD) contro il PD in massa.
Il centrodestra era già uscito dall'aula per partecipare alla cerimonia.
Signor presidente, assessore Majorino, premetto che questo intervento mi costa fatica ma sento che lo devo fare per rispettare la mia coscienza.
Confesso che questa proposta di sospendere i lavori del consiglio comunale mi lascia stupita.
Non che non ritenga che quanto sta accadendo nei territori occupati di Palestina sia un fatto su cui fermarsi a riflettere per la peculiarità della sollevazione ma anche per stimolare i nostri governanti a prendere posizione per una soluzione GIUSTA del conflitto tra Palestinesi e Israeliani.
Mi lascia stupita perché, se quanto sta avvenendo è tanto grave da farci interrompere un consiglio comunale, mi chiedo perché mai non si sia sospeso il consiglio in casi analoghi( o addirittura più luttuosi se si guarda al numero dei morti) come, ad esempio, l'attentato contro una grande manifestazione di pacifisti ad Ankara che ha causato oltre 100 morti e
più di 400 feriti. Oppure quando a Charleston un ragazzo ( bianco) trucidò, in una chiesa 9 persone ( nere).
Ovviamente la mia presa di posizione NON significa che io sia contro la manifestazione organizzata per oggi pomeriggio davanti al Tempio ebraico. Non metto in discussione il diritto di CHIUNQUE a manifestare, compreso quello dei colleghi. Non riesco, onestamente, a comprendere la necessità di una interruzione ( chiusura) di questo consiglio indetto, tra l'altro, oltre il calendario consueto, per votare delibere urgenti.
Sarebbe auspicabile, invece, un minuto di silenzio per stimolare tutte e tutti noi ad una comprensione non episodica o superficiale della violenza che non nasce sul vuoto ma ha radici complesse e profonde che ci interpellano ad interrogare il significato del termine 'violenza ' in un contesto dove NON è di casa, da troppi anni, la GIUSTIZIA.
Perché, come ricordò Mandela, finché non ci sarà giustizia in Palestina, saremo tutti meno liberi.
Su Charlie Hebdo piomba il segreto. Militare.
I giudici non potranno indagare: il ministro degli interni francese ha bloccato ogni ulteriore inchiesta sull'eccidio compiuto da Amedy Coulibaly: sécret défense
di Maurizio Blondet
I giudici non potranno indagare: il ministro degli interni francese, Cazeneuve, ha bloccato ogni ulteriore inchiesta sull'eccidio compiuto da Amedy Coulibaly, il 32enne nero che s'era asserragliato nel piccolo supermercato Hyper Casher di Porte de Vincennes, uccidendo cinque clienti e finendo crivellato dai colpi dei corpi speciali. Facendo valere - si noti - il segreto militare.
Certamente ricordate.
Era il 9 gennaio 2015; il 7, due terroristi, urlando Allahu Akbar!, avevano trucidato praticamente l'intera redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo. Avevano agito da freddi professionisti: poi però nella Citroen che avevano abbandonato nel XIX arrondissement scappando su un'altra vettura, uno dei due aveva dimenticato la carta d'identità; era il documento di Said Kouachi, il che aveva permesso di identificare senza alcun dubbio gli autori della strage con i fratelli Kouachi, Said e Chérif, già noti alla polizia come estremisti islamici.
Era il 9 gennaio 2015; il 7, due terroristi, urlando Allahu Akbar!, avevano trucidato praticamente l'intera redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo. Avevano agito da freddi professionisti: poi però nella Citroen che avevano abbandonato nel XIX arrondissement scappando su un'altra vettura, uno dei due aveva dimenticato la carta d'identità; era il documento di Said Kouachi, il che aveva permesso di identificare senza alcun dubbio gli autori della strage con i fratelli Kouachi, Said e Chérif, già noti alla polizia come estremisti islamici.
Mentre i due erano in fuga, Coulibaly si asserragliò deliberatamente nel supermercato kosher; perbacco, un attentato antisemita in piena Parigi! Tutte le tv del mondo si concentrarono davanti alle vetrine, e ripresero la tragica e spettacolare scena dell'uccisione di Coulibaly, cosa che per qualche ora fece dimenticare la fuga dei due fratelli Kouachi. Nessuno ha visto la loro morte, che ufficialmente è avvenuta dopo una sparatoria con gli agenti a Dammartin en Goele, a una settantina di chilometri dalla capitale, il 9, alla stessa ora del tardo pomeriggio in cui è stato ucciso, davanti alle tv, Coulibaly a Parigi.
E' stato lo stesso François Hollande ad ordinare che le due irruzioni avvenissero in contemporanea; dell'uccisione dei fratelli Koauchi è stato diffuso un video che mostra un bagliore nel buio: a gennaio, le cinque di sera è già notte.
Ma torniamo a Coulibaly, il cui cadavere rimase per ore sul marciapiede. Era entrato in quell'Hyper Cocher armato di un mitra Skorpion, un fucile d'assalto vz 58 (simile al Kalashnikov), due pistole Tokarev. Tutte armi di provenienza cecoslovacca. Armi da guerra, che in Francia non sono ovviamente in libera vendita.
Ma torniamo a Coulibaly, il cui cadavere rimase per ore sul marciapiede. Era entrato in quell'Hyper Cocher armato di un mitra Skorpion, un fucile d'assalto vz 58 (simile al Kalashnikov), due pistole Tokarev. Tutte armi di provenienza cecoslovacca. Armi da guerra, che in Francia non sono ovviamente in libera vendita.
Dove se l'era procurate Amedy?
Era questa la domanda a cui stavano cercando risposte i giudici istruttori del tribunale di grande istanza di Lilla: ed è sulla loro inchiesta che è calata la mannaia del segreto. Per ingiunzione del ministro dell'interno. Si cessi ogni ricerca: sécret défense.
Perché è segreto "militare"?
Perché è segreto "militare"?
Perché i giudici erano troppo vicini alle verità nascoste dietro la tragedia di Charlie Hebdo, e al suo fondo che resta inspiegato. In breve - come già aveva rivelato a suo tempo il giornale di Calais La Voix du Nord sulla base di indiscrezioni degli inquirenti, quelle armi erano state fornite da "una rete costituita da forze dello Stato" che le comprava, attraverso intermediari pregiudicati ma collaborativi, per spedirle ai ribelli jihadisti in Siria.
Forze dello Stato? Per la precisione, secondo il sito alternativo Mediapart, "poliziotti di Lilla e uno dei loro informatori sono al centro del traffico d'armi con cui è stato armato Coulibaly.la loro posizione è abbastanza delicata da indurli a trincerarsi dietro il "sècret défense""; il ministro Cazeneuve ha tolto quei suoi agenti dai guai, avallando la loro difesa: sì, ciò che hanno fatto è segreto. Militare.
Praticamente, è l'ammissione che lo Stato è coinvolto nella selezione e nell'armamento di giovani francesi d'origine islamica da impiegare in Siria come terroristi.
Si può indovinare che i fratelli Kouachi, e quasi certamente anche Coulibaly, erano stati arruolati da Parigi per andare in Siria. Come e perché siano stati invece dirottati, con quelle armi, a compiere la doppia strage di Parigi, è un mistero forse troppo profondo.
Quel che hanno scoperto i giudici istruttori di Lilla è però abbastanza. Pochi giorni dopo la strage, il 20 gennaio, "i dirigenti della Brigata penale della sotto-direzione anti-terrorismo" (SDAT; una specie di Digos), portano ai giudici la relazione tecnica sulle armi del delitto. Ma tacciono un fatto preciso: la loro provenienza. Eppure già dal 16 Europol aveva fornito allo SDAT le informazioni in suo possesso: le armi "sono state acquistate dall'azienda slovacca AGF Security da una ditta di Lilla che fa capo a Claude Hermant". La ditta slovacca vende sul web armi da guerra decommissionate; Hermant è un confidente della polizia, mezzo agente e mezzo spia, di idee neofasciste. E non ha comprato solo le armi da fuoco usate da Coulibaly: dalla AGF ha acquistato 200 pezzi "poi rivenduti", e anche (ritengono i giudici) altre novanta fra pistole e mitragliatori d'assalto attraverso un intermediario belga di Charleroi.
E' evidente che queste armi da guerra non hanno potuto essere importate in Francia senza l'assenso delle cosiddette autorità di pubblica sicurezza. In specie, con la complicità dello SDAT.
Quanto al contatto belga di Hermant, è risultato essere (anche lui) un detective di Charleroi; interrogato, ha detto che "Hermant era il mio cliente principale", che "mi comprava il 95 per cento delle armi demilitarizzate provenienti dalla ditta slovacca AFG - decine e decine. Che cosa ne facesse in seguito, non lo so". La difesa di Hermant ha rigettato questa versione: le transazioni saranno state "al massimo quattro-sei".
Quanto al contatto belga di Hermant, è risultato essere (anche lui) un detective di Charleroi; interrogato, ha detto che "Hermant era il mio cliente principale", che "mi comprava il 95 per cento delle armi demilitarizzate provenienti dalla ditta slovacca AFG - decine e decine. Che cosa ne facesse in seguito, non lo so". La difesa di Hermant ha rigettato questa versione: le transazioni saranno state "al massimo quattro-sei".
Qualcuna delle armi comprate da Hermant sono state usate per altri misteriosi delitti commessi lo stesso giorno della strage di Charlie Hebdo: una poliziotta uccisa a Montreux , e il tentativo di omicidio di un jogger" a Fontenay-aux-Roses. Entrambi i delitti sono stati dalla polizia attribuiti a Coulibaly, che ormai defunto non poteva smentirli. Ma il "jogger", sopravvissuto, non ha mai riconosciuto nella foto di Coulibaly il suo aggressore ("Non era un nero") e ha invece additato un nordafricano, che ha visto per caso durante un reportage televisivo sull'Hyper Cacher: tale Amar Ramdani.
Personaggio cruciale: Ramdani, rapinatore, ricercato internazionale per spaccio, aveva stretto amicizia con Coulibaly in carcere; s'era atteggiato ad islamista voglioso di violenza, gli aveva dato appoggio logistico (le armi?) e sarebbe stato lui a scortarlo fino al negozio kosher alla Porte de Vincennes; certamente il cellulare di Coulibaly e quello di Ramdani hanno occupato la stessa "cellula" il 6, 7 ed 8 gennaio.
Il punto è che questo pregiudicato Ramdani, come hanno scoperto gli agenti che lo hanno pedinato, entrava ed usciva quando voleva dal centro operativo dei "servizi" francesi, a Rosny-sous-Bois. Poi è risultato - o è stato asserito - che lì andava a trovare la sua amante: Emanuelle C. (il cognome è ignoto) che è una agente dei servizi, che aveva preso una sbandata per lui tanto da "convertirsi all'Islam" in segreto, tanto da "indossare il velo" quando usciva dall'ufficio: un tipico travestimento per un'agente che vuole infiltrarsi in ambienti islamici. E poi: come può un ricercato entrare nel "Forte" (così chiamano la centrale d'intelligence) senza mostrare un documento, senza avere un badge che ne legittimi l'accesso?
Il peggio è che quando Ramdani (su indicazione del blogger) è stato arrestato, Emmanuelle ha cercato di accedere ai fascicoli dell'inchiesta Coulibaly.
Un'altra donna fatale è quella che ha fatto innamorare Coulibaly e l'ha reso - oltreché pazzo d'amore - un islamista pronto a tutto: si chiama Hayat Boumedienne, indicata dai media come "la moglie" del terrorista ucciso. Molte le foto, diffuse dopo, dove i due sono insieme e si addestrano ad usare pistole - lei è in chador nero. Altre foto però la mostrano in bikini, incollata voluttuosamente a Coulibaly. ..
Il giorno 9, quando il nero si asserraglia nel negozio ebraico, qualcuno spiega subito ai giornalisti che la fanatica islamista Hayat Boumedienne è lì con lui, nel negozio. Così passano le ore e nessuno la cerca. Hayat non è affatto nel negozio; ha preso comodamente il largo. Poi si farà viva coi familiari e darà la sua versione, ovviamente ripresa dai media: sono in Siria a combattere con lo Stato Islamico contro Assad.
Lo Stato Islamico addirittura la intervista - il Califfo ha infatti anche una rivista patinata in francese, Dar Islam - e diffonde la sua versione. Lei si dichiara felice di vivere "in una terra dove vige la legge di Allah" e fa un elogio funebre del 'marito' Coulibaly (lo chiama Abu Baly al-Ifriki) che ha dato il buon esempio. Naturalmente, l'articolo è privo di foto della ragazza nella sua nuova incarnazione: sarebbe antislamico, perbacco. Il fatto è che addirittura l'ISIS conferma la versione ufficiale.
Poi, sono comparsi video in cui Coulibaly, ancor vivo, si dichiarava spontaneamente un seguace del Califfato. Una tv ebraica francese riuscirà ad intervistarlo mentre è asserragliato nel negozio: uno scoop. Come quelle immagini prese dal tetto che mostrano i due teroristi all'uscita dalla strage di Charlie Hebdo: immagini riprese, si disse, da un giornalista israeliano che si trovava per caso lì. versione poi cambiata.
Personaggio cruciale: Ramdani, rapinatore, ricercato internazionale per spaccio, aveva stretto amicizia con Coulibaly in carcere; s'era atteggiato ad islamista voglioso di violenza, gli aveva dato appoggio logistico (le armi?) e sarebbe stato lui a scortarlo fino al negozio kosher alla Porte de Vincennes; certamente il cellulare di Coulibaly e quello di Ramdani hanno occupato la stessa "cellula" il 6, 7 ed 8 gennaio.
Il punto è che questo pregiudicato Ramdani, come hanno scoperto gli agenti che lo hanno pedinato, entrava ed usciva quando voleva dal centro operativo dei "servizi" francesi, a Rosny-sous-Bois. Poi è risultato - o è stato asserito - che lì andava a trovare la sua amante: Emanuelle C. (il cognome è ignoto) che è una agente dei servizi, che aveva preso una sbandata per lui tanto da "convertirsi all'Islam" in segreto, tanto da "indossare il velo" quando usciva dall'ufficio: un tipico travestimento per un'agente che vuole infiltrarsi in ambienti islamici. E poi: come può un ricercato entrare nel "Forte" (così chiamano la centrale d'intelligence) senza mostrare un documento, senza avere un badge che ne legittimi l'accesso?
Il peggio è che quando Ramdani (su indicazione del blogger) è stato arrestato, Emmanuelle ha cercato di accedere ai fascicoli dell'inchiesta Coulibaly.
Un'altra donna fatale è quella che ha fatto innamorare Coulibaly e l'ha reso - oltreché pazzo d'amore - un islamista pronto a tutto: si chiama Hayat Boumedienne, indicata dai media come "la moglie" del terrorista ucciso. Molte le foto, diffuse dopo, dove i due sono insieme e si addestrano ad usare pistole - lei è in chador nero. Altre foto però la mostrano in bikini, incollata voluttuosamente a Coulibaly. ..
Il giorno 9, quando il nero si asserraglia nel negozio ebraico, qualcuno spiega subito ai giornalisti che la fanatica islamista Hayat Boumedienne è lì con lui, nel negozio. Così passano le ore e nessuno la cerca. Hayat non è affatto nel negozio; ha preso comodamente il largo. Poi si farà viva coi familiari e darà la sua versione, ovviamente ripresa dai media: sono in Siria a combattere con lo Stato Islamico contro Assad.
Lo Stato Islamico addirittura la intervista - il Califfo ha infatti anche una rivista patinata in francese, Dar Islam - e diffonde la sua versione. Lei si dichiara felice di vivere "in una terra dove vige la legge di Allah" e fa un elogio funebre del 'marito' Coulibaly (lo chiama Abu Baly al-Ifriki) che ha dato il buon esempio. Naturalmente, l'articolo è privo di foto della ragazza nella sua nuova incarnazione: sarebbe antislamico, perbacco. Il fatto è che addirittura l'ISIS conferma la versione ufficiale.
Poi, sono comparsi video in cui Coulibaly, ancor vivo, si dichiarava spontaneamente un seguace del Califfato. Una tv ebraica francese riuscirà ad intervistarlo mentre è asserragliato nel negozio: uno scoop. Come quelle immagini prese dal tetto che mostrano i due teroristi all'uscita dalla strage di Charlie Hebdo: immagini riprese, si disse, da un giornalista israeliano che si trovava per caso lì. versione poi cambiata.
Facciamola breve.
Insomma: qualcosa ci suggerisce una nostra versione, orribilmente complottista:
Insomma: qualcosa ci suggerisce una nostra versione, orribilmente complottista:
il povero Coulibaly, reso scemo dal sesso la sua Hayat Boumedienne, che è una agente dei servizi, viene gestito da Ramdani, che lo arma con le armi fornite da Hermant per i servizi in gran quantità, perché solitamente destinate alla guerriglia in Siria (dove i francesi hanno una filiale di Al Qaeda, fatta di militanti maghrebini nati in Francia); la fidanzata o moglie, e il Ramndani, lo convincono a compiere la grande impresa di alto valore mediatico. Il povero Coulibaly viene usato e sacrificato per qualche motivo, forse per distogliere l'attenzione dai fratelli Kouachi che in quelle ore sono in fuga? Per qualche altro motivo?
In ogni caso, è abbastanza spiegabile come mai occorra seppellire questa sporca faccenda come "segreto di Stato", segreto militare da sottrarre ai giudici.
Chi vuole sviscerare tutti i particolari strani di questa vicenda, può - se sa il francese - consultare il sito
http://www.panamza.com/charlies/
E' una miniera di informazioni, risultato di indagini personali di un vero giornalista (che immagino non sia apprezzato dai media). Fra le altre, segnalo questa: fin dalle prime ore un importante giornale online americano, l'International Business Time (il terzo nel mondo fra i giornali economici sul web, per numero di contatti) dice: l'attentato di Charlie sembra una vendetta del Mossad contro la Francia. Un'ora dopo, il giornale online ritira il pezzo, e si scusa coi lettori.
Chi vuole sviscerare tutti i particolari strani di questa vicenda, può - se sa il francese - consultare il sito
http://www.panamza.com/charlies/
E' una miniera di informazioni, risultato di indagini personali di un vero giornalista (che immagino non sia apprezzato dai media). Fra le altre, segnalo questa: fin dalle prime ore un importante giornale online americano, l'International Business Time (il terzo nel mondo fra i giornali economici sul web, per numero di contatti) dice: l'attentato di Charlie sembra una vendetta del Mossad contro la Francia. Un'ora dopo, il giornale online ritira il pezzo, e si scusa coi lettori.
La pena di morte illegale e senza processo di Israele è accolta dagli applausi delle masse
La popolazione di Israele guarda queste foto e la maggioranza ne è deliziata e compiaciuta, dato che i media esaltano i suoi istinti animali.
di Gideon Levy
Haaretz 11 ottobre 2015
Una catena di esecuzioni extragiudiziarie sta attraversando il paese. E’ odiosa, barbara ed illegale ed è accompagnata dagli applausi delle masse, dall’incitamento dei media e dall’incoraggiamento delle autorità.
Adesso all’ondata di attacchi terroristici si aggiunge il peggiore dei danni: la società israeliana sta perdendo la sua immagine. Questa società ha già vissuto dei periodi tremendi, ma non come questo, in cui qualunque aggressore o chiunque minacci con un coltello, un cacciavite o uno sbucciapatate viene ucciso, anche dopo che ha gettato la sua arma, mentre l’assassino diventa un eroe nazionale.
Chi voleva la pena di morte per i terroristi adesso ne ha una versione ancor più vergognosa: una pena di morte senza processo. Quattordici palestinesi sono stati uccisi in questo modo la settimana scorsa, la maggioranza dei quali non sarebbe stata passibile di una sentenza di morte in uno stato di diritto. La sete di sangue, quale non se ne ricorda da queste parti, esige sempre più sangue.
In alcuni degli attacchi, le forze di sicurezza e i civili hanno agito correttamente ed hanno neutralizzato gli aggressori. A volte non vi è stata altra scelta che sparare ed uccidere. Ma in altri casi, è stata messa in atto un’esecuzione, non ci sono altri termini per descriverla. I video lo provano indiscutibilmente.
Basta guardare l’atroce uccisione ad Afula di Asraa Abed, che aveva ancora in mano un coltello, circondata da poliziotti armati che le si avvicinavano sempre più, mentre uno di loro mangiava un ghiacciolo, finché hanno sparato contro di lei diverse pallottole da vicino, invece di fermarla e disarmarla. E’ palesemente un assassinio. Quei poliziotti erano troppo codardi o assetati di vendetta e perciò meritano di essere processati, non encomiati.
Ancor più macabra è l’esecuzione di Fadi Alon a Gerusalemme. Dopo che ha gettato a terra il coltello con cui aveva ferito un giovane ebreo, ha cercato di scappare dalla folla inferocita verso un poliziotto, che la gente incitava con parole volgari ad ucciderlo. Rispondendo alla richiesta della marmaglia, il poliziotto ha sparato a morte al ragazzo, senza motivo, e poi ha fatto rotolare il suo corpo in strada.
L’attacco a Tel Aviv ha presentato elementi grotteschi. Un palestinese con un sottile cacciavite, che aveva aggredito e ferito molto leggermente alcuni israeliani con un sottile cacciavite, è stato colpito a morte da un ufficiale dell’esercito israeliano. Il luogotenente Daniel è diventato l’eroe del giorno. Sono state scritte intere pagine di giornale su di lui, che lo acclamavano come “un combattente di un’unità di difesa aerea che ha fatto ciò che ci si aspetta da un combattente.” Il corpo dell’aggressore, che nessuno si è preoccupato di coprire, con accanto il cacciavite, è il trofeo di Daniel. “Atto eroico alla porta di Kirya”, hanno strillato i titoli dei media. Questi sono i tuoi eroi, Israele, che fanno fuori dei giovani disperati armati di un cacciavite, che avrebbero potuto e dovuto essere arrestati.
La popolazione di Israele guarda queste fotografie e la maggioranza ne è compiaciuta, perché i media esaltano i loro istinti animali. E’ questo il vero incitamento. Adulti e ragazzi vedono che gli arabi vengono uccisi, come cani randagi per la strada ed imparano la lezione. Così, appare chiara una delle principali ragioni dello scoppio della rivolta – la disumanizzazione dei palestinesi, la cui vita e la cui morte non hanno valore per gli israeliani.
Nessuno si sogna di ammazzare Yishai Shlisel [fondamentalista religioso che ha aggredito ed ucciso partecipanti al gay pride nel 2005 e nel 2015. N.d.tr.] o l’assassino del giovane Maor Almakayas [un 15enne accoltellato da altri ragazzi israeliani durante una rissa. N.d.tr.] a Kiryat Gat, ma l’uccisione di un palestinese viene applaudita ed acclamata dalla folla esaltata. E non abbiamo ancora parlato dell’uccisione senza motivo di dimostranti al confine di Gaza, spari che hanno ucciso sette civili, compreso un bambino. E non ho nemmeno menzionato il tentativo di linciaggio ad Afula, o l’aggressore ebreo [che ha ferito a coltellate quattro palestinesi. N.d.tr.] a Dimona, che nessuno ha pensato di uccidere, né di distruggergli la casa. Era molto “angosciato”, perciò è stato perdonato, come se gli aggressori palestinesi non avessero un’ “angoscia” dieci volte più profonda.
Uno dei sostenitori di questa barbarie, Dan Margalit, venerdì ha fornito una giustificazione a tutto questo. “E’ assolutamente auspicabile uccidere tutti i terroristi: più terroristi vengono colpiti, meno ce ne saranno”, ha detto. A questa moralità da ottentotti, che è fuori dalla realtà, si potrebbe aggiungere: più stupratori, rapinatori, guidatori pericolosi, pervertiti sessuali, simpatizzanti di sinistra ed arabi verranno colpiti, meno ne avremo. Morte agli arabi – è tempo di aggredire il prossimo bersaglio.
( Traduzione di Cristiana Cavagna )
fonte: http://www.haaretz.com/opinion/.premium-1.679781
Presentata in Parlamento un'importante risoluzione
sulla situazione in Siria
Una significativa iniziativa parlamentare del Movimento 5 Stelle per la fine delle sanzioni alla Siria e una risoluzione pacifica del conflitto in corso, con l'avvio, anche da parte italiana, di colloqui costruttivi con il legittimo governo siriano. Auspichiamo che tutte le forze comuniste, di sinistra e democratiche facciano proprie queste proposte, in parlamento e con la mobilitazione nel paese.
Atto Camera
Risoluzione in commissione 7-00771
presentato da DI STEFANO Manlio
testo di Mercoledì 16 settembre 2015, seduta n. 483
La III Commissione, premesso che:
Atto Camera
Risoluzione in commissione 7-00771
presentato da DI STEFANO Manlio
testo di Mercoledì 16 settembre 2015, seduta n. 483
La III Commissione, premesso che:
la Siria dal 15 marzo 2011 vive una terribile guerra per procura alimentata da terroristi provenienti da 89 Paesi, dove, finora, sono morte più di 250.000 persone tra civili e militari;
vista la situazione di caos, sul territorio siriano si sono sviluppate, grazie anche al supporto logistico, finanziario e di armamenti, le organizzazioni terroristiche di Jhabbat al-Nusra, filiale di al-Qaeda in Siria e il sedicente Stato islamico dell'Iraq e del Levante, ISIS;
è stato documentato da diversi media in Turchia, così come dal dipartimento di Stato degli USA, il coinvolgimento dei servizi segreti turchi nel passaggio dei terroristi in Siria;
l'Isis continua a ricevere i proventi dalla vendita di petrolio alla Turchia a un prezzo ridotto (come documentato da vari analisti e reporter di guerra) e dai reperti archeologici saccheggiati in Siria e Iraq e poi rivenduti sui mercati europei;
la Giordania favorisce il passaggio di terroristi sul suolo siriano, mentre Israele accoglie i terroristi feriti in Siria e, come documentato dai media israeliani, offre loro supporto logistico per tornare nei campi di battaglia siriani;
dal mese di aprile 2015, l'Isis e il Fronte al-Nusra hanno proseguito la loro avanzata in Iraq e Siria, occupando Ramadi (Iraq), Idlib e Palmyra (Siria); l'inviato dell'Onu in Siria, Staffan De Mistura, ha ribadito più volte che il presidente siriano Bashar al-Assad è parte della soluzione alla crisi siriana e che sarebbe necessario un maggior coordinamento con le forze armate siriane contro le organizzazioni terroristiche Isis e al-Nusra, avendo acquisito nel tempo importanti informazioni di intelligence;
la cosiddetta coalizione anti-Isis a guida americana non solo si è dimostrata inconcludente, ma, come nel caso dell'occupazione di Palmyra, ha mostrato addirittura un chiaro atteggiamento non interventista, quasi benevolo. Preoccupante, inoltre, è l'intenzione da parte della suddetta coalizione di considerare al-Nusra tra i cosiddetti «ribelli moderati»;
la cosiddetta coalizione nazionale siriana è divisa e lacerata da divisioni al suo interno tra continue liti e scandali per sottrazione di fondi; ha un riscontro minimo di popolarità sul suolo siriano e la sua formazione militare, il cosiddetto Free Syrian Army, è ormai parte integrante delle organizzazioni terroristiche presenti sul territorio siriano;
dal 2011, la Repubblica araba siriana è vittima dell'embargo economico e delle sanzioni dell'Unione europea, i cui effetti diventano devastanti solamente su una popolazione impossibilitata, ora, ad accedere a medicinali e beni di prima necessità. Nel mese di maggio 2015, inoltre, il Consiglio europeo ha esteso le sanzioni economiche contro la Siria per un anno ulteriore, quindi, fino al 1o giugno 2016;
la Repubblica araba siriana è una nazione laica che consente ai cristiani e alle altre minoranze religiose di professare liberamente la propria fede religiosa. A Damasco c’è una delle più antiche sinagoghe del Medio Oriente, colpita dai mortaio dai ribelli dell'Esercito libero siriano, considerati da molti Governi occidentali dei «moderati»; in Siria la donna non è costretta a portare alcun velo e ha pieni diritti civili e piene libertà. Le donne possono esercitare qualsiasi professione e non è preclusa la carriera politica o l'accesso alle istituzioni;
la Siria, dal giorno della Nakba, 15 maggio 1948, ha accolto milioni di rifugiati palestinesi ai quali sono stati concessi pieni diritti e la cittadinanza siriana. In seguito alla guerra in Iraq, nel 2003, e al susseguirsi del conflitto, il Governo siriano ha accolto più di 1 milione di profughi iracheni, riservando loro alloggi e lavoro secondo le loro competenze, senza alcuna discriminazione etnica, religiosa o sociale; nel 2006 durante il conflitto tra Hezbollah e Israele, 600.000 libanesi in fuga dai bombardamenti israeliani sono stati accolti in territorio siriano;
la Repubblica araba siriana non è isolata. È riconosciuta dall'ONU, dai Paesi cosiddetti BRICS, dai Paesi membri dell'Alleanza bolivariana per le Americhe (ALBA), dall'Iran, Algeria, Libano, Kuwait e altri Paesi che stanno rivedendo la loro posizione. Stati che, nel complesso, rappresentano la maggioranza della popolazione mondiale;
il Ministro degli esteri austriaco Sebastian Kurz ha dichiarato recentemente che l'Occidente dovrebbe collaborare con il presidente siriano Bashar al-Assad e i suoi alleati Iran e Russia per combattere il gruppo terroristico ISIS. Altresì il Ministro degli esteri spagnolo José Manuel Garcia-Margallo ha dichiarato da Teheran di ritenere necessario l'apertura di un negoziato con il presidente Assad per un cessate il fuoco,
impegna il Governo:
a riconoscere e ripristinare le relazioni diplomatiche con la Repubblica araba siriana;
a condannare gli atti di terrorismo compiuti ai danni della popolazione siriana;
a intervenire nelle sedi internazionali, quali ONU e Unione europea, affinché sia rispettata la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU n. 2170 che prevede misure per ostacolare ogni tipo di supporto, finanziamento e armamento ai terroristi dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (ISIS), al fronte terroristico «Jabhat al-Nusra» e al flusso di terroristi in Siria e in Iraq;
a dissociarsi e a contribuire in sede europea alla rimozione delle inique sanzioni economiche alla Repubblica araba siriana;
a intraprendere e a promuovere iniziative di dialogo con il Governo siriano come proposto da altri Paesi europei, come la Spagna e l'Austria.
(7-00771) «Manlio Di Stefano, Del Grosso, Di Battista, Grande, Scagliusi, Sibilia, Spadoni».
terrorismo risoluzione ONU risoluzione
Fonte: http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=82&pg=12724
- See more at: http://www.marx21.it/internazionale/pace-e-guerra/26039-presentata-in-parlamento-unimportante-risoluzione-sulla-situazione-in-siria.html#sthash.cwLFTjeF.dpuf
di Gideon Levy
07 set. 2015
Perché gli israeliani si sono così commossi alla foto di un profugo siriano morto, ma sono stati insensibili verso la tragedia di un bambino palestinese ucciso?
I fratelli Baker uccisi da un missile israeliano sulla spiaggia di Gaza nel luglio 2014
di Gideon Levy – HAARETZ
(Traduzione di Carlo Tagliacozzo)
Gerusalemme, 7 settembre 2015, Nena News – Due fotografie. Nella prima, la faccia seppellita nella sabbia, un piccolo corpo rivestito di indumenti stracciati, i suoi piedi nudi storti, su uno di essi del sangue rinsecchito. Nell’altra , la faccia seppellita nella sabbia, i piedi in piccole scarpe giacciono uno accanto all’altro, il piccolo corpo lambito dalle onde. Hanno quasi la stessa età e la loro somiglianza è incredibile e sconvolgente. Ismail Baker [è ritratto] nella prima foto, Aylan Kurdi nella seconda.Due bambini morti, che giacciono sulla spiaggia, un anno e pochi mesi e poche centinaia di chilometri li separano.
La prima foto ha girato dappertutto salvo che in Israele dove non è stata pubblicata. Il compassionevole giornale,Yedioth Ahronoth non l’ha pubblicata sulla sua prima pagina e non l’ha intitolata “Il bambino che ha commosso il mondo intero”. La morte di Ismail non ha scosso nessuno in Israele. Al contrario, Aylan da morto è diventato un’icona internazionale, compreso, naturalmente, Yedioth Ahronoth, che sa quello che probabilmente commuove gli israeliani.
Un bambino palestinese di Gaza, ucciso insieme ai suoi tre cuginetti da un bombardamento dei piloti dell’aviazione israeliana IAF durante l’operazione Margine Protettivo mentre giocavano a calcio sulla spiaggia, non è “commovente”. Un bambino siriano della stessa età, che è annegato mentre fuggiva con la sua famiglia verso l’Europa è “il bambino che ha commosso” il mondo. E se questo non basta possiamo aggiungere che nessuno ha avuto un processo per l’uccisione criminale di Ismail ( il caso è stato archiviato).
La foto del piccolo Aylan Kurdi che ha fatto il giro del mondo
Israele non ha nessun diritto di stracciarsi le vesti per la morte di Aylan Kurdi, né di singhiozzare per la foto, né di fingere shock, né di “offrire aiuto” e sicuramente non di fare prediche all’Europa. Vi è un territorio disastrato che Israele ha creato nel suo cortile, un’ora e un quarto di macchina da Tel Aviv. In quella orribile regione, la famiglia Al-Amla ha raccontato a un giornalista svedese che ha fatto visita alla loro casa di Rafah la loro enorme tragedia. Sono le vittime di quello che è stato conosciuto come “il venerdì nero” a Rafah, quando l’IDFha scatenato la sua furia omicida nel tentativo di liberare un soldato catturato. Il padre, Wa’el ha perso una gamba. Sua moglie, Isra, ha perso entrambe le gambe. Il loro figlio di tre anni Sharif ha perso una gamba e un occhio. Il fratello di Wa’el, sua cognata e la sua sorella di undici anni sono stati uccisi.
Sono stati tutti vittime dei missili sparati contro di loro dagli aerei israeliani quel venerdì, quando cercavano di scappare dalle loro abitazioni e di [raggiungere] la casa della loro nonna. Il loro destino non è meno sconvolgente di quello della famiglia Kurdi. La differenza è che la loro tragedia è stata causata dall’IDF. Il governo e l’opinione pubblica israeliana avrebbero dovuto assumersi la responsabilità di quest’azione, avrebbero dovuto essere sconvolti e assistere la famiglia. Non avendolo fatto, Israele ha rivelato un grado di insensibilità così elevato che ora non può manifestare costernazione per altre tragedie senza mettere in evidenza la propria ipocrisia e l’uso di due pesi e di due misure.
L’ipocrisia è ben visibile nello shock per il destino dei profughi che vanno in Europa. Una Nazione che martirizza decine di migliaia di richiedenti asilo non ha nessun diritto di criticare l’Europa per il suo comportamento nei confronti dei profughi. Se Israele avesse voluto dare un piccolo contributo alla lotta dei profughi del mondo, avrebbe dovuto accogliere il gruppetto di richiedenti asilo che già sono qui, permettergli di lavorare e vivere con dignità e avviarli ad un graduale percorso di accesso alla cittadinanza.Quelli che si sono scandalizzati per l’affermazione del primo ministro ungherese Victor Orban che il flusso di profughi minaccia “le radici cristiane dell’Europa”, devono spiegare qual è la differenza tra il discorso sulle “radici cristiane” dell’Europa, che risulta fuori luogo in Ungheria, e quello su “il carattere ebraico” di Israele, che suona molto bene in Israele.
In tutto questo solamente una fonte di orgoglio patriottico è assolutamente giustificata: l’Ungheria e la Bulgaria vogliono imparare da Israele come costruire una barriera al confine, e naturalmente in Israele ne sono orgogliosi. Siamo o non siamo un faro tra i gentili [citazione da Isaiah 49:6 e Isaiah 60:3, ripresa sia dal padre della patria israeliana Ben Gurion che più recentemente da Benjamin Netanyahu, ndtr]?
Nena News
Quando la madre, la sorella e la zia di Mohammad hanno visto che un soldato israeliano aggrediva il ragazzino di 12 anni, lo hanno afferrato da tutte le parti. Poi il padre del ragazzo ha avvisato un ufficiale perché venisse a prendere il soldato.
di Amira Hass
Haaretz 3 settembre 2015
Sabato pomeriggio Nariman Tamimi ha ripetuto forse per la millesima volta la stessa
risposta, dicendo all'ennesimo giornalista che lei ha fatto la cosa più naturale quando
il 28 agosto è corsa a salvare suo figlio Mohammad di 12 anni dalla stretta di un
soldato dell’esercito israeliano durante la manifestazione nel villaggio di Nabi Saleh
in Cisgiordania. Dire che "è corsa" è eccessivo, poiché zoppicava appoggiandosi alle
stampelle.
Il 21 novembre dello scorso anno un soldato dell’esercito israeliano le aveva sparato,
ferendola alla gamba sinistra, perché stava filmando dei soldati che disperdevano la
settimanale manifestazione nel villaggio. La stessa manifestazione ha segnato il
secondo anniversario della morte di suo fratello, Rushdie, a cui un soldato ha sparato
alla schiena uccidendolo. Un’inchiesta dell’esercito ha rivelato che quel giorno i
soldati spararono circa 80 proiettili, senza che ciò fosse giustificato [da una situazione
di pericolo], per disperdere una protesta nel villaggio.
Quando Nariman ha sentito le grida di suo figlio ed ha cominciato ad arrancare verso
di lui più in fretta che poteva tra le pietre e i cardi, pensava ad una sola cosa: "Che
cosa accadrà al suo braccio rotto?" Il mercoledì precedente delle jeep militari erano
entrate nel villaggio. I più giovani avevano tirato loro delle pietre per protesta, i
soldati avevano sparato gas lacrimogeno e le persone, tra cui Mohammad, che stava
facendo spesa al negozio di alimentari, sono fuggite per via del lancio di
lacrimogeni. Lui era inciampato rompendosi il braccio sinistro.
A causa della sua difficoltà a camminare, Nariman non può partecipare alle
manifestazioni settimanali in cui gli abitanti di Nabi Saleh rivendicano il loro diritto
di ritornare ad utilizzare la loro sorgente di acqua potabile, che i coloni di Halamish
hanno loro sottratto. Lei stava in cima alla collina da dove vedeva la sorgente, la
strada e l’insediamento. Di là stava guardando la manifestazione.
“Circa 25 persone vi partecipavano, tra cui diversi israeliani ed attivisti della
solidarietà internazionale. I soldati hanno fermato la loro marcia a metà strada, hanno
sparato granate di gas lacrimogeno ed hanno sbarrato il cancello di ferro all’entrata
della strada. Hanno guidato le jeep verso la sorgente, i soldati usciti dai veicoli hanno
cominciato a risalire la collina e di là hanno continuato a tirare lacrimogeni contro i
manifestanti”, ha riferito Bassem Tamimi, marito di Nariman.
I più giovani del villaggio si sono radunati in cima alla collina tirando sassi contro i
soldati (Nariman stava ad una certa distanza da loro e filmava con il suo cellulare).
“Improvvisamente", ricorda "sono comparsi più di 20 soldati armati e mascherati
vicino ai ragazzi. Erano vestiti in modo leggero, senza giubbotti o elmetti.”
La gente suppone che i soldati si fossero posizionati la notte precedente in una villa
vicina sulla collina. “C’era confusione, la gente ha iniziato a disperdersi in ogni
direzione. E allora abbiamo visto i soldati aggredire e picchiare un cittadino italiano
che stava filmando,” ha raccontato Bassem.
Lui ed altri sono corsi a salvare l’italiano (che è stato agli arresti fino a lunedì scorso).
E allora si sono accorti che stavano arrestando anche il cugino di Nariman, Mahmoud
Tamimi (che è ancora detenuto). Improvvisamente hanno sentito le urla di un ragazzo
e la voce del loro parente Bilal che gridava loro di correre subito.
Ahed, la figlia quattordicenne di Bassem e Nariman, è stata la prima a raggiungere il
luogo da cui provenivano le urla. Ha visto un soldato mascherato che afferrava suo
fratello Mohammad e gli metteva un braccio intorno al collo.
“Ero là e vedevo i soldati e i ragazzi,” ha detto Mohammad. “All’improvviso ho
visto un soldato che veniva a prendermi. Ho cercato di scappare ma mi ha preso. Mi
soffocava con un braccio, ha preso la mia testa e l’ ha schiacciata a terra sulle pietre.
Ovviamente ero spaventato.”
Sua sorella Ahed ha detto di non aver avuto paura quando è corsa verso il soldato per
allontanarlo da suo fratello. “Quando le cose stanno accadendo" ha detto "non hai
paura.”
Dopo che Ahed è accorsa sulla scena, sono arrivati sua madre, sua zia e suo padre.
“Ho visto il soldato che strangolava mio figlio, schiacciandolo sulle pietre, prendendo
la sua testa e sbattendola contro il terreno. Una violenza difficile da descrivere”, ha
detto Bassem. Insieme, la madre, la sorella e la zia hanno afferrato il soldato da ogni
lato per staccarlo dal ragazzo terrorizzato. Quando il soldato armato ha sollevato il
braccio per scacciare Ahed, lei lo ha afferrato e lo ha morso.
Eppure Nariman ha provato pena per il soldato. “E’ una vittima della politica; lui
stesso è un ragazzo”, ha osservato, “ma dovrebbe chiedersi perché viene mandato a
casa nostra per farci del male.”
Bassem, che ha visto gli altri soldati lontani dal loro compagno, ha avuto paura che
alcuni dei giovani palestinesi si avvicinassero, che il soldato tentasse di sparargli, che
qualcuno rimanesse ferito e che i ragazzi cercassero di vendicarsi su di lui. “Sono
stato combattuto tra la preoccupazione per mio figlio e per quello che avrebbe potuto
succedere”, ha detto. Ha urlato ad un ufficiale che si trovava a 70 o 80 metri di
distanza di venire lì. “Ho gridato in ebraico, in inglese, in arabo. Se avessi conosciuto
altre lingue avrei gridato anche in quelle.” L’ufficiale è arrivato e ha sollevato il
soldato che era steso a terra. Quando si è alzato, ha dato un calcio alla donna e alla
ragazza, ha colpito Bassem col calcio del fucile ed ha tirato una granata assordante.
I genitori temevano che il braccio rotto di Mohammed fosse stato nuovamente ferito e
hanno iniziato a scendere verso il centro del villaggio per trovare un mezzo di
trasporto per l’ospedale. “I soldati ci hanno sparato con proiettili di metallo ricoperti
di gomma”, ha riferito Bassem. “D’improvviso Salam (il loro figlio più piccolo, di
sette anni) si è messo ad urlare. Si è scoperto che era stato ferito alla gamba. Io l' ho
preso in braccio e Yonatan (l’attivista di sinistra Jonathan Pollak) ha aiutato
Mohammad e Naji (un altro familiare) ha trasportato Ahed, che non poteva
camminare a causa delle percosse del soldato. Abbiamo cercato un’ambulanza.”
All’ospedale di Ramallah si è saputo che il piede di Salam era rotto, ma il braccio
rotto di Mohammed non era stato ulteriormente ferito. Tutti avevano contusioni varie.
Nei giorni seguenti hanno avuto moltissime visite di giornalisti ed amici. Non è
venuto nessun funzionario dell’Autorità Nazionale Palestinese. Tra una visita e
l’altra, Bassem ha letto e riletto con stupore gli articoli in ebraico sulle “donne
palestinesi che hanno attaccato un combattente della Brigata Golani.” Sua moglie
Nariman ha contestato questa versione dei fatti. “Adesso che ci sono i social
networks le bugie non servono. I video mostrano chiaramente chi è stato ad attaccare.
Noi abbiamo il diritto di difenderci da chi ci aggredisce.”
“Non capisco", ha aggiunto Ahed, "una pietra è violenza e un fucile non lo è?”
(Traduzione di Cristiana Cavagna)
Pubblicato il 14 ago 2015
di Moni Ovadia
Bibi e Fiamma davvero una coppia fatale. Coppia politico-diplomatica sia chiaro, a scanso di equivoci. Li unisce la comune passione per il sionismo di estrema destra, ovvero un nazionalismo israelo-ebraico radicale declinato con la complicità di uno dei peggiori fanatismi religiosi messianici che operi oggi e che sia mai comparso nella plurimillenaria e travagliata storia degli ebrei.
Sono i passionari assoluti dell’unica democrazia del Medioriente, come loro stessi, i loro sostenitori e alcuni esimii opinionisti dei media la chiamano ad ogni piè sospinto: lo stato d’israele. Una democrazia che occupa e colonizza da cinquant’anni le terre di un altro popolo che ne demolisce le case, ne sradica gli uliveti, che giudaizza con la forza e la perversione della giustizia Gerusalemme est, la Gerusalemme araba, che pratica come routine la detenzione amministrativa, che discrimina fra i suoi cittadini, che attua forme sempre più estese di apartheid. Ma, per Bibi e Fiamma e i loro sodali, queste sono calunnie antisemite. Per loro è sempre e comunque la «piccola Israele» la povera vittima e ogni azione politica o atto di propaganda deve mirare ad affermare questa verità incontrovertibile. Chi non è d’accordo con loro è un nemico di Israele e del popolo ebraico tout court.
La parabola politico-ideale della Nirenstein è stata esemplare, di una rara e luminosa coerenza. Ha attraversato tutte le militanze politiche, dalla «estrema» sinistra all’estrema destra, con grandissima disinvoltura. È pur vero che si suole dire che solo gli stupidi non cambiano idea, ma di questo concetto si può proporre una variante al contrario, ovvero che solo gli arroganti impudenti perdono la capacità di discernere rispetto ai propri continui smottamenti verso l’estremo opposto. Tuttavia la parabola percorsa dalla pasionaria sionista è stata guidata da un solo faro: l’idea totemica che Israele abbia sempre e comunque ragione, anche quando il suo governo si macchia di evidenti crimini. A mio parere un’idea idolatrica e poco ebraica. Rincorrendo i fedeli e acritici amici di Israele in Italia la Nirenstein è approdata alla corte di Berlusconi ed ha accettato di sedere in Parlamento di fianco a certo Ciarrapico, antisemita dichiarato, e ad allearsi con tutto il nazi-fascistume di risulta imbarcato dal Silvio nazionale pur di raschiare voti. Ma la Fiamma del sionismo lo ha fatto solo «a fin di bene», per la causa dei governi più reazionari della storia di Israele.
Bibi ha scelto bene non c’è che dire. La sua ambasciatrice a Roma farà il lavoro che gli serve, c’è da scommettere che sarà la sua ombra, in Italia e in Europa. Si farà carico della propaganda mirante a dipingere Israele come la vittima e a fare scendere l’oblio e il silenzio sui diritti violati del popolo palestinese. Diffonderà il verbo del pericolo Iran, il nuovo Hitler, sosterrà le forze più oltranziste filo Netanyahu anche oltre oceano approfittando dell’autorevolezza conferitale dallo statuto diplomatico e forse stilerà liste di proscrizione per impedire ai critici della sciagurata politica del governo israeliano — soprattutto a quelli ebrei — di accedere ai grandi media per raccontare la vergogna dell’oppressione e dell’imprigionamento di un intero popolo.
Ma, a quanto si apprende dalla stampa tutto ciò non filerà proprio liscio. Pare che sulla nomina della Nirenstein ci siano parecchi mal di pancia e perplessità all’interno dell’ebraismo italiano.
Invece il nostro governo, che deve pur essere stato informato, non sembra manifestare alcun dubbio sulla nomina di un’oltranzista di destra a rappresentare l’unica «democrazia» mediorientale. Ma non c’è da stupirsi visto che il nostro governo si incarna nel presidente del consiglio Renzi, unico dominus della politica nazionale ed estera. Bibi, nel corso del recente viaggio di Matteo in Terra Santa, gli avrà comunicato la scelta e Matteo che ha dimestichezza con gli ideali della destra avrà approvato senza difficoltà. Di una cosa Matteo, troppo preso da se stesso non si accorgerà: la signora Nirenstein, suo malgrado, darà un fattivo contributo al vero lavoro di Bibi, quello di mettere a serio rischio il presente e il futuro del suo Paese, come acutamente ha osservato sul quotidiano progressista Haaretz, il giornalista Yoel Marcus in un articolo dal palmare titolo: «Benjamin Netanyahu è un pericolo per Israele».
fonte: il manifesto
2015 Black Solidarity Statement with Palestine
The past year has been one of high-profile growth for Black-Palestinian solidarity. Out of the terror directed against us—from numerous attacks on Black life to Israel’s brutal war on Gaza and chokehold on the West Bank—strengthened resilience and joint-struggle have emerged between our movements. Palestinians on Twitter were among the first to provide international support for protesters in Ferguson, where St. Louis-based Palestinians gave support on the ground. Last November, a delegation of Palestinian students visited Black organizers in St. Louis, Atlanta, Detroit and more, just months before the Dream Defenders took representatives of Black Lives Matter, Ferguson, and other racial justice groups to Palestine. Throughout the year, Palestinians sent multiple letters of solidarity to us throughout protests in Ferguson, New York, and Baltimore. We offer this statement to continue the conversation between our movements:
On the anniversary of last summer’s Gaza massacre, in the 48th year of Israeli occupation, the 67th year of Palestinians’ ongoing Nakba (the Arabic word for Israel's ethnic cleansing)--and in the fourth century of Black oppression in the present-day United States--we, the undersigned Black activists, artists, scholars, writers, and political prisoners offer this letter of reaffirmed solidarity with the Palestinian struggle and commitment to the liberation of Palestine’s land and people.
We can neither forgive nor forget last summer’s violence. We remain outraged at the brutality Israel unleashed on Gaza through its siege by land, sea and air, and three military offensives in six years. We remain sickened by Israel’s targeting of homes, schools, UN shelters, mosques, ambulances, and hospitals. We remain heartbroken and repulsed by the number of children Israel killed in an operation it called “defensive.” We reject Israel’s framing of itself as a victim. Anyone who takes an honest look at the destruction to life and property in Gaza can see Israel committed a one-sided slaughter. With 100,000 people still homeless in Gaza, the massacre's effects continue to devastate Gaza today and will for years to come.
Israel’s injustice and cruelty toward Palestinians is not limited to Gaza and its problem is not with any particular Palestinian party. The oppression of Palestinians extends throughout the occupied territories, within Israel’s 1948 borders, and into neighboring countries. The Israeli Occupation Forces continue to kill protesters—including children—conduct night raids on civilians, hold hundreds of people under indefinite detention, and demolish homes while expanding illegal Jewish-only settlements. Israeli politicians, including Benjamin Netanyahu, incite against Palestinian citizens within Israel’s recognized borders, where over 50 laws discriminate against non-Jewish people.
Our support extends to those living under occupation and siege, Palestinian citizens of Israel, and the 7 million Palestinian refugees exiled in Jordan, Lebanon, Syria and Palestine. The refugees’ right to return to their homeland in present-day Israel is the most important aspect of justice for Palestinians.
Palestinian liberation represents an inherent threat to Israeli settler colonialism and apartheid, an apparatus built and sustained on ethnic cleansing, land theft, and the denial of Palestinian humanity and sovereignty. While we acknowledge that the apartheid configuration in Israel/Palestine is unique from the United States (and South Africa), we continue to see connections between the situation of Palestinians and Black people.
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Tara Tee from St. Louis poses near graffiti during the Dream Defenders delegation to Palestine. (Photo by Christopher Hazou)
Israel’s widespread use of detention and imprisonment against Palestinians evokes the mass incarceration of Black people in the US, including the political imprisonment of our own revolutionaries. Soldiers, police, and courts justify lethal force against us and our children who pose no imminent threat. And while the US and Israel would continue to oppress us without collaborating with each other, we have witnessed police and soldiers from the two countries train side-by-side.
US and Israeli officials and media criminalize our existence, portray violence against us as “isolated incidents,” and call our resistance “illegitimate” or “terrorism.” These narratives ignore decades and centuries of anti-Palestinian and anti-Black violence that have always been at the core of Israel and the US. We recognize the racism that characterizes Israel’s treatment of Palestinians is also directed against others in the region, including intolerance, police brutality, and violence against Israel’s African population. Israeli officials call asylum seekers from Sudan and Eritrea "infiltrators" and detain them in the desert, while the state has sterilized Ethiopian Israelis without their knowledge or consent. These issues call for unified action against anti-Blackness, white supremacy, and Zionism.
We know Israel’s violence toward Palestinians would be impossible without the US defending Israel on the world stage and funding its violence with over $3 billion annually. We call on the US government to end economic and diplomatic aid to Israel. We wholeheartedly endorse Palestinian civil society’s 2005 call for Boycott, Divestment, and Sanctions (BDS) against Israel and call on Black and US institutions and organizations to do the same. We urge people of conscience to recognize the struggle for Palestinian liberation as a key matter of our time.
As the BDS movement grows, we offer G4S, the world’s largest private security company, as a target for further joint struggle. G4S harms thousands of Palestinian political prisoners illegally held in Israel and hundreds of Black and brown youth held in its privatized juvenile prisons in the US. The corporation profits from incarceration and deportation from the US and Palestine, to the UK, South Africa, and Australia. We reject notions of “security” that make any of our groups unsafe and insist no one is free until all of us are.
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Members of the Dream Defenders delegation to Palestine play with Palestinian children. (Photo by Christopher Hazou)
We offer this statement first and foremost to Palestinians, whose suffering does not go unnoticed and whose resistance and resilience under racism and colonialism inspires us. It is to Palestinians, as well as the Israeli and US governments, that we declare our commitment to working through cultural, economic, and political means to ensure Palestinian liberation at the same time as we work towards our own. We encourage activists to use this statement to advance solidarity with Palestine and we also pressure our own Black political figures to finally take action on this issue. As we continue these transnational conversations and interactions, we aim to sharpen our practice of joint struggle against capitalism, colonialism, imperialism, and the various racisms embedded in and around our societies.
Towards liberation,
Palmyra. L'Occidente ha armato la mano degli assassini di Khaled al Asaad. Ipocrisia del Pd e di tutti gli altri sostenitori di guerre
Dopo l’ennesimo indicibile orrore, l’esecuzione a Palmyra dell’82enne archeologo siriano Khaled al Asaad, per mano dei terroristi del sedicente Stato islamico, in Occidente è una corsa da parte di tutti – governi, giornalisti, politici - a fregiarsi della sua memoria. Strumentalizzando la sua morte. Ad esempio il martire sarà commemorato alle feste del Pd, ha comunicato il premier Renzi.
Peccato che molte delle organizzazioni e persone che ora si dichiarano commosse e indignate, in testa a tutti il Pd, da anni sostengano in vario modo la guerra in Siria e nel 2011 abbiano appoggiato la guerra Nato in Libia. A questi smemorati va ricordato quanto segue:
- Il sedicente Stato islamico (nato in Iraq dopo il 2003 grazie alla guerra di Bush) è cresciuto perché in Libia la Nato (Italia compresa) è stata la forza aerea delle milizie terroriste e razziste che hanno distrutto il paese e poi sono dilagate in Africa subsahariana e in Siria;
- In Siria lo Stato islamico è cresciuto (espandendosi dal 2014 anche in Iraq) con l’arrivo di combattenti stranieri grazie al flusso di aiuti materiali e all’appoggio politico dei paesi della Nato e delle petro-monarchie del Golfo, uniti nel cosiddetto gruppo di “Amici della Siria” (ora “Gruppo di Londra”), a vantaggio dei vari gruppi armati di opposizione. Questo ha alimentato – anche a colpi di propaganda e menzogne - una guerra che ha ucciso la Siria. E ha boicottato la pace.
- Eppure già dal 2012, come dimostrano documenti Usa desecretati e come tutti sapevano, l’opposizione armata era dominata da gruppi che miravano alla formazione di un califfato in Siria.
- Gli aiuti Nato/Golfo all’opposizione armata sono aiuti a gruppi estremisti, perché sono evidenti le porte girevoli fra le diverse formazioni, che sul campo o si alleano o cedono armi e uomini ai più forti. Il cosiddetto Esercito siriano libero è un guscio vuoto.
- L’appoggio a estremisti presenti o futuri continua: Usa e Turchia sono impegnati nel programma di addestramento e fornitura militare alla “Nuova forza siriana” (i cui adepti poi rifiutano di combattere contro l’Isis o si arrendono ad Al Nusra); Arabia saudita e Qatar continuano nell’appoggio finanziario perché la guerra vada avanti.
- L’Italia sta zitta. Pochi giorni fa il ministro Gentiloni ha accolto l’omologo saudita, impegnato anche a distruggere lo Yemen con la connivenza internazionale.
Marinella Correggia, Torri in Sabina
Middle East Eye, 15.05.2015
http://www.middleeasteye.net/columns/nakba-crime-watched-ignored-and-remembered-1368485987
http://www.middleeasteye.net/columns/nakba-crime-watched-ignored-and-remembered-1368485987
La fermezza dei palestinesi si paragona agli ulivi secolari in Palestina, che riescono a riemergere tra i pini europei
di Ilan Pappe
Il 15 di maggio è di solito un innesco per un viaggio a ritroso nel tempo. E per una ragione insondabile ogni viaggio del genere evoca un aspetto diverso della Nakba. Quest'anno, più che altro, io sono preoccupato per la continua apatia e l'indifferenza della classe politica occidentale e dei media per la condizione dei palestinesi. Anche l'orrore del campo di Yarmuk non associa nella mente dei politici e dei giornalisti la possibile connessione tra il salvare i profughi là e il loro diritto al ritorno nella loro patria riconosciuta a livello internazionale.
Il trattamento medico israeliano degli islamici che combattono contro il regime di Assad,il rammendarli e inviarli nuovamente al campo di battaglia è salutato come un atto umanitario da parte dello Stato ebraico; il loro rifiuto d'eccezione, rispetto a tutti gli altri - e molto più poveri - vicini della Siria ad accettare anche un solo rifugiato dal caos siriano, è passato inosservato.
È questo eccezionalismo internazionale e la cecità intenzionale che mi gettano indietro al 1948 e al periodo compreso tra giugno e ottobre dello stesso anno. L'11 giugno, una tregua è stata annunciata dalle Nazioni Unite tra le forze sioniste e le unità degli eserciti arabi che entrarono in Palestina il 15 maggio. La tregua era necessaria perchè entrambe le parti si riarmassero. cosa che ha beneficiato la parte ebraica e svantaggiato la parte araba dato che la Gran Bretagna e la Francia hanno messo l'embargo alle forniture di armi ai paesi arabi, mentre l'Unione Sovietica e la Repubblica Ceca riarmavano le forze ebraiche.
Entro la fine di quella tregua era emerso chiaramente che l'iniziativa tutta-araba per salvare la Palestina era destinata a fallire. La tregua aveva permesso agli osservatori delle Nazioni Unite di vedere per la prima volta, a ben guardare, la realtà sul terreno, sulla scia del piano di pace dell'organizzazione.
Quello che videro fu la pulizia etnica in marcia alta. La preoccupazione principale del nuovo Israele, in quel momento, era quella di utilizzare la tregua per accelerare la de-arabizzazione della Palestina. Questo è iniziato nel momento in cui i fucili si ammutolirono e fu promulgato davanti agli occhi degli osservatori delle Nazioni Unite.
Con tale seconda settimana di giugno, la Palestina urbana era già perduta e con essa centinaia di villaggi intorno alle città principali erano spariti. Città e villaggi simili sono stati svuotati dalle forze israeliane. Le persone sono state cacciate, molte di loro molto prima che le unità arabe entrassero in Palestina, ma case, negozi, scuole, moschee e ospedali erano ancora lì. Ciò che non poteva essere sfuggito agli osservatori delle Nazioni Unite era il suono dei trattori che appiattivano questi edifici e il paesaggio di campagna, ora che non c'era nessun rumore di spari intorno a loro.
Quello che ho visto e udito è stato adeguatamente descritto come una "operazione di pulizia" da parte della persona nominata dal nuovo regime della terra per sorvegliare l'intera operazione, il capo della divisione di insediamento del Fondo nazionale ebraico (JNF), Yosef Weitz. Ha puntualmente riferito alla leadership: "Abbiamo iniziato l'operazione di pulizia, di rimozione delle macerie e per preparare il terreno per la coltivazione e l'insediamento . Alcuni di questi villaggi [] diventeranno
parchi. " Egli con orgoglio ha scarabocchiato nel suo diario il suo stupore di come era impassibile alla vista dei trattori che stavano distruggendo villaggi.
Questa non è stata una facile o una breve operazione.
E ' continuata anche quando gli scontri sono ripresi per dieci giorni; alla fine del primo armistizio, nel corso di una seconda tregua e nelle fasi finali della guerra, quando le truppe che provenivano da Iraq, Siria ed Egitto si stavano ritirando - ferite e sconfitte - e tornarono a casa. La "guerra" nell'autunno del 1948 è stata prolungata perché gli abitanti dei villaggi palestinesi, i volontari dal Libano e alcune unità dell'esercito arabo avevano tentato invano di difendere gli isolati villaggi arabi nel nord e nel sud della Palestina.
Così, più villaggi passarono sotto lo stivale del JNF e dei suoi trattori. Gli osservatori delle Nazioni Unite hanno registrato molto metodicamente la drammatica trasformazione della Palestina da un paesaggio arabo del Mediterraneo orientale in un caleidoscopio di nuove colonie ebraiche circondate da alberi di pino europeo e da una grande rete di tubazioni di acqua di scarico delle centinaia di insenature che volavano attraverso i villaggi - la cancellazione di un panorama che può essere immaginata solo oggi da diversi angoli relativamente incontaminati della Galilea e della Cisgiordania.
All'inizio del mese di ottobre 1948, gli osservatori delle Nazioni Unite ne avevano avuto abbastanza. Hanno deciso di scrivere un rapporto cumulativo al loro segretario generale. È stato riassunto nel modo seguente. La politica israeliana, hanno spiegato al loro capo, è stata fatta di "sradicamento degli arabi dai loro villaggi natali in Palestina con la forza o la minaccia". Ha registrato il processo abbastanza in pieno ed è stato inviato a tutti i capi delle delegazioni arabe della Nazioni Unite. Gli osservatori e i diplomatici arabi hanno cercato di convincere il segretario generale delle Nazioni Unite a pubblicare il rapporto, ma senza alcun risultato.
Ma il rapporto ha caratterizzato ancora una volta. Un unico diplomatico americano, Mark Ethrtidge, che era il rappresentante degli Stati Uniti nella Commissione di Conciliazione in Palestina - l'organismo designato dalle Nazioni Unite nella risoluzione 194 dell' 11 dicembre 1948 per preparare un piano di pace per la post-Nakba palestinese - ha cercato disperatamente di convincere il mondo che alcuni fatti sul terreno erano ancora reversibili e uno dei mezzi per fermare la trasformazione era il rimpatrio dei profughi. Quando il PCC ha convocato una conferenza di pace a Losanna in Svizzera, maggio 1949, fu il primo diplomatico americano che sottolineò chiaramente la politica di Israele come il principale ostacolo alla pace in Palestina. I leader israeliani erano arroganti, euforici e non volevano scendere a compromessi o fare la pace, ha detto John Kimchi, il giornalista inglese che lavorava al momento per il Tribune .
Ethridge non si arrende facilmente sulla questione del rimpatrio. Aveva alcune idee originali. Pensava che se fosse riuscito a soddisfare l'appetito territoriale di Israele ciò avrebbe consentito una sorta di normalizzazione nella Palestina post-mandataria. Egli quindi suggerì che Israele annettesse la Striscia di Gaza e provvedesse per i rifugiati lì, permettendo loro di tornare alle loro case nei villaggi e nelle città della Palestina. A Ben-Gurion piaceva l'idea, come alla maggior parte dei suoi ministri. Il governo egiziano era anche a favore. Si dubita se Ben Gurion avrebbe permesso ai rifugiati di rimanere a Gaza, ma naturalmente non si può dire.
Incoraggiato, Ethridge affermò che ora il suo governo poteva convincere gli israeliani a rimpatriare un numero significativo ulteriore di rifugiati. Israele rifiutò e gli americani denunciarono la "caparbietà" dei politici israeliani e chiesero che Israele permettesse il ritorno di molti altri ebrei. Gli americani decisero di sospendere lo sforzo di pace tutti insieme, a meno che Israele non avesse cambiato idea; difficile da credere oggi.
Il ministro degli Esteri israeliano, Moshe Sharett, era preoccupato per la pressione americana che era stata accompagnata da una minaccia di sanzioni e suggerì che Israele avrebbe accettato 100.000 rifugiati (ma sarebbe caduta la proposta di Gaza). Ciò che è notevole a ben vedere è che i diplomatici americani come McGhee avevano considerati entrambi i numeri (250.000 rifugiati di Gaza e 100.000 offerti da Sharett) insufficienti. McGhee veramente voleva vedere tornare il maggior numero di rifugiati possibile, in quanto credeva che la realtà sul terreno era ancora reversibile.
I mesi passavano ed entro la fine del 1949, le pressioni americane si placarono. La lobby ebraica, l'escalation della guerra fredda in tutto il mondo e un focus delle Nazioni Unite sul destino di Gerusalemme, a seguito della sfida di Israele delle sue decisioni di internazionalizzare la città, erano probabilmente le ragioni principali per questo. E 'stata solo l'Unione Sovietica che ha mantenuto il ricordare al mondo attraverso il suo ambasciatore alle Nazioni Unite e ad Israele attraverso la corrispondenza bilaterale che la nuova realtà creata dal sionismo a terra era ancora reversibile. Entro la fine dell'anno, Israele si era anche ritirato dalla sua disponibilità a rimpatriare i 100.000 rifugiati.
Insediamenti ebraici e foreste europee sono stati piantati in fretta sulle centinaia di villaggi nelle zone rurali della Palestina e le ruspe israeliane hanno demolito centinaia di case palestinesi nella zona urbana per cercare di cancellare il carattere arabo della Palestina.
Bohémien israeliani, yuppies e disperati immigrati ebrei appena arrivati "salvarono" alcune di queste case, vi si stabilirono e il loro possesso è stato approvato col senno di poi dal governo. La bellezza delle case e della loro posizione le ha rese eccellenti bonanzas immobiliari; ricchi israeliani, ONG e legazioni internazionali le hanno favorite come nuovo quartier generale.
Il saccheggio alla luce del giorno che ha avuto inizio nel giugno del 1948 fu trasferto ai rappresentanti della comunità internazionale, ma è stato ignorato da chi li ha mandati: siano essi editori di riviste, i capitani delle Nazioni Unite o dirigenti delle organizzazioni internazionali. Il risultato è stato un chiaro messaggio internazionale a Israele che la pulizia etnica della Palestina - immorale illegale e disumana come era - sarebbe stata tollerata.
Il messaggio è stato ben accolto in Israele e immediatamente attuato. La terra del nuovo Stato è stata dichiarata esclusivamente ebraica, i palestinesi rimasti nel paese sono stati messi sotto il governo militare che ha negato loro i diritti umani e civili fondamentali, e piani per prendere le parti della Palestina non occupata nel 1948 sono stati messi in moto . Quando furono occupati nel 1967, il messaggio internazionale era già incorporato nel DNA sionista di Israele: anche se quello che fai è guardato e registrato, ciò che conta è come le persone potenti del mondo reagiscono ai tuoi crimini.
L'unico modo per garantire che la penna della registrazione sia più potente della spada della colonizzazione è quello di sperare in un cambiamento negli equilibri di potere in Occidente e nel mondo in generale. Le azioni di società civili, politiche e di coscienza e i nuovi stati emergenti non hanno ancora cambiato l'equilibrio.
Ma si può prendere coraggio dagli ulivi secolari in Palestina che riescono a riaffiorare sotto e tra i pini europei ; e dai palestinesi che ora popolano città ebraiche esclusive costruite sulle rovine dei villaggi della Galilea; e la fermezza del popolo di Gaza, Bilin e Araqib, e spero che questo equilibrio possa un giorno cambiare per il meglio.
Traduzione a cura di "Il Popolo che non esiste" https://www.facebook.com/IlPopoloCheNonEsiste/posts/678831848889614
SMETTETE DI PIAGNUCCOLARE!
Di Gideon Levy
Il 34° governo meriterà Israele; Israele meriterà il 34°. governo Si tratta di un governo autentico e rappresentativo, la vera manifestazione dello spirito dei tempi e dei sentimenti più profondi della maggior parte degli israeliani. Sarà un vero governo, senza pretese, senza trucco e senza auto-giustificazione. Quello che vedremo è quello che ci meriteremo. Benvenuti al quarto governo di Benjamin Netanyahu.
Non parleranno superbamente e non declameranno slogan vuoti. Niente pace e niente di diritti umani; niente due Stati e niente negoziati; niente diritto internazionale,né giustizia e né uguaglianza. La verità sarà ficcata nei volti degli israeliani e del mondo. E la verità è questa: la soluzione dei due stati è morta (non è mai nata), lo Stato palestinese non nascerà, il diritto internazionale non si applica a Israele, l'occupazione continuerà a strisciare rapidamente verso l’annessione, l’annessione continuerà a strisciare rapidamente verso uno stato di apartheid; "Ebraico" sostituisce "democratico", il nazionalismo e il razzismo avranno il timbro di approvazione del governo, ma sono già qui e vi sono stati per un lungo periodo di tempo.
Né Netanyahu, né il presidente di Habayit Hayehudi, il deputato Naftali Bennett né i membri della fazione di quel partito, Ayelet Shaked ed Eli Ben-Dahan, hanno iniziato tutta questa faccenda. Hanno accelerato le cose. E non ci dovrebbe essere nessuna scossa o indignazione, nessuna lamentela per l'amarezza del destino. Questo governo è un governo di prosecuzione, non un governo del cambiamento.
È vero, alcuni dei suoi membri sono più estremisti rispetto ai loro predecessori, ma si tratta soprattutto di differenze retoriche. Anche la nomina più incendiaria, quella di Shaked come ministro della Giustizia, che si è riverberata in tutto il mondo durante il fine settimana, è meno rivoluzionaria di quello che sembra. Shaked è schietta e violenta, mentre Tzipi Livni, deputata dell’Unione sionista, la sua predecessore, era delicata e corretta. Ma la ministra della Giustizia Shaked non dovrà lavorare sodo per rompere le crepe aperte nel nostra democrazia; le hanno aperto molto tempo fa.
La migliore prova della natura del regime in Israele è la prova dell'occupazione e dei crimini di guerra: le fondamenta dell'apartheid sono già profonde e i crimini di guerra rimangono non accertati. Dal suo ufficio nel cuore di Gerusalemme occupata, Livni non ha fatto Israele più giusta in questo senso. È vero, le idee di Shaked sono più nazionaliste e la sua comprensione dell'essenza della democrazia è pari a zero. È vero, molti nel mondo sono rimasti sconvolti che una persona identificata tramite uno degli articoli più violenti mai scritti contro il popolo palestinese (scritto da Uri Elitzur), sia stata nominata ministro della giustizia idi Israele. Ma non c'è posto per tale ipocrisia. Elitzur ha espresso ciò che molte persone pensano.
La nomina di un altro razzista, Eli Ben-Dahan, come vice ministro della difesa, responsabile per l'Amministrazione Civile, non dovrebbe essere neppure sconvolgente. È vero, Ben-Dahan ha detto che "i palestinesi sono animali, non sono umani, non hanno diritto a vivere" - ma forse tali dichiarazioni non riflettono il vero atteggiamento di molti israeliani? Ben-Dahan parlerà per loro. È così che Israele sta trattando i palestinesi da quasi 50 anni; Ben-Dahan dice le cose apertamente. Ora sarà responsabile per l'amministrazione civile e l'intero sistema di "gestione umanitaria" sarà lacerato. Ben-Dahan è l'uomo giusto al posto giusto al momento giusto. Una nomina eccellente.
Una persona che dice con orgoglio "Ho ucciso masse di arabi", e li chiama "schegge nei glutei", sarà ministro dell'istruzione - e in Israele chi non la pensa così? Il generale dell'Operazione Piombo Fuso, con i suoi delitti, l'uomo che ha violato il divieto di costruire, Yoav Galant, sarà il ministro delle costruzioni. Non è una bella nomina? Il deputato Uri Maklev del partito Giudaismo Unito per la Torah, è a capo della Commissione Scientifica della Knesset? Non riflette questo correttamente un certo atteggiamento di alcuni israeliani verso la scienza?
(Traduzione di Diego Siragusa)
Roger Waters: il lato brillante della luna israeliana
Haaretz, 03.05.2015
L'occupazione sconvolge questa leggenda del rock. L'uccisione di bambini gli fa orrore. Gli attacchi aerei nella Striscia di Gaza gli fanno perdere il sonno.
di Gideon Levy
Il cantante ed ex membro dei Pink Floyd Roger Waters in posa presso il muro a Betlemme, il 2 Giugno 2009 (Foto AP)
Robbie Williams si è esibito nel più grande parco di Tel Aviv ieri sera. Decina di migliaia di israeliani in delirio lo avranno sicuramente accolto (ho scritto questo articolo prima del concerto). Un inglese amante della giustizia ha cercato di dissuaderlo. Vorrei ringraziare quell'uomo inglese dal profondo del cuore.
Per oltre un decennio Roger Waters ha dedicato il suo tempo e il suo buon nome alla lotta contro l'occupazione israeliana. L'occupazione lo sconvolge. L'uccisione di bambini gli fa orrore. Gli attacchi aerei nella Striscia di Gaza gli fanno perdere il sonno.
Ha concluso che gli israeliani devono pagare per i loro crimini e che il boicottaggio è uno strumento giusto ed efficace. Ritiene che intrattenere gli israeliani a Yarkon Park sia equivalente a esibirsi in Sudafrica a Sun City nel 1980 durante l'apartheid.
A quell'epoca i bianchi scommettevano al casinò e assistevano a spettacoli internazionali mentre a poca distanza i neri soffrivano l'oppressione. Oggi, gli israeliani affollano il parco quando a solo un'ora di distanza Gaza sguazza nelle sue rovine e la Cisgiordania nella sua occupazione.
La situazione è intollerabile per chiunque abbia un minimo senso di giustizia. Waters ha scritto a Williams ricordandogli la sua passione per il calcio e il suo incarico di ambasciatore per UNICEF Regno Unito, raccontando a Williams di come Israele abbia ucciso quattro bambini che stavano giocando a calcio su una spiaggia di Gaza durante la guerra dell'estate scorsa. E scrivendo (invano): "Ti incoraggio, Robbie, come faccio con tutti gli altri artisti, a non esibirti in Israele fino a quando Israele non rispetterà il diritto internazionale"
Waters aveva fatto la stessa cosa prima che Alan Parsons, che aveva lavorato coi Pink Floyd nel loro album del 1973 "The Dark Side of the Moon”, venisse in Israele nel mese di febbraio. "Anche se capisco che non vorresti deludere i tuoi fans cancellando questo evento, facendolo manderesti a loro e al mondo un messaggio potente", scrisse Waters a Parsons su Facebook, aggiungendo: "Se ti ricordi, io ero il bassista brufoloso, e tu l'alto ingegnere".
Brufoloso? Direi nobile. Può esserci qualcosa di più ammirevole o morale di questo? Non esiste un solo altro maestro come il poeta dei Pink Floyd che sia disposto a dedicare così tanto ad una lotta così decisa contro un'ingiustizia di così lungo corso.
In Israele, che non può annoverare un vero e proprio cantante di protesta tra i suoi musicisti popolari, è ovviamente stato etichettato come antisemita e anti-israeliano. Kobi Oz, un musicista israeliano della statura di Waters (quasi), lo ha invitato pochi anni or sono a fare musica e stare zitto.
Nelle parole di Oz, "Sono rimasto profondamente deluso di sapere che hai deciso di costruire un muro tra te e i tuoi fan israeliani .... Invece di riconoscere la complessità della questione, hai aderito alla campagna di boicottaggio di Israele, nominando te stesso giudice di un conflitto fra le tribù del Medio Oriente (quanto sei britannico!)". E quanto è israeliano Oz quando chiude gli occhi e trilla!
Circa un anno fa, Waters ha spiegato le sue motivazioni. Suo padre, il secondo Luogotenente Eric Fletcher Waters, un obiettore di coscienza che guidava un'ambulanza durante il bombardamento di Londra, fu convinto a unirsi ai Fucilieri Reali per combattere il fascismo. È stato ucciso nell'Italia occupata, quando Waters era solo un bambino.
Waters è convinto di stare seguendo le orme del padre. Dice che dopo essere arrivato in Israele e aver visto l'occupazione, è stato incapace di rimanere in silenzio. Dobbiamo chinare il capo per ringraziarlo.
Il debito a Waters è il debito di una generazione per cui i Pink Floyd sono stati molto più di una colonna sonora. È un debito per le notti di confessioni e discorsi a cuore aperto ispirati da "Us and Them"; per gli amori durati un istante, o tutta la vita, che devono la loro esistenza a "The Dark Side of the Moon." Ma ora noi e loro siamo ormai vecchi, e questa generazione, almeno, dovrebbe ascoltare quello che Waters ha da dire.
Waters chiude il suo intervento, che, come la lettera a Williams, ha pubblicato su Salon.com, spiegando le sue attività alla luce delle azioni di suo padre. E conclude con una citazione dal brano "Two Suns in the Sunset", che scrisse per i Pink Floyd: "Cenere e diamanti / Nemico e amico / Eravamo tutti uguali / alla fine".
In un paese senza un solo coraggioso Waters, gli scrivo usando le sue parole. Vorrei che tu fossi qui
Traduzione di G.Graziani per l'Associazione di Amicizia Italo-Palestinese Onlus, Firenze
GRAZIE, NETANYAHU, PER AVER DETTO LA VERITA'
Il premier riconfermato, scrive il giornalista di Haaretz in un editoriale, sarà ricordato per aver detto la verità su Israele: non ci sarà mai uno stato palestinese
di Gideon Levy – Haaretz
Roma, 23 marzo 2015, Nena News - Vorrei ringraziare il primo ministro Benjamin Netanyahu. Grazie per aver detto la verità. Per almeno 25 anni statisti israeliani hanno mentito, ingannato il mondo, gli israeliani e se stessi. Ora Netanyahu ha detto la verità. Se solo questa verità fosse stata detta da un primo ministro israeliano 25 anni fa, o forse anche 50 anni fa, quando nacque l’occupazione. Tuttavia meglio tardi che mai. Il pubblico lo ha premiato per questa verità e Netanyahu è stato eletto per un quarto mandato.
Netanyahu ha annunciato la scorsa settimana che, se fosse stato rieletto, uno Stato palestinese non sarebbe mai sorto. Chiaro e semplice, forte e chiaro. Nessuno ha avuto il coraggio di rivelare la verità nel passato. L’ultimo di questi imbroglioni è stato Isaac Herzog: il suo audace piano comprendeva cinque anni di negoziati. Il pubblico lo ha ricompensato per questo.
Dopo tutto si dovevano ingannare gli americani, gli europei e i palestinesi. Bisognava anche giocare per tempo, costruire insediamenti e sbarazzarsi di ogni possibile partner palestinese: Yasser Arafat era troppo forte, il presidente Mahmoud Abbas è troppo debole; e Hamas è troppo estremo. Si deve giocare per tempo in modo che i palestinesi diventino più estremisti e tutti capiscano che non c’è nessuno con cui parlare.
Ora arriva l’uomo considerato un bluffer e solo lui racconta la fatidica verità storica: non ci sarà alcuno stato palestinese. Non durante il suo mandato, che ora sembra eterno e non dopo perché allora sarà troppo tardi. La fine dei negoziati è la fine dei giochi. Non ci sarà più spola diplomatica, quartetti, emissari, mediatori e piani.
Non c’era alcuna possibilità fin dall’inizio. In Israele non c’è mai stato un primo ministro – tra cui i due vincitori del Premio Nobel per la Pace – che intendesse anche per un secondo stabilire uno stato palestinese. Ora Netanyahu ha posto fine alla convenienza dell’inganno. Se Israele avesse giocato le sue carte apertamente fin dall’inizio, come Netanyahu ha fatto oggi, forse saremmo in un luogo diverso, in un posto migliore.
Se solo Israele avesse detto prima che brama il territorio occupato per sé e non potrà mai rinunciarci, che centinaia di migliaia di ebrei vivono lì e non ha alcuna intenzione di evacuarli, che non si preoccupa del diritto internazionale e non gli importa di quello che tutto il mondo pensa, che i palestinesi non hanno diritto di vivere lì, che Abramo, il nostro patriarca, è sepolto lì, che Rachel, la nostra matriarca, piange lì, che la sicurezza di Israele dipende da questo e che l’Olocausto è alle porte! Le ragioni sono molte e varie, ma tutti dicono una cosa: ora e per sempre da Hebron a Jenin. Sì all’autonomia di leghe di villaggio o di una Autorità palestinese, ma no a uno stato. Mai.
Se un leader onesto come Netanyahu avesse detto questo anni fa: gli israeliani, i palestinesi, tutto il mondo lo avrebbe saputo. Allora sarebbe stato possibile cercare altre soluzioni, invece di perdere tempo a barare, o di vedere l’odio crescere e il sangue versato per niente. Avremmo potuto pensare molto tempo fa ad alternative alla soluzione dei due Stati come la creazione di un unico uno stato e in tal caso le alternative sono due: democrazia o apartheid. Invece, siamo stati ingannati.
Ora Benjamin Netanyahu ha posto fine a tutto questo. Dobbiamo essere grati a lui per questo. La storia ricorderà che è stato il primo premier israeliano a dire la verità. Nena News
(Traduzione a cura di Bocche Scucite)
La Primavera Siriana: dai prodromi al Califfato
Relazione di Mons. Giuseppe Nazzaro, ex Visitatore Apostolico di Aleppo ed ex Custode di Terrasanta, al convegno “Siria, ascoltiamo la gente”, organizzato dall’associazione Impegno Civico lo scorso 30 Ottobre presso l’Istituto Veritatis Splendor di Bologna.
Si tratta di una lettura impegnativa per la lunghezza ma… “dulcis in fundo” (o “in cauda venenum”, direbbero gli atlantisti).
Mi sia concesso iniziare questa mia presentazione affermando che, prima del 15 marzo 2011 non erano tantissime le persone al mondo che conoscevano dove trovare la Siria sulla carta geografica. Era un problema di pochi addetti ai lavori. Interessava piuttosto certi ambienti colti che si interessavano di archeologia, dei popoli legati alle antiche civiltà assiro-babilonesi o di storia del cristianesimo.
Il mondo intero, oggi, parla della Siria e si interessa di questo Paese di circa 185.180 kmq , che si estende sulla costa del Mediterraneo Orientale per circa 80 kilometri.
I prodromi di una situazione
La data del 15 marzo 2011, ufficialmente, coincide con quella che possiamo definire: l’inizio di una rivoluzione nata quasi per gioco al confine con la Giordania, sui muri della città di Dera’a, ad opera di dodicenni che s’erano divertiti a scrivere dei graffiti del seguente tenore: “abbasso il regime”.
Ciò che all’inizio, poteva sembrare un gioco o, meglio, una ragazzata, in realtà, non era altro che l’inizio di una richiesta di maggiore apertura al Governo centrale del Paese che, per i non addetti ai lavori o per chi non aveva conosciuto la Siria prima dell’anno 2000, avrebbe potuto anche essere una richiesta legittima. Chi invece vi è vissuto ha visto e costatato con i propri occhi e con tutto il suo essere, non solo l’apertura del Governo verso le riforme sociali, ma soprattutto ha visto il benessere che le riforme avevano già portato e continuavano a portare al popolo siriano.
Ora non penso di dire un’eresia se affermo che il giovane dottore Bachar El-Assad, dopo alcuni mesi dalla sua elezione alla Presidenza della Repubblica Araba Siriana, ha iniziato immediatamente una serie di riforme per il benessere del Paese e dei suoi compatrioti: commercio con l’estero, turismo interno ed estero, soprattutto libertà di movimento, di istruzione per uomini e donne. Le donne libere professioniste in continuo aumento, l’Università aperta a tutti senza distinzione di sesso. Un Paese dove vivevano diverse etnie 23 gruppi religiosi e tutti si rispettavano e si accettavano come facenti parte, come in realtà si ritenevano, di un’unica realtà e figli di un unico Paese che era la Siria, casa e Patria comune a tutti. Dal punto di vista religioso tutti erano liberi di esercitare e vivere il loro credo rispettati ed accettati da tutti.
I cristiani siriani, dopo l’Egitto, costituivano la comunità più numerosa del Medio Oriente. Erano circa il 10-11% su una popolazione totale di circa 23.500.000, godevano di una legislazione propria per quanto riguarda i tribunali ecclesiastici, l’eredità, l’adozione dei bambini (cosa non ammessa dalla Legge islamica), ecc. Le relazioni con tutti erano improntate sul reciproco rispetto. Dobbiamo dire, ad onore del vero che, dopo il viaggio del Pontefice, oggi San Giovanni Paolo II, effettuato nel Maggio del 2001, il popolo siriano, e gli intellettuali hanno preso una maggiore coscienza riconoscendo ai cristiani siriani un ruolo non irrilevante nel Paese ed hanno contribuito in modo determinante al benessere della Siria. Tutto questo si concretizza in maniera pubblica ed ufficiale quando in diverse circostanze il Grand Moufti di Siria, Dott. Badr Ed-Dine Hassoun, dichiara pubblicamente che “i cristiani sono cittadini siriani a tutti gli effetti, la Siria è la loro casa, fanno male ad abbandonarla, dovunque andranno, saranno sempre degli estranei, mentre in Siria no, perché sono a casa propria”, e questo fu il messaggio che lo stesso Moufti inviò al Sommo Pontefice al momento in cui rientrava in Italia l’allora Nunzio Apostolico, S.E. Giovanni Battista Morandini.
La primavera siriana
Naturalmente, la polizia si rese subito conto che dietro i graffiti di Dera’a vi era qualcuno e qualcosa di più grosso del semplice gioco o di una ragazzata. Vi era un mandante o dei mandanti, tanto per stare nel clima di quei popoli e della loro mentalità: lanciare il sasso e nascondere il braccio, o se si vuole meglio: servirsi di scudi umani non perseguibili.
Circa una settimana dopo a Damasco vi furono delle manifestazioni di piazza che chiedevano delle riforme, nello specifico si chiedeva: l’abolizione della legge di emergenza (una legge che risaliva agli inizi degli anni ’60 ma che in realtà non era più applicata tanto che lasciò molti scioccati chiedendosi se veramente esisteva detta legge); una nuova Costituzione; una Università islamica; il velo alle donne negli uffici governativi e pluripartitismo.
La risposta del Governo ai richiedenti fu immediata, concedendo tutto ciò che avevano chiesto: abolizione della vecchia legge di emergenza, la creazione di una Commissione di giuristi per riscrivere la Costituzione, l’Università islamica ed il velo alle donne sul lavoro e libertà di unirsi in differenti formazioni politiche.
Con queste risposte il Governo spiazzò i richiedenti. Evidentemente questi non si attendevano un esito positivo a loro favore. Continuarono le manifestazioni di piazza, ma non le fiumane di gente che trasmetteva l’emittente Al‐Giazireh, passando immediatamente ad azioni terroristiche, prima con un attentato di enormi proporzioni in Damasco, contro una caserma in centro città ed in pieno quartiere cristiano, poi con un altro attentato in un crocevia frequentatissimo, entrambi gli attentati lasciarono per terra decine e decine di morti. Dal sud del Paese, e precisamente, dalla vicina Giordania entrarono i combattenti Salafiti (dove avevano il loro campo di addestramento) ed attaccarono subito la città di Banias, sulla costa mediterranea, nel cuore della regione a maggioranza Alawita. Hanno combattuto per oltre due mesi; non avendo avuto ragione dell’esercito, abbandonarono Banias e si diressero sulle città dell’interno quali Homs ed Hama.
Nella città di Homs lo scorso 7 aprile è stato ucciso il campione del dialogo e della convivenza islamo‐cristiana, P. Franz Van der Lought sj, oggi la sua tomba è meta di continui pellegrinaggi di cristiani e musulmani.
Il resto del Paese, possiamo dire, viveva quasi tutto nella normalità. L’unica cosa che faceva stare allerta la popolazione erano i continui blocchi stradali che i viaggiatori dovevano passare. Molti erano derubati di quanto avevano, altri fermati finché non venisse pagato per loro un riscatto. In questa sorte di guerra erano presi di mira i cristiani, i religiosi, e le persone facoltose sia cristiani che musulmani ai quali veniva richiesta una somma esosa per il proprio riscatto. Qualche volta il riscatto veniva pagato, ma il prigioniero non era rilasciato ed allora si capiva che era stato eliminato; a questi blocchi stradali si potevano incontrare terroristi afgani, pakistani o ceceni.
Il sottoscritto, come Vescovo della comunità cattolica latina, ha potuto girare tranquillamente per tutta la Siria, eccetto la zona di Homs e di Hama, fino al mese di Agosto 2012. Poi il viaggiare è diventato rischioso, usando alcuni accorgimenti di prudenza e in momenti particolari mi potevo muovere anche fuori la zona di Aleppo dove vivevo abitualmente.
La città di Aleppo, come ho potuto costatare, non ha partecipato attivamente alla rivolta contro il Governo. Aleppo e gli Aleppini, che sono sempre stati il motore dell’economia del Paese con le più di 1.500 fabbriche, tra grandi e piccole, non voleva certamente perdere il benessere che s’era acquistato con sacrifici enormi sia prima che dopo l’apertura economica operata dal Presidente in carica, purtroppo, oggi di questo benessere non esiste più nulla. Tutte le fabbriche sono state saccheggiate dei loro macchinari e trapiantate in Turchia. Certamente questo saccheggio non è stato ad opera dei legittimi proprietari, magari per fuggire le tasse come succede altrove, esse sono state saccheggiate dai terroristi che han tutto venduto per finanziarsi, prima che subentrassero i finanziamenti di alcuni Stati arabi ben conosciuti ed appoggiati dalla benedizione del Grande Fratello. (cfr. Corriere della Sera, 24/09/2014 ‐ Antonio Ferrari, pag. 3)
Inizialmente si assisteva a delle manifestazioni per le strade, dopo la preghiera del venerdì, partivano in corteo gridando “abbasso il regime”. Partecipavano a questi cortei i fedeli delle moschee che avevano un Imam wahabita, cioè pro Arabia Saudita che, tra l’altro, forniva di dollari questi Imam perché dessero 10 dollari a testa a chi scendeva per strada almeno per un’ora gridando: “Abbasso il regime”.
In molte zone della città di Aleppo la gente è scesa in strada a protestare contro questi prezzolati perché turbavano la pace e la tranquillità. La reazione della popolazione si spiega perché in alcune zone si erano formati gruppi di guerriglieri che combattevano contro tutto e tutti, coinvolgendo non solo la polizia locale ma anche l’esercito che, non essendo preparato alla guerriglia cittadina, ha risposto prima con armi semi pesanti e poi con quelle pesanti. In questo modo sono state distrutte molte case e molti quartieri periferici di Aleppo. Dal canto loro i ribelli hanno incendiato, distruggendolo, il famoso souk coperto di Aleppo dopo averlo saccheggiato dei suoi tesori.
Alcuni di questi guerriglieri, venuti dai Paesi sopra citati, sono stati fatti prigionieri e hanno confessato di essere stati inviati a combattere per liberare Gerusalemme, molti di loro erano stati prigionieri delle reali prigioni dell’Arabia Saudita e liberati, appunto, perché andassero a liberare la città santa di Gerusalemme passando prima per la Siria.
Con l’avvento dei terroristi stranieri compaiono anche le formazioni terroristiche vere e proprie, quali: Giama’at al‐Nousra, Da’esh, Al-Qaeda che si dividono le zone di influenza e competenza. Giama’at al-Nousra si schiera nel Governatorato di Idleb a Sud di Aleppo e controlla il collegamento tra Aleppo e la città portuale di Latakia. Daesh ed Al‐Qaeda si schierano nel governatorato di Raqqa ad est di Aleppo, controllando tutta la zona fino al confine con l’Irak.
Le Giama’t al‐Nousra, agli inizi del 2012 fecero una incursione notturna nel villaggio cristiano di Ghassanieh costringendo gli abitanti a lasciare le loro case altrimenti sarebbero stati tutti decapitati. Le Giama’at al‐Nousra, il 2 giugno 2012, hanno decapitato 120 poliziotti nella cittadina di Gisser El‐Choughour, nella Provincia di Idleb. Testimoni oculari affermano che le teste di questi furono affisse sul frontespizio della caserma, altre furono issate sulla torre pubblica ed i loro corpi gettati nel fiume Oronte. In conseguenza di questi avvenimenti la Missione francescana del vicino villaggio di Kanayé fu invasa dai rifugiati cristiani, sunniti ed alawiti. Il Padre riuscì a sistemare tutti facendo in modo che non si scontrassero l’uno con l’altro, cioè: il sunnita con l’alawita, ecc.
Il 23 giugno 2013, sempre i guerriglieri della Giama’at al‐Nousra uccisero, nel convento francescano di Ghassanieh, il P. François Mourad. Avevo visitato questo villaggio il venerdì 22 marzo 2013 e vi trovai, dopo l’esodo obbligato dai terroristi, meno di 20 persone di cui due sacerdoti e tre suore. Tutti, in seguito all’uccisione di P. François, furono evacuati. Oggi il villaggio è totalmente in mano ai terroristi. Come potete prendere nota ben due anni prima sono iniziate le decapitazioni, nessuno ne ha mai tenuto conto, eccetto il sottoscritto che l’ha denunziato al mondo intero ma non s’è dato credito alle sue parole. Tirate le conclusioni che volete!
L’esempio di Ghassanieh la dice lunga per tutti i villaggi cristiani che si trovano lungo il fiume Oronte. Agli inizi di dicembre 2013 ai terroristi delle Giama’t al -Nousra subentrano, nella Provincia di Idleb, i terroristi dell’organizzazione Daesh che non sono da meno. Il capo di questa organizzazione s’è presentato nel villaggio di Kanayé chiedendo al Missionario, senza mezzi termini, che se voleva vivere doveva farsi musulmano, doveva far sparire la croce dalla Chiesa, le Statue dei Santi, non deve suonare le campane, le donne uscendo di casa (anche se tutte cristiane in un villaggio cristiano) devono velarsi il capo, perché nel Califfato non esistono altro che islamici. Chi vuole vivere all’ombra del califfo o diventa musulmano o sarà elimato. Siccome il Missionario in questione è un sacerdote che conosce la storia del Paese e dell’Islam ha apostrofato l’emissario del Califfo che lo stesso Omar aveva accettato i cristiani nel Califfato. Questi vistosi spiazzato fece dietrofront, contentandosi dell’applicazione delle sue richieste. Al Missionario che chiedeva: e se non accetteremo le vostre richieste? La risposta fu: in tre giorni mineremo il villaggio e salterete tutti in aria.
Chi è dietro i terroristi?
In parte perché essi stessi l’hanno ammesso, in parte lo si arguisce dai famosi 10 dollari a testa, distribuiti ai manifestanti di Aleppo, e dal poco buon sangue che è sempre intercorso tra sciiti e sunniti. In parte per interessi economici tra i potenti della regione che chiedevano alla Siria di far passare sul proprio territorio il gasdotto verso l’Europa ed il pipeline dell’oro nero fino alla Turchia ed il Mediterraneo.
I fratelli ricchi si sono visti rifiutato il passaggio che, per altro, non poteva essere concesso perché anche l’Iran chiedeva altrettanto, l’amica Russia non vedeva di buon occhio queste concessioni, ed oltretutto bisognava anche proteggere il proprio prodotto.
Quindi, si pesca nel torbido malumore che esisteva contro il Governo, come del resto esiste dappertutto. Allora ci si rivolge ai paladini della democrazia soffiando al loro orecchio: come voi paladini della democrazia mondiale, non sapete che vi è un Paese al mondo che non è democratico? È una dittatura, e per giunta, non sono neppure rispettati i diritti umani.
C’è da chiedersi: chi ascoltava e prendeva in considerazione queste accuse, si chiedeva se in casa degli accusatori esistevano ed esistono i diritti umani? Vi è a casa loro una Costituzione e questa cosa garantiva e garantisce ai propri sudditi? È sufficiente ricordarsi quanto è successo nel Bahrein al momento delle richieste della maggioranza sciita del Paese, quale è stata la reazione dei Paesi confinanti il piccolo sultanato?
Il grande paladino delle libertà democratiche interviene e detta la sua legge che non è rispettata. Allora? Si profitta di un certo malessere che è nel Paese, si armano i malcontenti più facinorosi che attaccano con armi in pugno creando una guerriglia nelle strade cittadine. Tra questi vi è gente che si rifa ad Al‐Qaeda, Giama’at al‐Nousra, Daesh, e gente che non ha nulla da perdere, viene in Siria, non solo per soldi, ma anche per trovare in una guerriglia che non gli appartiene, nuove emozioni alla loro vita altrimenti fallita. Oggi, sul suolo siriano, si contano terroristi di circa 80 Paesi che contribuiscono alla distruzione di un Paese straordinariamente bello e ricco. Bello per i suoi paesaggi naturali, ricco per la sua ricchezza del sottosuolo, la sua storia, ma soprattutto per la sua ricchezza d’animo, per la sua bontà, per la sua ospitalità, ed il rispetto per gli altri.
Tutti fanno del proprio meglio per armare questi signori venuti da lontano. D’altro canto ci sono anche coloro che sostengono il Governo e lo forniscono di armi. Tutti, in questa bolgia infernale, sparano e ammazzano. Gli armatori stanno a guardare e attendono l’ora in cui non esisterà più nulla della Siria che abbiamo conosciuto. Le armi che noi abbiamo regalato han fatto il loro dovere: hanno distrutto tutto col nostro aiuto. È arrivato, così, il momento di uscire allo scoperto per presentarci da grandi benefattori altruisti, ricostruiamo il tutto, voi non dovete preoccuparvi di nulla, salvo pagare il conto alla fine.
Noi, sempre generosamente, li esoneriamo dal pagare il conto e chiediamo loro di lavorare per noi per tot numero di anni, nelle fabbriche che abbiamo ricostruito. Noi vi daremo tutto il materiale necessario per la produzione, vi pagheremo pure un salario perché possiate vivere e produrre per noi. Dopo tot anni noi, si o no, vi diremo grazie lasciandovi le fabbriche già diventate vecchie che necessitano di essere rinnovate perché il progresso ne ha inventate di più moderne.
Tutto questo in nome della democrazia mentre, in realtà, non è altro che una neocolonizzazione.
La città di Aleppo
Ho accennato che la città di Aleppo e i suoi abitanti non si son fatti trascinare dalla situazione per lungo tempo. In realtà la città ha goduto di una quasi totale tranquillità, eccetto una parte della sua periferia est, fino quasi la fine di novembre 2012. Lo stesso aeroporto internazionale è rimasto aperto fino agli inizi di gennaio 2013, quando fu chiuso al traffico, perché era continuamente sotto tiro dei terroristi.
La città ha cominciato a soffrire dal novembre 2012. Molti, soprattutto chi aveva beni, hanno portato la famiglia al sicuro nel vicino Libano, mentre in città restavano gli uomini per continuare la loro attività. Questo sistema è andato avanti finché non si son trovate le fabbriche, una dopo l’altra, vuote dei propri macchinari perché rubati e venduti in Turchia.
I terroristi hanno attaccato in massa alcuni quartieri della città e così abbiamo avuti i primi sfollati che si sono rifugiati, occupandolo, il campus universitario. Molti commercianti hanno abbandonato i loro esercizi creandosi uno spazio commerciale sui marciapiedi attorno all’Università, s’era creata così una tendopoli nella stessa città. Il 15 gennaio 2013, a pochi metri dal Vescovado ci fu una enorme esplosione di due bombe che fece sul posto oltre 90 vittime, tra queste una religiosa, Sr. Rima Nasri, che dirigeva il convitto universitario per ragazze povere situato soltanto una decina di metri dall’esplosione. La suora stava rientrando in casa quando ci fu lo scoppio e di essa non è mai stato trovato neppure un’unghia, come si suol dire.
La città allora ha cominciato a subire interruzione di acqua potabile, elettricità, gasolio per il riscaldamento, benzina. I commercianti in nero iniziarono i loro affari d’oro. L’acqua è stata inquinata perché i terroristi hanno fatto saltare le fogne che si sono riversate nei bacini dell’acqua potabile e così molti han dovuto far ricorso agli ospedali con sintomi di colera.
Possiamo dire che oggi la città è per buona parte approvvigionata di acqua dai pozzi che già esistevano in alcune chiese e moschee. Lo stesso Vescovo Latino ne ha fatto perforare uno nel recinto del Vescovado e ha trovato l’acqua ad oltre 150 metri. Coloro che non possono accedere ai pozzi, perché troppo lontani da casa o corrono pericolo per raggiungerli, continuano a dissetarsi con acque inquinate.
L’interruzione di erogazione di gas da cucina, gasolio da riscaldamento, ha indotto la gente a tagliare selvaggiamente gli alberi dei viali e dei giardini pubblici di cui Aleppo andava fiera. Passare un inverno ad Aleppo senza il minimo riscaldamento è qualcosa di terribile, il freddo vi penetra nelle ossa.
Aleppo, una volta città opulenta per le sue fabbriche, per il suo souk ed il suo commercio, oggi è prostrata, la gente è affamata, gli unici che dispongono di qualche soldo sono coloro che lavorano col Governo, tutto il settore privato è morto.
Oggi, non solo Aleppo, ma tutto il Paese vive una situazione veramente tragica. La gente teme l’avanzata dei terroristi tagliagole di ISIS. L’esercito governativo è riuscito a creare un varco abbastanza sicuro per approvvigionare la città, ma quanti possono comperare? La Chiesa, grazie agli aiuti economici che riusciamo a raccogliere e far arrivare, riesce a sollevare un po’ le pene di tanta gente che, altrimenti, morirebbe di fame.
La comunità cristiana della città si è ridotta del 60% circa. In città sono rimasti coloro che non hanno alcuna possibilità di trasferirsi altrove, perché privi di mezzi o non hanno parenti altrove su cui appoggiarsi.
In tutto questo disastro, resta salda sempre la presenza dei missionari religiosi siriani e stranieri, francescani, gesuiti, salesiani, lazaristi, cappuccini e religiosi del Verbo Incarnato, Fratelli Maristi di Champagnt; più uno svariato numero di religiose appartenenti a diverse congregazioni quali Salesiane, suore di San Giuseppe dell’Apparizione, Suore della Carità, Suore di Madre Teresa di Calcutta, Suore del Verbo Incarnato, Suore dei Santi Cuori, Suore di Besançon, Suore Carmelitane Scalze di clausura ed Apostoliche, Suore Francescane Missionarie di Maria e Suore Francescane del Cuore Immacolato di Maria, Suore di Jesus and Mary.
Tutti questi Istituti si dedicano oggi ad assistere e sostenere quanti a loro si rivolgono per usufruire delle mense che sono state create nei vari Istituti, tutti senza distinzione di credo si rivolgono a loro e tutti sono aiutati, perché tutti figli di uno stesso Padre Celeste. Lo stesso Vicariato Apostolico di Aleppo ha ospitato nel pensionato universitario “Gesù Operaio” un Istituto islamico per handicappati e persone anziane.
Ai religiosi siriani e stranieri dobbiamo rispetto e ammirazione perché potevano abbandonare le loro posizioni per lidi più tranquilli, dove non si corre pericolo della vita; invece, sono rimasti al loro rispettivo posto per aiutare e confortare quanti sono nel dolore e nella necessità.
Il Califfato
I mass media, me lo lascino dire, non sempre hanno reso un buon servizio all’umanità a proposito di questa guerra siriana.
Hanno sempre insistito a colpevolizzare solo e soltanto il dittatore ed il suo esercito. L’esercito ha ucciso tante persone, i morti in Siria fatti dall’esercito sono saliti a questa cifra, l’esercito ha ucciso tanti bambini, l’esercito ha creato le fosse comuni, fino ad un mese e mezzo fa alle Nazioni Unite a Ginevra, nell’ambito della Conferenza sui Diritti Umani, ho dovuto ascoltare dal rappresentante di un Paese occidentale che (solo) l’esercito siriano continuava ad uccidere. Evidentemente, i terroristi armati da questo Paese e dai loro alleati non sono mai esistiti; oppure, se c’erano, combattevano l’esercito con le armi giocattolo, perciò non facevano vittime.
I media non potendo discostarsi dal palinsesto voluto dai potenti, non potevano dire che i terroristi si sono serviti di scudi umani, una cosa caratteristica di quei popoli, creando così una totale disinformazione in Occidente.
Quanti hanno realmente compreso che fin dal primo anno e mezzo di guerra la cosiddetta opposizione siriana non esisteva più, non aveva più da dire una sua parola. Chi comandava e chi dirigeva le operazioni erano soltanto le varie organizzazioni venute dall’estero, tutto andava verso una direzione che prima è sfociata nella creazione del Califfato del Levante e poi nella organizzazione attuale del Califfato con il proprio Califfo in El‐Baghdadi (ben conosciuro da chi l’aveva prigioniero e lo ha liberato) e l’esercito dei tagliagole di ISIS.
L’ISIS ha fatto e continua a fare il bello ed il cattivo tempo in Siria ed in Irak, creando migliaia e migliaia di sfollati, ha tagliato gole a centinaia di persone, cristiani, yazidi, sciiti, sunniti che non erano del loro stesso parere, ecc. ha venduto le donne come schiave o per altro scopo, soprattutto se vergini.
Noi, di tutto questo siamo stati edotti dai mass media, abbiamo gridato condannando con ottima retorica questi orrori, però non abbiamo fatto più di tanto, perché non toccavano i nostri interessi.
Quando i tagliagole di ISIS hanno osato avvicinarsi ai nostri interessi, hanno eseguito due‐tre nostri fratelli occidentali, allora immediatamente s’è gridato allo scandalo: questo è inammissibile, dobbiamo agire. Sì, dobbiamo agire! E le teste tagliate prima non ci hanno fatto riflettere?
La riflessione che è stata fatta da un personaggio che fino due anni addietro era la persona incontrastata della politica in Medio Oriente, e ha cavalcato il cavallo delle cosidette “primavere arabe” a suo piacimento nei differenti Paesi dove quel cavallo ha corso, questo personaggio, oggi, dinanzi un potere sfrenato e tanto potente di ISIS, ha dichiato: “Ora dobbiamo combattere ciò che abbiamo creato”.
Nel mondo arabo esiste un proverbio che suona così: “Chi è riuscito a far salire l’asino sul minareto, conosce anche la strada come farlo scendere”.
Sembra che la strada per far scendere l’asino dal minareto debba essere quella della coalizione che include pure gli Stati arabi come l’Arabia Saudita, il Qatar ed altri, oltre che armare circa 50.000 siriani della cosiddetta opposizione moderata al Presidente Bashar El‐Assad.
Io non sono e non intendo essere affatto un politico. Però il progetto accennato sopra per far scendere l’asino dal minareto zoppica fortemente. Zoppica perché i Paesi arabi della coalizione, intervenendo in Siria vanno a nozze, perché finalmente hanno una copertura per riprendersi la rivincita su colui che non ha concesso loro il passaggio del pipeline e del gasdotto. Hanno tentato di prendersi la rivincita armando e sostenendo ISIS, ma ora temendo che questo possa arrivare fino a loro è bene combatterlo a casa di chi ha fatto loro l’affronto del rifiuto, prima che arrivi a casa loro e faccia saltare per aria tutto il loro sistema.
La seconda riflessione è questa: armare circa 50.000 siriani dell’opposizione moderata e prepararli a combattere ISIS, signori, ci rendiamo conto che giochiamo ignorando pure il significato del termine moderato? Il moderato è tale proprio perché non ha mai preso le armi in mano. Ha fatto opposizione dialettica e con la propria intelligenza ha tentato di far capire a chi di dovere che le cose dovevano cambiare. Questi hanno avanzato delle richieste che, come abbiamo già detto, sono state concesse. Il braccio facinoroso ed armato è subito sceso in piazza con attentati, aiutato immediatamente dai salafiti arrivati dalla Giordania, non è certamente l’opposizione moderata che ha fatto salire l’asino sul minareto.
Chi ritiene di essere il padrone del mondo, impari prima ad essere il padrone di sè stesso!!!
(Fonte)
Il genio del male israeliano
di Amira Hass
Come uccidere esseri umani senza far uso di esplosivi o di armi, come svuotarli dall’interno, come rubare ai lavoratori della terra ciò che hanno di più caro.
27 ottobre 2014
Il genio del male israeliano non è affatto banale. Con grande disponibilità di invenzioni ed
innovazioni, come anche di tecniche consolidate, esso scorre come l’acqua ed irrompe da luoghi
reconditi. Però, a differenza delle fiumane, non finisce mai, e colpisce qualcuno, mentre resta
invisibile, irrintracciabile ed inesistente per altri. Il genio del male israeliano sta nella sua abilità
di vestire i panni della compassione e della preoccupazione (fornendo a Bernard-Henri Levy e ad
Elie Wiesel un’ulteriore opportunità di tessere le lodi dello stato ebraico in saggi che hanno enorme
diffusione).
Prendete, per esempio, la tecnica innovativa dell’agricoltura israeliana: da due a cinque giorni
all’anno di coltivazione della terra. Una shmita (periodo sabbatico) per la terra ogni anno, invece di
lasciarla a riposo ogni sette anni. In tutto farebbero 360 giorni all’anno. Il nostro compassionevole e
generoso esercito permette a decine di migliaia di palestinesi che vivono in Cisgiordania di lavorare
la loro terra soltanto tre, quattro o cinque giorni all’anno, per proteggerli dagli attacchi degli
israeliani, dei coloni, dei settlers – in breve, degli ebrei. Per il resto dell’anno, la terra è un miraggio.
Prendete, per esempio, il villaggio di Deir el-Hatab. La colonia di Elon Moreh con i relativi
avamposti domina circa la metà dei suoi 12.000 dunams (circa 3.000 acri). A causa della vicinanza
alla colonia, ai contadini del villaggio non è permesso di coltivare circa 6.000 dunams della loro
terra, e nemmeno possono camminarvi, pascolarvi le greggi, rivoltare il terreno, arare, sarchiare,
guardare gli uccelli o trasmettere alle giovani generazioni tutto il sapere accumulato dalla loro
famiglia. Possono recarvisi solo due o tre giorni all’anno per raccogliere le olive che Allah ha fatto
nascere con l’aiuto della pioggia, e che gli israeliani non sono riusciti a rubare.
Il genio del male sa anche essere molto paziente. Sa che la terra in cui i proprietari non entrano per
360 giorni all’anno non scompare. Essa diventa, de facto, una terra che spetta a quel padrone che
ama la natura e le passeggiate e pascolare gli animali, proprio come facevano i nostri antenati.
Sta scritto su un cartello lungo la strada per uscire da Elon Moreh: “Possa essere la tua volontà,
Dio nostro e dei nostri antenati, che tu ci guidi nella pace e nella pace condurre i nostri passi...e
proteggerci da ogni nemico, agguato e bandito e da ogni tipo di disgrazia lungo la strada” (un brano
della preghiera dei viaggiatori ebrei).
Prendete Deir el-Hatab e moltiplicatelo per...quanti? Sette villaggi? Cento? Aggiungete, quando a
Deir el-Hatab è primavera, la sorgente d’acqua che le nonne delle nonne del villaggio usavano e si
godevano. Adesso è diventata una piscina per immersioni rituali ed un luogo di relax per soli ebrei,
lungo la strada, vietata ai palestinesi, che conduce a Elon Moreh. Moltiplicate questo per dozzine di
altre sorgenti che hanno subito la stessa sorte.
Fate la somma di tutto ed otterrete un’altra tecnica innovativa dei produttori del genio del male
israeliano: come uccidere esseri umani senza utilizzare né esplosivi né armi, come svuotarli
dall’interno, come rubare ai lavoratori della terra ciò che hanno di più caro – non solo i loro mezzi
di sussistenza ed il futuro dei loro figli, ma anche il profondo rapporto d’amore che hanno con
la propria terra, che esiste senza dei versi satanici, occhi rivolti al cielo o generosi sussidi del
Dipartimento Colonie dell’Organizzazione Mondiale Sionista.
Il genio del male israeliano è frammentato in un numero infinito di atomi, casi individuali che il
cervello umano – ed a maggior ragione un articolo di giornale – non può abbracciare nella loro
interezza, né una singola definizione può renderne l’idea. Potremmo scrivere delle terre rubate,
tralasciando le case demolite. Potremmo tralasciare entrambe per scrivere del divieto delle visite
di familiari in prigione, ma non ci sarà tempo sufficiente per scrivere degli attacchi militari e
dell’irruzione in una casa dove ci sono bambini terrorizzati, e del clima d’“azione” nell’unità
dell’esercito.
Potremmo impiegare giorni a indagare su quale soldato ha puntato il fucile, sottraendoli al tempo
necessario per descrivere l’estendersi dell’assedio di Gaza mistificato dalle promesse di misure di
alleggerimento. Potremmo scrivere delle misure di alleggerimento, e tralasceremmo il fatto che la
Striscia di Gaza continua a funzionare come una prigione per 1,8 milioni di persone. Potremmo
scrivere del campo di detenzione, e la gente ci dirà che siamo ripetitivi. Potremmo scrivere del
tasso del 40% di disoccupazione a Gaza e di come accada che solo 7 su 40 laureati in scienze
infermieristiche all'Università di Al-Quds trovano lavoro, e la gente dirà: “Ma che cosa c’entra
questo con noi?”.
Il genio del male è anche bravissimo nel procurarsi complicità a livello linguistico. “Una Intifada
sta devastando Gerusalemme”, recita un titolo di giornale. Quando potremo scrivere in un titolo
in ebraico che la deliberata, premeditata e ben ponderata discriminazione contro i palestinesi
perpetrata per decenni dal Ministero dell’Interno, dalla Municipalità di Gerusalemme e dall’Istituto
Nazionale di Assicurazione continua a devastare e disastrare la città? E’ impossibile: troppo lungo
per un titolo.
O ancora, “violazione dei diritti umani” – una definizione con la quale lo scrittore stesso compie
una violazione, una definizione che porta a prendere in considerazione chi ha subito le offese
(“vittime”, un’altra spregevole parola collaborativa), e non chi arreca offesa.
Per non farci salire la pressione del sangue, non abbiamo parlato del male che si manifesta
nell’uccisione di bambini da parte delle truppe israeliane, della noncuranza collettiva da parte di
Israele di fronte all’inevitabile rabbia che esplode ai funerali di ogni bambino crivellato di colpi, il
male che si cela nella fraseologia evasiva imposta dalle cosiddette prassi obbiettive dei notiziari.
Uccisioni? I soldati israeliani sparano ai bambini palestinesi perché è proprio questo il lavoro dei
soldati che sono inviati a proteggere, con il proprio sacrificio, l’impresa colonialista ed i benefici
che essa procura alla nazione. Ci possiamo stupire che così pochi israeliani emigrino altrove?
Una precedente versione di questo articolo faceva erroneamente riferimento alla Divisione
Colonie dell’Organizzazione Mondiale Sionista come parte dell’Agenzia Ebraica.
Traduzione di Cristiana Cavagna
Relazione di Mons. Giuseppe Nazzaro, ex Visitatore Apostolico di Aleppo ed ex Custode di Terrasanta, al convegno “Siria, ascoltiamo la gente”, organizzato dall’associazione Impegno Civico lo scorso 30 Ottobre presso l’Istituto Veritatis Splendor di Bologna.
Si tratta di una lettura impegnativa per la lunghezza ma… “dulcis in fundo” (o “in cauda venenum”, direbbero gli atlantisti).
Si tratta di una lettura impegnativa per la lunghezza ma… “dulcis in fundo” (o “in cauda venenum”, direbbero gli atlantisti).
Mi sia concesso iniziare questa mia presentazione affermando che, prima del 15 marzo 2011 non erano tantissime le persone al mondo che conoscevano dove trovare la Siria sulla carta geografica. Era un problema di pochi addetti ai lavori. Interessava piuttosto certi ambienti colti che si interessavano di archeologia, dei popoli legati alle antiche civiltà assiro-babilonesi o di storia del cristianesimo.
Il mondo intero, oggi, parla della Siria e si interessa di questo Paese di circa 185.180 kmq , che si estende sulla costa del Mediterraneo Orientale per circa 80 kilometri.
Il mondo intero, oggi, parla della Siria e si interessa di questo Paese di circa 185.180 kmq , che si estende sulla costa del Mediterraneo Orientale per circa 80 kilometri.
I prodromi di una situazione
La data del 15 marzo 2011, ufficialmente, coincide con quella che possiamo definire: l’inizio di una rivoluzione nata quasi per gioco al confine con la Giordania, sui muri della città di Dera’a, ad opera di dodicenni che s’erano divertiti a scrivere dei graffiti del seguente tenore: “abbasso il regime”.
Ciò che all’inizio, poteva sembrare un gioco o, meglio, una ragazzata, in realtà, non era altro che l’inizio di una richiesta di maggiore apertura al Governo centrale del Paese che, per i non addetti ai lavori o per chi non aveva conosciuto la Siria prima dell’anno 2000, avrebbe potuto anche essere una richiesta legittima. Chi invece vi è vissuto ha visto e costatato con i propri occhi e con tutto il suo essere, non solo l’apertura del Governo verso le riforme sociali, ma soprattutto ha visto il benessere che le riforme avevano già portato e continuavano a portare al popolo siriano.
Ora non penso di dire un’eresia se affermo che il giovane dottore Bachar El-Assad, dopo alcuni mesi dalla sua elezione alla Presidenza della Repubblica Araba Siriana, ha iniziato immediatamente una serie di riforme per il benessere del Paese e dei suoi compatrioti: commercio con l’estero, turismo interno ed estero, soprattutto libertà di movimento, di istruzione per uomini e donne. Le donne libere professioniste in continuo aumento, l’Università aperta a tutti senza distinzione di sesso. Un Paese dove vivevano diverse etnie 23 gruppi religiosi e tutti si rispettavano e si accettavano come facenti parte, come in realtà si ritenevano, di un’unica realtà e figli di un unico Paese che era la Siria, casa e Patria comune a tutti. Dal punto di vista religioso tutti erano liberi di esercitare e vivere il loro credo rispettati ed accettati da tutti.
I cristiani siriani, dopo l’Egitto, costituivano la comunità più numerosa del Medio Oriente. Erano circa il 10-11% su una popolazione totale di circa 23.500.000, godevano di una legislazione propria per quanto riguarda i tribunali ecclesiastici, l’eredità, l’adozione dei bambini (cosa non ammessa dalla Legge islamica), ecc. Le relazioni con tutti erano improntate sul reciproco rispetto. Dobbiamo dire, ad onore del vero che, dopo il viaggio del Pontefice, oggi San Giovanni Paolo II, effettuato nel Maggio del 2001, il popolo siriano, e gli intellettuali hanno preso una maggiore coscienza riconoscendo ai cristiani siriani un ruolo non irrilevante nel Paese ed hanno contribuito in modo determinante al benessere della Siria. Tutto questo si concretizza in maniera pubblica ed ufficiale quando in diverse circostanze il Grand Moufti di Siria, Dott. Badr Ed-Dine Hassoun, dichiara pubblicamente che “i cristiani sono cittadini siriani a tutti gli effetti, la Siria è la loro casa, fanno male ad abbandonarla, dovunque andranno, saranno sempre degli estranei, mentre in Siria no, perché sono a casa propria”, e questo fu il messaggio che lo stesso Moufti inviò al Sommo Pontefice al momento in cui rientrava in Italia l’allora Nunzio Apostolico, S.E. Giovanni Battista Morandini.
La data del 15 marzo 2011, ufficialmente, coincide con quella che possiamo definire: l’inizio di una rivoluzione nata quasi per gioco al confine con la Giordania, sui muri della città di Dera’a, ad opera di dodicenni che s’erano divertiti a scrivere dei graffiti del seguente tenore: “abbasso il regime”.
Ciò che all’inizio, poteva sembrare un gioco o, meglio, una ragazzata, in realtà, non era altro che l’inizio di una richiesta di maggiore apertura al Governo centrale del Paese che, per i non addetti ai lavori o per chi non aveva conosciuto la Siria prima dell’anno 2000, avrebbe potuto anche essere una richiesta legittima. Chi invece vi è vissuto ha visto e costatato con i propri occhi e con tutto il suo essere, non solo l’apertura del Governo verso le riforme sociali, ma soprattutto ha visto il benessere che le riforme avevano già portato e continuavano a portare al popolo siriano.
Ora non penso di dire un’eresia se affermo che il giovane dottore Bachar El-Assad, dopo alcuni mesi dalla sua elezione alla Presidenza della Repubblica Araba Siriana, ha iniziato immediatamente una serie di riforme per il benessere del Paese e dei suoi compatrioti: commercio con l’estero, turismo interno ed estero, soprattutto libertà di movimento, di istruzione per uomini e donne. Le donne libere professioniste in continuo aumento, l’Università aperta a tutti senza distinzione di sesso. Un Paese dove vivevano diverse etnie 23 gruppi religiosi e tutti si rispettavano e si accettavano come facenti parte, come in realtà si ritenevano, di un’unica realtà e figli di un unico Paese che era la Siria, casa e Patria comune a tutti. Dal punto di vista religioso tutti erano liberi di esercitare e vivere il loro credo rispettati ed accettati da tutti.
I cristiani siriani, dopo l’Egitto, costituivano la comunità più numerosa del Medio Oriente. Erano circa il 10-11% su una popolazione totale di circa 23.500.000, godevano di una legislazione propria per quanto riguarda i tribunali ecclesiastici, l’eredità, l’adozione dei bambini (cosa non ammessa dalla Legge islamica), ecc. Le relazioni con tutti erano improntate sul reciproco rispetto. Dobbiamo dire, ad onore del vero che, dopo il viaggio del Pontefice, oggi San Giovanni Paolo II, effettuato nel Maggio del 2001, il popolo siriano, e gli intellettuali hanno preso una maggiore coscienza riconoscendo ai cristiani siriani un ruolo non irrilevante nel Paese ed hanno contribuito in modo determinante al benessere della Siria. Tutto questo si concretizza in maniera pubblica ed ufficiale quando in diverse circostanze il Grand Moufti di Siria, Dott. Badr Ed-Dine Hassoun, dichiara pubblicamente che “i cristiani sono cittadini siriani a tutti gli effetti, la Siria è la loro casa, fanno male ad abbandonarla, dovunque andranno, saranno sempre degli estranei, mentre in Siria no, perché sono a casa propria”, e questo fu il messaggio che lo stesso Moufti inviò al Sommo Pontefice al momento in cui rientrava in Italia l’allora Nunzio Apostolico, S.E. Giovanni Battista Morandini.
La primavera siriana
Naturalmente, la polizia si rese subito conto che dietro i graffiti di Dera’a vi era qualcuno e qualcosa di più grosso del semplice gioco o di una ragazzata. Vi era un mandante o dei mandanti, tanto per stare nel clima di quei popoli e della loro mentalità: lanciare il sasso e nascondere il braccio, o se si vuole meglio: servirsi di scudi umani non perseguibili.
Circa una settimana dopo a Damasco vi furono delle manifestazioni di piazza che chiedevano delle riforme, nello specifico si chiedeva: l’abolizione della legge di emergenza (una legge che risaliva agli inizi degli anni ’60 ma che in realtà non era più applicata tanto che lasciò molti scioccati chiedendosi se veramente esisteva detta legge); una nuova Costituzione; una Università islamica; il velo alle donne negli uffici governativi e pluripartitismo.
La risposta del Governo ai richiedenti fu immediata, concedendo tutto ciò che avevano chiesto: abolizione della vecchia legge di emergenza, la creazione di una Commissione di giuristi per riscrivere la Costituzione, l’Università islamica ed il velo alle donne sul lavoro e libertà di unirsi in differenti formazioni politiche.
Con queste risposte il Governo spiazzò i richiedenti. Evidentemente questi non si attendevano un esito positivo a loro favore. Continuarono le manifestazioni di piazza, ma non le fiumane di gente che trasmetteva l’emittente Al‐Giazireh, passando immediatamente ad azioni terroristiche, prima con un attentato di enormi proporzioni in Damasco, contro una caserma in centro città ed in pieno quartiere cristiano, poi con un altro attentato in un crocevia frequentatissimo, entrambi gli attentati lasciarono per terra decine e decine di morti. Dal sud del Paese, e precisamente, dalla vicina Giordania entrarono i combattenti Salafiti (dove avevano il loro campo di addestramento) ed attaccarono subito la città di Banias, sulla costa mediterranea, nel cuore della regione a maggioranza Alawita. Hanno combattuto per oltre due mesi; non avendo avuto ragione dell’esercito, abbandonarono Banias e si diressero sulle città dell’interno quali Homs ed Hama.
Nella città di Homs lo scorso 7 aprile è stato ucciso il campione del dialogo e della convivenza islamo‐cristiana, P. Franz Van der Lought sj, oggi la sua tomba è meta di continui pellegrinaggi di cristiani e musulmani.
Il resto del Paese, possiamo dire, viveva quasi tutto nella normalità. L’unica cosa che faceva stare allerta la popolazione erano i continui blocchi stradali che i viaggiatori dovevano passare. Molti erano derubati di quanto avevano, altri fermati finché non venisse pagato per loro un riscatto. In questa sorte di guerra erano presi di mira i cristiani, i religiosi, e le persone facoltose sia cristiani che musulmani ai quali veniva richiesta una somma esosa per il proprio riscatto. Qualche volta il riscatto veniva pagato, ma il prigioniero non era rilasciato ed allora si capiva che era stato eliminato; a questi blocchi stradali si potevano incontrare terroristi afgani, pakistani o ceceni.
Il sottoscritto, come Vescovo della comunità cattolica latina, ha potuto girare tranquillamente per tutta la Siria, eccetto la zona di Homs e di Hama, fino al mese di Agosto 2012. Poi il viaggiare è diventato rischioso, usando alcuni accorgimenti di prudenza e in momenti particolari mi potevo muovere anche fuori la zona di Aleppo dove vivevo abitualmente.
La città di Aleppo, come ho potuto costatare, non ha partecipato attivamente alla rivolta contro il Governo. Aleppo e gli Aleppini, che sono sempre stati il motore dell’economia del Paese con le più di 1.500 fabbriche, tra grandi e piccole, non voleva certamente perdere il benessere che s’era acquistato con sacrifici enormi sia prima che dopo l’apertura economica operata dal Presidente in carica, purtroppo, oggi di questo benessere non esiste più nulla. Tutte le fabbriche sono state saccheggiate dei loro macchinari e trapiantate in Turchia. Certamente questo saccheggio non è stato ad opera dei legittimi proprietari, magari per fuggire le tasse come succede altrove, esse sono state saccheggiate dai terroristi che han tutto venduto per finanziarsi, prima che subentrassero i finanziamenti di alcuni Stati arabi ben conosciuti ed appoggiati dalla benedizione del Grande Fratello. (cfr. Corriere della Sera, 24/09/2014 ‐ Antonio Ferrari, pag. 3)
Inizialmente si assisteva a delle manifestazioni per le strade, dopo la preghiera del venerdì, partivano in corteo gridando “abbasso il regime”. Partecipavano a questi cortei i fedeli delle moschee che avevano un Imam wahabita, cioè pro Arabia Saudita che, tra l’altro, forniva di dollari questi Imam perché dessero 10 dollari a testa a chi scendeva per strada almeno per un’ora gridando: “Abbasso il regime”.
In molte zone della città di Aleppo la gente è scesa in strada a protestare contro questi prezzolati perché turbavano la pace e la tranquillità. La reazione della popolazione si spiega perché in alcune zone si erano formati gruppi di guerriglieri che combattevano contro tutto e tutti, coinvolgendo non solo la polizia locale ma anche l’esercito che, non essendo preparato alla guerriglia cittadina, ha risposto prima con armi semi pesanti e poi con quelle pesanti. In questo modo sono state distrutte molte case e molti quartieri periferici di Aleppo. Dal canto loro i ribelli hanno incendiato, distruggendolo, il famoso souk coperto di Aleppo dopo averlo saccheggiato dei suoi tesori.
Alcuni di questi guerriglieri, venuti dai Paesi sopra citati, sono stati fatti prigionieri e hanno confessato di essere stati inviati a combattere per liberare Gerusalemme, molti di loro erano stati prigionieri delle reali prigioni dell’Arabia Saudita e liberati, appunto, perché andassero a liberare la città santa di Gerusalemme passando prima per la Siria.
Con l’avvento dei terroristi stranieri compaiono anche le formazioni terroristiche vere e proprie, quali: Giama’at al‐Nousra, Da’esh, Al-Qaeda che si dividono le zone di influenza e competenza. Giama’at al-Nousra si schiera nel Governatorato di Idleb a Sud di Aleppo e controlla il collegamento tra Aleppo e la città portuale di Latakia. Daesh ed Al‐Qaeda si schierano nel governatorato di Raqqa ad est di Aleppo, controllando tutta la zona fino al confine con l’Irak.
Le Giama’t al‐Nousra, agli inizi del 2012 fecero una incursione notturna nel villaggio cristiano di Ghassanieh costringendo gli abitanti a lasciare le loro case altrimenti sarebbero stati tutti decapitati. Le Giama’at al‐Nousra, il 2 giugno 2012, hanno decapitato 120 poliziotti nella cittadina di Gisser El‐Choughour, nella Provincia di Idleb. Testimoni oculari affermano che le teste di questi furono affisse sul frontespizio della caserma, altre furono issate sulla torre pubblica ed i loro corpi gettati nel fiume Oronte. In conseguenza di questi avvenimenti la Missione francescana del vicino villaggio di Kanayé fu invasa dai rifugiati cristiani, sunniti ed alawiti. Il Padre riuscì a sistemare tutti facendo in modo che non si scontrassero l’uno con l’altro, cioè: il sunnita con l’alawita, ecc.
Il 23 giugno 2013, sempre i guerriglieri della Giama’at al‐Nousra uccisero, nel convento francescano di Ghassanieh, il P. François Mourad. Avevo visitato questo villaggio il venerdì 22 marzo 2013 e vi trovai, dopo l’esodo obbligato dai terroristi, meno di 20 persone di cui due sacerdoti e tre suore. Tutti, in seguito all’uccisione di P. François, furono evacuati. Oggi il villaggio è totalmente in mano ai terroristi. Come potete prendere nota ben due anni prima sono iniziate le decapitazioni, nessuno ne ha mai tenuto conto, eccetto il sottoscritto che l’ha denunziato al mondo intero ma non s’è dato credito alle sue parole. Tirate le conclusioni che volete!
L’esempio di Ghassanieh la dice lunga per tutti i villaggi cristiani che si trovano lungo il fiume Oronte. Agli inizi di dicembre 2013 ai terroristi delle Giama’t al -Nousra subentrano, nella Provincia di Idleb, i terroristi dell’organizzazione Daesh che non sono da meno. Il capo di questa organizzazione s’è presentato nel villaggio di Kanayé chiedendo al Missionario, senza mezzi termini, che se voleva vivere doveva farsi musulmano, doveva far sparire la croce dalla Chiesa, le Statue dei Santi, non deve suonare le campane, le donne uscendo di casa (anche se tutte cristiane in un villaggio cristiano) devono velarsi il capo, perché nel Califfato non esistono altro che islamici. Chi vuole vivere all’ombra del califfo o diventa musulmano o sarà elimato. Siccome il Missionario in questione è un sacerdote che conosce la storia del Paese e dell’Islam ha apostrofato l’emissario del Califfo che lo stesso Omar aveva accettato i cristiani nel Califfato. Questi vistosi spiazzato fece dietrofront, contentandosi dell’applicazione delle sue richieste. Al Missionario che chiedeva: e se non accetteremo le vostre richieste? La risposta fu: in tre giorni mineremo il villaggio e salterete tutti in aria.
Naturalmente, la polizia si rese subito conto che dietro i graffiti di Dera’a vi era qualcuno e qualcosa di più grosso del semplice gioco o di una ragazzata. Vi era un mandante o dei mandanti, tanto per stare nel clima di quei popoli e della loro mentalità: lanciare il sasso e nascondere il braccio, o se si vuole meglio: servirsi di scudi umani non perseguibili.
Circa una settimana dopo a Damasco vi furono delle manifestazioni di piazza che chiedevano delle riforme, nello specifico si chiedeva: l’abolizione della legge di emergenza (una legge che risaliva agli inizi degli anni ’60 ma che in realtà non era più applicata tanto che lasciò molti scioccati chiedendosi se veramente esisteva detta legge); una nuova Costituzione; una Università islamica; il velo alle donne negli uffici governativi e pluripartitismo.
La risposta del Governo ai richiedenti fu immediata, concedendo tutto ciò che avevano chiesto: abolizione della vecchia legge di emergenza, la creazione di una Commissione di giuristi per riscrivere la Costituzione, l’Università islamica ed il velo alle donne sul lavoro e libertà di unirsi in differenti formazioni politiche.
Con queste risposte il Governo spiazzò i richiedenti. Evidentemente questi non si attendevano un esito positivo a loro favore. Continuarono le manifestazioni di piazza, ma non le fiumane di gente che trasmetteva l’emittente Al‐Giazireh, passando immediatamente ad azioni terroristiche, prima con un attentato di enormi proporzioni in Damasco, contro una caserma in centro città ed in pieno quartiere cristiano, poi con un altro attentato in un crocevia frequentatissimo, entrambi gli attentati lasciarono per terra decine e decine di morti. Dal sud del Paese, e precisamente, dalla vicina Giordania entrarono i combattenti Salafiti (dove avevano il loro campo di addestramento) ed attaccarono subito la città di Banias, sulla costa mediterranea, nel cuore della regione a maggioranza Alawita. Hanno combattuto per oltre due mesi; non avendo avuto ragione dell’esercito, abbandonarono Banias e si diressero sulle città dell’interno quali Homs ed Hama.
Nella città di Homs lo scorso 7 aprile è stato ucciso il campione del dialogo e della convivenza islamo‐cristiana, P. Franz Van der Lought sj, oggi la sua tomba è meta di continui pellegrinaggi di cristiani e musulmani.
Il resto del Paese, possiamo dire, viveva quasi tutto nella normalità. L’unica cosa che faceva stare allerta la popolazione erano i continui blocchi stradali che i viaggiatori dovevano passare. Molti erano derubati di quanto avevano, altri fermati finché non venisse pagato per loro un riscatto. In questa sorte di guerra erano presi di mira i cristiani, i religiosi, e le persone facoltose sia cristiani che musulmani ai quali veniva richiesta una somma esosa per il proprio riscatto. Qualche volta il riscatto veniva pagato, ma il prigioniero non era rilasciato ed allora si capiva che era stato eliminato; a questi blocchi stradali si potevano incontrare terroristi afgani, pakistani o ceceni.
Il sottoscritto, come Vescovo della comunità cattolica latina, ha potuto girare tranquillamente per tutta la Siria, eccetto la zona di Homs e di Hama, fino al mese di Agosto 2012. Poi il viaggiare è diventato rischioso, usando alcuni accorgimenti di prudenza e in momenti particolari mi potevo muovere anche fuori la zona di Aleppo dove vivevo abitualmente.
La città di Aleppo, come ho potuto costatare, non ha partecipato attivamente alla rivolta contro il Governo. Aleppo e gli Aleppini, che sono sempre stati il motore dell’economia del Paese con le più di 1.500 fabbriche, tra grandi e piccole, non voleva certamente perdere il benessere che s’era acquistato con sacrifici enormi sia prima che dopo l’apertura economica operata dal Presidente in carica, purtroppo, oggi di questo benessere non esiste più nulla. Tutte le fabbriche sono state saccheggiate dei loro macchinari e trapiantate in Turchia. Certamente questo saccheggio non è stato ad opera dei legittimi proprietari, magari per fuggire le tasse come succede altrove, esse sono state saccheggiate dai terroristi che han tutto venduto per finanziarsi, prima che subentrassero i finanziamenti di alcuni Stati arabi ben conosciuti ed appoggiati dalla benedizione del Grande Fratello. (cfr. Corriere della Sera, 24/09/2014 ‐ Antonio Ferrari, pag. 3)
Inizialmente si assisteva a delle manifestazioni per le strade, dopo la preghiera del venerdì, partivano in corteo gridando “abbasso il regime”. Partecipavano a questi cortei i fedeli delle moschee che avevano un Imam wahabita, cioè pro Arabia Saudita che, tra l’altro, forniva di dollari questi Imam perché dessero 10 dollari a testa a chi scendeva per strada almeno per un’ora gridando: “Abbasso il regime”.
In molte zone della città di Aleppo la gente è scesa in strada a protestare contro questi prezzolati perché turbavano la pace e la tranquillità. La reazione della popolazione si spiega perché in alcune zone si erano formati gruppi di guerriglieri che combattevano contro tutto e tutti, coinvolgendo non solo la polizia locale ma anche l’esercito che, non essendo preparato alla guerriglia cittadina, ha risposto prima con armi semi pesanti e poi con quelle pesanti. In questo modo sono state distrutte molte case e molti quartieri periferici di Aleppo. Dal canto loro i ribelli hanno incendiato, distruggendolo, il famoso souk coperto di Aleppo dopo averlo saccheggiato dei suoi tesori.
Alcuni di questi guerriglieri, venuti dai Paesi sopra citati, sono stati fatti prigionieri e hanno confessato di essere stati inviati a combattere per liberare Gerusalemme, molti di loro erano stati prigionieri delle reali prigioni dell’Arabia Saudita e liberati, appunto, perché andassero a liberare la città santa di Gerusalemme passando prima per la Siria.
Con l’avvento dei terroristi stranieri compaiono anche le formazioni terroristiche vere e proprie, quali: Giama’at al‐Nousra, Da’esh, Al-Qaeda che si dividono le zone di influenza e competenza. Giama’at al-Nousra si schiera nel Governatorato di Idleb a Sud di Aleppo e controlla il collegamento tra Aleppo e la città portuale di Latakia. Daesh ed Al‐Qaeda si schierano nel governatorato di Raqqa ad est di Aleppo, controllando tutta la zona fino al confine con l’Irak.
Le Giama’t al‐Nousra, agli inizi del 2012 fecero una incursione notturna nel villaggio cristiano di Ghassanieh costringendo gli abitanti a lasciare le loro case altrimenti sarebbero stati tutti decapitati. Le Giama’at al‐Nousra, il 2 giugno 2012, hanno decapitato 120 poliziotti nella cittadina di Gisser El‐Choughour, nella Provincia di Idleb. Testimoni oculari affermano che le teste di questi furono affisse sul frontespizio della caserma, altre furono issate sulla torre pubblica ed i loro corpi gettati nel fiume Oronte. In conseguenza di questi avvenimenti la Missione francescana del vicino villaggio di Kanayé fu invasa dai rifugiati cristiani, sunniti ed alawiti. Il Padre riuscì a sistemare tutti facendo in modo che non si scontrassero l’uno con l’altro, cioè: il sunnita con l’alawita, ecc.
Il 23 giugno 2013, sempre i guerriglieri della Giama’at al‐Nousra uccisero, nel convento francescano di Ghassanieh, il P. François Mourad. Avevo visitato questo villaggio il venerdì 22 marzo 2013 e vi trovai, dopo l’esodo obbligato dai terroristi, meno di 20 persone di cui due sacerdoti e tre suore. Tutti, in seguito all’uccisione di P. François, furono evacuati. Oggi il villaggio è totalmente in mano ai terroristi. Come potete prendere nota ben due anni prima sono iniziate le decapitazioni, nessuno ne ha mai tenuto conto, eccetto il sottoscritto che l’ha denunziato al mondo intero ma non s’è dato credito alle sue parole. Tirate le conclusioni che volete!
L’esempio di Ghassanieh la dice lunga per tutti i villaggi cristiani che si trovano lungo il fiume Oronte. Agli inizi di dicembre 2013 ai terroristi delle Giama’t al -Nousra subentrano, nella Provincia di Idleb, i terroristi dell’organizzazione Daesh che non sono da meno. Il capo di questa organizzazione s’è presentato nel villaggio di Kanayé chiedendo al Missionario, senza mezzi termini, che se voleva vivere doveva farsi musulmano, doveva far sparire la croce dalla Chiesa, le Statue dei Santi, non deve suonare le campane, le donne uscendo di casa (anche se tutte cristiane in un villaggio cristiano) devono velarsi il capo, perché nel Califfato non esistono altro che islamici. Chi vuole vivere all’ombra del califfo o diventa musulmano o sarà elimato. Siccome il Missionario in questione è un sacerdote che conosce la storia del Paese e dell’Islam ha apostrofato l’emissario del Califfo che lo stesso Omar aveva accettato i cristiani nel Califfato. Questi vistosi spiazzato fece dietrofront, contentandosi dell’applicazione delle sue richieste. Al Missionario che chiedeva: e se non accetteremo le vostre richieste? La risposta fu: in tre giorni mineremo il villaggio e salterete tutti in aria.
Chi è dietro i terroristi?
In parte perché essi stessi l’hanno ammesso, in parte lo si arguisce dai famosi 10 dollari a testa, distribuiti ai manifestanti di Aleppo, e dal poco buon sangue che è sempre intercorso tra sciiti e sunniti. In parte per interessi economici tra i potenti della regione che chiedevano alla Siria di far passare sul proprio territorio il gasdotto verso l’Europa ed il pipeline dell’oro nero fino alla Turchia ed il Mediterraneo.
I fratelli ricchi si sono visti rifiutato il passaggio che, per altro, non poteva essere concesso perché anche l’Iran chiedeva altrettanto, l’amica Russia non vedeva di buon occhio queste concessioni, ed oltretutto bisognava anche proteggere il proprio prodotto.
Quindi, si pesca nel torbido malumore che esisteva contro il Governo, come del resto esiste dappertutto. Allora ci si rivolge ai paladini della democrazia soffiando al loro orecchio: come voi paladini della democrazia mondiale, non sapete che vi è un Paese al mondo che non è democratico? È una dittatura, e per giunta, non sono neppure rispettati i diritti umani.
C’è da chiedersi: chi ascoltava e prendeva in considerazione queste accuse, si chiedeva se in casa degli accusatori esistevano ed esistono i diritti umani? Vi è a casa loro una Costituzione e questa cosa garantiva e garantisce ai propri sudditi? È sufficiente ricordarsi quanto è successo nel Bahrein al momento delle richieste della maggioranza sciita del Paese, quale è stata la reazione dei Paesi confinanti il piccolo sultanato?
Il grande paladino delle libertà democratiche interviene e detta la sua legge che non è rispettata. Allora? Si profitta di un certo malessere che è nel Paese, si armano i malcontenti più facinorosi che attaccano con armi in pugno creando una guerriglia nelle strade cittadine. Tra questi vi è gente che si rifa ad Al‐Qaeda, Giama’at al‐Nousra, Daesh, e gente che non ha nulla da perdere, viene in Siria, non solo per soldi, ma anche per trovare in una guerriglia che non gli appartiene, nuove emozioni alla loro vita altrimenti fallita. Oggi, sul suolo siriano, si contano terroristi di circa 80 Paesi che contribuiscono alla distruzione di un Paese straordinariamente bello e ricco. Bello per i suoi paesaggi naturali, ricco per la sua ricchezza del sottosuolo, la sua storia, ma soprattutto per la sua ricchezza d’animo, per la sua bontà, per la sua ospitalità, ed il rispetto per gli altri.
Tutti fanno del proprio meglio per armare questi signori venuti da lontano. D’altro canto ci sono anche coloro che sostengono il Governo e lo forniscono di armi. Tutti, in questa bolgia infernale, sparano e ammazzano. Gli armatori stanno a guardare e attendono l’ora in cui non esisterà più nulla della Siria che abbiamo conosciuto. Le armi che noi abbiamo regalato han fatto il loro dovere: hanno distrutto tutto col nostro aiuto. È arrivato, così, il momento di uscire allo scoperto per presentarci da grandi benefattori altruisti, ricostruiamo il tutto, voi non dovete preoccuparvi di nulla, salvo pagare il conto alla fine.
Noi, sempre generosamente, li esoneriamo dal pagare il conto e chiediamo loro di lavorare per noi per tot numero di anni, nelle fabbriche che abbiamo ricostruito. Noi vi daremo tutto il materiale necessario per la produzione, vi pagheremo pure un salario perché possiate vivere e produrre per noi. Dopo tot anni noi, si o no, vi diremo grazie lasciandovi le fabbriche già diventate vecchie che necessitano di essere rinnovate perché il progresso ne ha inventate di più moderne.
Tutto questo in nome della democrazia mentre, in realtà, non è altro che una neocolonizzazione.
In parte perché essi stessi l’hanno ammesso, in parte lo si arguisce dai famosi 10 dollari a testa, distribuiti ai manifestanti di Aleppo, e dal poco buon sangue che è sempre intercorso tra sciiti e sunniti. In parte per interessi economici tra i potenti della regione che chiedevano alla Siria di far passare sul proprio territorio il gasdotto verso l’Europa ed il pipeline dell’oro nero fino alla Turchia ed il Mediterraneo.
I fratelli ricchi si sono visti rifiutato il passaggio che, per altro, non poteva essere concesso perché anche l’Iran chiedeva altrettanto, l’amica Russia non vedeva di buon occhio queste concessioni, ed oltretutto bisognava anche proteggere il proprio prodotto.
Quindi, si pesca nel torbido malumore che esisteva contro il Governo, come del resto esiste dappertutto. Allora ci si rivolge ai paladini della democrazia soffiando al loro orecchio: come voi paladini della democrazia mondiale, non sapete che vi è un Paese al mondo che non è democratico? È una dittatura, e per giunta, non sono neppure rispettati i diritti umani.
C’è da chiedersi: chi ascoltava e prendeva in considerazione queste accuse, si chiedeva se in casa degli accusatori esistevano ed esistono i diritti umani? Vi è a casa loro una Costituzione e questa cosa garantiva e garantisce ai propri sudditi? È sufficiente ricordarsi quanto è successo nel Bahrein al momento delle richieste della maggioranza sciita del Paese, quale è stata la reazione dei Paesi confinanti il piccolo sultanato?
Il grande paladino delle libertà democratiche interviene e detta la sua legge che non è rispettata. Allora? Si profitta di un certo malessere che è nel Paese, si armano i malcontenti più facinorosi che attaccano con armi in pugno creando una guerriglia nelle strade cittadine. Tra questi vi è gente che si rifa ad Al‐Qaeda, Giama’at al‐Nousra, Daesh, e gente che non ha nulla da perdere, viene in Siria, non solo per soldi, ma anche per trovare in una guerriglia che non gli appartiene, nuove emozioni alla loro vita altrimenti fallita. Oggi, sul suolo siriano, si contano terroristi di circa 80 Paesi che contribuiscono alla distruzione di un Paese straordinariamente bello e ricco. Bello per i suoi paesaggi naturali, ricco per la sua ricchezza del sottosuolo, la sua storia, ma soprattutto per la sua ricchezza d’animo, per la sua bontà, per la sua ospitalità, ed il rispetto per gli altri.
Tutti fanno del proprio meglio per armare questi signori venuti da lontano. D’altro canto ci sono anche coloro che sostengono il Governo e lo forniscono di armi. Tutti, in questa bolgia infernale, sparano e ammazzano. Gli armatori stanno a guardare e attendono l’ora in cui non esisterà più nulla della Siria che abbiamo conosciuto. Le armi che noi abbiamo regalato han fatto il loro dovere: hanno distrutto tutto col nostro aiuto. È arrivato, così, il momento di uscire allo scoperto per presentarci da grandi benefattori altruisti, ricostruiamo il tutto, voi non dovete preoccuparvi di nulla, salvo pagare il conto alla fine.
Noi, sempre generosamente, li esoneriamo dal pagare il conto e chiediamo loro di lavorare per noi per tot numero di anni, nelle fabbriche che abbiamo ricostruito. Noi vi daremo tutto il materiale necessario per la produzione, vi pagheremo pure un salario perché possiate vivere e produrre per noi. Dopo tot anni noi, si o no, vi diremo grazie lasciandovi le fabbriche già diventate vecchie che necessitano di essere rinnovate perché il progresso ne ha inventate di più moderne.
Tutto questo in nome della democrazia mentre, in realtà, non è altro che una neocolonizzazione.
La città di Aleppo
Ho accennato che la città di Aleppo e i suoi abitanti non si son fatti trascinare dalla situazione per lungo tempo. In realtà la città ha goduto di una quasi totale tranquillità, eccetto una parte della sua periferia est, fino quasi la fine di novembre 2012. Lo stesso aeroporto internazionale è rimasto aperto fino agli inizi di gennaio 2013, quando fu chiuso al traffico, perché era continuamente sotto tiro dei terroristi.
La città ha cominciato a soffrire dal novembre 2012. Molti, soprattutto chi aveva beni, hanno portato la famiglia al sicuro nel vicino Libano, mentre in città restavano gli uomini per continuare la loro attività. Questo sistema è andato avanti finché non si son trovate le fabbriche, una dopo l’altra, vuote dei propri macchinari perché rubati e venduti in Turchia.
I terroristi hanno attaccato in massa alcuni quartieri della città e così abbiamo avuti i primi sfollati che si sono rifugiati, occupandolo, il campus universitario. Molti commercianti hanno abbandonato i loro esercizi creandosi uno spazio commerciale sui marciapiedi attorno all’Università, s’era creata così una tendopoli nella stessa città. Il 15 gennaio 2013, a pochi metri dal Vescovado ci fu una enorme esplosione di due bombe che fece sul posto oltre 90 vittime, tra queste una religiosa, Sr. Rima Nasri, che dirigeva il convitto universitario per ragazze povere situato soltanto una decina di metri dall’esplosione. La suora stava rientrando in casa quando ci fu lo scoppio e di essa non è mai stato trovato neppure un’unghia, come si suol dire.
La città allora ha cominciato a subire interruzione di acqua potabile, elettricità, gasolio per il riscaldamento, benzina. I commercianti in nero iniziarono i loro affari d’oro. L’acqua è stata inquinata perché i terroristi hanno fatto saltare le fogne che si sono riversate nei bacini dell’acqua potabile e così molti han dovuto far ricorso agli ospedali con sintomi di colera.
Possiamo dire che oggi la città è per buona parte approvvigionata di acqua dai pozzi che già esistevano in alcune chiese e moschee. Lo stesso Vescovo Latino ne ha fatto perforare uno nel recinto del Vescovado e ha trovato l’acqua ad oltre 150 metri. Coloro che non possono accedere ai pozzi, perché troppo lontani da casa o corrono pericolo per raggiungerli, continuano a dissetarsi con acque inquinate.
L’interruzione di erogazione di gas da cucina, gasolio da riscaldamento, ha indotto la gente a tagliare selvaggiamente gli alberi dei viali e dei giardini pubblici di cui Aleppo andava fiera. Passare un inverno ad Aleppo senza il minimo riscaldamento è qualcosa di terribile, il freddo vi penetra nelle ossa.
Aleppo, una volta città opulenta per le sue fabbriche, per il suo souk ed il suo commercio, oggi è prostrata, la gente è affamata, gli unici che dispongono di qualche soldo sono coloro che lavorano col Governo, tutto il settore privato è morto.
Oggi, non solo Aleppo, ma tutto il Paese vive una situazione veramente tragica. La gente teme l’avanzata dei terroristi tagliagole di ISIS. L’esercito governativo è riuscito a creare un varco abbastanza sicuro per approvvigionare la città, ma quanti possono comperare? La Chiesa, grazie agli aiuti economici che riusciamo a raccogliere e far arrivare, riesce a sollevare un po’ le pene di tanta gente che, altrimenti, morirebbe di fame.
La comunità cristiana della città si è ridotta del 60% circa. In città sono rimasti coloro che non hanno alcuna possibilità di trasferirsi altrove, perché privi di mezzi o non hanno parenti altrove su cui appoggiarsi.
In tutto questo disastro, resta salda sempre la presenza dei missionari religiosi siriani e stranieri, francescani, gesuiti, salesiani, lazaristi, cappuccini e religiosi del Verbo Incarnato, Fratelli Maristi di Champagnt; più uno svariato numero di religiose appartenenti a diverse congregazioni quali Salesiane, suore di San Giuseppe dell’Apparizione, Suore della Carità, Suore di Madre Teresa di Calcutta, Suore del Verbo Incarnato, Suore dei Santi Cuori, Suore di Besançon, Suore Carmelitane Scalze di clausura ed Apostoliche, Suore Francescane Missionarie di Maria e Suore Francescane del Cuore Immacolato di Maria, Suore di Jesus and Mary.
Tutti questi Istituti si dedicano oggi ad assistere e sostenere quanti a loro si rivolgono per usufruire delle mense che sono state create nei vari Istituti, tutti senza distinzione di credo si rivolgono a loro e tutti sono aiutati, perché tutti figli di uno stesso Padre Celeste. Lo stesso Vicariato Apostolico di Aleppo ha ospitato nel pensionato universitario “Gesù Operaio” un Istituto islamico per handicappati e persone anziane.
Ai religiosi siriani e stranieri dobbiamo rispetto e ammirazione perché potevano abbandonare le loro posizioni per lidi più tranquilli, dove non si corre pericolo della vita; invece, sono rimasti al loro rispettivo posto per aiutare e confortare quanti sono nel dolore e nella necessità.
Ho accennato che la città di Aleppo e i suoi abitanti non si son fatti trascinare dalla situazione per lungo tempo. In realtà la città ha goduto di una quasi totale tranquillità, eccetto una parte della sua periferia est, fino quasi la fine di novembre 2012. Lo stesso aeroporto internazionale è rimasto aperto fino agli inizi di gennaio 2013, quando fu chiuso al traffico, perché era continuamente sotto tiro dei terroristi.
La città ha cominciato a soffrire dal novembre 2012. Molti, soprattutto chi aveva beni, hanno portato la famiglia al sicuro nel vicino Libano, mentre in città restavano gli uomini per continuare la loro attività. Questo sistema è andato avanti finché non si son trovate le fabbriche, una dopo l’altra, vuote dei propri macchinari perché rubati e venduti in Turchia.
I terroristi hanno attaccato in massa alcuni quartieri della città e così abbiamo avuti i primi sfollati che si sono rifugiati, occupandolo, il campus universitario. Molti commercianti hanno abbandonato i loro esercizi creandosi uno spazio commerciale sui marciapiedi attorno all’Università, s’era creata così una tendopoli nella stessa città. Il 15 gennaio 2013, a pochi metri dal Vescovado ci fu una enorme esplosione di due bombe che fece sul posto oltre 90 vittime, tra queste una religiosa, Sr. Rima Nasri, che dirigeva il convitto universitario per ragazze povere situato soltanto una decina di metri dall’esplosione. La suora stava rientrando in casa quando ci fu lo scoppio e di essa non è mai stato trovato neppure un’unghia, come si suol dire.
La città allora ha cominciato a subire interruzione di acqua potabile, elettricità, gasolio per il riscaldamento, benzina. I commercianti in nero iniziarono i loro affari d’oro. L’acqua è stata inquinata perché i terroristi hanno fatto saltare le fogne che si sono riversate nei bacini dell’acqua potabile e così molti han dovuto far ricorso agli ospedali con sintomi di colera.
Possiamo dire che oggi la città è per buona parte approvvigionata di acqua dai pozzi che già esistevano in alcune chiese e moschee. Lo stesso Vescovo Latino ne ha fatto perforare uno nel recinto del Vescovado e ha trovato l’acqua ad oltre 150 metri. Coloro che non possono accedere ai pozzi, perché troppo lontani da casa o corrono pericolo per raggiungerli, continuano a dissetarsi con acque inquinate.
L’interruzione di erogazione di gas da cucina, gasolio da riscaldamento, ha indotto la gente a tagliare selvaggiamente gli alberi dei viali e dei giardini pubblici di cui Aleppo andava fiera. Passare un inverno ad Aleppo senza il minimo riscaldamento è qualcosa di terribile, il freddo vi penetra nelle ossa.
Aleppo, una volta città opulenta per le sue fabbriche, per il suo souk ed il suo commercio, oggi è prostrata, la gente è affamata, gli unici che dispongono di qualche soldo sono coloro che lavorano col Governo, tutto il settore privato è morto.
Oggi, non solo Aleppo, ma tutto il Paese vive una situazione veramente tragica. La gente teme l’avanzata dei terroristi tagliagole di ISIS. L’esercito governativo è riuscito a creare un varco abbastanza sicuro per approvvigionare la città, ma quanti possono comperare? La Chiesa, grazie agli aiuti economici che riusciamo a raccogliere e far arrivare, riesce a sollevare un po’ le pene di tanta gente che, altrimenti, morirebbe di fame.
La comunità cristiana della città si è ridotta del 60% circa. In città sono rimasti coloro che non hanno alcuna possibilità di trasferirsi altrove, perché privi di mezzi o non hanno parenti altrove su cui appoggiarsi.
In tutto questo disastro, resta salda sempre la presenza dei missionari religiosi siriani e stranieri, francescani, gesuiti, salesiani, lazaristi, cappuccini e religiosi del Verbo Incarnato, Fratelli Maristi di Champagnt; più uno svariato numero di religiose appartenenti a diverse congregazioni quali Salesiane, suore di San Giuseppe dell’Apparizione, Suore della Carità, Suore di Madre Teresa di Calcutta, Suore del Verbo Incarnato, Suore dei Santi Cuori, Suore di Besançon, Suore Carmelitane Scalze di clausura ed Apostoliche, Suore Francescane Missionarie di Maria e Suore Francescane del Cuore Immacolato di Maria, Suore di Jesus and Mary.
Tutti questi Istituti si dedicano oggi ad assistere e sostenere quanti a loro si rivolgono per usufruire delle mense che sono state create nei vari Istituti, tutti senza distinzione di credo si rivolgono a loro e tutti sono aiutati, perché tutti figli di uno stesso Padre Celeste. Lo stesso Vicariato Apostolico di Aleppo ha ospitato nel pensionato universitario “Gesù Operaio” un Istituto islamico per handicappati e persone anziane.
Ai religiosi siriani e stranieri dobbiamo rispetto e ammirazione perché potevano abbandonare le loro posizioni per lidi più tranquilli, dove non si corre pericolo della vita; invece, sono rimasti al loro rispettivo posto per aiutare e confortare quanti sono nel dolore e nella necessità.
Il Califfato
I mass media, me lo lascino dire, non sempre hanno reso un buon servizio all’umanità a proposito di questa guerra siriana.
Hanno sempre insistito a colpevolizzare solo e soltanto il dittatore ed il suo esercito. L’esercito ha ucciso tante persone, i morti in Siria fatti dall’esercito sono saliti a questa cifra, l’esercito ha ucciso tanti bambini, l’esercito ha creato le fosse comuni, fino ad un mese e mezzo fa alle Nazioni Unite a Ginevra, nell’ambito della Conferenza sui Diritti Umani, ho dovuto ascoltare dal rappresentante di un Paese occidentale che (solo) l’esercito siriano continuava ad uccidere. Evidentemente, i terroristi armati da questo Paese e dai loro alleati non sono mai esistiti; oppure, se c’erano, combattevano l’esercito con le armi giocattolo, perciò non facevano vittime.
I media non potendo discostarsi dal palinsesto voluto dai potenti, non potevano dire che i terroristi si sono serviti di scudi umani, una cosa caratteristica di quei popoli, creando così una totale disinformazione in Occidente.
Quanti hanno realmente compreso che fin dal primo anno e mezzo di guerra la cosiddetta opposizione siriana non esisteva più, non aveva più da dire una sua parola. Chi comandava e chi dirigeva le operazioni erano soltanto le varie organizzazioni venute dall’estero, tutto andava verso una direzione che prima è sfociata nella creazione del Califfato del Levante e poi nella organizzazione attuale del Califfato con il proprio Califfo in El‐Baghdadi (ben conosciuro da chi l’aveva prigioniero e lo ha liberato) e l’esercito dei tagliagole di ISIS.
L’ISIS ha fatto e continua a fare il bello ed il cattivo tempo in Siria ed in Irak, creando migliaia e migliaia di sfollati, ha tagliato gole a centinaia di persone, cristiani, yazidi, sciiti, sunniti che non erano del loro stesso parere, ecc. ha venduto le donne come schiave o per altro scopo, soprattutto se vergini.
Noi, di tutto questo siamo stati edotti dai mass media, abbiamo gridato condannando con ottima retorica questi orrori, però non abbiamo fatto più di tanto, perché non toccavano i nostri interessi.
Quando i tagliagole di ISIS hanno osato avvicinarsi ai nostri interessi, hanno eseguito due‐tre nostri fratelli occidentali, allora immediatamente s’è gridato allo scandalo: questo è inammissibile, dobbiamo agire. Sì, dobbiamo agire! E le teste tagliate prima non ci hanno fatto riflettere?
La riflessione che è stata fatta da un personaggio che fino due anni addietro era la persona incontrastata della politica in Medio Oriente, e ha cavalcato il cavallo delle cosidette “primavere arabe” a suo piacimento nei differenti Paesi dove quel cavallo ha corso, questo personaggio, oggi, dinanzi un potere sfrenato e tanto potente di ISIS, ha dichiato: “Ora dobbiamo combattere ciò che abbiamo creato”.
Nel mondo arabo esiste un proverbio che suona così: “Chi è riuscito a far salire l’asino sul minareto, conosce anche la strada come farlo scendere”.
Sembra che la strada per far scendere l’asino dal minareto debba essere quella della coalizione che include pure gli Stati arabi come l’Arabia Saudita, il Qatar ed altri, oltre che armare circa 50.000 siriani della cosiddetta opposizione moderata al Presidente Bashar El‐Assad.
Io non sono e non intendo essere affatto un politico. Però il progetto accennato sopra per far scendere l’asino dal minareto zoppica fortemente. Zoppica perché i Paesi arabi della coalizione, intervenendo in Siria vanno a nozze, perché finalmente hanno una copertura per riprendersi la rivincita su colui che non ha concesso loro il passaggio del pipeline e del gasdotto. Hanno tentato di prendersi la rivincita armando e sostenendo ISIS, ma ora temendo che questo possa arrivare fino a loro è bene combatterlo a casa di chi ha fatto loro l’affronto del rifiuto, prima che arrivi a casa loro e faccia saltare per aria tutto il loro sistema.
La seconda riflessione è questa: armare circa 50.000 siriani dell’opposizione moderata e prepararli a combattere ISIS, signori, ci rendiamo conto che giochiamo ignorando pure il significato del termine moderato? Il moderato è tale proprio perché non ha mai preso le armi in mano. Ha fatto opposizione dialettica e con la propria intelligenza ha tentato di far capire a chi di dovere che le cose dovevano cambiare. Questi hanno avanzato delle richieste che, come abbiamo già detto, sono state concesse. Il braccio facinoroso ed armato è subito sceso in piazza con attentati, aiutato immediatamente dai salafiti arrivati dalla Giordania, non è certamente l’opposizione moderata che ha fatto salire l’asino sul minareto.
Chi ritiene di essere il padrone del mondo, impari prima ad essere il padrone di sè stesso!!!
I mass media, me lo lascino dire, non sempre hanno reso un buon servizio all’umanità a proposito di questa guerra siriana.
Hanno sempre insistito a colpevolizzare solo e soltanto il dittatore ed il suo esercito. L’esercito ha ucciso tante persone, i morti in Siria fatti dall’esercito sono saliti a questa cifra, l’esercito ha ucciso tanti bambini, l’esercito ha creato le fosse comuni, fino ad un mese e mezzo fa alle Nazioni Unite a Ginevra, nell’ambito della Conferenza sui Diritti Umani, ho dovuto ascoltare dal rappresentante di un Paese occidentale che (solo) l’esercito siriano continuava ad uccidere. Evidentemente, i terroristi armati da questo Paese e dai loro alleati non sono mai esistiti; oppure, se c’erano, combattevano l’esercito con le armi giocattolo, perciò non facevano vittime.
I media non potendo discostarsi dal palinsesto voluto dai potenti, non potevano dire che i terroristi si sono serviti di scudi umani, una cosa caratteristica di quei popoli, creando così una totale disinformazione in Occidente.
Quanti hanno realmente compreso che fin dal primo anno e mezzo di guerra la cosiddetta opposizione siriana non esisteva più, non aveva più da dire una sua parola. Chi comandava e chi dirigeva le operazioni erano soltanto le varie organizzazioni venute dall’estero, tutto andava verso una direzione che prima è sfociata nella creazione del Califfato del Levante e poi nella organizzazione attuale del Califfato con il proprio Califfo in El‐Baghdadi (ben conosciuro da chi l’aveva prigioniero e lo ha liberato) e l’esercito dei tagliagole di ISIS.
L’ISIS ha fatto e continua a fare il bello ed il cattivo tempo in Siria ed in Irak, creando migliaia e migliaia di sfollati, ha tagliato gole a centinaia di persone, cristiani, yazidi, sciiti, sunniti che non erano del loro stesso parere, ecc. ha venduto le donne come schiave o per altro scopo, soprattutto se vergini.
Noi, di tutto questo siamo stati edotti dai mass media, abbiamo gridato condannando con ottima retorica questi orrori, però non abbiamo fatto più di tanto, perché non toccavano i nostri interessi.
Quando i tagliagole di ISIS hanno osato avvicinarsi ai nostri interessi, hanno eseguito due‐tre nostri fratelli occidentali, allora immediatamente s’è gridato allo scandalo: questo è inammissibile, dobbiamo agire. Sì, dobbiamo agire! E le teste tagliate prima non ci hanno fatto riflettere?
La riflessione che è stata fatta da un personaggio che fino due anni addietro era la persona incontrastata della politica in Medio Oriente, e ha cavalcato il cavallo delle cosidette “primavere arabe” a suo piacimento nei differenti Paesi dove quel cavallo ha corso, questo personaggio, oggi, dinanzi un potere sfrenato e tanto potente di ISIS, ha dichiato: “Ora dobbiamo combattere ciò che abbiamo creato”.
Nel mondo arabo esiste un proverbio che suona così: “Chi è riuscito a far salire l’asino sul minareto, conosce anche la strada come farlo scendere”.
Sembra che la strada per far scendere l’asino dal minareto debba essere quella della coalizione che include pure gli Stati arabi come l’Arabia Saudita, il Qatar ed altri, oltre che armare circa 50.000 siriani della cosiddetta opposizione moderata al Presidente Bashar El‐Assad.
Io non sono e non intendo essere affatto un politico. Però il progetto accennato sopra per far scendere l’asino dal minareto zoppica fortemente. Zoppica perché i Paesi arabi della coalizione, intervenendo in Siria vanno a nozze, perché finalmente hanno una copertura per riprendersi la rivincita su colui che non ha concesso loro il passaggio del pipeline e del gasdotto. Hanno tentato di prendersi la rivincita armando e sostenendo ISIS, ma ora temendo che questo possa arrivare fino a loro è bene combatterlo a casa di chi ha fatto loro l’affronto del rifiuto, prima che arrivi a casa loro e faccia saltare per aria tutto il loro sistema.
La seconda riflessione è questa: armare circa 50.000 siriani dell’opposizione moderata e prepararli a combattere ISIS, signori, ci rendiamo conto che giochiamo ignorando pure il significato del termine moderato? Il moderato è tale proprio perché non ha mai preso le armi in mano. Ha fatto opposizione dialettica e con la propria intelligenza ha tentato di far capire a chi di dovere che le cose dovevano cambiare. Questi hanno avanzato delle richieste che, come abbiamo già detto, sono state concesse. Il braccio facinoroso ed armato è subito sceso in piazza con attentati, aiutato immediatamente dai salafiti arrivati dalla Giordania, non è certamente l’opposizione moderata che ha fatto salire l’asino sul minareto.
Chi ritiene di essere il padrone del mondo, impari prima ad essere il padrone di sè stesso!!!
(Fonte)
MESSAGGIO DEL VESCOVO DI GERUSALEMME IN ESILIO MONSIGNOR ILARION CAPUCCI TRASMESSO DALLA TV PALESTINESE
Alla nostra gente,
Ai nostri amori,
Ai nostri figli a Gaza l’Araba Cristiana e Musulmana.
Ai figli di Khadigia Om El Moumenin (madre dei fedeli),
Ai figli di Maria madre della Luce,
Al Popolo della Lotta e della Resistenza,
A voi cui il nemico dell’umanità ha depredato l’esistenza, la pace e la sicurezza,
Il nostro saluto, il saluto del Signore dell’Amore Cristo, ed il saluto del Signor della Pace Mohammad a Voi.
In questi momenti critici che state attraversando dove il nemico di Mosè, di Cristo e di Mohammad sta infierendo con la sua barbarie e la sua macchina distruttrice contro i nostri bambini, le nostre donne ed i nostri anziani.
Oggi il sangue è diventato il mattino e la sera di Gaza, questo sangue puro sta scorrendo a fiumi in Palestina, accompagnato dal silenzio arabo e mondiale, che sta coprendo i crimini dell’occupazione sionista, ed il tradimento degli stati arabi fondati sulle monarchie del petrodollaro è chiaro come il sole a mezzogiorno.
Noi sappiamo che in mezzo a questa sottomissione degli arabi, siete voi gli eroi del nostro tempo e state scrivendo ogni giorno le pagine dell’epico poema dell’eroismo e della resistenza di fronte ad un nemico vile e vigliacco, capace di affrontarvi solo con la sua macchina da guerra dal cielo e dal mare.
In verità, questo nemico è talmente vigliacco da affrontarVi faccia a faccia “Vi combatteranno uniti solo dalle loro fortezze o dietro le mura. Grande è l'acrimonia che regna tra loro. Li ritieni uniti, invece i loro cuori sono discordi: è gente che non ragiona" Versetto Coranico.
Noi lo diciamo in tutte le lingue del mondo che siamo di fronte ad una brutale carneficina, pertanto la condanniamo con tutte le nostre forze, e annunciamo la nostra solidarietà al nostro Popolo, quello Palestinese.
Siamo solidali e complici con il nostro Popolo, con i frammenti di carne dei nostri bimbi uccisi, con il lamento ed il pianto delle madri e la debolezza dei nostri anziani.
Come uomo di fede chiedo a Dio la Pace per Gaza, quella città ferita e distrutta.
Chiedo a Dio la Pazienza per Gaza, la pazienza per i lutti, per i momenti che stiamo attraversando.
Chiedo a Dio la Vittoria di Gaza contro un occupante assassino.
Misericordia per i Martiri, le mie sentite condoglianze ai loro familiari e la pronta guarigione per i feriti, Inchallah.
Voi Resistete, Voi sarete i Vittoriosi e in verità risorgerete.
Monsignor Ilarion Capucci,Vescovo di Gerusalemme in esilio.
Alla nostra gente,
Ai nostri amori,
Ai nostri figli a Gaza l’Araba Cristiana e Musulmana.
Ai figli di Khadigia Om El Moumenin (madre dei fedeli),
Ai figli di Maria madre della Luce,
Al Popolo della Lotta e della Resistenza,
A voi cui il nemico dell’umanità ha depredato l’esistenza, la pace e la sicurezza,
Il nostro saluto, il saluto del Signore dell’Amore Cristo, ed il saluto del Signor della Pace Mohammad a Voi.
In questi momenti critici che state attraversando dove il nemico di Mosè, di Cristo e di Mohammad sta infierendo con la sua barbarie e la sua macchina distruttrice contro i nostri bambini, le nostre donne ed i nostri anziani.
Oggi il sangue è diventato il mattino e la sera di Gaza, questo sangue puro sta scorrendo a fiumi in Palestina, accompagnato dal silenzio arabo e mondiale, che sta coprendo i crimini dell’occupazione sionista, ed il tradimento degli stati arabi fondati sulle monarchie del petrodollaro è chiaro come il sole a mezzogiorno.
Noi sappiamo che in mezzo a questa sottomissione degli arabi, siete voi gli eroi del nostro tempo e state scrivendo ogni giorno le pagine dell’epico poema dell’eroismo e della resistenza di fronte ad un nemico vile e vigliacco, capace di affrontarvi solo con la sua macchina da guerra dal cielo e dal mare.
In verità, questo nemico è talmente vigliacco da affrontarVi faccia a faccia “Vi combatteranno uniti solo dalle loro fortezze o dietro le mura. Grande è l'acrimonia che regna tra loro. Li ritieni uniti, invece i loro cuori sono discordi: è gente che non ragiona" Versetto Coranico.
Noi lo diciamo in tutte le lingue del mondo che siamo di fronte ad una brutale carneficina, pertanto la condanniamo con tutte le nostre forze, e annunciamo la nostra solidarietà al nostro Popolo, quello Palestinese.
Siamo solidali e complici con il nostro Popolo, con i frammenti di carne dei nostri bimbi uccisi, con il lamento ed il pianto delle madri e la debolezza dei nostri anziani.
Come uomo di fede chiedo a Dio la Pace per Gaza, quella città ferita e distrutta.
Chiedo a Dio la Pazienza per Gaza, la pazienza per i lutti, per i momenti che stiamo attraversando.
Chiedo a Dio la Vittoria di Gaza contro un occupante assassino.
Misericordia per i Martiri, le mie sentite condoglianze ai loro familiari e la pronta guarigione per i feriti, Inchallah.
Voi Resistete, Voi sarete i Vittoriosi e in verità risorgerete.
Ai nostri amori,
Ai nostri figli a Gaza l’Araba Cristiana e Musulmana.
Ai figli di Khadigia Om El Moumenin (madre dei fedeli),
Ai figli di Maria madre della Luce,
Al Popolo della Lotta e della Resistenza,
A voi cui il nemico dell’umanità ha depredato l’esistenza, la pace e la sicurezza,
Il nostro saluto, il saluto del Signore dell’Amore Cristo, ed il saluto del Signor della Pace Mohammad a Voi.
In questi momenti critici che state attraversando dove il nemico di Mosè, di Cristo e di Mohammad sta infierendo con la sua barbarie e la sua macchina distruttrice contro i nostri bambini, le nostre donne ed i nostri anziani.
Oggi il sangue è diventato il mattino e la sera di Gaza, questo sangue puro sta scorrendo a fiumi in Palestina, accompagnato dal silenzio arabo e mondiale, che sta coprendo i crimini dell’occupazione sionista, ed il tradimento degli stati arabi fondati sulle monarchie del petrodollaro è chiaro come il sole a mezzogiorno.
Noi sappiamo che in mezzo a questa sottomissione degli arabi, siete voi gli eroi del nostro tempo e state scrivendo ogni giorno le pagine dell’epico poema dell’eroismo e della resistenza di fronte ad un nemico vile e vigliacco, capace di affrontarvi solo con la sua macchina da guerra dal cielo e dal mare.
In verità, questo nemico è talmente vigliacco da affrontarVi faccia a faccia “Vi combatteranno uniti solo dalle loro fortezze o dietro le mura. Grande è l'acrimonia che regna tra loro. Li ritieni uniti, invece i loro cuori sono discordi: è gente che non ragiona" Versetto Coranico.
Noi lo diciamo in tutte le lingue del mondo che siamo di fronte ad una brutale carneficina, pertanto la condanniamo con tutte le nostre forze, e annunciamo la nostra solidarietà al nostro Popolo, quello Palestinese.
Siamo solidali e complici con il nostro Popolo, con i frammenti di carne dei nostri bimbi uccisi, con il lamento ed il pianto delle madri e la debolezza dei nostri anziani.
Come uomo di fede chiedo a Dio la Pace per Gaza, quella città ferita e distrutta.
Chiedo a Dio la Pazienza per Gaza, la pazienza per i lutti, per i momenti che stiamo attraversando.
Chiedo a Dio la Vittoria di Gaza contro un occupante assassino.
Misericordia per i Martiri, le mie sentite condoglianze ai loro familiari e la pronta guarigione per i feriti, Inchallah.
Voi Resistete, Voi sarete i Vittoriosi e in verità risorgerete.
Monsignor Ilarion Capucci,Vescovo di Gerusalemme in esilio.
Lezioni del conflitto a Gaza
sabato 30 agosto 2014
I PARLAMENTARI ITALIANI SONO ANALFABETI IN POLITICA ESTERA
Italia: parlamentari non sanno nulla di politica estera. Buio completo su Isis, Peshmerga, Iraq, Islam,...
di Davood Abbasi.
L'Italia e' la patria di comici di fama internazionale ma stando ai media italiani, sanno fare molto meglio i parlamentari del belpaese che intervistati su importanti temi di attualita' in politica estera, hanno messo in mostra un'ignoranza inverosimile.
Inverosimile e allarmante perchè come fa notare il sito blitz quotidiano, questi stessi parlamentari hanno votato il sostegno e l'invio di armi ai resistenti del Kurdistan, i peshmerga, per contrastare l'avanzata dell'Isil, i terroristi guidati dall'iraqeno Al Baghdadi.
L'idea di verificare la preparazione dei parlamentari e' venuta al Fatto Quotidiano che riporta i risultati delle "domande": una serie di nefandezze storiche e di strafalcioni e addirittura dell'invenzione di nomi di etnie inesistenti.
Ma andiamo per ordine.
Si parte con Sergio Divina della Lega Nord che come minimo dimostra di non avere la pallida idea sui peshmerga curdi. Senatore, chi sono i peshmerga che stiamo armando? "È difficile capire, chi sta di qua, chi di là". Certo, ma chi sono i peshmerga? "Il pericolo è enorme. Ai jihadisti basta andare sulle coste libiche, saltare sul barcone e iniziare le azioni di disturbo". Ok, ma chi sono i peshmerga? "Voi giornalisti avete l'obbligo di scavare oltre la superficie. Io mi fermo qui".
Nella lista non può mancare Daniela Santanchè, di Forza Italia, che ha persino scritto dei libri e sostiene di conoscere il mondo islamico, ma anche lei si sottrae alla domanda sul chi siano i peshmerga e cosa sia l'Isis. Dice addirittura dei poveri peshmerga curdi che "loro vogliono uccidere" e poi parla di "Mare Nostrum".
Ecco poi Giuseppe Fioroni del Pd. Perché avete votato per armare i peshmerga? "La posizione è quella assunta con la risoluzione del governo". Ma chi sono questi peshmerga? "Passiamo tramite il governo iracheno che si farà carico di individuare gli interlocutori, al quale i curdi hanno dato la disponibilità". Sarà. Ma i peshmerga? "Sono quelli sottoposti agli attacchi, al genocidio: il governo curdo".
Svetta tra le fandonie dette dai parlamentari l'intervento di Michaela Biancofiore di Forza Italia. Qual è la minoranza cattolica più a rischio in Iraq? "I copti sono originari di quell'area, quindi sono i più a rischio" (i copti in realtà sono i cristiani egiziani. In Iraq ci sono i cattolici caldei, ndr). Cos'è l'Isis? È difficilmente identificabile. Oriana Fallaci l'aveva teorizzato anni fa: l'Eurabia. Noi siamo uno stato cuscinetto tra l'Europa del nord in cui non arrivano i clandestini e il Califfato".
Di sicuro fara' ridere i polli Carlo Sibilia di M5s che si inventa addirittura una minoranza in Iraq, "i cagai". Cos'è l'Isis? "L'Isis non è una cosa semplice da spiegare. Nel 2007 cresce questa forza, l'Isis, che faceva gli spot su Al Jazeera. Gli Usa lo hanno finanziato e anche l'Italia, attraverso l'associazione Amici della Siria". Chi è il nuovo premier iracheno? "Su questo non ci siamo soffermati: ci sono stati troppi avvicendamenti in questi anni". (al-Maliki è stato premier ininterrottamente dal maggio 2006 all'11 agosto scorso, ndr). Quali sono le minoranze a richio? "Molte: gli yazidi, i cagai e altri". Chi sarebbero i cagai? "Soffermarsi sulle singole minoranze è riduttivo, lo faccia la destra o Scelta Civica.
Grandissimo errore da Nicola Stumpo del Pd che sostiene che quelli dell'Isis sono sciiti. "L'Isis? Meglio non definire niente con termini nuovi. È una nuova evoluzione dei fondamentalisti islamici". Ma sono sciiti o sunniti? "Al di là del fatto se siano sciiti o sunniti, il problema non è aiutare gli sciiti a far fronte ai sunniti o viceversa. Credo sciiti, ma non sono sicuro". Chi è il premier iracheno? "Non lo ricordo. Prima c'era al-Maliki. A prescindere dal nome, speriamo sia la persona giusta.
Maurizio Gasparri di (Fd'I) e' sulla stessa lunghezza d'onda."C'è una situazione poco chiara. Capisco cos'è insito nella domanda: si rischiano di armare gli stessi soggetti che poi usano le munizioni contro l'Occidente". Chi è il premier iracheno? "Non conosco i vari personaggi della guerra. Dopo la caduta di Saddam non ci sono state leadership stabili" (al-Maliki è durato 8 anni, ndr).
Fabio Rampelli (FdI) cerca di cavarsela con degli scherzi. "Che io sappia c'è un accordo col governo iracheno, che deciderà a chi dare le armi". Le darà ai peshmerga. "Non saprei". Cos'è l'Isis? "Ma chi siete Le Iene? È una specie di neocaliffato, autoproclamato da una settantina di giorni". L'Isil è la stessa cosa? "È simpatico, il Fatto Quotidiano, non è un interlocutore abituale". Chi è il premier iracheno? "Al Maliki è quello appena... vediamo... no, è che c'hanno i nomi abbastanza simili. Dunque..." (passano un po' di secondi, ndr) Rampelli, non è che controlla sullo smartphone? "No, no, sto parlando con lei. Aspetti. (ancora secondi) No, non me lo ricordo".
Va segnalato il nome di chi ha risposto correttamente (Edmondo Cirielli (FdItalia), Luis Orellana (ex M5s), Emanuele Fiano Marina Sereni (Pd) e chi, onestamente ha ammesso di "non capirci un cazzo" (Roberto Giachetti, Pd e Antonio Razzi).
LA NUOVA MODALITA' DI INVASIONE IMPERIALE: IL TERRORISMO ISLAMICO
di Davood Abbasi.
L'Italia e' la patria di comici di fama internazionale ma stando ai media italiani, sanno fare molto meglio i parlamentari del belpaese che intervistati su importanti temi di attualita' in politica estera, hanno messo in mostra un'ignoranza inverosimile.
Inverosimile e allarmante perchè come fa notare il sito blitz quotidiano, questi stessi parlamentari hanno votato il sostegno e l'invio di armi ai resistenti del Kurdistan, i peshmerga, per contrastare l'avanzata dell'Isil, i terroristi guidati dall'iraqeno Al Baghdadi.
L'idea di verificare la preparazione dei parlamentari e' venuta al Fatto Quotidiano che riporta i risultati delle "domande": una serie di nefandezze storiche e di strafalcioni e addirittura dell'invenzione di nomi di etnie inesistenti.
Ma andiamo per ordine.
Si parte con Sergio Divina della Lega Nord che come minimo dimostra di non avere la pallida idea sui peshmerga curdi. Senatore, chi sono i peshmerga che stiamo armando? "È difficile capire, chi sta di qua, chi di là". Certo, ma chi sono i peshmerga? "Il pericolo è enorme. Ai jihadisti basta andare sulle coste libiche, saltare sul barcone e iniziare le azioni di disturbo". Ok, ma chi sono i peshmerga? "Voi giornalisti avete l'obbligo di scavare oltre la superficie. Io mi fermo qui".
Nella lista non può mancare Daniela Santanchè, di Forza Italia, che ha persino scritto dei libri e sostiene di conoscere il mondo islamico, ma anche lei si sottrae alla domanda sul chi siano i peshmerga e cosa sia l'Isis. Dice addirittura dei poveri peshmerga curdi che "loro vogliono uccidere" e poi parla di "Mare Nostrum".
Ecco poi Giuseppe Fioroni del Pd. Perché avete votato per armare i peshmerga? "La posizione è quella assunta con la risoluzione del governo". Ma chi sono questi peshmerga? "Passiamo tramite il governo iracheno che si farà carico di individuare gli interlocutori, al quale i curdi hanno dato la disponibilità". Sarà. Ma i peshmerga? "Sono quelli sottoposti agli attacchi, al genocidio: il governo curdo".
Svetta tra le fandonie dette dai parlamentari l'intervento di Michaela Biancofiore di Forza Italia. Qual è la minoranza cattolica più a rischio in Iraq? "I copti sono originari di quell'area, quindi sono i più a rischio" (i copti in realtà sono i cristiani egiziani. In Iraq ci sono i cattolici caldei, ndr). Cos'è l'Isis? È difficilmente identificabile. Oriana Fallaci l'aveva teorizzato anni fa: l'Eurabia. Noi siamo uno stato cuscinetto tra l'Europa del nord in cui non arrivano i clandestini e il Califfato".
Di sicuro fara' ridere i polli Carlo Sibilia di M5s che si inventa addirittura una minoranza in Iraq, "i cagai". Cos'è l'Isis? "L'Isis non è una cosa semplice da spiegare. Nel 2007 cresce questa forza, l'Isis, che faceva gli spot su Al Jazeera. Gli Usa lo hanno finanziato e anche l'Italia, attraverso l'associazione Amici della Siria". Chi è il nuovo premier iracheno? "Su questo non ci siamo soffermati: ci sono stati troppi avvicendamenti in questi anni". (al-Maliki è stato premier ininterrottamente dal maggio 2006 all'11 agosto scorso, ndr). Quali sono le minoranze a richio? "Molte: gli yazidi, i cagai e altri". Chi sarebbero i cagai? "Soffermarsi sulle singole minoranze è riduttivo, lo faccia la destra o Scelta Civica.
Grandissimo errore da Nicola Stumpo del Pd che sostiene che quelli dell'Isis sono sciiti. "L'Isis? Meglio non definire niente con termini nuovi. È una nuova evoluzione dei fondamentalisti islamici". Ma sono sciiti o sunniti? "Al di là del fatto se siano sciiti o sunniti, il problema non è aiutare gli sciiti a far fronte ai sunniti o viceversa. Credo sciiti, ma non sono sicuro". Chi è il premier iracheno? "Non lo ricordo. Prima c'era al-Maliki. A prescindere dal nome, speriamo sia la persona giusta.
Maurizio Gasparri di (Fd'I) e' sulla stessa lunghezza d'onda."C'è una situazione poco chiara. Capisco cos'è insito nella domanda: si rischiano di armare gli stessi soggetti che poi usano le munizioni contro l'Occidente". Chi è il premier iracheno? "Non conosco i vari personaggi della guerra. Dopo la caduta di Saddam non ci sono state leadership stabili" (al-Maliki è durato 8 anni, ndr).
Fabio Rampelli (FdI) cerca di cavarsela con degli scherzi. "Che io sappia c'è un accordo col governo iracheno, che deciderà a chi dare le armi". Le darà ai peshmerga. "Non saprei". Cos'è l'Isis? "Ma chi siete Le Iene? È una specie di neocaliffato, autoproclamato da una settantina di giorni". L'Isil è la stessa cosa? "È simpatico, il Fatto Quotidiano, non è un interlocutore abituale". Chi è il premier iracheno? "Al Maliki è quello appena... vediamo... no, è che c'hanno i nomi abbastanza simili. Dunque..." (passano un po' di secondi, ndr) Rampelli, non è che controlla sullo smartphone? "No, no, sto parlando con lei. Aspetti. (ancora secondi) No, non me lo ricordo".
Va segnalato il nome di chi ha risposto correttamente (Edmondo Cirielli (FdItalia), Luis Orellana (ex M5s), Emanuele Fiano Marina Sereni (Pd) e chi, onestamente ha ammesso di "non capirci un cazzo" (Roberto Giachetti, Pd e Antonio Razzi).
LA NUOVA MODALITA' DI INVASIONE IMPERIALE: IL TERRORISMO ISLAMICO
domenica 22 giugno 2014
PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI LIVIA ROKACH "VIVERE CON LA SPADA" (IMMAGINI)
Domenica 29 settembre a Biella - Incontro pubblico con Domenico Quirico, il giornalista sequestrato per 5 mesi dai terroristi islamici in Siria e poi liberato. Ha fatto alcune importanti ammissioni sulla natura criminale dei cosiddetti "ribelli" e sulla condotta di Obama che vorrebbe bombardare l'esercito siriano per favorire la vittoria di bande mercenarie, nemiche dell'Occidente, che lottano per ricreare il Califfato del VII secolo che si estendeva dal Medio Oriente fino all'Andalusia. Purtroppo ha fatto affermazioni gravi dicendo che non esiste un Islam moderato. In realtà questa affermazione nega XIII secoli di convivenza in Siria tra cristiani, ebrei e musulmani; nega, inoltre, il dialogo interreligioso sparso ovunque e che ha i cristiani come protagonisti attivi. Nega, ancora, il ruolo dei musulmani siriani che, diretti dal Gran Muftì Sheikh Ahmad Badr Eddin Hassoun, lavorano per la riconciliazione e per il rifiuto della violenza. Ho dovuto rammentare a Quirico che in Siria vi sono circa 18 partiti politici, che l'opposizione non violenta partecipa al governo e che l'art. 8 della Costituzione siriana è stato modificato con un referendum popolare riconoscendo il pluralismo politico e la fine dell'egemonia del partito unico Baath.
Domenica 29 settembre a Biella - Incontro pubblico con Domenico Quirico, il giornalista sequestrato per 5 mesi dai terroristi islamici in Siria e poi liberato. Ha fatto alcune importanti ammissioni sulla natura criminale dei cosiddetti "ribelli" e sulla condotta di Obama che vorrebbe bombardare l'esercito siriano per favorire la vittoria di bande mercenarie, nemiche dell'Occidente, che lottano per ricreare il Califfato del VII secolo che si estendeva dal Medio Oriente fino all'Andalusia. Purtroppo ha fatto affermazioni gravi dicendo che non esiste un Islam moderato. In realtà questa affermazione nega XIII secoli di convivenza in Siria tra cristiani, ebrei e musulmani; nega, inoltre, il dialogo interreligioso sparso ovunque e che ha i cristiani come protagonisti attivi. Nega, ancora, il ruolo dei musulmani siriani che, diretti dal Gran Muftì Sheikh Ahmad Badr Eddin Hassoun, lavorano per la riconciliazione e per il rifiuto della violenza. Ho dovuto rammentare a Quirico che in Siria vi sono circa 18 partiti politici, che l'opposizione non violenta partecipa al governo e che l'art. 8 della Costituzione siriana è stato modificato con un referendum popolare riconoscendo il pluralismo politico e la fine dell'egemonia del partito unico Baath.
Colpo di scena: l’opposizione siriana passa ad al-Qaida
OTTOBRE 3, 2013 LASCIA UN COMMENTO
Dmitrij Minin, Strategic Culture Foundation 30.09.2013
Il 25 settembre è la data del colpo di scena in Siria. Le conseguenze possono influenzare l’ulteriore evolversi della situazione. I piani per inscenare una provocazione e coinvolgere l’occidente nel conflitto sono falliti, così l’opposizione ha gettato via il velo democratico e mostrato il suo vero volto. I tredici gruppi più efficienti hanno reciso i legami con la Coalizione nazionale siriana e l’Esercito libero siriano per formare una loro alleanza islamica.Jabhat-al-Nusra, un gruppo affiliato ad al-Qaida, è l’elemento centrale della nuova coalizione. Liwa al-Tawhid, Liwa al-Islam e Suqur al-Sham e un certo numero di gruppi più piccoli, si sono uniti alla nuova alleanza. Tutti ricevono assistenza militare dagli Stati Uniti. In una dichiarazione video di due minuti, chiamata ‘Comunicato n° 1′, hanno dichiarato che la Coalizione nazionale “non ci rappresenta, né vi ci riconosciamo”. Il gruppo ha chiesto “a tutti i gruppi militari e civili di unirsi nel chiaro contesto islamico basato sulla Sharia, l’unica fonte della legge”. Ha inoltre detto che i ribelli non avrebbero riconosciuto un qualsiasi futuro governo formato fuori dalla Siria, insistendo sul fatto che le forze che combattono nel Paese dovrebbero essere rappresentate da “coloro che hanno sofferto e preso parte ai sacrifici”. Secondo il Washington Post, l’alleanza islamista rappresenta il 75% di tutti i combattenti dell’opposizione (neppure il 15%, come ha detto John Kerry, né il 50% secondo il Jane’s intelligence), mentre “le speranze statunitensi di avere influenza sul litigioso movimento ribelle della Siria, sbiadiscono”.
Pochi giorni prima della formazione della nuova alleanza, attivisti e fonti militari avevano detto ad al-Jazeera che l’11° divisione, una delle più grandi brigate dell’esercito libero siriano, era passata al Fronte al-Nusra, nella provincia di Raqqah, confinante con la Turchia. Si svolse una parata militare per l’occasione, e le chiese cristiane ortodosse e armene furono profanate, icone e oggetti elativi bruciati mentre la bandiera di al-Qaida veniva issata. La notizia si era sparsa per la città. Gli abitanti cristiani, anche se pochi, così come i musulmani, sono scesi in piazza per protestare contro il sacrilegio, solo per essere picchiati e costretti a fuggire dai militanti. In realtà tutte le unità dell’ELS situate in prossimità delle due più grandi città, Damasco e Aleppo, hanno aderito agli islamisti. Nessun pezzo grosso anti-Assad è rimasto fuori dalla nuova alleanza, tranne lo Stato Islamico dell’Iraq e il Levante, o ISIS, rivale di al-Nusra nella lotta per diventare la forza dominante dei “guerrieri della jihad”. Secondo i rapporti, il 26 settembre ISIS ha fissato un termine di due giorni all’Esercito siriano libero per arrendersi, mentre esplodono le lotte intestine tra i militanti in Siria. E’ stato anche diffuso un manifesto che accusa l’Esercito libero siriano di essere sotto il comando dei mercenari della Blackwater, con esperienza acquista nel servizio militare attivo nelle forze armate israeliane. In questo modo l’Esercito libero siriano diventa irrilevante, un nulla in cui capi militari ben pagati, a spese dei contribuenti occidentali, non hanno alcun supporto sul posto. Alla notizia, il generale Salim Idris, che comanda l’ala militare della coalizione nota come Esercito libero siriano, ha sospeso la visita in Francia ed è tornato in Siria (in Siria? o in Turchia? NdT). Idris è a capo delle strutture cui passa l’aiuto occidentale, così la nuova alleanza ha sottolineato che non abbandona il Consiglio di Idris, ma solo la coalizione dell’opposizione politica in esilio. Ciò significa in realtà che a Idris è offerta la carica di consigliere militare dei gruppi islamisti. Ahmad Jarba, il capo dell’organizzazione chiave dell’opposizione, la Coalizione Nazionale siriana, ha denunciato gli estremisti che cercherebbero di “usurpare la nostra rivoluzione”, e ha accusato il regime di supportarli. Ha fatto tale osservazione con visibile angoscia, in un discorso a New York ai rappresentanti degli Amici della Siria, i sostenitori internazionali dei ribelli che cercano di rovesciare il Presidente Bashar al-Assad. “Il popolo siriano sostiene la pace e la moderazione, la tolleranza e la convivenza”, ha detto Jarba. “Il fenomeno dell’estremismo è apparso con il supporto e la pianificazione del regime, che ha scommesso sulla trasformazione di una rivoluzione per la libertà in una guerra civile settaria”, ha aggiunto. Suona strano! Non avendo mai lasciato le capitali occidentali, sembra vedersi come colui che pone la peggiore minaccia per Bashar Assad, di coloro che lo combattono sul campo di battaglia. Sembra quasi così!
Ci sono due facce della medaglia, allo stesso modo la trasformazione impetuosa può avere una doppia natura per Damasco. Può facilitare il dialogo con la parte responsabile della comunità internazionale, in grado di avere giudizio. Non c’è altro modo di conservare una qualsiasi influenza dell’opposizione laica, se non raggiungere un compromesso ragionevole con Bashar Assad nel quadro del processo di pace di Ginevra. Ma può aggravare la situazione provocando combattimenti ancora più feroci nel Paese. Si dovrebbe dare ad al-Qaida il dovuto, ma è difficile combatterla in Siria. Ad esempio, utilizza gli autisti come kamikaze e non solo a scopo d’intimidazione. È una procedura standard frequentemente usata per compiere le missioni in combattimento. Normalmente queste tattiche sono utilizzate per avere munizioni dall’obiettivo desiderato. Di regola, si tratta di un punto di controllo all’ingresso di una zona popolata o qualche altro obiettivo. Dopo l’esplosione i militanti si precipitano e iniziano un massacro. Ecco come la città cristiana di Malula è stata sequestrata. Secondo l’IHS Jane’s intelligence, la formazione di questa alleanza mina in modo significativo la Coalizione nazionale siriana (CNS) filo-occidentale e riduce la speranza di una fine negoziata del conflitto, data la capacità e l’intenzione dei jihadisti di combattere per uno Stato islamico. In realtà Damasco non ha nessuno con cui parlare a Ginevra. Si tratta della questione di “o la va o la spacca” per il governo di Assad, la cui caduta implicherebbe la distruzione di tutti i pilastri culturali dello Stato siriano. Date le circostanze, Washington ha iniziato a consegnare armi ai ribelli in Siria, dopo mesi di ritardo negli aiuti letali promessi dall’amministrazione Obama, secondo funzionari statunitensi e agenti siriani. Le spedizioni hanno cominciato ad arrivare nel Paese nel corso delle ultime due settimane, insieme con invii separati del dipartimento di Stato di veicoli e altre attrezzature, un flusso di materiale che segna la grande escalation del ruolo degli Stati Uniti nella guerra civile in Siria. I presunti alleati degli Stati Uniti sono apertamente passati alla jihad, per cui non è chiaro chi dovrebbe rappresentare l’opposizione alla conferenza di Ginevra-2. Questo è il guaio. La coalizione islamica ha già annunciato che non ha alcun interesse a parteciparvi.
Sorprendentemente appena un giorno prima che la formazione della potente alleanza di al-Qaida fosse annunciata, il presidente Obama aveva affrontato la sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite affermando che “al-Qaida si è frammentata in reti e milizie regionali, che non hanno effettuato un attacco come quello dell’11 settembre, ma ponendo una seria minaccia a governi, diplomatici, imprese e civili in tutto il mondo”. Si tratta di un esempio d’incompetenza o di egregie “sottigliezze” che Washington appare così confusa? La diplomazia statunitense è un puzzle. Sulle notizie circa i mutamenti dell’opposizione in Siria, nessuno del governo degli Stati Uniti ha fatto alcun annuncio sulla fine delle forniture militari in Siria. La doppiezza ufficiale di Washington è scioccante perché gli Stati Uniti indicano Jabhat al-Nusra come organizzazione terroristica. In senso stretto, i partecipanti delle “operazioni” di cui sopra, sono oggetto di inchieste penali secondo le leggi degli Stati Uniti, per aver fornito assistenza a qualcuno ufficialmente dichiarato nemico. Diversamente dalla sempre memorabile operazione “Iran-Contras” dei giorni di Ronald Reagan, questa volta nessuno si preoccupa neanche di coprire alcunché almeno con una foglia di fico. E’ uno Stato che si distingue per lo stato di diritto? Forse Richard Spencer del Daily Telegraph ha trovato un indizio nel comprendere questo strano atteggiamento. Dice che al popolo del Regno Unito è stato detto che i veterani jihadisti arriveranno dalla Siria (Somalia) per colpirlo. Ma il Regno Unito non è il bersaglio di una volta. Le sue forze armate sono tornate dall’Iraq, e l’operazione in Afghanistan sta per finire. È stato detto che i jihadisti avrebbero costantemente dovuto contribuire a creare scompiglio nelle zone musulmane del Caucaso russo: Cecenia, Inguscezia e Daghestan.
Da ora in poi, chiunque parli a Washington dei valori democratici da proteggere in Siria, la prosecuzione del sostegno alle forze dell’opposizione siriana significherà solo una cosa, un’alleanza minacciosa con al-Qaida, che esercita il controllo su oltre il 90 per cento dei militanti in Siria. Mai nella storia questo gruppo ha avuto un enorme esercito attivo. Decine di migliaia di combattenti costituiscono le sue fila. Come intende usare questo potere? È Richard Spencer ha ragione nel dire che l’odio irrazionale della Russia spinge certi ambienti di Washington ad incitare le bande di al-Qaida ad attaccare la Russia? Non è che si voglia crederci, ma i fatti sono qualcosa su cui difficilmente si può chiudere un occhio…
La ripubblicazione è gradita in riferimento alla rivista on-line della Strategic Culture Foundation.
OTTOBRE 3, 2013 LASCIA UN COMMENTO
Dmitrij Minin, Strategic Culture Foundation 30.09.2013
Il 25 settembre è la data del colpo di scena in Siria. Le conseguenze possono influenzare l’ulteriore evolversi della situazione. I piani per inscenare una provocazione e coinvolgere l’occidente nel conflitto sono falliti, così l’opposizione ha gettato via il velo democratico e mostrato il suo vero volto. I tredici gruppi più efficienti hanno reciso i legami con la Coalizione nazionale siriana e l’Esercito libero siriano per formare una loro alleanza islamica.Jabhat-al-Nusra, un gruppo affiliato ad al-Qaida, è l’elemento centrale della nuova coalizione. Liwa al-Tawhid, Liwa al-Islam e Suqur al-Sham e un certo numero di gruppi più piccoli, si sono uniti alla nuova alleanza. Tutti ricevono assistenza militare dagli Stati Uniti. In una dichiarazione video di due minuti, chiamata ‘Comunicato n° 1′, hanno dichiarato che la Coalizione nazionale “non ci rappresenta, né vi ci riconosciamo”. Il gruppo ha chiesto “a tutti i gruppi militari e civili di unirsi nel chiaro contesto islamico basato sulla Sharia, l’unica fonte della legge”. Ha inoltre detto che i ribelli non avrebbero riconosciuto un qualsiasi futuro governo formato fuori dalla Siria, insistendo sul fatto che le forze che combattono nel Paese dovrebbero essere rappresentate da “coloro che hanno sofferto e preso parte ai sacrifici”. Secondo il Washington Post, l’alleanza islamista rappresenta il 75% di tutti i combattenti dell’opposizione (neppure il 15%, come ha detto John Kerry, né il 50% secondo il Jane’s intelligence), mentre “le speranze statunitensi di avere influenza sul litigioso movimento ribelle della Siria, sbiadiscono”.
Pochi giorni prima della formazione della nuova alleanza, attivisti e fonti militari avevano detto ad al-Jazeera che l’11° divisione, una delle più grandi brigate dell’esercito libero siriano, era passata al Fronte al-Nusra, nella provincia di Raqqah, confinante con la Turchia. Si svolse una parata militare per l’occasione, e le chiese cristiane ortodosse e armene furono profanate, icone e oggetti elativi bruciati mentre la bandiera di al-Qaida veniva issata. La notizia si era sparsa per la città. Gli abitanti cristiani, anche se pochi, così come i musulmani, sono scesi in piazza per protestare contro il sacrilegio, solo per essere picchiati e costretti a fuggire dai militanti. In realtà tutte le unità dell’ELS situate in prossimità delle due più grandi città, Damasco e Aleppo, hanno aderito agli islamisti. Nessun pezzo grosso anti-Assad è rimasto fuori dalla nuova alleanza, tranne lo Stato Islamico dell’Iraq e il Levante, o ISIS, rivale di al-Nusra nella lotta per diventare la forza dominante dei “guerrieri della jihad”. Secondo i rapporti, il 26 settembre ISIS ha fissato un termine di due giorni all’Esercito siriano libero per arrendersi, mentre esplodono le lotte intestine tra i militanti in Siria. E’ stato anche diffuso un manifesto che accusa l’Esercito libero siriano di essere sotto il comando dei mercenari della Blackwater, con esperienza acquista nel servizio militare attivo nelle forze armate israeliane. In questo modo l’Esercito libero siriano diventa irrilevante, un nulla in cui capi militari ben pagati, a spese dei contribuenti occidentali, non hanno alcun supporto sul posto. Alla notizia, il generale Salim Idris, che comanda l’ala militare della coalizione nota come Esercito libero siriano, ha sospeso la visita in Francia ed è tornato in Siria (in Siria? o in Turchia? NdT). Idris è a capo delle strutture cui passa l’aiuto occidentale, così la nuova alleanza ha sottolineato che non abbandona il Consiglio di Idris, ma solo la coalizione dell’opposizione politica in esilio. Ciò significa in realtà che a Idris è offerta la carica di consigliere militare dei gruppi islamisti. Ahmad Jarba, il capo dell’organizzazione chiave dell’opposizione, la Coalizione Nazionale siriana, ha denunciato gli estremisti che cercherebbero di “usurpare la nostra rivoluzione”, e ha accusato il regime di supportarli. Ha fatto tale osservazione con visibile angoscia, in un discorso a New York ai rappresentanti degli Amici della Siria, i sostenitori internazionali dei ribelli che cercano di rovesciare il Presidente Bashar al-Assad. “Il popolo siriano sostiene la pace e la moderazione, la tolleranza e la convivenza”, ha detto Jarba. “Il fenomeno dell’estremismo è apparso con il supporto e la pianificazione del regime, che ha scommesso sulla trasformazione di una rivoluzione per la libertà in una guerra civile settaria”, ha aggiunto. Suona strano! Non avendo mai lasciato le capitali occidentali, sembra vedersi come colui che pone la peggiore minaccia per Bashar Assad, di coloro che lo combattono sul campo di battaglia. Sembra quasi così!
Ci sono due facce della medaglia, allo stesso modo la trasformazione impetuosa può avere una doppia natura per Damasco. Può facilitare il dialogo con la parte responsabile della comunità internazionale, in grado di avere giudizio. Non c’è altro modo di conservare una qualsiasi influenza dell’opposizione laica, se non raggiungere un compromesso ragionevole con Bashar Assad nel quadro del processo di pace di Ginevra. Ma può aggravare la situazione provocando combattimenti ancora più feroci nel Paese. Si dovrebbe dare ad al-Qaida il dovuto, ma è difficile combatterla in Siria. Ad esempio, utilizza gli autisti come kamikaze e non solo a scopo d’intimidazione. È una procedura standard frequentemente usata per compiere le missioni in combattimento. Normalmente queste tattiche sono utilizzate per avere munizioni dall’obiettivo desiderato. Di regola, si tratta di un punto di controllo all’ingresso di una zona popolata o qualche altro obiettivo. Dopo l’esplosione i militanti si precipitano e iniziano un massacro. Ecco come la città cristiana di Malula è stata sequestrata. Secondo l’IHS Jane’s intelligence, la formazione di questa alleanza mina in modo significativo la Coalizione nazionale siriana (CNS) filo-occidentale e riduce la speranza di una fine negoziata del conflitto, data la capacità e l’intenzione dei jihadisti di combattere per uno Stato islamico. In realtà Damasco non ha nessuno con cui parlare a Ginevra. Si tratta della questione di “o la va o la spacca” per il governo di Assad, la cui caduta implicherebbe la distruzione di tutti i pilastri culturali dello Stato siriano. Date le circostanze, Washington ha iniziato a consegnare armi ai ribelli in Siria, dopo mesi di ritardo negli aiuti letali promessi dall’amministrazione Obama, secondo funzionari statunitensi e agenti siriani. Le spedizioni hanno cominciato ad arrivare nel Paese nel corso delle ultime due settimane, insieme con invii separati del dipartimento di Stato di veicoli e altre attrezzature, un flusso di materiale che segna la grande escalation del ruolo degli Stati Uniti nella guerra civile in Siria. I presunti alleati degli Stati Uniti sono apertamente passati alla jihad, per cui non è chiaro chi dovrebbe rappresentare l’opposizione alla conferenza di Ginevra-2. Questo è il guaio. La coalizione islamica ha già annunciato che non ha alcun interesse a parteciparvi.
Sorprendentemente appena un giorno prima che la formazione della potente alleanza di al-Qaida fosse annunciata, il presidente Obama aveva affrontato la sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite affermando che “al-Qaida si è frammentata in reti e milizie regionali, che non hanno effettuato un attacco come quello dell’11 settembre, ma ponendo una seria minaccia a governi, diplomatici, imprese e civili in tutto il mondo”. Si tratta di un esempio d’incompetenza o di egregie “sottigliezze” che Washington appare così confusa? La diplomazia statunitense è un puzzle. Sulle notizie circa i mutamenti dell’opposizione in Siria, nessuno del governo degli Stati Uniti ha fatto alcun annuncio sulla fine delle forniture militari in Siria. La doppiezza ufficiale di Washington è scioccante perché gli Stati Uniti indicano Jabhat al-Nusra come organizzazione terroristica. In senso stretto, i partecipanti delle “operazioni” di cui sopra, sono oggetto di inchieste penali secondo le leggi degli Stati Uniti, per aver fornito assistenza a qualcuno ufficialmente dichiarato nemico. Diversamente dalla sempre memorabile operazione “Iran-Contras” dei giorni di Ronald Reagan, questa volta nessuno si preoccupa neanche di coprire alcunché almeno con una foglia di fico. E’ uno Stato che si distingue per lo stato di diritto? Forse Richard Spencer del Daily Telegraph ha trovato un indizio nel comprendere questo strano atteggiamento. Dice che al popolo del Regno Unito è stato detto che i veterani jihadisti arriveranno dalla Siria (Somalia) per colpirlo. Ma il Regno Unito non è il bersaglio di una volta. Le sue forze armate sono tornate dall’Iraq, e l’operazione in Afghanistan sta per finire. È stato detto che i jihadisti avrebbero costantemente dovuto contribuire a creare scompiglio nelle zone musulmane del Caucaso russo: Cecenia, Inguscezia e Daghestan.
Da ora in poi, chiunque parli a Washington dei valori democratici da proteggere in Siria, la prosecuzione del sostegno alle forze dell’opposizione siriana significherà solo una cosa, un’alleanza minacciosa con al-Qaida, che esercita il controllo su oltre il 90 per cento dei militanti in Siria. Mai nella storia questo gruppo ha avuto un enorme esercito attivo. Decine di migliaia di combattenti costituiscono le sue fila. Come intende usare questo potere? È Richard Spencer ha ragione nel dire che l’odio irrazionale della Russia spinge certi ambienti di Washington ad incitare le bande di al-Qaida ad attaccare la Russia? Non è che si voglia crederci, ma i fatti sono qualcosa su cui difficilmente si può chiudere un occhio…
Pochi giorni prima della formazione della nuova alleanza, attivisti e fonti militari avevano detto ad al-Jazeera che l’11° divisione, una delle più grandi brigate dell’esercito libero siriano, era passata al Fronte al-Nusra, nella provincia di Raqqah, confinante con la Turchia. Si svolse una parata militare per l’occasione, e le chiese cristiane ortodosse e armene furono profanate, icone e oggetti elativi bruciati mentre la bandiera di al-Qaida veniva issata. La notizia si era sparsa per la città. Gli abitanti cristiani, anche se pochi, così come i musulmani, sono scesi in piazza per protestare contro il sacrilegio, solo per essere picchiati e costretti a fuggire dai militanti. In realtà tutte le unità dell’ELS situate in prossimità delle due più grandi città, Damasco e Aleppo, hanno aderito agli islamisti. Nessun pezzo grosso anti-Assad è rimasto fuori dalla nuova alleanza, tranne lo Stato Islamico dell’Iraq e il Levante, o ISIS, rivale di al-Nusra nella lotta per diventare la forza dominante dei “guerrieri della jihad”. Secondo i rapporti, il 26 settembre ISIS ha fissato un termine di due giorni all’Esercito siriano libero per arrendersi, mentre esplodono le lotte intestine tra i militanti in Siria. E’ stato anche diffuso un manifesto che accusa l’Esercito libero siriano di essere sotto il comando dei mercenari della Blackwater, con esperienza acquista nel servizio militare attivo nelle forze armate israeliane. In questo modo l’Esercito libero siriano diventa irrilevante, un nulla in cui capi militari ben pagati, a spese dei contribuenti occidentali, non hanno alcun supporto sul posto. Alla notizia, il generale Salim Idris, che comanda l’ala militare della coalizione nota come Esercito libero siriano, ha sospeso la visita in Francia ed è tornato in Siria (in Siria? o in Turchia? NdT). Idris è a capo delle strutture cui passa l’aiuto occidentale, così la nuova alleanza ha sottolineato che non abbandona il Consiglio di Idris, ma solo la coalizione dell’opposizione politica in esilio. Ciò significa in realtà che a Idris è offerta la carica di consigliere militare dei gruppi islamisti. Ahmad Jarba, il capo dell’organizzazione chiave dell’opposizione, la Coalizione Nazionale siriana, ha denunciato gli estremisti che cercherebbero di “usurpare la nostra rivoluzione”, e ha accusato il regime di supportarli. Ha fatto tale osservazione con visibile angoscia, in un discorso a New York ai rappresentanti degli Amici della Siria, i sostenitori internazionali dei ribelli che cercano di rovesciare il Presidente Bashar al-Assad. “Il popolo siriano sostiene la pace e la moderazione, la tolleranza e la convivenza”, ha detto Jarba. “Il fenomeno dell’estremismo è apparso con il supporto e la pianificazione del regime, che ha scommesso sulla trasformazione di una rivoluzione per la libertà in una guerra civile settaria”, ha aggiunto. Suona strano! Non avendo mai lasciato le capitali occidentali, sembra vedersi come colui che pone la peggiore minaccia per Bashar Assad, di coloro che lo combattono sul campo di battaglia. Sembra quasi così!
Ci sono due facce della medaglia, allo stesso modo la trasformazione impetuosa può avere una doppia natura per Damasco. Può facilitare il dialogo con la parte responsabile della comunità internazionale, in grado di avere giudizio. Non c’è altro modo di conservare una qualsiasi influenza dell’opposizione laica, se non raggiungere un compromesso ragionevole con Bashar Assad nel quadro del processo di pace di Ginevra. Ma può aggravare la situazione provocando combattimenti ancora più feroci nel Paese. Si dovrebbe dare ad al-Qaida il dovuto, ma è difficile combatterla in Siria. Ad esempio, utilizza gli autisti come kamikaze e non solo a scopo d’intimidazione. È una procedura standard frequentemente usata per compiere le missioni in combattimento. Normalmente queste tattiche sono utilizzate per avere munizioni dall’obiettivo desiderato. Di regola, si tratta di un punto di controllo all’ingresso di una zona popolata o qualche altro obiettivo. Dopo l’esplosione i militanti si precipitano e iniziano un massacro. Ecco come la città cristiana di Malula è stata sequestrata. Secondo l’IHS Jane’s intelligence, la formazione di questa alleanza mina in modo significativo la Coalizione nazionale siriana (CNS) filo-occidentale e riduce la speranza di una fine negoziata del conflitto, data la capacità e l’intenzione dei jihadisti di combattere per uno Stato islamico. In realtà Damasco non ha nessuno con cui parlare a Ginevra. Si tratta della questione di “o la va o la spacca” per il governo di Assad, la cui caduta implicherebbe la distruzione di tutti i pilastri culturali dello Stato siriano. Date le circostanze, Washington ha iniziato a consegnare armi ai ribelli in Siria, dopo mesi di ritardo negli aiuti letali promessi dall’amministrazione Obama, secondo funzionari statunitensi e agenti siriani. Le spedizioni hanno cominciato ad arrivare nel Paese nel corso delle ultime due settimane, insieme con invii separati del dipartimento di Stato di veicoli e altre attrezzature, un flusso di materiale che segna la grande escalation del ruolo degli Stati Uniti nella guerra civile in Siria. I presunti alleati degli Stati Uniti sono apertamente passati alla jihad, per cui non è chiaro chi dovrebbe rappresentare l’opposizione alla conferenza di Ginevra-2. Questo è il guaio. La coalizione islamica ha già annunciato che non ha alcun interesse a parteciparvi.
Sorprendentemente appena un giorno prima che la formazione della potente alleanza di al-Qaida fosse annunciata, il presidente Obama aveva affrontato la sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite affermando che “al-Qaida si è frammentata in reti e milizie regionali, che non hanno effettuato un attacco come quello dell’11 settembre, ma ponendo una seria minaccia a governi, diplomatici, imprese e civili in tutto il mondo”. Si tratta di un esempio d’incompetenza o di egregie “sottigliezze” che Washington appare così confusa? La diplomazia statunitense è un puzzle. Sulle notizie circa i mutamenti dell’opposizione in Siria, nessuno del governo degli Stati Uniti ha fatto alcun annuncio sulla fine delle forniture militari in Siria. La doppiezza ufficiale di Washington è scioccante perché gli Stati Uniti indicano Jabhat al-Nusra come organizzazione terroristica. In senso stretto, i partecipanti delle “operazioni” di cui sopra, sono oggetto di inchieste penali secondo le leggi degli Stati Uniti, per aver fornito assistenza a qualcuno ufficialmente dichiarato nemico. Diversamente dalla sempre memorabile operazione “Iran-Contras” dei giorni di Ronald Reagan, questa volta nessuno si preoccupa neanche di coprire alcunché almeno con una foglia di fico. E’ uno Stato che si distingue per lo stato di diritto? Forse Richard Spencer del Daily Telegraph ha trovato un indizio nel comprendere questo strano atteggiamento. Dice che al popolo del Regno Unito è stato detto che i veterani jihadisti arriveranno dalla Siria (Somalia) per colpirlo. Ma il Regno Unito non è il bersaglio di una volta. Le sue forze armate sono tornate dall’Iraq, e l’operazione in Afghanistan sta per finire. È stato detto che i jihadisti avrebbero costantemente dovuto contribuire a creare scompiglio nelle zone musulmane del Caucaso russo: Cecenia, Inguscezia e Daghestan.
Da ora in poi, chiunque parli a Washington dei valori democratici da proteggere in Siria, la prosecuzione del sostegno alle forze dell’opposizione siriana significherà solo una cosa, un’alleanza minacciosa con al-Qaida, che esercita il controllo su oltre il 90 per cento dei militanti in Siria. Mai nella storia questo gruppo ha avuto un enorme esercito attivo. Decine di migliaia di combattenti costituiscono le sue fila. Come intende usare questo potere? È Richard Spencer ha ragione nel dire che l’odio irrazionale della Russia spinge certi ambienti di Washington ad incitare le bande di al-Qaida ad attaccare la Russia? Non è che si voglia crederci, ma i fatti sono qualcosa su cui difficilmente si può chiudere un occhio…
La ripubblicazione è gradita in riferimento alla rivista on-line della Strategic Culture Foundation.
Intervista a Norman Finkelstein sul Medio Oriente
Norman Finkelstein
di Norman Finkelstein – 3 ottobre 2013
Norman Finkelstein è un noto autore statunitensi di origini ebree e si è conquistato un particolare riconoscimento per le sue opere sul conflitto israelo-palestinese. Ha risposto alle domande del World Bulletin.
Finkelstein è più noto per il suo famoso libro “L’industria dell’Olocausto”, che afferma che dell’Olocausto hanno abusato gli Stati Uniti e Israele per legittimare le loro politiche. Egli ritiene anche che l’Olocausto sia stato utilizzato dalla lobby ebraica negli USA in modi diversi come un mezzo per far soldi.
Finkelstein è autore di otto libri che sono stati tradotti in cinquanta lingue.
Levent Basturk: Le chiederò del processo di pace palestinese oggi, quello avviato; so che lei è a favore della soluzione a due stati. Ma si aspetta che, da ciò che Kerry avviato, ci sarà una soluzione lungo il percorso o che ci saranno dei problemi o che siano stati fatti dei passi falsi e non si arriverà da nessuna parte?
Dottor Norman Finkelstein: Innanzitutto un po’ di chiarezza. Io non sono a favore della soluzione a due stati. Non penso che queste domande dovrebbero essere poste o che a esse si dovrebbe rispondere in termini di preferenze personali. Le domande politiche possono essere formulate, e vi si può rispondere, solo in termini di ciò che è politicamente attuabile in un certo momento nel tempo; ciò che è più realizzabile e che in qualche misura si avvicina alla giustizia. La sola soluzione attuabile oggi è quella a due stati perché non c’è sostegno internazionale per nient’altro. Guardiamo all’ONU, guardiamo alla Corte Internazionale di Giustizia, guardiamo alle organizzazioni per i diritti umani; tutti dicono la stessa cosa: due stati. E non ci sono indicazioni che questa opinione prevalente cambierà. C’è un consenso molto forte sul fatto che i due stati siano il modo migliore per risolvere il conflitto, il conflitto israelo-palestinese. Dunque io non esprimo la mia preferenza personale. La base è la valutazione del rapporto di forze politiche nel mondo e tale rapporto è a favore dei due stadi e non vedo indicazioni di una svolta a favore di uno stato solo. Non c’è nulla che io veda che suggerisca che l’opinione politica, l’opinione pubblica, l’opinione legale, l’opinione dei diritti umani stia volgendo a favore di un unico stato. Tutto ciò che vedo sinora, oggi, è un consenso rafforzato a favore di due stati. Quanto a Kerry e agli Stati Uniti, essi non sono interessati ai due stati. Sono interessati a uno stato unico per Israele, uno stato più vasto di quello attuale. E ai palestinesi saranno lasciati dei frammenti di territorio e a un certo punto sarà formulato un suggerimento, una raccomandazione, di confederare tali frammenti di territorio con la Giordania e quei frammenti di territorio riusciranno ad esercitare una qualche forma di autonomia locale. Questa è la posizione degli Stati Uniti. La posizione israelo-statunitense consiste nel cancellare l’autodeterminazione palestinese annettendo parte della Palestina, la parte designata per l’autodeterminazione palestinese, annettendo parte della Palestina a Israele e l’altra parte sarà probabilmente confederata alla Giordania.
Dunque in tal senso quello che abbiamo oggi non è un vero negoziato per il processo di pace?
No, quello che c’è oggi è che i palestinesi non sono mai stati più politicamente deboli di ora. L’implosione del mondo arabo, la sconfitta della Fratellanza Mussulmana, che significa la sconfitta di Hamas, la disperazione politica del popolo palestinese e l’assoluta corruzione dell’Autorità Palestinese contribuiscono a questa debolezza. Perciò c’è un’occasione adesso, visto che sono così deboli, di imporre loro una soluzione che servirà gli interessi israelo-statunitensi e negherà ai palestinesi i loro interessi fondamentali.
Allora, in un certo senso, il colpo di stato in Egitto ha rafforzato la posizione di Israele.
L’ha rafforzata in due modi. In primo luogo, Sisi è solo un’altra versione di Mubarak che fu uno dei principali alleati di Israele. E, secondo, l’organizzazione palestinese Hamas ha commesso un errore tattico riponendo tutte le sue speranze nella Fratellanza Mussulmana, e oggi la Fratellanza Mussulmana è stata sconfitta.
Intende dire che la posizione che hanno assunto durante il conflitto siriano dalla parte dell’asse Turchia-Egitto è stata un grosso errore strategico da parte loro?
Un doppio errore, perché l’Egitto è crollato completamente e la Turchia oggi vede un maggiore interesse comune con Israele a inserirsi nel conflitto siriano e dunque la Turchia oggi ha in corso un completo ripristino delle relazioni con Israele. A spese dei palestinesi collaborerà con Israele al fine di farsi strada in Siria.
Pensa realmente che sia questa la posizione che prenderà la Turchia?
Tutte le notizie dicono che Israele e la Turchia stanno guarendo da tutte le loro divisioni e che la Turchia oggi considera la Siria un problema più grosso che non i palestinesi. E allora Israele e la Turchia sono fondamentalmente d’accordo sulla Siria.
E quanto ai recenti commenti che Hamas, oggi, sta di nuovo tentando di riallineare la sua posizione e cercando di avvicinarsi all’Iran e a Hezbollah? Vede questo o è solo una congettura?
Penso che ci proveranno, ma per il fatto che sono stati così sleali, il sostegno che otterranno da Hezbollah e dall’Iran sarà significativamente minore.
Hamas è alla disperata ricerca di qualsiasi cosa oggi e perciò non ha molte scelte. E c’è un’espressione in inglese, ‘beggars can’t be choosers’, i mendicanti non possono fare gli schizzinosi, e Hamas ora è nella posizione di un mendicante e non ha tante scelte.
In Egitto, adesso, la Fratellanza Mussulmana è fuori dai giochi. L’attuale governo egiziano sceglierà di non fare nulla riguardo al problema palestinese?
Esatto, farà peggio che nulla. Sarà una forza decisamente negativa.
Dunque quello che sta accadendo oggi a Gaza è un’indicazione di questo?
Quelle che stanno cercando di fare a Gaza sono due cose. Vogliono rendere la situazione economicamente intollerabile in modo che la gente di Gaza rovesci Hamas. E vogliono anche ripristinare il controllo dell’Autorità Palestinese, dunque una delle cose che stanno cercando di fare adesso è ripristinare il controllo dell’Autorità Palestinese sul valico di Rafah. Dunque, fondamentalmente, così come Sisi vede ora un’occasione storica per distruggere la Fratellanza, l’Autorità Palestinese vede un’occasione storica per distruggere Hamas. Entrambi pensano, e possono aver ragione, che queste sono grandi occasioni.
Quali sono le prospettive al riguardo?
Su molto di questo è difficile pronunciarsi. Fintanto che l’attenzione è dirottata sulla Siria, Sisi potrebbe fare praticamente tutto quello che vuole. Nessuno lo fermerà.
Dunque il conflitto siriano è il fattore che cambia i giochi nell’intera regione.
La Siria è un completo disastro, un disastro totale.
Dottor Finkelstein, grazie per averci concesso l’opportunità di questa intervista.
Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: World Bulletin
Traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2013 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0
I Rabbini sionisti di estrema destra:
Pregate per il fallimento dei colloqui di pace
Sullo sfondo di notizie di progressi compiuti nei negoziati con i palestinesi, influenti rabbini sionisti invitano la gente a dire una preghiera speciale per il possesso di tutta la terra
di Kobi Nachshoni
Pubblicato: 10.04.13, 13:45 in Yedioth Ahoronoth
In un "manifesto" emesso da rabbini di estrema destra e da capi delle scuole nazional-religiose, ordinano ai fedeli di aggiungere alla preghiera Amidah, che si dice tre volte al giorno nei giorni feriali, un brano scritto dal compianto ex capo rabbino Mordechai Eliyahu contro il piano per "strappare la nostra terra ancestrale".
La chiamata collettiva per aggiungere un brano alla parte più importante della preghiera del mattino, pomeriggio e sera, non è una cosa convenzionale. Di solito è fatto solo in tempi reali di crisi, come durante la siccità. Ora il pubblico è invitato a farlo quando dice la preghiera Amidah, quando si apre l'Arca Santa e mentre sono accese le candele dello Shabbat.
'Proteggici e salvaci dai nostri nemici'
Il bando sarà pubblicato questo fine settimana sulla stampa religiosa e volantini distribuiti nelle sinagoghe. E' stato firmato dai rabbini: Chaim Druckman, Dov Lior, Shmuel Eliyahu, Dov Wolpe, Avichai Ronsky, Yehoshua Shapira e altri.
"Nostro padre, nostro re, vanifica gli schemi dei nostri distruttori", dice la preghiera di Rabbi Mordechai Eliyahu. "Ti preghiamo, Dio misericordioso, con le tante tue misericordie, annulla i grave decreti e non dare la tua terra alla perdizione, per essere controllata dai gentili. Proteggici e salvaci dai nostri nemici, e dacci il valore e il coraggio per costruire e piantare la tua santa terra, e possiamo noi vivere per ereditare la nostra terra ".
"Da diversi mesi ormai, i negoziati di pace sono in corso intorno alla richiesta di concessioni supplementari di parti della Terra di Israele", hanno scritto i rabbini nel loro manifesto.
"Siamo in grado di vedere da soli che ministri, vice ministri e così pure membri della Knesset sono preoccupati per i piani disastrosi, e rilasciano dichiarazioni di questi giorni concentrandosi su un punto: la totalità della Terra d'Israele è in pericolo!"
NYTimes - 13 settembre 2013
La ripresa economica è solo dei ricchi
di Paul Krugman
Pochi giorni fa il Times ha pubblicato un rapporto su una società minata da un’estrema disuguaglianza. È una società che sostiene di premiare i migliori e più brillanti indipendentemente dal reddito e dalle connessioni delle famiglie da cui provengono, ma in pratica i figli dei ricchi godono di vantaggi e opportunità non disponibili per i figli di impiegati e operai. Ed è chiaro dall’articolo che il divario tra l'ideologia meritocratica della società e la sua realtà sempre più oligarchica ha un effetto profondamente demoralizzante.
Il rapporto spiega in poche parole perché l’estrema disuguaglianza è distruttiva, perché suonano vuote le affermazioni che la disuguaglianza dei risultati non ha importanza se c’è pari opportunità. Se i ricchi sono tanto più ricchi da vivere in un universo sociale e materiale diverso da quello degli altri, quello fatto di per sé rende assurda qualsiasi pretesa di pari opportunità .
A proposito, di quale società stiamo parlando? La risposta è: la Harvard Business School - un’istituzione d'élite, ma una che è ora caratterizzata da una netta divisione interna tra gli studenti ordinari e la sotto-élite di studenti provenienti da famiglie benestanti.
Il punto, naturalmente, è che come va la Harvard Business School così va l'America, solo ancora di più - com’è dimostrato dagli ultimi dati sui redditi dei contribuenti.
I dati in questione sono stati compilati negli ultimi dieci anni dagli economisti Thomas Piketty e Emmanuel Saez, che usano i dati dell’IRS (Internal Review Service, l’agenzia governativa che si occupa delle tasse) per valutare la concentrazione del reddito negli strati più ricchi tra coloro che presentano la denuncia dei redditi. Secondo le loro stime durante la Grande Recessione gli strati superiori hanno perso reddito così come si sono temporaneamente prosciugati i bonus e le plusvalenze di Wall Street. Ma i ricchi sono già tornati a guadagnare, a tal punto che il 95 per cento dei guadagni della ripresa economica dal 2009 sono andati al famoso 1 per cento. Più precisamente oltre il 60 per cento dei guadagni è andato allo 0,1 per cento, cioè alle persone con reddito annuo di più di 1,9 milioni di dollari.
In sostanza, mentre la grande maggioranza degli americani vive ancora in una economia depressa, i ricchi hanno recuperato quasi tutte le loro perdite e stanno continuando a guadagnare.
Una parentesi: questi numeri dovrebbero (ma probabilmente non succederà) annichilire del tutto le pretese di chi sostiene che la crescente disuguaglianza è dovuta a differenze nei livelli di istruzione. Perché solo una piccola frazione di laureati entra a far parte del cerchio incantato dell’1 per cento, mentre molti, forse la maggior parte, dei giovani con alte qualificazioni incontrano forti difficoltà. Essi hanno la laurea, spesso acquisita a costo di pesanti debiti, ma in molti rimangono disoccupati o sottoccupati, e troppi altri sono impiegati in lavori che non fanno uso delle loro costosa educazione. Il laureato che serve caffellatte da Starbucks è un luogo comune, ma rispecchia la situazione reale.
Che cos’è che fa sì che questi enormi guadagni di reddito vadano agli strati più alti? C'è un intenso dibattito su questo punto, con alcuni economisti che ancora sostengono che redditi alti in maniera straordinaria riflettono contributi straordinari all'economia. Credo di dover osservare che gran parte di quei redditi super-alti provengono dal settore finanziario, cioè da quel settore che, quando il crollo incombente minacciava di abbattere l'intera economia, è stato tirato fuori dai guai con i soldi di tutti i contribuenti.
In ogni caso, comunque, qualunque sia la causa della crescente concentrazione del reddito negli strati più alti, l'effetto di tale concentrazione è di minare tutti i valori che definiscono l'America. Ogni anno che passa ci allontaniamo di più dai nostri ideali. Il privilegio ereditato spazza via ogni idea di pari opportunità, il potere del denaro spazza via ogni possibilità di una democrazia sostanziale.
Che cosa si può fare, a questo punto? Per il momento la trasformazione che c’è stata col New Deal - una trasformazione che ha creato una società borghese non solo attraverso interventi governativi ma aumentando notevolmente il potere contrattuale dei lavoratori - non sembra politicamente fattibile. Ma questo non significa che si debba rinunciare a fare piccoli passi, a iniziative che livellino almeno un po' il campo di gioco.
Prendiamo, per esempio, la proposta di Bill de Blasio, che ha chiuso al primo posto le primarie democratiche di martedì scorso ed è il probabile prossimo sindaco di New York, di fornire educazione gratuita a tutti i bambini tra i 3 e i 5 anni pagandola con un piccolo sovrapprezzo fiscale su coloro con redditi oltre 500.000 dollari. I soliti noti stanno già urlando per i loro sentimenti feriti, come hanno fatto tante volte in questi ultimi anni, anche mentre guadagnavano come banditi. Ma questo è proprio il tipo di cosa che dovremmo fare: tassare almeno un po’ coloro che sono sempre più ricchi, per aumentare le opportunità dei figli dei meno fortunati .
Alcuni esperti stanno già suggerendo che l’imprevista ascesa politica di de Blasio è il segno di un nuovo populismo economico che scuoterà il nostro intero sistema politico. Sembra prematuro dirlo, ma spero che abbiano ragione. Perché quest’estrema disuguaglianza sta ancora crescendo - e sta avvelenando la nostra società.
(Traduzione di Gianni Mula)
PREFAZIONE AL LIBRO DI PAOLO BORGOGNONE
"La disinformazione e la formazione del consenso
attraverso i media"
di Diego Siragusa
Durante i miei frequenti incontri per presentare il mio ultimo libro sul terrorismo israeliano, ho preso l’abitudine di fare un test al pubblico per mostrare quanto siano ingannevoli i mezzi di informazione ai quali, di solito, prestiamo una certa fiducia. L’esempio più efficace è l’attacco alle Torri Gemelle avvenuto l’11 Settembre 2001 a New York. Esordisco dicendo che quasi tutto il mondo seguì in diretta, e per molte ore, tutte le fasi di quello storico avvenimento e, quindi, dovremmo avere tutti una conoscenza abbastanza omogenea di quell’avvenimento attraverso una narrazione comune. Il pubblico acconsente. Faccio la domanda: “Quanti furono gli edifici crollati al suolo a New York l’11 settembre 2001?” Osservo subito qualche indecisione. Alcuni temono di dare una risposta errata: balbettano o tacciono. Altri rispondono: “Due!... Tre!... Quattro!...” Osservo che quelle risposte sono evidentemente contraddittorie e confermano che non vi è un’unica narrazione. Chiedo quali sono gli edifici. Alcuni dicono: “La torre n° 1 e la n° 2”. Altri, più informati ma pochissimi: “La n° 1, la n° 2 e la n° 7”. Altri: “Le Torri Gemelle e il Palazzo della Dogana” che, in realtà, non cadde ma fu gravemente danneggiato. Quando mostro il film che mostra il crollo dell’edificio n° 7, avvenuto alle ore 17, 27, senza essere stato scalfito neanche da un passerotto distratto, osservo un notevole aumento dell’interesse e dell’attenzione tra i miei ascoltatori. Faccio un’altra domanda: “Quanti furono gli aerei coinvolti nell’attacco?” In questo caso le risposte sono ancora più confuse. Molti hanno dimenticato l’attacco al Pentagono e l’aereo caduto in Pensylvania. Quando mostro le immagini del Pentagono con un buco di larghezza molto inferiore all’apertura alare del Boeing 757 che l’avrebbe colpito e che non si trova più, come se si fosse polverizzato, allora lo sconcerto tra il pubblico diventa paralizzante. Mi è capitato recentemente parlando ad una platea di studenti di un istituto superiore in una città siciliana. In un primo momento ho pensato di averli annoiati e mi sono scusato. Mi sbagliavo: i ragazzi erano attentissimi e, fatto insolito, indugiavano ad alzarsi alla fine dell’incontro. Ciò che li aveva “paralizzati” erano le immagini del crollo della torre n° 7 di cui mai nessuno aveva parlato. Perché il governo degli U.S.A. e i più potenti mezzi d’informazione occidentali avevano taciuto? Semplice! Perché questa è la prova che l’11 Settembre è stato un “insider job”, come dicono in America, ovvero un lavoro orchestrato dall’interno per criminalizzare gli arabi e preparare l’attacco all’Afganistan e all’Iraq con falsi pretesti. Che Saddam Hussein fosse un autocrate è un fatto notorio, ma il pretesto delle armi chimiche in suo possesso fu un’invenzione degli strateghi del Pentagono e del presidente Bush per giustificare l’attacco all’Iraq e impossessarsi di un paese con immense riserve di petrolio. Le armi di distruzione di massa non furono mai trovate, intanto un’intera nazione era stata devastata, centinaia di migliaia di civili uccisi, gli Stati Uniti e le multinazionali si impossessarono del petrolio iracheno e Israele festeggiava l’eliminazione di un pericoloso avversario che gli impediva di compiere il genocidio dei palestinesi. Questa è la verità!
Quali sono le tecniche per organizzare queste “deviazioni del corso della storia”? La tecnica è vecchia ma gli strumenti di comunicazione l’hanno trasformata con una efficacia pari alla sua rapidità di esecuzione. Chi esercita il potere della coercizione, della violenza e del controllo economico si trova in una posizione privilegiata per compiere il proprio obiettivo. Chi orchestrava la “caccia alle streghe” e poi la “caccia agli untori” conosceva perfettamente qual era il livello medio intellettivo delle masse del loro tempo. Organizzare la demonizzazione della strega e dell’untore richiedeva la diffusione di notizie false e consolidarle nella percezione comune fino a farle diventare “incrollabili certezze”. Mentre scrivo il presidente americano Obama e il suo Segretario di Stato Kerry stanno mobilitando tutti mezzi di informazione (CNN, BBC, Reuters, AFP, AP, CBS, NBC, ABC, FOX ecc..) con una campagna martellante per convincere i riottosi e preparare il consenso sufficiente per aggredire la Siria. Gli altri paesi occidentali si mantengono in una posizione “non ostile” e ipocrita ma sostanzialmente consenziente. Si diffondono filmati falsi e immagini artefatte come questa:
pur di motivare il progetto di bombardare uno stato sovrano e di sostituire il suo governo con uno fantoccio. Decisiva è, quindi, la tecnica dell’inganno. Il motto del MOSSAD, il famigerato servizio segreto israeliano, è questo “PER MEZZO DELL’INGANNO FAREMO LA GUERRA”. In modo esplicito gli israeliani confessano il loro metodo fondamentale col quale hanno costruito il loro stato e la loro potenza: la disinformazione sistematica come la quintessenza del loro progetto sionista. Possedere il controllo dell’informazione planetaria è la condizione necessaria per il successo dell’inganno. Non tutti gli inganni, però, hanno successo. Alcuni falliscono e altri, in seguito, vengono smascherati. Intanto le tragedie sono state consumate, come nel caso dell’Iraq e, alcuni decenni fa, con la guerra del Vietnam. Morirono parecchi soldati inglesi in Iraq e, negli anni successivi, durante dimostrazioni di piazza, le madri issarono cartelli contro il Primo Ministro Blair su cui scrissero un gioco di parole : “BLIAR” cioè “Bugiardo”.
Il sistema egemone di informazione occidentale, oltre all’inganno e la menzogna, usa un altro metodo: l’omissione. Se un inganno non ha successo e viene smascherato, la parola d’ordine è: “Non riconoscere mai la verità e omettere la notizia che demolisce l’inganno”. Oppure attenuare la verità e fare un processo all’intenzione. Mentre scrivo la diplomazia americana, che cerca disperatamente l’avallo per colpire la Siria, è stata messa in difficoltà da una mossa russa che suggerisce a Bashar el Assad di mettere i propri arsenali di armi chimiche sotto il controllo internazionale ed evitare in tal modo l’attacco americano. La Siria ha accolto la proposta ma gli americani hanno risposto che “di Assad non ci si può fidare”. Contemporaneamente è avvenuto un fatto da tempo auspicato: la liberazione del giornalista italiano Domenico Quirico, rapito assieme ad un professore belga, Pierre Piccinin. Entrambi, in modo univoco e non contraddittorio, hanno raccontato di aver sentito i loro carcerieri anti-Assad parlare in inglese con altri via Skype. Questi dicevano: “Siamo stati noi e non Assad a usare le armi chimiche”. La notizia non poteva essere taciuta ma è stata “attenuata” e diversi giornalisti si sono affaticati a dire che quella testimonianza non era una “prova”. Se Quirico e Piccinin avessero detto il contrario naturalmente sarebbe diventata “prova”. Più rozza e volgare è la disinformazione presente in Facebook, a volte ingenua e, più spesso, ben organizzata. Nelle immagini qui sotto si vede un giovane mascherato nell’atto di lanciare una molotov. La didascalia recita: “Negli ultimi 10 mesi oltre 200 molotov sono state scagliate contro israeliani in Giudea e Samaria”. E più sotto: “Condividi questa notizia perché i grandi media non lo faranno”. La fonte di questo falso è chiaramente sionista. Giudea e Samaria sono i nomi biblici della Cisgiordania occupata che Israele vuole interamente sottrarre ai palestinesi. Ma il falso è stato smascherato con la seconda immagine che documenta che si tratta di una foto della Reuters riferita ad una rivolta scoppiata nel Bahrein.
Il controllo sionista sulla comunicazione planetaria deve particolarmente allarmarci. Esso è radicale e sistematico. Rammento le immagini in tutte le televisioni occidentali che mostravano gruppi di cittadini palestinesi che ballavano subito dopo il crollo delle Torri Gemelle. Quelle immagini, in realtà, erano di repertorio e si riferivano ad altri eventi. Ma l’obiettivo era stato insinuato: diffondere il sospetto che i palestinesi fossero in qualche misura coinvolti nell’attentato.
1982: Israele invase il Libano. I crimini israeliani contro la popolazione civile avevano raggiunto una dimensione così disumana che anche la stampa più corriva dovette prendere le distanze. Il bombardamento dell’ospedale Barbir a Beirut e il massacro di Sabra e Chatila, compiuto dai falangisti cristiani libanesi sotto la direzione dell’esercito israeliano. L’impressione in tutto il mondo fu enorme. Israele doveva ridurre i danni. La National Broadcasting Company andò nell’ospedale bombardato e filmò tutto: non c’erano guerriglieri ma feriti ricoverati e molti erano bambini dilaniati dalle granate. Il filmato fu subito mandato a Tel Aviv per essere trasmesso via satellite a New York. L’addetto alla censura di Tel Aviv ne vietò la messa in onda. Non era quella la prima volta. Molti giornalisti lamentarono che parecchi filmati che documentavano bombardamenti indiscriminati erano stati tagliati o soppressi dalla censura israeliana. Ricorda Robert Fisk, testimone oculare a Beirut: “Infuriati per l’interferenza di Israele, i produttori televisivi di New York offuscarono lo schermo per la durata esatta del materiale censurato, per far capire ai telespettatori americani che quella parte del servizio era stata tagliata dalle autorità militari israeliane. Poi le televisioni cominciarono a inviare i filmati a Damasco. I siriani insistettero per vederli ma non li tagliarono”. ([1]) Man mano che i giornalisti erano costretti a smentire tutte le versioni ufficiali degli israeliani, più isterico e aggressivo divenne il loro potere di controllo e di disinformazione. Il regno del Bene (Israele) cominciò a denigrare i giornalisti accusandoli di aver venduto “… la loro coscienza giornalistica, in cambio del silenzio o di articoli a favore della lotta palestinese”. Alcuni giorni dopo, il giornale governativo israeliano Maariv, cominciò a pubblicare una serie di articoli a proposito dell’eliminazione fisica di alcuni giornalisti ad opera dei “terroristi”, naturalmente tutti palestinesi. Larry Buchman, corrispondente della rete televisiva ABC e Sean Toolan, inviato della stessa rete, erano stati uccisi dai terroristi. La verità era un’altra: Buchman era morto in Giordania in un incidente aereo a causa del tacco dello stivale da cow boy del pilota che si era incastrato sotto il timone facendo capovolgere l’aereo. Toolan, invece, fin dal suo arrivo a Beirut aveva avuto frequenti relazioni con donne sposate. Tra le varie amanti aveva anche una giovane palestinese, il cui marito aveva assoldato dei sicari per ucciderlo pur di porre fine alla relazione. Così morì Sean Toolan nonostante le menzogne di Maariv. ([2])
Questo secondo volume di Paolo Borgognone sulla Disinformazione colleziona con sapienza molti casi che hanno contribuito a cambiare il corso della storia; li analizza con ammirevole equilibrio e lucidità e ci mette in guardia sul rischio di perdere la consapevolezza della responsabilità collettiva. Un’opinione pubblica credulona e incapace di esercizio critico delle fonti di informazione è la riserva preziosa in mano ad una minoranza di strateghi senza scrupoli che agiscono esclusivamente per interessi economici di classe, di gruppi o di etnia. Il loro campo d’azione è a livello planetario e si concentra solo dove vi sono visibili e concreti interessi. Le guerre per procura in Medio Oriente, in America Latina, nell’Europa orientale e nel sud - est asiatico non sono comprensibili senza l’aiuto di queste categorie interpretative. Il colpo di stato in Cile contro Allende non può essere analizzato senza il ruolo degli USA e delle multinazionali americane del rame che nelle miniere cilene avevano rilevanti interessi. Finita l’ossessione del comunismo, l’imperialismo mostra ora il suo vero volto oltre ogni possibile finzione. E’ il mercato la sua vera religione. La democrazia, la Libertà e le Guerre Umanitarie sono solo il belletto che periodicamente l’imperialismo si mette per cercare il consenso necessario per i suoi crimini. Questi ragionamenti sono confermati dalla recente storia del Ruanda. Dal 6 aprile alla metà di luglio del 1994, per circa 100 giorni, furono massacrate sistematicamente (a colpi di armi da fuoco, machete pangas e bastoni chiodati) tra 800.000 e 1.000.000 di persone. Le vittime furono prevalentemente quelli di etnia TUTSI. Dov'erano gli Stati Uniti, i fautori della democrazia e dell'intervento umanitario? Dov'era l'Italia? Dov'era l'ONU? La Francia e l'Inghilterra dov'erano? Silenzio assoluto perché in Ruanda non c'è il petrolio e ai suoi confini non c'è Israele.
Ma ormai le guerre si fanno utilizzando i set cinematografici: l’obiettivo è convincere, convincere, convincere. Le notizie che Assad è un criminale non basta che vengano dagli Stati Uniti o dall’Inghilterra o dalla Francia. Esse devono venire da fonti imparziali. A quel punto si attrezza un omino che è riconosciuto come una nullità: il segretario Generale dell’ONU Ban – ki – Moon. Ripete l’ultima lezione: Assad ha fatto sparare sugli ospedali dove sono ricoverati i feriti dell’opposizione. “Assad è un criminale!” E tutto il mainstream ripete la lezione all’unisono. C’è un video che tutti possono vedere in cui si vede un bambino siriano “morto” ucciso dai gas di Assad. Le immagini hanno fatto il giro del mondo e sconvolto molte persone. Ora però c’è il vero video che mostra che il bambino resuscita e sorride. Non era un crimine di Assad: i mercenari avevano “creato” il video come una scena cinematografica per dare uno strumento emozionalmente forte alla disinformazione e per spingere gli USA e l’Occidente ad attaccare il regime siriano (il video si trova a questo indirizzo: x14niad_sionistewood-en-syrie-un-enfant-mort-ressuscite_news).
Concludo con un altro capolavoro della disinformazione occidentale. Ancora in Siria, fu divulgata la notizia che una ragazza, Zainab al – Hosni, era stata trovata decapitata e mutilata “apparentemente per mano delle Forze di Sicurezza Siriane” che l’avevano arrestata. Huffington Post fece una cronaca a tinte fosche descrivendo gli Assad come sanguinari tiranni che schiacciano il loro popolo col tallone di ferro. Qualche giorno dopo, Zainab comparve in una trasmissione della televisione siriana, viva e senza mutilazioni. Raccontò di essere scappata da casa perché i fratelli abusavano di lei.
Diego Siragusa
(blog: http://diegosiragusa.blogspot.com)
[1] Robert Fisk, Il martirio di una nazione, Il Saggiatore, Milano, pag. 323
[2]Robert Fisk, op. cit. , pagg. 445 – 446.
Norman Finkelstein
di Norman Finkelstein – 3 ottobre 2013
Norman Finkelstein è un noto autore statunitensi di origini ebree e si è conquistato un particolare riconoscimento per le sue opere sul conflitto israelo-palestinese. Ha risposto alle domande del World Bulletin.
Finkelstein è più noto per il suo famoso libro “L’industria dell’Olocausto”, che afferma che dell’Olocausto hanno abusato gli Stati Uniti e Israele per legittimare le loro politiche. Egli ritiene anche che l’Olocausto sia stato utilizzato dalla lobby ebraica negli USA in modi diversi come un mezzo per far soldi.
Finkelstein è autore di otto libri che sono stati tradotti in cinquanta lingue.
Levent Basturk: Le chiederò del processo di pace palestinese oggi, quello avviato; so che lei è a favore della soluzione a due stati. Ma si aspetta che, da ciò che Kerry avviato, ci sarà una soluzione lungo il percorso o che ci saranno dei problemi o che siano stati fatti dei passi falsi e non si arriverà da nessuna parte?
Dottor Norman Finkelstein: Innanzitutto un po’ di chiarezza. Io non sono a favore della soluzione a due stati. Non penso che queste domande dovrebbero essere poste o che a esse si dovrebbe rispondere in termini di preferenze personali. Le domande politiche possono essere formulate, e vi si può rispondere, solo in termini di ciò che è politicamente attuabile in un certo momento nel tempo; ciò che è più realizzabile e che in qualche misura si avvicina alla giustizia. La sola soluzione attuabile oggi è quella a due stati perché non c’è sostegno internazionale per nient’altro. Guardiamo all’ONU, guardiamo alla Corte Internazionale di Giustizia, guardiamo alle organizzazioni per i diritti umani; tutti dicono la stessa cosa: due stati. E non ci sono indicazioni che questa opinione prevalente cambierà. C’è un consenso molto forte sul fatto che i due stati siano il modo migliore per risolvere il conflitto, il conflitto israelo-palestinese. Dunque io non esprimo la mia preferenza personale. La base è la valutazione del rapporto di forze politiche nel mondo e tale rapporto è a favore dei due stadi e non vedo indicazioni di una svolta a favore di uno stato solo. Non c’è nulla che io veda che suggerisca che l’opinione politica, l’opinione pubblica, l’opinione legale, l’opinione dei diritti umani stia volgendo a favore di un unico stato. Tutto ciò che vedo sinora, oggi, è un consenso rafforzato a favore di due stati. Quanto a Kerry e agli Stati Uniti, essi non sono interessati ai due stati. Sono interessati a uno stato unico per Israele, uno stato più vasto di quello attuale. E ai palestinesi saranno lasciati dei frammenti di territorio e a un certo punto sarà formulato un suggerimento, una raccomandazione, di confederare tali frammenti di territorio con la Giordania e quei frammenti di territorio riusciranno ad esercitare una qualche forma di autonomia locale. Questa è la posizione degli Stati Uniti. La posizione israelo-statunitense consiste nel cancellare l’autodeterminazione palestinese annettendo parte della Palestina, la parte designata per l’autodeterminazione palestinese, annettendo parte della Palestina a Israele e l’altra parte sarà probabilmente confederata alla Giordania.
Dunque in tal senso quello che abbiamo oggi non è un vero negoziato per il processo di pace?
No, quello che c’è oggi è che i palestinesi non sono mai stati più politicamente deboli di ora. L’implosione del mondo arabo, la sconfitta della Fratellanza Mussulmana, che significa la sconfitta di Hamas, la disperazione politica del popolo palestinese e l’assoluta corruzione dell’Autorità Palestinese contribuiscono a questa debolezza. Perciò c’è un’occasione adesso, visto che sono così deboli, di imporre loro una soluzione che servirà gli interessi israelo-statunitensi e negherà ai palestinesi i loro interessi fondamentali.
Allora, in un certo senso, il colpo di stato in Egitto ha rafforzato la posizione di Israele.
L’ha rafforzata in due modi. In primo luogo, Sisi è solo un’altra versione di Mubarak che fu uno dei principali alleati di Israele. E, secondo, l’organizzazione palestinese Hamas ha commesso un errore tattico riponendo tutte le sue speranze nella Fratellanza Mussulmana, e oggi la Fratellanza Mussulmana è stata sconfitta.
Intende dire che la posizione che hanno assunto durante il conflitto siriano dalla parte dell’asse Turchia-Egitto è stata un grosso errore strategico da parte loro?
Un doppio errore, perché l’Egitto è crollato completamente e la Turchia oggi vede un maggiore interesse comune con Israele a inserirsi nel conflitto siriano e dunque la Turchia oggi ha in corso un completo ripristino delle relazioni con Israele. A spese dei palestinesi collaborerà con Israele al fine di farsi strada in Siria.
Pensa realmente che sia questa la posizione che prenderà la Turchia?
Tutte le notizie dicono che Israele e la Turchia stanno guarendo da tutte le loro divisioni e che la Turchia oggi considera la Siria un problema più grosso che non i palestinesi. E allora Israele e la Turchia sono fondamentalmente d’accordo sulla Siria.
E quanto ai recenti commenti che Hamas, oggi, sta di nuovo tentando di riallineare la sua posizione e cercando di avvicinarsi all’Iran e a Hezbollah? Vede questo o è solo una congettura?
Penso che ci proveranno, ma per il fatto che sono stati così sleali, il sostegno che otterranno da Hezbollah e dall’Iran sarà significativamente minore.
Hamas è alla disperata ricerca di qualsiasi cosa oggi e perciò non ha molte scelte. E c’è un’espressione in inglese, ‘beggars can’t be choosers’, i mendicanti non possono fare gli schizzinosi, e Hamas ora è nella posizione di un mendicante e non ha tante scelte.
In Egitto, adesso, la Fratellanza Mussulmana è fuori dai giochi. L’attuale governo egiziano sceglierà di non fare nulla riguardo al problema palestinese?
Esatto, farà peggio che nulla. Sarà una forza decisamente negativa.
Dunque quello che sta accadendo oggi a Gaza è un’indicazione di questo?
Quelle che stanno cercando di fare a Gaza sono due cose. Vogliono rendere la situazione economicamente intollerabile in modo che la gente di Gaza rovesci Hamas. E vogliono anche ripristinare il controllo dell’Autorità Palestinese, dunque una delle cose che stanno cercando di fare adesso è ripristinare il controllo dell’Autorità Palestinese sul valico di Rafah. Dunque, fondamentalmente, così come Sisi vede ora un’occasione storica per distruggere la Fratellanza, l’Autorità Palestinese vede un’occasione storica per distruggere Hamas. Entrambi pensano, e possono aver ragione, che queste sono grandi occasioni.
Quali sono le prospettive al riguardo?
Su molto di questo è difficile pronunciarsi. Fintanto che l’attenzione è dirottata sulla Siria, Sisi potrebbe fare praticamente tutto quello che vuole. Nessuno lo fermerà.
Dunque il conflitto siriano è il fattore che cambia i giochi nell’intera regione.
La Siria è un completo disastro, un disastro totale.
Dottor Finkelstein, grazie per averci concesso l’opportunità di questa intervista.
Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: World Bulletin
Traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2013 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0
I Rabbini sionisti di estrema destra:
Pregate per il fallimento dei colloqui di pace
Sullo sfondo di notizie di progressi compiuti nei negoziati con i palestinesi, influenti rabbini sionisti invitano la gente a dire una preghiera speciale per il possesso di tutta la terra
di Kobi Nachshoni
Pubblicato: 10.04.13, 13:45 in Yedioth Ahoronoth
In un "manifesto" emesso da rabbini di estrema destra e da capi delle scuole nazional-religiose, ordinano ai fedeli di aggiungere alla preghiera Amidah, che si dice tre volte al giorno nei giorni feriali, un brano scritto dal compianto ex capo rabbino Mordechai Eliyahu contro il piano per "strappare la nostra terra ancestrale".
La chiamata collettiva per aggiungere un brano alla parte più importante della preghiera del mattino, pomeriggio e sera, non è una cosa convenzionale. Di solito è fatto solo in tempi reali di crisi, come durante la siccità. Ora il pubblico è invitato a farlo quando dice la preghiera Amidah, quando si apre l'Arca Santa e mentre sono accese le candele dello Shabbat.
'Proteggici e salvaci dai nostri nemici'
Il bando sarà pubblicato questo fine settimana sulla stampa religiosa e volantini distribuiti nelle sinagoghe. E' stato firmato dai rabbini: Chaim Druckman, Dov Lior, Shmuel Eliyahu, Dov Wolpe, Avichai Ronsky, Yehoshua Shapira e altri.
"Nostro padre, nostro re, vanifica gli schemi dei nostri distruttori", dice la preghiera di Rabbi Mordechai Eliyahu. "Ti preghiamo, Dio misericordioso, con le tante tue misericordie, annulla i grave decreti e non dare la tua terra alla perdizione, per essere controllata dai gentili. Proteggici e salvaci dai nostri nemici, e dacci il valore e il coraggio per costruire e piantare la tua santa terra, e possiamo noi vivere per ereditare la nostra terra ".
"Da diversi mesi ormai, i negoziati di pace sono in corso intorno alla richiesta di concessioni supplementari di parti della Terra di Israele", hanno scritto i rabbini nel loro manifesto.
"Siamo in grado di vedere da soli che ministri, vice ministri e così pure membri della Knesset sono preoccupati per i piani disastrosi, e rilasciano dichiarazioni di questi giorni concentrandosi su un punto: la totalità della Terra d'Israele è in pericolo!"
NYTimes - 13 settembre 2013
La ripresa economica è solo dei ricchi
di Paul Krugman
Pochi giorni fa il Times ha pubblicato un rapporto su una società minata da un’estrema disuguaglianza. È una società che sostiene di premiare i migliori e più brillanti indipendentemente dal reddito e dalle connessioni delle famiglie da cui provengono, ma in pratica i figli dei ricchi godono di vantaggi e opportunità non disponibili per i figli di impiegati e operai. Ed è chiaro dall’articolo che il divario tra l'ideologia meritocratica della società e la sua realtà sempre più oligarchica ha un effetto profondamente demoralizzante.
Il rapporto spiega in poche parole perché l’estrema disuguaglianza è distruttiva, perché suonano vuote le affermazioni che la disuguaglianza dei risultati non ha importanza se c’è pari opportunità. Se i ricchi sono tanto più ricchi da vivere in un universo sociale e materiale diverso da quello degli altri, quello fatto di per sé rende assurda qualsiasi pretesa di pari opportunità .
A proposito, di quale società stiamo parlando? La risposta è: la Harvard Business School - un’istituzione d'élite, ma una che è ora caratterizzata da una netta divisione interna tra gli studenti ordinari e la sotto-élite di studenti provenienti da famiglie benestanti.
Il punto, naturalmente, è che come va la Harvard Business School così va l'America, solo ancora di più - com’è dimostrato dagli ultimi dati sui redditi dei contribuenti.
I dati in questione sono stati compilati negli ultimi dieci anni dagli economisti Thomas Piketty e Emmanuel Saez, che usano i dati dell’IRS (Internal Review Service, l’agenzia governativa che si occupa delle tasse) per valutare la concentrazione del reddito negli strati più ricchi tra coloro che presentano la denuncia dei redditi. Secondo le loro stime durante la Grande Recessione gli strati superiori hanno perso reddito così come si sono temporaneamente prosciugati i bonus e le plusvalenze di Wall Street. Ma i ricchi sono già tornati a guadagnare, a tal punto che il 95 per cento dei guadagni della ripresa economica dal 2009 sono andati al famoso 1 per cento. Più precisamente oltre il 60 per cento dei guadagni è andato allo 0,1 per cento, cioè alle persone con reddito annuo di più di 1,9 milioni di dollari.
In sostanza, mentre la grande maggioranza degli americani vive ancora in una economia depressa, i ricchi hanno recuperato quasi tutte le loro perdite e stanno continuando a guadagnare.
Una parentesi: questi numeri dovrebbero (ma probabilmente non succederà) annichilire del tutto le pretese di chi sostiene che la crescente disuguaglianza è dovuta a differenze nei livelli di istruzione. Perché solo una piccola frazione di laureati entra a far parte del cerchio incantato dell’1 per cento, mentre molti, forse la maggior parte, dei giovani con alte qualificazioni incontrano forti difficoltà. Essi hanno la laurea, spesso acquisita a costo di pesanti debiti, ma in molti rimangono disoccupati o sottoccupati, e troppi altri sono impiegati in lavori che non fanno uso delle loro costosa educazione. Il laureato che serve caffellatte da Starbucks è un luogo comune, ma rispecchia la situazione reale.
Che cos’è che fa sì che questi enormi guadagni di reddito vadano agli strati più alti? C'è un intenso dibattito su questo punto, con alcuni economisti che ancora sostengono che redditi alti in maniera straordinaria riflettono contributi straordinari all'economia. Credo di dover osservare che gran parte di quei redditi super-alti provengono dal settore finanziario, cioè da quel settore che, quando il crollo incombente minacciava di abbattere l'intera economia, è stato tirato fuori dai guai con i soldi di tutti i contribuenti.
In ogni caso, comunque, qualunque sia la causa della crescente concentrazione del reddito negli strati più alti, l'effetto di tale concentrazione è di minare tutti i valori che definiscono l'America. Ogni anno che passa ci allontaniamo di più dai nostri ideali. Il privilegio ereditato spazza via ogni idea di pari opportunità, il potere del denaro spazza via ogni possibilità di una democrazia sostanziale.
Che cosa si può fare, a questo punto? Per il momento la trasformazione che c’è stata col New Deal - una trasformazione che ha creato una società borghese non solo attraverso interventi governativi ma aumentando notevolmente il potere contrattuale dei lavoratori - non sembra politicamente fattibile. Ma questo non significa che si debba rinunciare a fare piccoli passi, a iniziative che livellino almeno un po' il campo di gioco.
Prendiamo, per esempio, la proposta di Bill de Blasio, che ha chiuso al primo posto le primarie democratiche di martedì scorso ed è il probabile prossimo sindaco di New York, di fornire educazione gratuita a tutti i bambini tra i 3 e i 5 anni pagandola con un piccolo sovrapprezzo fiscale su coloro con redditi oltre 500.000 dollari. I soliti noti stanno già urlando per i loro sentimenti feriti, come hanno fatto tante volte in questi ultimi anni, anche mentre guadagnavano come banditi. Ma questo è proprio il tipo di cosa che dovremmo fare: tassare almeno un po’ coloro che sono sempre più ricchi, per aumentare le opportunità dei figli dei meno fortunati .
Alcuni esperti stanno già suggerendo che l’imprevista ascesa politica di de Blasio è il segno di un nuovo populismo economico che scuoterà il nostro intero sistema politico. Sembra prematuro dirlo, ma spero che abbiano ragione. Perché quest’estrema disuguaglianza sta ancora crescendo - e sta avvelenando la nostra società.
Il rapporto spiega in poche parole perché l’estrema disuguaglianza è distruttiva, perché suonano vuote le affermazioni che la disuguaglianza dei risultati non ha importanza se c’è pari opportunità. Se i ricchi sono tanto più ricchi da vivere in un universo sociale e materiale diverso da quello degli altri, quello fatto di per sé rende assurda qualsiasi pretesa di pari opportunità .
A proposito, di quale società stiamo parlando? La risposta è: la Harvard Business School - un’istituzione d'élite, ma una che è ora caratterizzata da una netta divisione interna tra gli studenti ordinari e la sotto-élite di studenti provenienti da famiglie benestanti.
Il punto, naturalmente, è che come va la Harvard Business School così va l'America, solo ancora di più - com’è dimostrato dagli ultimi dati sui redditi dei contribuenti.
I dati in questione sono stati compilati negli ultimi dieci anni dagli economisti Thomas Piketty e Emmanuel Saez, che usano i dati dell’IRS (Internal Review Service, l’agenzia governativa che si occupa delle tasse) per valutare la concentrazione del reddito negli strati più ricchi tra coloro che presentano la denuncia dei redditi. Secondo le loro stime durante la Grande Recessione gli strati superiori hanno perso reddito così come si sono temporaneamente prosciugati i bonus e le plusvalenze di Wall Street. Ma i ricchi sono già tornati a guadagnare, a tal punto che il 95 per cento dei guadagni della ripresa economica dal 2009 sono andati al famoso 1 per cento. Più precisamente oltre il 60 per cento dei guadagni è andato allo 0,1 per cento, cioè alle persone con reddito annuo di più di 1,9 milioni di dollari.
In sostanza, mentre la grande maggioranza degli americani vive ancora in una economia depressa, i ricchi hanno recuperato quasi tutte le loro perdite e stanno continuando a guadagnare.
Una parentesi: questi numeri dovrebbero (ma probabilmente non succederà) annichilire del tutto le pretese di chi sostiene che la crescente disuguaglianza è dovuta a differenze nei livelli di istruzione. Perché solo una piccola frazione di laureati entra a far parte del cerchio incantato dell’1 per cento, mentre molti, forse la maggior parte, dei giovani con alte qualificazioni incontrano forti difficoltà. Essi hanno la laurea, spesso acquisita a costo di pesanti debiti, ma in molti rimangono disoccupati o sottoccupati, e troppi altri sono impiegati in lavori che non fanno uso delle loro costosa educazione. Il laureato che serve caffellatte da Starbucks è un luogo comune, ma rispecchia la situazione reale.
Che cos’è che fa sì che questi enormi guadagni di reddito vadano agli strati più alti? C'è un intenso dibattito su questo punto, con alcuni economisti che ancora sostengono che redditi alti in maniera straordinaria riflettono contributi straordinari all'economia. Credo di dover osservare che gran parte di quei redditi super-alti provengono dal settore finanziario, cioè da quel settore che, quando il crollo incombente minacciava di abbattere l'intera economia, è stato tirato fuori dai guai con i soldi di tutti i contribuenti.
In ogni caso, comunque, qualunque sia la causa della crescente concentrazione del reddito negli strati più alti, l'effetto di tale concentrazione è di minare tutti i valori che definiscono l'America. Ogni anno che passa ci allontaniamo di più dai nostri ideali. Il privilegio ereditato spazza via ogni idea di pari opportunità, il potere del denaro spazza via ogni possibilità di una democrazia sostanziale.
Che cosa si può fare, a questo punto? Per il momento la trasformazione che c’è stata col New Deal - una trasformazione che ha creato una società borghese non solo attraverso interventi governativi ma aumentando notevolmente il potere contrattuale dei lavoratori - non sembra politicamente fattibile. Ma questo non significa che si debba rinunciare a fare piccoli passi, a iniziative che livellino almeno un po' il campo di gioco.
Prendiamo, per esempio, la proposta di Bill de Blasio, che ha chiuso al primo posto le primarie democratiche di martedì scorso ed è il probabile prossimo sindaco di New York, di fornire educazione gratuita a tutti i bambini tra i 3 e i 5 anni pagandola con un piccolo sovrapprezzo fiscale su coloro con redditi oltre 500.000 dollari. I soliti noti stanno già urlando per i loro sentimenti feriti, come hanno fatto tante volte in questi ultimi anni, anche mentre guadagnavano come banditi. Ma questo è proprio il tipo di cosa che dovremmo fare: tassare almeno un po’ coloro che sono sempre più ricchi, per aumentare le opportunità dei figli dei meno fortunati .
Alcuni esperti stanno già suggerendo che l’imprevista ascesa politica di de Blasio è il segno di un nuovo populismo economico che scuoterà il nostro intero sistema politico. Sembra prematuro dirlo, ma spero che abbiano ragione. Perché quest’estrema disuguaglianza sta ancora crescendo - e sta avvelenando la nostra società.
(Traduzione di Gianni Mula)
PREFAZIONE AL LIBRO DI PAOLO BORGOGNONE
"La disinformazione e la formazione del consenso
attraverso i media"
di Diego Siragusa
Durante i miei frequenti incontri per presentare il mio ultimo libro sul terrorismo israeliano, ho preso l’abitudine di fare un test al pubblico per mostrare quanto siano ingannevoli i mezzi di informazione ai quali, di solito, prestiamo una certa fiducia. L’esempio più efficace è l’attacco alle Torri Gemelle avvenuto l’11 Settembre 2001 a New York. Esordisco dicendo che quasi tutto il mondo seguì in diretta, e per molte ore, tutte le fasi di quello storico avvenimento e, quindi, dovremmo avere tutti una conoscenza abbastanza omogenea di quell’avvenimento attraverso una narrazione comune. Il pubblico acconsente. Faccio la domanda: “Quanti furono gli edifici crollati al suolo a New York l’11 settembre 2001?” Osservo subito qualche indecisione. Alcuni temono di dare una risposta errata: balbettano o tacciono. Altri rispondono: “Due!... Tre!... Quattro!...” Osservo che quelle risposte sono evidentemente contraddittorie e confermano che non vi è un’unica narrazione. Chiedo quali sono gli edifici. Alcuni dicono: “La torre n° 1 e la n° 2”. Altri, più informati ma pochissimi: “La n° 1, la n° 2 e la n° 7”. Altri: “Le Torri Gemelle e il Palazzo della Dogana” che, in realtà, non cadde ma fu gravemente danneggiato. Quando mostro il film che mostra il crollo dell’edificio n° 7, avvenuto alle ore 17, 27, senza essere stato scalfito neanche da un passerotto distratto, osservo un notevole aumento dell’interesse e dell’attenzione tra i miei ascoltatori. Faccio un’altra domanda: “Quanti furono gli aerei coinvolti nell’attacco?” In questo caso le risposte sono ancora più confuse. Molti hanno dimenticato l’attacco al Pentagono e l’aereo caduto in Pensylvania. Quando mostro le immagini del Pentagono con un buco di larghezza molto inferiore all’apertura alare del Boeing 757 che l’avrebbe colpito e che non si trova più, come se si fosse polverizzato, allora lo sconcerto tra il pubblico diventa paralizzante. Mi è capitato recentemente parlando ad una platea di studenti di un istituto superiore in una città siciliana. In un primo momento ho pensato di averli annoiati e mi sono scusato. Mi sbagliavo: i ragazzi erano attentissimi e, fatto insolito, indugiavano ad alzarsi alla fine dell’incontro. Ciò che li aveva “paralizzati” erano le immagini del crollo della torre n° 7 di cui mai nessuno aveva parlato. Perché il governo degli U.S.A. e i più potenti mezzi d’informazione occidentali avevano taciuto? Semplice! Perché questa è la prova che l’11 Settembre è stato un “insider job”, come dicono in America, ovvero un lavoro orchestrato dall’interno per criminalizzare gli arabi e preparare l’attacco all’Afganistan e all’Iraq con falsi pretesti. Che Saddam Hussein fosse un autocrate è un fatto notorio, ma il pretesto delle armi chimiche in suo possesso fu un’invenzione degli strateghi del Pentagono e del presidente Bush per giustificare l’attacco all’Iraq e impossessarsi di un paese con immense riserve di petrolio. Le armi di distruzione di massa non furono mai trovate, intanto un’intera nazione era stata devastata, centinaia di migliaia di civili uccisi, gli Stati Uniti e le multinazionali si impossessarono del petrolio iracheno e Israele festeggiava l’eliminazione di un pericoloso avversario che gli impediva di compiere il genocidio dei palestinesi. Questa è la verità!
Quali sono le tecniche per organizzare queste “deviazioni del corso della storia”? La tecnica è vecchia ma gli strumenti di comunicazione l’hanno trasformata con una efficacia pari alla sua rapidità di esecuzione. Chi esercita il potere della coercizione, della violenza e del controllo economico si trova in una posizione privilegiata per compiere il proprio obiettivo. Chi orchestrava la “caccia alle streghe” e poi la “caccia agli untori” conosceva perfettamente qual era il livello medio intellettivo delle masse del loro tempo. Organizzare la demonizzazione della strega e dell’untore richiedeva la diffusione di notizie false e consolidarle nella percezione comune fino a farle diventare “incrollabili certezze”. Mentre scrivo il presidente americano Obama e il suo Segretario di Stato Kerry stanno mobilitando tutti mezzi di informazione (CNN, BBC, Reuters, AFP, AP, CBS, NBC, ABC, FOX ecc..) con una campagna martellante per convincere i riottosi e preparare il consenso sufficiente per aggredire la Siria. Gli altri paesi occidentali si mantengono in una posizione “non ostile” e ipocrita ma sostanzialmente consenziente. Si diffondono filmati falsi e immagini artefatte come questa:
pur di motivare il progetto di bombardare uno stato sovrano e di sostituire il suo governo con uno fantoccio. Decisiva è, quindi, la tecnica dell’inganno. Il motto del MOSSAD, il famigerato servizio segreto israeliano, è questo “PER MEZZO DELL’INGANNO FAREMO LA GUERRA”. In modo esplicito gli israeliani confessano il loro metodo fondamentale col quale hanno costruito il loro stato e la loro potenza: la disinformazione sistematica come la quintessenza del loro progetto sionista. Possedere il controllo dell’informazione planetaria è la condizione necessaria per il successo dell’inganno. Non tutti gli inganni, però, hanno successo. Alcuni falliscono e altri, in seguito, vengono smascherati. Intanto le tragedie sono state consumate, come nel caso dell’Iraq e, alcuni decenni fa, con la guerra del Vietnam. Morirono parecchi soldati inglesi in Iraq e, negli anni successivi, durante dimostrazioni di piazza, le madri issarono cartelli contro il Primo Ministro Blair su cui scrissero un gioco di parole : “BLIAR” cioè “Bugiardo”.
Il sistema egemone di informazione occidentale, oltre all’inganno e la menzogna, usa un altro metodo: l’omissione. Se un inganno non ha successo e viene smascherato, la parola d’ordine è: “Non riconoscere mai la verità e omettere la notizia che demolisce l’inganno”. Oppure attenuare la verità e fare un processo all’intenzione. Mentre scrivo la diplomazia americana, che cerca disperatamente l’avallo per colpire la Siria, è stata messa in difficoltà da una mossa russa che suggerisce a Bashar el Assad di mettere i propri arsenali di armi chimiche sotto il controllo internazionale ed evitare in tal modo l’attacco americano. La Siria ha accolto la proposta ma gli americani hanno risposto che “di Assad non ci si può fidare”. Contemporaneamente è avvenuto un fatto da tempo auspicato: la liberazione del giornalista italiano Domenico Quirico, rapito assieme ad un professore belga, Pierre Piccinin. Entrambi, in modo univoco e non contraddittorio, hanno raccontato di aver sentito i loro carcerieri anti-Assad parlare in inglese con altri via Skype. Questi dicevano: “Siamo stati noi e non Assad a usare le armi chimiche”. La notizia non poteva essere taciuta ma è stata “attenuata” e diversi giornalisti si sono affaticati a dire che quella testimonianza non era una “prova”. Se Quirico e Piccinin avessero detto il contrario naturalmente sarebbe diventata “prova”. Più rozza e volgare è la disinformazione presente in Facebook, a volte ingenua e, più spesso, ben organizzata. Nelle immagini qui sotto si vede un giovane mascherato nell’atto di lanciare una molotov. La didascalia recita: “Negli ultimi 10 mesi oltre 200 molotov sono state scagliate contro israeliani in Giudea e Samaria”. E più sotto: “Condividi questa notizia perché i grandi media non lo faranno”. La fonte di questo falso è chiaramente sionista. Giudea e Samaria sono i nomi biblici della Cisgiordania occupata che Israele vuole interamente sottrarre ai palestinesi. Ma il falso è stato smascherato con la seconda immagine che documenta che si tratta di una foto della Reuters riferita ad una rivolta scoppiata nel Bahrein.
Il controllo sionista sulla comunicazione planetaria deve particolarmente allarmarci. Esso è radicale e sistematico. Rammento le immagini in tutte le televisioni occidentali che mostravano gruppi di cittadini palestinesi che ballavano subito dopo il crollo delle Torri Gemelle. Quelle immagini, in realtà, erano di repertorio e si riferivano ad altri eventi. Ma l’obiettivo era stato insinuato: diffondere il sospetto che i palestinesi fossero in qualche misura coinvolti nell’attentato.
1982: Israele invase il Libano. I crimini israeliani contro la popolazione civile avevano raggiunto una dimensione così disumana che anche la stampa più corriva dovette prendere le distanze. Il bombardamento dell’ospedale Barbir a Beirut e il massacro di Sabra e Chatila, compiuto dai falangisti cristiani libanesi sotto la direzione dell’esercito israeliano. L’impressione in tutto il mondo fu enorme. Israele doveva ridurre i danni. La National Broadcasting Company andò nell’ospedale bombardato e filmò tutto: non c’erano guerriglieri ma feriti ricoverati e molti erano bambini dilaniati dalle granate. Il filmato fu subito mandato a Tel Aviv per essere trasmesso via satellite a New York. L’addetto alla censura di Tel Aviv ne vietò la messa in onda. Non era quella la prima volta. Molti giornalisti lamentarono che parecchi filmati che documentavano bombardamenti indiscriminati erano stati tagliati o soppressi dalla censura israeliana. Ricorda Robert Fisk, testimone oculare a Beirut: “Infuriati per l’interferenza di Israele, i produttori televisivi di New York offuscarono lo schermo per la durata esatta del materiale censurato, per far capire ai telespettatori americani che quella parte del servizio era stata tagliata dalle autorità militari israeliane. Poi le televisioni cominciarono a inviare i filmati a Damasco. I siriani insistettero per vederli ma non li tagliarono”. ([1]) Man mano che i giornalisti erano costretti a smentire tutte le versioni ufficiali degli israeliani, più isterico e aggressivo divenne il loro potere di controllo e di disinformazione. Il regno del Bene (Israele) cominciò a denigrare i giornalisti accusandoli di aver venduto “… la loro coscienza giornalistica, in cambio del silenzio o di articoli a favore della lotta palestinese”. Alcuni giorni dopo, il giornale governativo israeliano Maariv, cominciò a pubblicare una serie di articoli a proposito dell’eliminazione fisica di alcuni giornalisti ad opera dei “terroristi”, naturalmente tutti palestinesi. Larry Buchman, corrispondente della rete televisiva ABC e Sean Toolan, inviato della stessa rete, erano stati uccisi dai terroristi. La verità era un’altra: Buchman era morto in Giordania in un incidente aereo a causa del tacco dello stivale da cow boy del pilota che si era incastrato sotto il timone facendo capovolgere l’aereo. Toolan, invece, fin dal suo arrivo a Beirut aveva avuto frequenti relazioni con donne sposate. Tra le varie amanti aveva anche una giovane palestinese, il cui marito aveva assoldato dei sicari per ucciderlo pur di porre fine alla relazione. Così morì Sean Toolan nonostante le menzogne di Maariv. ([2])
Questo secondo volume di Paolo Borgognone sulla Disinformazione colleziona con sapienza molti casi che hanno contribuito a cambiare il corso della storia; li analizza con ammirevole equilibrio e lucidità e ci mette in guardia sul rischio di perdere la consapevolezza della responsabilità collettiva. Un’opinione pubblica credulona e incapace di esercizio critico delle fonti di informazione è la riserva preziosa in mano ad una minoranza di strateghi senza scrupoli che agiscono esclusivamente per interessi economici di classe, di gruppi o di etnia. Il loro campo d’azione è a livello planetario e si concentra solo dove vi sono visibili e concreti interessi. Le guerre per procura in Medio Oriente, in America Latina, nell’Europa orientale e nel sud - est asiatico non sono comprensibili senza l’aiuto di queste categorie interpretative. Il colpo di stato in Cile contro Allende non può essere analizzato senza il ruolo degli USA e delle multinazionali americane del rame che nelle miniere cilene avevano rilevanti interessi. Finita l’ossessione del comunismo, l’imperialismo mostra ora il suo vero volto oltre ogni possibile finzione. E’ il mercato la sua vera religione. La democrazia, la Libertà e le Guerre Umanitarie sono solo il belletto che periodicamente l’imperialismo si mette per cercare il consenso necessario per i suoi crimini. Questi ragionamenti sono confermati dalla recente storia del Ruanda. Dal 6 aprile alla metà di luglio del 1994, per circa 100 giorni, furono massacrate sistematicamente (a colpi di armi da fuoco, machete pangas e bastoni chiodati) tra 800.000 e 1.000.000 di persone. Le vittime furono prevalentemente quelli di etnia TUTSI. Dov'erano gli Stati Uniti, i fautori della democrazia e dell'intervento umanitario? Dov'era l'Italia? Dov'era l'ONU? La Francia e l'Inghilterra dov'erano? Silenzio assoluto perché in Ruanda non c'è il petrolio e ai suoi confini non c'è Israele.
Ma ormai le guerre si fanno utilizzando i set cinematografici: l’obiettivo è convincere, convincere, convincere. Le notizie che Assad è un criminale non basta che vengano dagli Stati Uniti o dall’Inghilterra o dalla Francia. Esse devono venire da fonti imparziali. A quel punto si attrezza un omino che è riconosciuto come una nullità: il segretario Generale dell’ONU Ban – ki – Moon. Ripete l’ultima lezione: Assad ha fatto sparare sugli ospedali dove sono ricoverati i feriti dell’opposizione. “Assad è un criminale!” E tutto il mainstream ripete la lezione all’unisono. C’è un video che tutti possono vedere in cui si vede un bambino siriano “morto” ucciso dai gas di Assad. Le immagini hanno fatto il giro del mondo e sconvolto molte persone. Ora però c’è il vero video che mostra che il bambino resuscita e sorride. Non era un crimine di Assad: i mercenari avevano “creato” il video come una scena cinematografica per dare uno strumento emozionalmente forte alla disinformazione e per spingere gli USA e l’Occidente ad attaccare il regime siriano (il video si trova a questo indirizzo: x14niad_sionistewood-en-syrie-un-enfant-mort-ressuscite_news).
Concludo con un altro capolavoro della disinformazione occidentale. Ancora in Siria, fu divulgata la notizia che una ragazza, Zainab al – Hosni, era stata trovata decapitata e mutilata “apparentemente per mano delle Forze di Sicurezza Siriane” che l’avevano arrestata. Huffington Post fece una cronaca a tinte fosche descrivendo gli Assad come sanguinari tiranni che schiacciano il loro popolo col tallone di ferro. Qualche giorno dopo, Zainab comparve in una trasmissione della televisione siriana, viva e senza mutilazioni. Raccontò di essere scappata da casa perché i fratelli abusavano di lei.
Diego Siragusa
(blog: http://diegosiragusa.blogspot.com)
[1] Robert Fisk, Il martirio di una nazione, Il Saggiatore, Milano, pag. 323
[2]Robert Fisk, op. cit. , pagg. 445 – 446.
Chomsky: Il vero Stato canaglia sono gli Usa
Noam Chomsky è linguista, filosofo e teorico della comunicazione. Egli è professore emerito al Massachusetts Institute of Technology (Mit).
di Noam Chomsky
Durante l'ultima puntata della farsa di Washington che ha stupito e divertito il mondo, un commentatore cinese ha scritto che se gli Usa non possono essere un membro responsabile del sistema mondiale, forse il mondo dovrebbe «de-americanizzarsi», separarsi dallo Stato canaglia che regna tramite il suo potere militare, ma sta perdendo credibilità in altri settori.
La fonte diretta dello sfacelo di Washington è stato il forte spostamento a destra della classe politica.
In passato, gli Usa sono stati talvolta descritti ironicamente (ma non erroneamente) come uno Stato avente un unico partito: il partito degli affari, con due fazioni chiamate democratici e repubblicani.
Questo non è più vero. Gli Usa sono ancora uno Stato a partito unico, il partito azienda. Ma hanno una sola fazione: i repubblicani moderati, ora denominati New Democrats (come la coalizione al Congresso Usa designa se stessa).
Esiste ancora una organizzazione repubblicana, ma essa da lungo tempo ha abbandonato qualsiasi pretesa di essere un partito parlamentare normale. Il commentatore conservatore Norman Ornstein, dello Enterprise Institute, descrive i repubblicani di oggi come «una rivolta radicale, ideologicamente estrema, sdegnosa dei fatti e dei compromessi, che disprezza la legittimità della sua opposizione politica». In altre parole, un grave pericolo per la società.
Il partito è al servizio dei più ricchi e del settore delle imprese. Siccome i voti non possono essere ottenuti a quel livello, il partito è stato costretto a mobilitare settori della società che per gli standard mondiali sono estremisti. Pazza è la nuova norma tra i membri del Tea Party e una miriade di altri gruppi, al di là della corrente tradizionale.
La classe dirigente repubblicana e i suoi sponsor d'affari avevano previsto di usarli come ariete nell'assalto neoliberista contro la popolazione, per privatizzare, deregolamentare e limitare il governo, pur mantenendo quelle parti che sono al servizio della ricchezza e del potere, come i militari.
La classe dirigente repubblicana ha avuto un certo successo, ma ora si accorge che non riesce più a controllare la sua base, con sua grande costernazione. L'impatto sulla società americana diventa così ancora più grave. Un esempio: la reazione virulenta contro l'Affordable Care Act (Atto sulla salute conveniente, è il piano nazionale per la sanità, più noto in Italia come Obama Care) e il quasi shutdown (spegnimento, arresto) del governo federale.
L'osservazione del commentatore cinese non è del tutto nuova. Nel 1999, l'analista politico Samuel P. Huntington avvertiva che per gran parte del mondo, gli Usa stanno «diventando la superpotenza canaglia», visti come «la più grande minaccia esterna per le loro società».
A pochi mesi dall'inizio del mandato di Bush, Robert Jervis, presidente della American Political Science Association, avvertiva che «Agli occhi di gran parte del mondo, infatti, il primo Stato canaglia oggi sono gli Stati Uniti».
Sia Huntington che Jervis hanno avvertito che un tale corso è imprudente. Le conseguenze per gli Stati Uniti potrebbero essere deleterie.
Nell'ultimo documento emanato da "Foreign Affairs", David Kaye esamina un aspetto dell'allontanamento di Washington dal mondo: il rifiuto dei trattati multilaterali, «come se si trattasse di sport».
Egli spiega che alcuni trattati vengono respinti in modo definitivo, come quando il Senato degli Stati Uniti «ha votato contro la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità nel 2012 e il Comprehensive Nuclear - Test Ban Treaty (il trattato sulla messa al bando del nucleare o Ctbt), nel 1999».
Altri trattati sono scartati dal non agire, inclusi «temi come il lavoro, i diritti economici e culturali, le specie in pericolo di estinzione, l'inquinamento, i conflitti armati, il mantenimento della pace, le armi nucleari, la legge del mare, e la discriminazione contro le donne».
Scrive Kaye: «Il rifiuto degli obblighi internazionali è cresciuto in modo così radicato, che i governi stranieri non si aspettano più la ratifica di Washington o la sua piena partecipazione nelle istituzioni create dai trattati. Il mondo va avanti; le leggi vengono fatte altrove, con limitato (quando c'è) coinvolgimento americano».
Anche se non è nuova, la pratica si è effettivamente consolidata in questi ultimi anni, insieme con l'accettazione tranquilla all'interno della nazione della dottrina che gli Usa hanno tutto il diritto di agire come uno stato canaglia.
Per fare un esempio, un paio di settimane fa, le forze speciali Usa hanno preso un sospetto, Abu Anas al-Libi, dalle strade della capitale libica Tripoli, portandolo su una nave da guerra per l'interrogatorio senza avvocato o diritti. Il segretario di Stato americano John Kerry ha fatto sapere alla stampa che le azioni sono legali perché sono conformi con il diritto americano, senza suscitare alcun particolare commento.
I principi sono validi solo se sono universali. Le reazioni sarebbero un po' diverse, manco a dirlo, se le forze speciali cubane avessero rapito il prominente terrorista Luis Posada Carriles a Miami, portandolo a Cuba per l'interrogatorio e il processo in conformità alla legge cubana.
Tali azioni sono limitate agli Stati canaglia. Più precisamente, a quegli Stati canaglia abbastanza potenti da agire impuniti: in questi ultimi anni, per svolgere aggressioni a volontà, terrorizzare le grandi regioni del mondo, con gli attacchi dei droni, e molto altro.
E a sfidare il mondo in altri modi, ad esempio persistendo nel suo embargo contro Cuba, nonostante l'opposizione di lunga durata di tutto il mondo, oltre a Israele, che ha votato con il suo protettore, quando le Nazioni Unite hanno condannato ancora una volta l'embargo nel mese di ottobre.
Qualunque cosa il mondo possa pensare, le azioni degli Usa sono legittime perché diciamo così. Il principio fu enunciato dall'eminente statista Dean Acheson nel 1962, quando diede istruzioni alla Società americana di diritto internazionale, in base alle quali nessun problema giuridico si pone quando gli Stati Uniti rispondono a una sfida per il loro «potere, posizione e prestigio».
Cuba ha commesso quel delitto, quando ha sconfitto un'invasione proveniente dagli Stati Uniti, e poi ha avuto l'ardire di sopravvivere a un assalto progettato per portare «i terroristi della terra» a Cuba, nelle parole dello storico Arthur Schlesinger, consigliere di Kennedy.
Quando gli Stati Uniti hanno ottenuto l'indipendenza, hanno cercato di unirsi alla comunità internazionale del tempo. È per questo che la Dichiarazione d'Indipendenza si apre esprimendo la preoccupazione per il «rispetto delle opinioni dell'umanità».
Un elemento cruciale fu l'evoluzione da una confederazione disordinata verso un'unica «nazione degna di stipulare trattati», secondo l'espressione storica del diplomatico Eliga H. Gould, che osservava le convenzioni dell'ordine europeo. Con il raggiungimento di questo status, la nuova nazione otteneva anche il diritto di agire a suo piacimento a livello nazionale.
Essa poteva quindi procedere a liberarsi della popolazione indigena e a espandere la schiavitù, una istituzione così odiosa che non poteva essere tollerata in Inghilterra, come l'illustre giurista William Murray, conte di Mansfield, stabilì nel 1772. L'evoluzione del diritto inglese era un fattore che spingeva la società schiavista a sfuggire alla sua portata.
Il diventare una «nazione degna di stipulare trattati» conferì molteplici vantaggi: il riconoscimento da parte degli altri Stati e la libertà di agire senza interferenze a casa propria.
Il potere egemonico fornisce l'opportunità di diventare uno Stato canaglia, sfidando liberamente il diritto internazionale e le sue norme, mentre affronta una crescente resistenza all'estero e contribuisce al proprio declino attraverso ferite auto inflitte.
Venerdì, 08 Novembre 2013 09:34
Noam Chomsky è linguista, filosofo e teorico della comunicazione. Egli è professore emerito al Massachusetts Institute of Technology (Mit).
di Noam Chomsky
Durante l'ultima puntata della farsa di Washington che ha stupito e divertito il mondo, un commentatore cinese ha scritto che se gli Usa non possono essere un membro responsabile del sistema mondiale, forse il mondo dovrebbe «de-americanizzarsi», separarsi dallo Stato canaglia che regna tramite il suo potere militare, ma sta perdendo credibilità in altri settori.
La fonte diretta dello sfacelo di Washington è stato il forte spostamento a destra della classe politica.
In passato, gli Usa sono stati talvolta descritti ironicamente (ma non erroneamente) come uno Stato avente un unico partito: il partito degli affari, con due fazioni chiamate democratici e repubblicani.
Questo non è più vero. Gli Usa sono ancora uno Stato a partito unico, il partito azienda. Ma hanno una sola fazione: i repubblicani moderati, ora denominati New Democrats (come la coalizione al Congresso Usa designa se stessa).
Esiste ancora una organizzazione repubblicana, ma essa da lungo tempo ha abbandonato qualsiasi pretesa di essere un partito parlamentare normale. Il commentatore conservatore Norman Ornstein, dello Enterprise Institute, descrive i repubblicani di oggi come «una rivolta radicale, ideologicamente estrema, sdegnosa dei fatti e dei compromessi, che disprezza la legittimità della sua opposizione politica». In altre parole, un grave pericolo per la società.
Il partito è al servizio dei più ricchi e del settore delle imprese. Siccome i voti non possono essere ottenuti a quel livello, il partito è stato costretto a mobilitare settori della società che per gli standard mondiali sono estremisti. Pazza è la nuova norma tra i membri del Tea Party e una miriade di altri gruppi, al di là della corrente tradizionale.
La classe dirigente repubblicana e i suoi sponsor d'affari avevano previsto di usarli come ariete nell'assalto neoliberista contro la popolazione, per privatizzare, deregolamentare e limitare il governo, pur mantenendo quelle parti che sono al servizio della ricchezza e del potere, come i militari.
La classe dirigente repubblicana ha avuto un certo successo, ma ora si accorge che non riesce più a controllare la sua base, con sua grande costernazione. L'impatto sulla società americana diventa così ancora più grave. Un esempio: la reazione virulenta contro l'Affordable Care Act (Atto sulla salute conveniente, è il piano nazionale per la sanità, più noto in Italia come Obama Care) e il quasi shutdown (spegnimento, arresto) del governo federale.
L'osservazione del commentatore cinese non è del tutto nuova. Nel 1999, l'analista politico Samuel P. Huntington avvertiva che per gran parte del mondo, gli Usa stanno «diventando la superpotenza canaglia», visti come «la più grande minaccia esterna per le loro società».
A pochi mesi dall'inizio del mandato di Bush, Robert Jervis, presidente della American Political Science Association, avvertiva che «Agli occhi di gran parte del mondo, infatti, il primo Stato canaglia oggi sono gli Stati Uniti».
Sia Huntington che Jervis hanno avvertito che un tale corso è imprudente. Le conseguenze per gli Stati Uniti potrebbero essere deleterie.
Nell'ultimo documento emanato da "Foreign Affairs", David Kaye esamina un aspetto dell'allontanamento di Washington dal mondo: il rifiuto dei trattati multilaterali, «come se si trattasse di sport».
Egli spiega che alcuni trattati vengono respinti in modo definitivo, come quando il Senato degli Stati Uniti «ha votato contro la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità nel 2012 e il Comprehensive Nuclear - Test Ban Treaty (il trattato sulla messa al bando del nucleare o Ctbt), nel 1999».
Altri trattati sono scartati dal non agire, inclusi «temi come il lavoro, i diritti economici e culturali, le specie in pericolo di estinzione, l'inquinamento, i conflitti armati, il mantenimento della pace, le armi nucleari, la legge del mare, e la discriminazione contro le donne».
Scrive Kaye: «Il rifiuto degli obblighi internazionali è cresciuto in modo così radicato, che i governi stranieri non si aspettano più la ratifica di Washington o la sua piena partecipazione nelle istituzioni create dai trattati. Il mondo va avanti; le leggi vengono fatte altrove, con limitato (quando c'è) coinvolgimento americano».
Anche se non è nuova, la pratica si è effettivamente consolidata in questi ultimi anni, insieme con l'accettazione tranquilla all'interno della nazione della dottrina che gli Usa hanno tutto il diritto di agire come uno stato canaglia.
Per fare un esempio, un paio di settimane fa, le forze speciali Usa hanno preso un sospetto, Abu Anas al-Libi, dalle strade della capitale libica Tripoli, portandolo su una nave da guerra per l'interrogatorio senza avvocato o diritti. Il segretario di Stato americano John Kerry ha fatto sapere alla stampa che le azioni sono legali perché sono conformi con il diritto americano, senza suscitare alcun particolare commento.
I principi sono validi solo se sono universali. Le reazioni sarebbero un po' diverse, manco a dirlo, se le forze speciali cubane avessero rapito il prominente terrorista Luis Posada Carriles a Miami, portandolo a Cuba per l'interrogatorio e il processo in conformità alla legge cubana.
Tali azioni sono limitate agli Stati canaglia. Più precisamente, a quegli Stati canaglia abbastanza potenti da agire impuniti: in questi ultimi anni, per svolgere aggressioni a volontà, terrorizzare le grandi regioni del mondo, con gli attacchi dei droni, e molto altro.
E a sfidare il mondo in altri modi, ad esempio persistendo nel suo embargo contro Cuba, nonostante l'opposizione di lunga durata di tutto il mondo, oltre a Israele, che ha votato con il suo protettore, quando le Nazioni Unite hanno condannato ancora una volta l'embargo nel mese di ottobre.
Qualunque cosa il mondo possa pensare, le azioni degli Usa sono legittime perché diciamo così. Il principio fu enunciato dall'eminente statista Dean Acheson nel 1962, quando diede istruzioni alla Società americana di diritto internazionale, in base alle quali nessun problema giuridico si pone quando gli Stati Uniti rispondono a una sfida per il loro «potere, posizione e prestigio».
Cuba ha commesso quel delitto, quando ha sconfitto un'invasione proveniente dagli Stati Uniti, e poi ha avuto l'ardire di sopravvivere a un assalto progettato per portare «i terroristi della terra» a Cuba, nelle parole dello storico Arthur Schlesinger, consigliere di Kennedy.
Quando gli Stati Uniti hanno ottenuto l'indipendenza, hanno cercato di unirsi alla comunità internazionale del tempo. È per questo che la Dichiarazione d'Indipendenza si apre esprimendo la preoccupazione per il «rispetto delle opinioni dell'umanità».
Un elemento cruciale fu l'evoluzione da una confederazione disordinata verso un'unica «nazione degna di stipulare trattati», secondo l'espressione storica del diplomatico Eliga H. Gould, che osservava le convenzioni dell'ordine europeo. Con il raggiungimento di questo status, la nuova nazione otteneva anche il diritto di agire a suo piacimento a livello nazionale.
Essa poteva quindi procedere a liberarsi della popolazione indigena e a espandere la schiavitù, una istituzione così odiosa che non poteva essere tollerata in Inghilterra, come l'illustre giurista William Murray, conte di Mansfield, stabilì nel 1772. L'evoluzione del diritto inglese era un fattore che spingeva la società schiavista a sfuggire alla sua portata.
Il diventare una «nazione degna di stipulare trattati» conferì molteplici vantaggi: il riconoscimento da parte degli altri Stati e la libertà di agire senza interferenze a casa propria.
Il potere egemonico fornisce l'opportunità di diventare uno Stato canaglia, sfidando liberamente il diritto internazionale e le sue norme, mentre affronta una crescente resistenza all'estero e contribuisce al proprio declino attraverso ferite auto inflitte.
Durante l'ultima puntata della farsa di Washington che ha stupito e divertito il mondo, un commentatore cinese ha scritto che se gli Usa non possono essere un membro responsabile del sistema mondiale, forse il mondo dovrebbe «de-americanizzarsi», separarsi dallo Stato canaglia che regna tramite il suo potere militare, ma sta perdendo credibilità in altri settori.
La fonte diretta dello sfacelo di Washington è stato il forte spostamento a destra della classe politica.
In passato, gli Usa sono stati talvolta descritti ironicamente (ma non erroneamente) come uno Stato avente un unico partito: il partito degli affari, con due fazioni chiamate democratici e repubblicani.
Questo non è più vero. Gli Usa sono ancora uno Stato a partito unico, il partito azienda. Ma hanno una sola fazione: i repubblicani moderati, ora denominati New Democrats (come la coalizione al Congresso Usa designa se stessa).
Esiste ancora una organizzazione repubblicana, ma essa da lungo tempo ha abbandonato qualsiasi pretesa di essere un partito parlamentare normale. Il commentatore conservatore Norman Ornstein, dello Enterprise Institute, descrive i repubblicani di oggi come «una rivolta radicale, ideologicamente estrema, sdegnosa dei fatti e dei compromessi, che disprezza la legittimità della sua opposizione politica». In altre parole, un grave pericolo per la società.
Il partito è al servizio dei più ricchi e del settore delle imprese. Siccome i voti non possono essere ottenuti a quel livello, il partito è stato costretto a mobilitare settori della società che per gli standard mondiali sono estremisti. Pazza è la nuova norma tra i membri del Tea Party e una miriade di altri gruppi, al di là della corrente tradizionale.
La classe dirigente repubblicana e i suoi sponsor d'affari avevano previsto di usarli come ariete nell'assalto neoliberista contro la popolazione, per privatizzare, deregolamentare e limitare il governo, pur mantenendo quelle parti che sono al servizio della ricchezza e del potere, come i militari.
La classe dirigente repubblicana ha avuto un certo successo, ma ora si accorge che non riesce più a controllare la sua base, con sua grande costernazione. L'impatto sulla società americana diventa così ancora più grave. Un esempio: la reazione virulenta contro l'Affordable Care Act (Atto sulla salute conveniente, è il piano nazionale per la sanità, più noto in Italia come Obama Care) e il quasi shutdown (spegnimento, arresto) del governo federale.
L'osservazione del commentatore cinese non è del tutto nuova. Nel 1999, l'analista politico Samuel P. Huntington avvertiva che per gran parte del mondo, gli Usa stanno «diventando la superpotenza canaglia», visti come «la più grande minaccia esterna per le loro società».
A pochi mesi dall'inizio del mandato di Bush, Robert Jervis, presidente della American Political Science Association, avvertiva che «Agli occhi di gran parte del mondo, infatti, il primo Stato canaglia oggi sono gli Stati Uniti».
Sia Huntington che Jervis hanno avvertito che un tale corso è imprudente. Le conseguenze per gli Stati Uniti potrebbero essere deleterie.
Nell'ultimo documento emanato da "Foreign Affairs", David Kaye esamina un aspetto dell'allontanamento di Washington dal mondo: il rifiuto dei trattati multilaterali, «come se si trattasse di sport».
Egli spiega che alcuni trattati vengono respinti in modo definitivo, come quando il Senato degli Stati Uniti «ha votato contro la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità nel 2012 e il Comprehensive Nuclear - Test Ban Treaty (il trattato sulla messa al bando del nucleare o Ctbt), nel 1999».
Altri trattati sono scartati dal non agire, inclusi «temi come il lavoro, i diritti economici e culturali, le specie in pericolo di estinzione, l'inquinamento, i conflitti armati, il mantenimento della pace, le armi nucleari, la legge del mare, e la discriminazione contro le donne».
Scrive Kaye: «Il rifiuto degli obblighi internazionali è cresciuto in modo così radicato, che i governi stranieri non si aspettano più la ratifica di Washington o la sua piena partecipazione nelle istituzioni create dai trattati. Il mondo va avanti; le leggi vengono fatte altrove, con limitato (quando c'è) coinvolgimento americano».
Anche se non è nuova, la pratica si è effettivamente consolidata in questi ultimi anni, insieme con l'accettazione tranquilla all'interno della nazione della dottrina che gli Usa hanno tutto il diritto di agire come uno stato canaglia.
Per fare un esempio, un paio di settimane fa, le forze speciali Usa hanno preso un sospetto, Abu Anas al-Libi, dalle strade della capitale libica Tripoli, portandolo su una nave da guerra per l'interrogatorio senza avvocato o diritti. Il segretario di Stato americano John Kerry ha fatto sapere alla stampa che le azioni sono legali perché sono conformi con il diritto americano, senza suscitare alcun particolare commento.
I principi sono validi solo se sono universali. Le reazioni sarebbero un po' diverse, manco a dirlo, se le forze speciali cubane avessero rapito il prominente terrorista Luis Posada Carriles a Miami, portandolo a Cuba per l'interrogatorio e il processo in conformità alla legge cubana.
Tali azioni sono limitate agli Stati canaglia. Più precisamente, a quegli Stati canaglia abbastanza potenti da agire impuniti: in questi ultimi anni, per svolgere aggressioni a volontà, terrorizzare le grandi regioni del mondo, con gli attacchi dei droni, e molto altro.
E a sfidare il mondo in altri modi, ad esempio persistendo nel suo embargo contro Cuba, nonostante l'opposizione di lunga durata di tutto il mondo, oltre a Israele, che ha votato con il suo protettore, quando le Nazioni Unite hanno condannato ancora una volta l'embargo nel mese di ottobre.
Qualunque cosa il mondo possa pensare, le azioni degli Usa sono legittime perché diciamo così. Il principio fu enunciato dall'eminente statista Dean Acheson nel 1962, quando diede istruzioni alla Società americana di diritto internazionale, in base alle quali nessun problema giuridico si pone quando gli Stati Uniti rispondono a una sfida per il loro «potere, posizione e prestigio».
Cuba ha commesso quel delitto, quando ha sconfitto un'invasione proveniente dagli Stati Uniti, e poi ha avuto l'ardire di sopravvivere a un assalto progettato per portare «i terroristi della terra» a Cuba, nelle parole dello storico Arthur Schlesinger, consigliere di Kennedy.
Quando gli Stati Uniti hanno ottenuto l'indipendenza, hanno cercato di unirsi alla comunità internazionale del tempo. È per questo che la Dichiarazione d'Indipendenza si apre esprimendo la preoccupazione per il «rispetto delle opinioni dell'umanità».
Un elemento cruciale fu l'evoluzione da una confederazione disordinata verso un'unica «nazione degna di stipulare trattati», secondo l'espressione storica del diplomatico Eliga H. Gould, che osservava le convenzioni dell'ordine europeo. Con il raggiungimento di questo status, la nuova nazione otteneva anche il diritto di agire a suo piacimento a livello nazionale.
Essa poteva quindi procedere a liberarsi della popolazione indigena e a espandere la schiavitù, una istituzione così odiosa che non poteva essere tollerata in Inghilterra, come l'illustre giurista William Murray, conte di Mansfield, stabilì nel 1772. L'evoluzione del diritto inglese era un fattore che spingeva la società schiavista a sfuggire alla sua portata.
Il diventare una «nazione degna di stipulare trattati» conferì molteplici vantaggi: il riconoscimento da parte degli altri Stati e la libertà di agire senza interferenze a casa propria.
Il potere egemonico fornisce l'opportunità di diventare uno Stato canaglia, sfidando liberamente il diritto internazionale e le sue norme, mentre affronta una crescente resistenza all'estero e contribuisce al proprio declino attraverso ferite auto inflitte.
Venerdì, 08 Novembre 2013 09:34
Il migliore dei non ebrei merita di essere ucciso. Razzismo e rabbinato contemporaneo
Riportiamo questo articolo dal sito ufficiale della Fraternità Sacerdotale San Pio X (www.sanpiox.it). L'autore è Andrea Giacobazzi, collaboratore di Radio Spada.
"Ṭob shebe-goyyim harog": "Il migliore dei gentili [non ebrei] merita di essere ucciso". Così afferma, nel Talmud, Simon ben Yoḥai. Questa espressione, commenta la Jewish Encyclopedia, è "spesso citata dagli antisemiti"[1].
Frequentemente, nell'affrontare il tema della xenofobia rabbinica si ricorre alla citazione dei testi tradizionali ebraici attraverso i quali interpretare determinati risvolti storici del giudaismo. Ciò che faremo nelle righe che seguono ribalta questa prospettiva, ovvero partendo da dichiarazioni di autorevoli rabbini di epoca contemporanea - molti dei quali ancora viventi ed attivi – andremo a confermare quelli che sono gli aspetti più problematici dell'antica ed attuale avversione rispetto ai gentili (goyim, non ebrei). Nel fare questo, abbiamo selezionato - da un insieme ben più ampio - una serie di dichiarazioni e appelli: se si fosse raccolto tutto il materiale a disposizione sarebbero stati necessari spazi decisamente superiori a quelli di questo saggio breve. La quasi totalità delle citazioni sono tratte dalla stampa mainstream israeliana (Haaretz, Jerusalem Post, Yedioth Ahronoth, ecc.).
Affermazioni che sminuiscono o negano la dignità e l'umanità dei non-ebrei
(NELLA FOTO: Ovadia con il premier israeliano Netahnyahu)
Uno degli esponenti religiosi che probabilmente ci fornisce maggiori spunti di analisi è Ovadia Yosef, nel 1970 vincitore dell'Israel Prize per la letteratura rabbinica, dal 1973 al 1983 ricoprì l'incarico di Rabbino Capo sefardita d'Israele. Guida spirituale del partito religioso Shas, nel 2005 fu votato - in un sondaggio di Ynet - come il 23° più grande israeliano della storia[2].
"I non ebrei sono nati solo per servire noi. Senza questa funzione, non hanno motivo di essere al mondo" disse in un suo sermone dell'ottobre 2010. [...] Devono morire, ma [Dio] dà loro una lunga vita. Perché? Immaginate: se l'asino di una persona morisse, questa perderebbe i suoi soldi, questo è il suo servo.. Ecco perché ha una lunga vita: per lavorare bene per questo ebreo". "Perché c'è bisogno dei gentili? Questi lavoreranno, areranno la terra, mieteranno e noi staremo seduti come dei signori e mangeremo"[3]. Sempre nel 2010 augurò che "sparissero dal mondo tutte le persone disgustose che odiano Israele (come Abu Mazen)" e che potessero essere "colpite dalla peste insieme a tutti i cattivi palestinesi persecutori dello Stato ebraico"[4]. Parlando degli arabi in un sermone del 2001 disse che "era vietato avere pietà di loro", che bisognava "lanciare missili contro di loro e annientarli", definendoli "perfidi e dannati"[5]. Quando l'uragano Katrina devastò New Orleans, sostenne che questo fatto aveva avuto luogo "perché non c'era abbastanza studio della Torah... gente negra risiedeva là (in New Orleans). I negri studieranno la Torah? [Dice Dio] portiamo uno tsunami e anneghiamoli [...] Centinaia di migliaia sono rimasti senza casa, decine di migliaia sono stati uccisi, tutto questo perché erano senza Dio"[6]. Aggiunse: "Dietro l'espulsione di Gush Katif [insediamento israeliano a Gaza] c'era Bush, incoraggiò Sharon: [...] 15.000 persone sono state espulse là e qui ne sono state espulse 150.000, è un castigo di Dio"[7]. In ambito medico, l'eminente rabbino, pur offrendo soluzioni halachiche per evitare problemi legali, dichiarò: "Se un gentile è ferito in un incidente stradale durante lo Shabbat, ed è portato all'ospedale [in Israele] non dovrebbe essere curato, ma nella realtà i pazienti sono ricoverati e devono essere trattati"[8]. In anni precedenti il più avveduto il Rabbino Capo ashkenazita Isser Yehuda Unterman, aveva invece stabilito che i dottori ebrei erano tenuti a soccorrere i pazienti non ebrei anche durante lo Shabbat.
In relazione alla sostanziale negazione della dignità umana dei non ebrei, rabbi Mordechai Eliyahu si colloca sulla medesima scia del suo predecessore. Rabbino Capo sefardita d'Israele dal 1983 al 1993, fu definito sul quotidiano Haaretz come "an eloquent racist"[9]: "elogiò appassionatamente"[10], il rabbino-terrorista Meir Kahane in occasione del suo funerale. Nel 2008 durante la celebrazione dell'anniversario dell'attacco che portò alla morte di otto studenti di una scuola rabbinica affermò: "Anche quando si cerca vendetta è bene mettere in chiaro una cosa: la vita di un ragazzo che studia in una yeshiva vale più delle vite di 1.000 arabi. Il Talmud stabilisce che se dei gentili derubano Israele d'argento, dovranno restituire in oro [...] ma in casi come questi non c' nulla da restituire dato che, come ho detto, la vita di un ragazzo che studia in una yeshiva vale più delle vite di 1.000 arabi"[11]. Eliyahu non mancò di precisare, nel maggio 2007, che tutti i civili di Gaza erano collettivamente responsabili per il lancio di razzi Kassam su Sderot. Matthew Wagner, sul Jerusalem Post, spiegò che il rabbino affermò la non proibizione dell'uccisione di civili durante una potenziale operazione massiva su Gaza con lo scopo di fermare i colpi. In accordo con l'etica di guerra ebraica, "ad un intera città si applicava la responsabilità collettiva per il comportamento immorale di individui[...]". Il figlio di rabbi Mordecahi, Shmuel Eliyahu (Rabbino Capo di Safed), disse che il padre - opponendosi ad operazioni di terra che mettessero in pericolo soldati israeliani - proponeva un bombardamento a tappeto dell'area dalla quale i Kassam erano lanciati, tutto questo "regardless of the price in Palestinian life". Aggiunse: "Se non si fermano dopo che ne avremo uccisi 100, allora dovremo ucciderne 1.000, se non si fermano ancora, dovremo ucciderne 100.000, anche un milione. Qualunque cosa per farli smettere"[12].
Sulla dignità e la vita dei gentili anche il Rabbino Capo ashkenazita della Palestina (Mandato Britannico) Abraham Isaac Kook (1921-1935), era stato chiaro: "La differenza tra un'anima ebraica e le anime dei non ebrei è più ampia e profonda della differenza tra l'anima umana e quella del bestiame"[13].
Rabbi Kook
Similmente a quanto fin qui riportato, dai vertici di uno dei più importanti movimenti ebraici esistenti al mondo (Chabad Lubavich, 4000centri in oltre 50 nazioni) ci giungono dichiarazioni che lasciano poco spazio alla discussione. Rabbi Menachem Mendel Schneerson fu il settimo Rebbe: guidò e sviluppò questa comunità fino al suo ultimo giorno di vita (1994). Dopo la sua morte gli fu attribuita la Medaglia d'Oro del Congresso Americano.Alcuni tratti dei suoi discorsi sono facilmente sovrapponibili a quelli che abbiamo visto fin qui: "Il corpo di una persona ebrea è di una qualità totalmente differente rispetto al corpo dei membri di tutte le altre nazioni del mondo [...] L'intera creazione esiste solo per gli ebrei"[14]. "Esistono due tipi contrari di anima, quella non ebraica viene da tre sfere sataniche mentre quella ebraica deriva dalla santità [...]. Il corpo di un embrione ebraico è su un livello più alto del corpo di un non ebreo"[15]. Queste parole del Rebbe non sono certo un caso isolato nel movimento, si pensi che il rabbino Manis Friedman (che aiutò Bob Dylan a entrare in relazione con Chabad) arrivò a sostenere: "Il solo modo di combattere una guerra morale è il modo ebraico: distruggere i loro luoghi santi. Uccidere uomini, donne e bambini (e bestiame)"[16]. Queste dichiarazioni causarono forti polemiche e Friedman decise di chiarire, misurando il senso delle sue parole e virando verso "respect and compassion"[17]. Rabbi Yitzhak Ginsburg, anche lui importante membro del movimento Chabad, nel 1989 commentando gli attacchi contro i palestinesi offrì una giustificazione religiosa in base alla visione secondo cui "lo spargimento di sangue non ebraico era un reato minore rispetto lo spargimento di sangue ebraico", del resto, per lui "qualsiasi processo basato sul presupposto che ebrei e goyim fossero uguali era una parodia totale della giustizia"[18].
Il Rabbino Capo Avraham Shapira, per bilanciare il peso di queste espressioni, pensò giusto fare una precisazione sulla creazione degli uomini ad immagine di Dio. Questo tuttavia non deve far credere che Shapira avesse idee particolarmente moderate: tra le altre cose, con un pronunciamento del 1995, tentò di ostacolare l'accordo di pace di Oslo chiedendo di non "trasferire le aree ai gentili" e nel 1994 invitò i soldati a disubbidire agli ordini relativi all'evacuazione di Hebron[19]. Ma torniamo a rabbi Ginsburg: nell'aprile del 1996 sul Jewish Week (uno dei più diffusi settimanali ebraici statunitensi, 70.000 copie a settimana) scrisse: "Se un ebreo ha bisogno di un fegato, può prenderlo da un non ebreo innocente per salvarsi? La Torah probabilmente lo permetterebbe. La vita ebraica ha un valore infinito. C'è qualcosa di più sacro e unico nella vita ebraica che in quella non ebraica"[20]. Tra i discepoli di Ginsburg è annoverato rabbi Yitzhak Shapira, coautore (insieme con rabbi Yosef Elitzur) de La Torah del Re (2009). Il libro portò all'arresto del religioso israeliano per avere sostenuto, tra le altre cose, la liceità dell'uccisione di bambini innocenti che in futuro avrebbero potuto rappresentare un eventuale "pericolo" per lo Stato diventando "perfidi come i loro genitori"[21]. Il clamore suscitato fu tale che non mancarono autorevoli dissociazioni: le conseguenze della pubblicazione di questi contenuti allarmarono lo stesso Ovadia Yosef. Ancora nell'ottobre del 2010 rabbi Shapira si disse favorevole all'uso dei palestinesi come scudi umani: "La vostra vita è più importante di quella del nemico" e aggiunse che un soldato non dovrebbe mai mettersi in pericolo a causa di un civile[22]. Tra i più famosi difensori di Shapira erano annoverati rabbi Yaacov Yosef (membro di spicco del partito Shas e figlio di Ovadia Yosef) e rabbi Dov Lior. Con l'accusa di "incitamento" furono coinvolti nelle indagini della polizia israeliana ed ebbero modo di affermare che "la Torah non è aperta alle investigazioni"[23].
In una libreria di Gerusalemme: "La Torah del Re"
Rabbi Yaakov Yosef, che incontreremo ancora in questo testo per le sue dichiarazioni quantomeno controverse, morì nell'aprile 2013, il rabbino capo askenazita d'Israele in carica (2003-2013), Yona Metzger, in occasione dei funerali – cui parteciparono 80.000 persone - disse che la sua morte era "un'enorme perdita per il popolo ebraico, la Terra d'Israele e il mondo sefardita. La verità era il suo principio guida"[24]. Rabbi Dov Lior - l'altro esponente religioso arrestato - è certamente una fonte di spunti non inferiore a quelle fin qui analizzate. Rabbino capo di Hebron, direttore della scuola talmudica di Kiryat Arba, guida del Council of Rabbis of Judea and Samaria. Definì il terrorista Baruch Goldstein "più santo di tutti i martiri dell'olocausto"[25]: nel 1994, il giorno di Purim, Goldstein entrò nella Grotta dei Patriarchi e uccise 29 arabi, ferendone 125 (al suo funerale un altro rabbino, Yaacov Perrin, sostenne "un milione di arabi non sono degni di un'unghia di un ebreo"[26]). Al momento dell'arresto di Dov Lior i due Rabbini Capo d'Israele, l'ashkenazita (Yona Metzger) e il sefardita (Shlomo Amar) diffusero un comunicato congiunto per condannare il fermo: "Ci rammarichiamo per la grave offesa all'onore di un importante rabbino, [che è] uno dei più grandi di Israele e leader della società religiosa"[27]. Anche recentemente Dov Lior si è lanciato in affermazioni a dir poco taglienti: come riferisce Ynetnews, asserì che una donna giudea non dovrebbe mai restare incinta a causa del seme donato da un non ebreo, "anche se questa fosse l'ultima opzione". Il bambino avrebbe "tratti genetici negativi che caratterizzano i gentili [...], tratti di crudeltà, tratti barbarici" che "non sono propri del popolo d'Israele". I giudei hanno caratteristiche positive che possono essere ereditate: "Una persona nata da genitori israeliti, anche non cresciuti nello spirito della Torah, possiede elementi che sono passati dal sangue, è genetico"[28]. Queste affermazioni riconducibili ad un certo razzismo "biologico", attraverso le quali emerge una contrapposizione uomo-barbaro, non devono colpire: la stessa Jewish Encyclopedia, evidenzia come nella tradizione giudaica non sia inedita una interpretazione in base alla quale "solo gli ebrei sono uomini" e i gentili sono non raramente classificati come barbari[29]. Credenze di questo tipo le incontreremo anche in seguito, nel paragrafo Affermazioni relative al "sangue ebraico".
Il terrorista Baruch Goldstein
Dov Lior ebbe pure modo di etichettare spregiativamente gli arabi in quanto crudeli "camel riders"[30] e di leggere l'isolamento internazionale di Israele e l'odio verso gli ebrei in tutto il mondo anche come "punizione per la demolizione di tre case nell'avamposto di Migron [...]"[31].
Proseguendo nel piccolo panorama che stiamo osservando risulta difficile non fare menzione di rabbi Aharon Leib Shteinman. Considerato come una guida nell'importante comunità Haredi, in base a quanto riferito da Israel HaYom, affermò: "Ci sono otto miliardi di persone nel mondo. E cosa sono? Assassini, ladri e soggetti senza senso. Dio creò il mondo per questi assassini? Il mondo fu creato per i giusti che studiano la Torah. Questo è lo scopo della creazione [...] Le nazioni del mondo non hanno qualità di redenzione"[32]. Nell'aprile 2013 rabbi Shteinman and rabbi Chaim Kanievsky offrirono "una spiegazione religiosa della crescita dell'antisemitismo in Europa, sostenendo che la polarizzazione tra ebrei ed altre nazioni si è rafforzata grazie alla Provvidenza divina per prevenire i matrimoni misti". In una lettera inviata ai partecipati alla Conference of European Rabbis, i due rabbini scrissero che "avvicinarsi ai gentili è un male doloroso, come apprendiamo dai loro atti e - Dio non voglia - assimilandoci con loro. Quando ci si avvicina, Dio separa [ebrei e gentili] tra loro, aumentando l'odio delle nazioni"[33]. Nel caso in cui queste parole sembrassero discriminatorie, una spiegazione potrebbe essere fornita da Rabbi Yosef Scheinen (guida della yeshiva di Ashdod), il quale non esitò a riconoscere che "il razzismo ha origine nella Torah"[34].
Se la dignità dei goyim pare oggetto di energici attacchi, a volte anche gli ebrei non religiosi finiscono per scivolare in una condizione non dissimile dai gentili. Su Haaretz, Admiel Kosman, riflettendo sul pensiero di rabbi Shagar (Rabbi Shimon Gershon Rosenberg, "uno dei più importanti leader spirituali e filosofi del sionismo religioso", scomparso nel 2007) annota: Shagar vedeva nel ritorno a quartieri separati la soluzione del problema. Solo in questo modo "l'ebreo secolare può ricevere il rispetto che merita come essere umano dal credente religioso, poiché come "straniero" ha cessato di essere una minaccia. Shagar pensa che tanto più l'ebreo religioso percepisce l'ebreo secolare come "altro", come una sorta di "goy" che vive nel quartiere, tanto più può rispettarlo"[35].
L'avversione descritta in queste pagine ha spesso portato a conseguenze angoscianti. Nel maggio del 2008, l'ANSA diffondeva una nota, ripresa da vari giornali italiani e stranieri in cui si dava la notizia: "Centinaia di volumi del Nuovo Testamento sono stati dati pubblicamente alla fiamme giovedì scorso nella città israeliana di Or Yehuda (Tel Aviv) su istruzione del vicesindaco Uzi Aharon". Seguivano la scena "centinaia di allievi di una scuola ortodossa". Aharon spiegò di essere impegnato in una lotta serrata per contrastare le attività di missionari cristiani[36]. Nel dicembre 2010 – come riferito dal Jerusalem Post – situazioni come quella appena descritta furono osservate da numerosi ed importanti esponenti cristiani spaventati dagli atteggiamenti razzisti e dai "proclami anti-arabi e anti-gentili"[37]. Ancora nel 2012, Padre Pierbattista Pizzaballa, Custode della Terra Santa denunciava che "la passività della polizia e una cultura volta a incoraggiare i bambini a trattare i cristiani con disprezzo" rendeva "sempre più intollerabile la situazione"[38]. Sebbene inusuali per un esponente così in vista del clero, le parole di Pizzaballa si resero necessarie dal momento in cui degli estremisti pro-insediamenti attaccarono il monastero trappista a Latroun[39]. La porta "fu bruciata e le pareti ricoperte di graffiti anti-cristiani" arricchiti con insulti irriferibili a Nostro Signore. In quell'anno, l'incidente appena narrato, fu uno "di una serie di atti a carattere incendiario e vandalico che prendevano di mira i luoghi di culto". Sui muri del Monastero della Croce (XI secolo), furono lasciate scritte offensive e dipinte frasi del tipo "morte ai cristiani"[40].
Il quotidiano Haaretz ci porta testimonianza di un'altra inaccettabile abitudine, quella di sputare contro i sacerdoti cristiani: "i giovani ultra-ortodossi maledicono e sputano routinariamente sul clero cristiano nella Città Vecchia di Gerusalemme. In molti casi i sacerdoti ignorano gli attacchi ma a volte rispondono"[41].
Atti vadalici a Latroun
Affermazioni che incitano alla discriminazione dei non ebrei
Le offese alla dignità dei gentili hanno come conseguenza immediata l'istigazione alla discriminazione. Così annotava, nel luglio 2010, il sito del Jerusalem Post: "più di 40 rabbini municipali hanno firmato una petizione [...] dicendo che gli ebrei non dovrevano affittare case in Israele ai gentili. Tra le ragioni per la proibizione c'era il pericolo di matrimonio misto e l'abbassamento dei prezzi immobiliari nelle zone in cui non ebrei vivono. [Inoltre] il diverso stile di vita dei gentili (rispetto agli ebrei) poteva mettere in pericolo vite". La lettera fu firmata da esponenti di primissimo piano del rabbinato, molti dei quali già incontrati nelle righe precedenti. Tra i più noti: Rabbi Yaakov Edelstein di Ramat HaSharon, Haim Pinto di Ashdod, Dov Lior di Kiryat Arba, David Abuhazeira di Yavne, David Bar-Chen di Sderot e altri ancora. Oltre ad essi firmò Rabbi Shlomo Aviner, Rabbi Yaakov Yosef e i leaders della comunità haredi, Rabbi Yosef Shalom Elyashiv e Rabbi Avigdor Neventzal. Tra i più convinti detrattori dell'"affitto ai gentili", emerse il già citato Rabbi Shmuel Eliyahu di Safed[42]. Quest'ultimo, trovandosi in corsa per l'incarico di rabbino capo sefardita d'Israele, vide opporsi alle sue ambizioni il membro del parlamento israeliano Esawi Frij (del partito Meretz) che definì Eliyahu "un razzista primitivo, che incita e che odia gli arabi". Per Frij era "un oltraggio che qualcuno che ha chiesto di non affittare appartamenti agli studenti arabi a Safed potesse ottenere un premio per il suo razzismo e diventare Rabbino Capo d'Israele"[43].
Anche in ambito di scelte commerciali paiono sussistere atteggiamenti discriminatori. Rabbi Yaakov Yosef affermò: "Se abbiamo davanti a noi due negozi – uno posseduto da un ebreo e l'altro da un non-ebreo (o un ebreo che si comporta come un gentile) – è nostro dovere comprare dall'ebreo timorato di Dio". Questo vale anche nel caso di "ristrutturazione della casa o trasloco". Si deve preferire l'impiego di lavoratori religiosi ed è permesso trasgredire solo per differenze di prezzo "superiori al 16.6%"[44].
Rabbi Shlomo Aviner (citato poco fa, "guida della Ateret Yerushalayim yeshiva di Gerusalemme" e "importante rabbino sionista"), aggiunge a quanto visto fin qui alcuni elementi curiosi. Prendendo le difese dell'ex presidente israeliano Katsav e mettendo in discussione alcuni aspetti del sistema giudiziario israeliano sostenne, per la presenza tra i giudici di un arabo cristiano, che la sentenza era stata emessa da una "corte di gentili"[45]. Durante l'operazione Cast Lead a Gaza, pubblicò un controverso libretto, distribuito dal rabbinato delle forze armate. In una sezione, giustificava la possibilità di colpire i civili e diceva che la "crudeltà era una cattiva qualità, ma tutto dipendeva da quando"[46].
Soldati e religiosi
Alcuni dubbi sui diritti di cittadinanza furono avanzati da Rabbi Melamed, capo della yeshiva di Beit El. Ynet titolò: "Rabbi: Revoke citizenship of non-Jews". Citiamo: "Il nostro obiettivo ideale per la terra d'Israele, in tutti i suoi confini, è che sia riempita dal popolo d'Israele, come fu promesso al nostro padre Abramo [...]"."Melamed chiede di spogliare gli arabi israeliani dei loro diritti civili": "Anche quelli con un punto di vista democratico capiscono che dobbiamo limitare i diritti di coloro che vogliono fare del male allo Stato. Ci sono molti non ebrei in Israele che si sforzano di indebolire il Paese"[47].
Opinioni non isolate secondo un recente sondaggio israeliano, tra gli ultra-ortodossi: "il 70% sosterrebbe la necessità di escludere gli arabi israeliani dal voto, l'82% il trattamento preferenziale dallo Stato verso gli ebrei e il 95% sarebbe a favore della discriminazione degli arabi nell'ammissione al lavoro"[48].
Affermazioni relative al "sangue ebraico"
Scorrendo le pagine dell'edizione online del Jerusalem Post è possibile incontrare una singolare domanda sull'ebraicità cui autorevolmente rispose Rav Shlomo Brody (laureato ad Harvard, semicha ottenuta dal rabbinato centrale di Israele):
"[...]Un rabbino conservatore ha garantito la mia ebraicità in quanto sono nato da madre ebrea. La parte complessa è che, anche se mia madre nacque ebrea, si convertì al cristianesimo ben prima della mia nascita. Sono cresciuto cattolico - dal Battesimo fino alla Cresima - ma mia mamma in seguito mi ha permesso di praticare il giudaismo con gli amici e le loro famiglie. Sono ebreo? [...]". Dopo una lunga introduzione, il rabbino conclude: "Dal momento che la madre biologica nacque ebrea, i figli degli apostati mantengono la loro identità giuridica ebraica, e non richiedono alcun processo di conversione formale per tornare all'ovile (Pit'hei Teshuva YD 268:10). Se i dati forniti sono esatti, la stragrande maggioranza dei rabbini sosterrebbe la tua ebraicità"[49]. Una ulteriore e non necessaria conferma del carattere "biologico" della trasmissione dell'ebraismo.
Già abbiamo visto le dichiarazione di rabbi Dov Lior sugli esiti "barbarici" della paternità gentile: in un'ottica di questo tip il "matrimonio misto" non può che essere scoraggiato. Nel 1964 il Rabbinical Council of America chiese a tutti i rabbini di rifiutare la celebrazione di matrimoni in cui erano coinvolti non ebrei. Il Consiglio sostenne che in base ad una ricerca il 70% dei bambini nati da matrimoni misti non seguiva il giudaismo mettendo in pericolo la sussistenza della religione[50]. Rabbi Meir Lau, Rabbino Capo emerito ashkenazita d'Israele e Yad Vashem Council Chairman - sostanzialmente allineato a questa impostazione – affermò: "Sposare i gentili è fare il gioco dei nazisti"[51] [...].
Nel dicembre 2010 un gruppo (ovviamente non "ortodosso") di 30 donne "rabbino" riformate, reagendo alla lettera di diverse mogli di rabbini che chiedevano alle ragazze ebree di stare alla larga dai giovani arabi, diramarono una dichiarazione nella quale si denunciava l'ondata "di incitazione ed intimidazione razziali che non aveva ricevuto la risposta appropriata dai dirigenti del Paese e dalle forze dell'ordine"[52].
A volte queste campagne religiose hanno portato all'identificazione di bersagli precisi. Rabbi Yisrael Rosen, capo dello Zomet Institute, nel marzo 2011 lanciò un feroce attacco contro Einat Wilf (membro della Knesset, gruppo: Independence) per il suo matrimonio con un non ebreo, aggiungendo l'invito a boicottare le sue attività pubbliche[53]. Anche fuori dal parlamento non sono mancati episodi significativi: nel dicembre 2010 a Bat Yam, circa 200 persone fecero una manifestazione attaccando "le relazioni tra le donne ebree locali e uomini arabi". Uno dei manifestanti disse: "ogni donna ebrea che va con un arabo dovrebbe essere uccisa, ogni ebreo che vende la sua casa ad un arabo dovrebbe essere ucciso". Alcuni insultarono Maometto e diedero luogo a commenti razzisti conto gli arabi[54].
Proteste a Bat Yam
Conclusione
Quanto scritto - lo abbiamo accennato nelle prime righe - ha un origine chiara ed antica. Nel Talmud, nello Shulchan Aruch e in altri testi si trova la radice visibile di questa avversione. Lo stesso pensiero di Maimonide trasuda di espressioni anti-gentili. In anni non lontani, un eminentissimo prelato, fine studioso e protettore di molti ebrei durante l'occupazione di Roma come il Cardinale Ernesto Ruffini ribadì: "A nessuno certo sfugge che i giudei seguono ancor oggi la dottrina del Talmud, secondo la quale gli altri uomini vanno disprezzati perché simili alle bestie; tutti abbiamo anche verificato che essi spesso sono avversi alla nostra religione"[55].
Giovanni XXIII e il Card. Ruffini
Ogni ebreo considera i gentili come gli autorevoli rabbini elencati in precedenza? Ovvio che no, è evidente. Tuttavia un sondaggio dell'ottobre 2012 pubblicato dal quotidiano Haaretz (già citato), ha evidenziato l'ampia penetrazione del razzismo nella società israeliana e, cosa interessante, pare dimostrare un netto acuirsi di questi pregiudizi nei gruppi ortodossi. Questo clima religioso finisce inevitabilmente per ripercuotersi anche sulla parte secolare della società e sul governo. Si pensi, tra i molti esempi che si potrebbero fare, alle parole del religioso Eli Yishai, ministro degli Interni (partito Shas), che parlando degli immigrati, nel giugno 2012 dichiarò: "i musulmani che arrivano in Israele addirittura non credono che questo paese appartenga a noi, all'uomo bianco"[56]. Come non tutti gli ebrei, chiaramente non tutti i rabbini hanno pubblicamente esternato l'odio visto in precedenza: se, per esempio, rabbi Perrin elogiò il terrorista Goldstein, ragionevolmente, il rabbino capo inglese Jonathan Sacks condannò il gesto. Mettendo però da parte i sentimentalismi, nella posizione di Sacks troviamo un problema. Per quante citazioni in favore della pace possiamo trovare nei libri ebraici "ci ritroviamo con numerosi testi che invitano alla violenza nel nome di Dio, e questo rende difficile argomentare contro Perrin e simili su basi puramente testuali"[57]. In una religione priva di clero gerarchico a guida unitaria, e con alle spalle secoli di autoisolamento, gli elementi xenofobi hanno finito per superare ampiamente quelli di apertura portando la politica israeliana - anche laica - ad essere quella che conosciamo e gran parte della diaspora a sostenerla.
[1] Jewish Encyclopedia, 1906, "Gentile".
[2] Morto il 7 ottobre 2013. Il giorno seguente il profilo della comunità ebraica romana twittava: "La Comunità Ebraica piange la morte di Rav Ovadia Yossef pilastro del mondo ebraico sefardita".
[3] Marcy Oster, Sephardi leader Yosef: Non-Jews exist to serve Jews, Jewish Telegraphic Agency, October 18, 2010.
[4] BBC, Israel rabbi calls for 'plague' on Mahmoud Abbas, 30 August 2010: http://www.bbc.co.uk/news/world-middle-east-11127409
[5] BBC, Rabbi calls for annihilation of Arabs, 10 April, 2001: http://news.bbc.co.uk/2/hi/middle_east/1270038.stm 1
[6] Più "leggera" ma sempre significativa è la battuta fatta dal neoeletto Rabbino capo ashkenazita d'Israele David Lau (agosto 2013, figlio Meir Lau, Rabbino Capo emerito) di fronte agli studenti di una yeshiva. Parlando delle partite di basket disse:"What do you get out of it when the kushim who are paid by Tel Aviv beat the kushim who are paid by Greece?" [Cosa ve ne viene se dei negri pagati da Tel Aviv battono dei negri pagati dalla Grecia?]. Dopo la bufera di polemiche che seguì queste dichiarazioni, il rabbino sostenne che la frase "was a joke". Cfr.: Gil Hoffman, New chief rabbi widely condemned for racist comments, JPost.com, 07/30/2013: http://www.jpost.com/National-News/New-chief-rabbi-widely-condemned-for-comments-on-black-people-321529
[7] Zvi Alush, Ynetnews, Rabbi: Hurricane punishment for pullout, 09.07.05:
http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-3138779,00.html
[8] Ynetnews, Rabbi Yosef: Treating gentiles violates Sabbath, 05.17.12: http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4229767,00.html
[9] Anshel Pfeffer, Rabbi Mordechai Eliyahu – an eloquent racist, Haaretz, Jun. 11, 2010: http://www.haaretz.com/print-edition/news/anshel-pfeffer-rabbi-mordechai-eliyahu-an-eloquent-racist-1.295498
[10] Ibidem.
[11] Kobi Nahshoni, Ynetnews, Rabbi Eliyahu: Life of one yeshiva boy worth more than 1,000 Arabs, 04.03.08:
http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-3527410,00.html
[12] Matthew Wagner, Eliyahu advocates carpet bombing Gaza, Jpost, 05/30/2007: http://www.jpost.com/Israel/Eliyahu-advocates-carpet-bombing-Gaza
[13] Robert Pope, Honouring the Past and Shaping the Future: Religious and Biblical Studies in Wales : Essays in Honour of Gareth Lloyd Jones, Gracewing Publishing, 2003, p. 224.
[14] Israel Shahak, Norton Mezvinsky, Jewish fundamentalism in Israel, Pluto Press, 2004, pp. 91-92.
[15] Ibidem. / in Elliot R. Wofson, Open Secret: Postmessianic Messianism and the Mystical Revision of Menahem Mendel Schneerson, Columbia University Press, 2013, p. 392, n. 180: "The source for the souls of the righteous Gentiles is similarly identified as the shell of nogah, which is also the source of the natural soul in the Jew, whereas the soul of all other Gentiles is from the three shells of impurity"; Anche nei predecessori del settimo Rebbe questo aspetto ricorre. Sempre in Elliot R. Wofson, Open Secret: Postmessianic Messianism and the Mystical Revision of Menahem Mendel Schneerson, Columbia University Press, 2013, p. 235: "In the opening chapter of the first part of Tanya [תניא, aramaico per "fu insegnato" opera base scritta nel 1797 da Rabbi Shneur Zalman di Liadi, fondatore del movimento Chabad], we find the infamous distinction between the animal soul of the Jews and the animal soul of the idolatrous nations: the former derives from the shell of the radiance (nogah), which is from the Tree of Knowledge of Good and Evil whereas the latter derives from the remaining three impure shells 'in which there is no good at all".
[16] Nathaniel Popper, Chabad rabbi: Jews should kill Arab men, women and children during war, Haaretz, Jun. 9, 2009: http://www.haaretz.com/news/chabad-rabbi-jews-should-kill-arab-men-women-and-children-during-war-1.277616
[17] Ibidem.
[18] Alan Cowell, AN ISRAELI MAYOR IS UNDER SCRUTINY, The New York Times, June 06, 1989: http://www.nytimes.com/1989/06/06/world/an-israeli-mayor-is-under-scrutiny.html?scp=1&sq=Yitzhak&st=nyt
[19] Amin Saikal, Albrecht Schnabel, Democratization in the Middle East: Experiences, Struggles, Challenges, United Nations University Press, 2003, p. 153
[20] Israël Shahak, Norton Mezvinsky, Jewish fundamentalism in Israel, Pluto Press, 2004, p. 62, et cfr.: Motti Inbari, Jewish Fundamentalism and the Temple Mount: Who Will Build the Third Temple?, SUNY Press, 2009, p. 134
[21] Matthew Wagner, Shapira's distinction between Jewish, gentile blood, JPost.com, 01/28/2010:
http://www.jpost.com/Home/Shapiras-distinction-between-Jewish-gentile-blood
[22] Leading rabbi encourages IDF soldiers to use Palestinian human shields, Haaretz, Oct. 20, 2010:
http://www.haaretz.com/news/diplomacy-defense/leading-rabbi-encourages-idf-soldiers-to-use-palestinian-human-shields-1.320311 ["'Your life is more important than that of the enemy', Rabbi Yitzhak Shapira tells students, adding that a soldier should never put himself in danger even for the sake of a civilian"]
[23] Aviad Magnezi, Rabbis fail to report to police, YNetNews, 08.10.10: http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-3933241,00.html
[24] Rabbi Yaakov Yosef passes away at age 66, JPost.com, 04/12/2013: http://www.jpost.com/Jewish-World/Jewish-News/Son-of-Shas-spiritual-leader-passes-away-at-age-66-309640
[25] Sefi Rachlevsky, A racist, messianic rabbi is the ruler of Israel, Haaretz, Jul. 1, 2011: http://www.haaretz.com/print-edition/opinion/a-racist-messianic-rabbi-is-the-ruler-of-israel-1.370554
[26] Nadia Valman, Tony Kushner, Philosemitism, Antisemitism and 'the Jews': Perspectives from the Middle Ages to the Twentieth Century, Ashgate Publishing, Ltd., 2004, p. 64.
[27] Nir Hasson, Yaniv Kubovich, Chaim Levinson, Tomer Zarchin, Israel's chief clergy decries arrest of top rabbi who called for killing gentiles, Haaretz, Jun. 28, 2011: http://www.haaretz.com/print-edition/news/israel-s-chief-clergy-decries-arrest-of-top-rabbi-who-called-for-killing-gentiles-1.369935
[28] Kobi Nahshoni, 'Gentile sperm leads to barbaric offspring', YNetNews, 01.12.11:
http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4006385,00.html
[29] Jewish Encyclopedia, 1906, "Gentile".
[30] Kobi Nahshoni, Rabbi Lior: Arabs are 'evil camel riders', YNetNews, 09.20.11:
Http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4124816,00.html
[31] Ibidem.
[32] Yehuda Shlezinger, Edna Adato, 'Rabbi called world's non-Jews murderers, thieves, senseless', israelhayom.com, May 20, 2012: http://www.israelhayom.com/site/newsletter_article.php?id=4404
[33] Kobi Nachshoni, Rabbis: Act modestly to stop anti-Semitism, YNetNews, 04.23.13:
http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4371295,00.html
[34] Chaim Levinson, Top rabbis move to forbid renting homes to Arabs, say 'racism originated in the Torah', Haaretz, Dec. 7, 2010: http://www.haaretz.com/news/national/top-rabbis-move-to-forbid-renting-homes-to-arabs-say-racism-originated-in-the-torah-1.329327
[35] Admiel Kosman, Between Orthodox Judaism and nihilism, Haaretz, Aug. 17, 2012:
http://www.haaretz.com/weekend/week-s-end/between-orthodox-judaism-and-nihilism-1.458950
[36] (ANSA) – TEL AVIV, 20 MAG 2008 – Centinaia di volumi del Nuovo Testamento sono stati dati pubblicamente alla fiamme giovedì.
[37] Greer Fay Cashman, Christian leaders dismayed by anti-gentile attitudes, JPost.com, 12/30/2010:
http://www.jpost.com/National-News/Christian-leaders-dismayed-by-anti-gentile-attitudes
[38] Adrian Blomfield, Vatican official says Israel fostering intolerance of Christianity ,The Telegraph, 07 Sep 2012:
http://www.telegraph.co.uk/news/religion/9529123/Vatican-official-says-Israel-fostering-intolerance-of-Christianity.html
[39] Ibidem.
[40] Ibidem.
[41] Oz Rosenberg, Ultra-Orthodox spitting attacks on Old City clergymen becoming daily, Haaretz, Nov. 4, 2011:
http://www.haaretz.com/news/national/ultra-orthodox-spitting-attacks-on-old-city-clergymen-becoming-daily-1.393669
[42] 40 rabbis: Jews shouldn't rent, sell homes to gentiles, Jpost.com, 12/07/2010: http://www.jpost.com/Jewish-World/Jewish-News/40-rabbis-Jews-shouldnt-rent-sell-homes-to-gentiles
[43] Maayana Miskin, Meretz MK Seeks to Disqualify Rabbi Eliyahu, israelnationalnews.com, 4/30/2013:
http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/167612#.UnkRVhA4nG8
[44] Kobi Nahshoni, Rabbi: Buy only from religious storeowners, YNetNews, 05.27.09:
http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-3720560,00.html
[45] Kobi Nahshoni, Rabbi: Judge in Katsav trial a gentile, YNetNews, 02.28.11:
http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4035656,00.html
[46] Gershom Gorenberg, The Unmaking of Israel, HarperCollins, 2011 et Cfr.: Ben Lynfield, Army rabbi 'gave out hate leaflet to troops', The Independent, 27 jan. 2009: http://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/army-rabbi-gave-out-hate-leaflet-to-troops-1516805.html
[47] Kobi Nahshoni, Rabbi: Revoke citizenship of non-Jews, YNetNews, 04.28.08:
http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-3536627,00.html
[48] October 2012 Yisraela Goldblum Fund poll, presentato su Haaretz da Gideon Levy il 23 ottobre 2012.
[49] Shlomo Brody, Ask the Rabbi: Am I Jewish or not?, JPost.com, 09/11/2007: http://www.jpost.com/Jewish-World/Jewish-Features/Ask-the-Rabbi-Am-I-Jewish-or-not
[50] AJR Information, Vol. XIX, No. 2, Feb. 1964.
[51] Udi Avni, 'Intermarriage plays into Nazis' hands', YNetNews, 10.23.11:
http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4132384,00.html
[52] Jonah Mandel, Barak slams 'wave of racism' in rabbi, rebbetzin letters, JPost.com, 12/29/2010:
http://www.jpost.com/Diplomacy-and-Politics/Barak-slams-wave-of-racism-in-rabbi-rebbetzin-letters
[53] Ari Galahar, Rabbi: Boycott MK married to gentile, YNetNews, 03.03.11:
http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4028422,00.html
[54] Yoav Zitun, Bat Yam rally: Death to Jewish women who date Arabs, YNetNews, 12.21.10:
http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4002085,00.html
[55] Giovanni Miccoli, Due nodi: la libertà religiosa e le relazioni con gli ebrei, in Storia del concilio Vaticano II, IV, diretta da G. Alberigo, a cura di A. Melloni, Bologna 1999, p. 182.
[56] Dana Weiler-Polak, Israel enacts law allowing authorities to detain illegal migrants for up to 3 years, Haaretz, Jun. 3, 2012: http://www.haaretz.com/news/national/israel-enacts-law-allowing-authorities-to-detain-illegal-migrants-for-up-to-3-years-1.434127
[57] Nadia Valman, Tony Kushner, Philosemitism, Antisemitism and 'the Jews': Perspectives from the Middle Ages to the Twentieth Century, Ashgate Publishing, Ltd., 2004, p. 64.
Storia
Censura su Fidel e Mandela
di Atilio A, Boron
Articolo del politologo argentino Boron che ricorda i rapporti stretti tra Mandela e Castro ed il ruolo di Cuba nella sconfitta del regime razzista sudafricano.
Nelson Mandela è morto e ci lascia davvero soli in questo mondo cinico. Il cordoglio unanime, però, trascura alcuni aspetti del complesso e travagliato destino di Mandela e del suo popolo, per esempio, la necessità, negli anni 60 di far ricorso alla lotta armata a causa della sordità e della violenza della controparte; per esempio, il ruolo di Cuba, attraverso la sua partecipazione alla guerra in Angola, su richiesta del FNLA. Lo storico italo-statunitense Pietro Gleijeses ha già da tempo documentato l’importanza dell’intervento cubano in una scacchiera in cui il Congo, la Namibia, l’Angola, il Sudafrica erano scenario di interessi non solo nazionali. La penetrazione sudafricana in Angola, dopo aver occupato la Namibia, è stata arrestata e sconfitta dalla battaglia di Cuito Cuaavale di cui si parla nell’articolo di Atilio Boron pubblicato qui sotto. (A.R.)
Atilio A, Boron
(Editorialista argentino, Direttore del PLED, Centro Culturale per la Cooperazione “Floreal Gorini”)
Censura su Fidel e Mandela
La morte di Nelson Mandela ha provocato una caterva di interpretazioni sulla sua vita e la sua opera; tutte lo presentano come un apostolo del pacifismo e come una specie di Madre Teresa del Sudafrica. Si tratta di un’immagine essenzialmente e premeditatamente sbagliata che trascura il fatto che dopo la strage di Shaperville, nel 1960, il Congresso Nazionale Africano (CNA) e il suo leader –lo stesso Nelson Mandela- adottarono la via armata e il sabotaggio a imprese e progetti di rilevanza economica, senza attentare a vite umane. Mandela viaggiò in diversi paesi dell’Africa in cerca di aiuto economico e militare per sostenere questa nuova tattica di lotta. Fu arrestato nel 1962 e, poco dopo, fu condannato all’ergastolo, restando recluso in un carcere di massima sicurezza, in una cella di due metri per due, per 25 anni, salvo i due ultimi anni in cui l’enorme pressione internazionale per ottenerne la liberazione avevano migliorato le condizioni della sua detenzione.
Dunque, Mandela non era “un adoratore della legalità borghese” ma uno straordinario leader politico le cui strategie e tattiche di lotta cambiavano come cambiavano le condizioni nelle quali librava la sua battaglia. Si dice che è stato l’uomo che l’ha fatta finita con l’odioso apartheid sudafricano, ma questa è una mezza verità. L’altra metà del merito corrisponde a Fidel e alla Rivoluzione cubana che con il loro intervento nella guerra civile dell’Angola ha determinato la sorte dei razzisti sconfiggendo le truppe dello Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo), dell’esercito sudafricano e dei due eserciti mercenari angolani organizzati, armati e finanziati dagli Stati Uniti attraverso la CIA. Grazie a questa eroica collaborazione, in cui ancora una volta si è dimostrato il nobile internazionalismo della Rivoluzione cubana, è stato possibile mantenere l’indipendenza dell’Angola, gettare le basi per la successiva emancipazione della Namibia e tirare il colpo di graziacontro l’apartheid sudafricano. Per questo, venuto a sapere del risultato della cruciale battaglia di Cuito Cuanavale, il 23 marzo 1988, Mandela scrisse dal carcere che la conclusione di quella che è stata chiamata “la Stalingrado africana” era stata “il punto di svolta per la liberazione del nostro continente, e del mio popolo, dal flagello dell’apartheid.” La sconfitta dei razzisti e dei loro mentori statunitensi ha assestato un colpo mortale all’occupazione sudafricana della Namibia e ha accelerato l’inizio dei negoziati con il CNA che, poco dopo, avrebbero finito col demolire il regime razzista sudafricano, opera comune di quei due giganteschi statisti e rivoluzionari. Anni dopo, durante la Conferenza di Solidarietà Cubana-Sudafricana del 1995, Mandela avrebbe detto che “i cubani sono venuti nella nostra regione come dottori, maestri, soldati, periti agrari, ma mai come colonizzatori. Hanno condiviso le stesse trincee nella lotta contro il colonialismo, il sottosviluppo, l’apartheid. [... ] Non dimenticheremo mai questo incomparabile esempio di disinteressato internazionalismo”. E’ bene ricordarlo a coloro che ieri e ancora oggi parlano della “invasione cubana dell’Angola”.
Cuba ha pagato un prezzo enorme per questo nobile atto di solidarietà internazionale che, come ha ricordato Mandela, ha costituito il punto di svolta della lotta contro il razzismo in Africa, Fra il 1975 e il 1991, circa 450.000 uomini e donne dell’isola sono andati in Angola a giocarsi la vita. Poco più di 2.600 l’hanno persa combattendo per sconfiggere il regime razzista di Pretoria e i suoi alleati. La morte di quello straordinario leader che è stato Nelson Mandela è un’ottima occasione per rendere omaggio alla sua lotta e, anche, all’eroismo internazionalista di Fidel e della Rivoluzione cubana.
I pericolosi stati canaglia che operano in Medio Oriente: Stati Uniti e Israele
Di Noam Chomsky
8 dicembre 2013
Il 24 novembre è stato annunciato un accordo ad interim sulle politiche nucleari iraniane che concederà un periodo di sei mesi per negoziati importanti.
Michael Gordon, un inviato del New York Times, ha scritto: “E’ stata la prima volta in quasi un decennio, hanno detto i funzionari americani, che è stato raggiunto un accordo per fermare gran parte del programma nucleare iraniano e per ridurre alcuni dei suoi elementi.
Gli Stati Uniti si sono mossi subito per imporre penalizzazioni severe a una ditta svizzera che aveva violato le sanzioni imposte dagli Stati Uniti.” Il tempismo dell’annuncio sembrava in parte inteso a inviare il segnale che l’amministrazione Obama considera ancora l’Iran soggetto a isolamento in campo economico,” ha spiegato Rick Gladstone sul Times.
“L’accordo storico” in effetti comprende significative concessioni iraniane – anche se nulla di paragonabile da parte degli Stati Uniti, che hanno semplicemente accettato di limitare temporaneamente la loro punizione nei riguardi dell’Iran.
E’ facile immaginare le probabili concessioni degli Stati Uniti. Per citarne soltanto uno: gli Stati Uniti sono l’unico paese che viola chiaramente il Trattato di non-proliferazione nucleare (e ancora più gravemente la Carta dell’ONU), mantenendo la sua minaccia di uso della forza contro l’Iran. Gli Stati Uniti potrebbero anche insistere che il loro cliente israeliano si astenga da questa grave violazione della legge internazionale – che è soltanto una delle tante.
Nei discorsi ordinari, è considerato naturale che solo l’Iran debba fare delle concessioni. Dopo tutto gli Stati Uniti sono il Cavaliere Bianco che guida la comunità internazionale nei suoi tentativi di arginare l’Iran – che è considerato essere la più seria minaccia alla pace mondiale – e di costringerlo ad astenersi dall’aggressione, dal terrore e da altri crimini.
C’è una prospettiva diversa, di cui si sente parlare poco, anche se meriterebbe almeno una citazione. Inizia rifiutando l’asserzione americana che l’accordo interrompe 10 anni di indisponibilità da parte dell’Iran di parlare di questa presunta minaccia nucleare.
Dieci anni fa gli Stati Europei si erano offerti di risolvere le loro divergenze con gli Stati Uniti sui programmi nucleari, insieme a tutti gli altri problemi. L’amministrazione Bush ha rifiutato l’offerta con rabbia e ha rimproverato il diplomatico svizzero che l’aveva comunicata.
L’Unione Europea e l’Iran hanno allora cercato un accordo in base al quale l’Iran avrebbe sospeso l’arricchimento dell’uranio, mentre l’Unione Europea avrebbe fornito assicurazioni che gli Stati Uniti non avrebbero attaccato. Come Selig Harrison ha riferito sul Financial Times, “l’Unione europea, trattenuta dagli Stati Uniti…ha rifiutato di discutere i problemi di sicurezza,” e il tentativo morì.
Nel 2010 l’Iran ha accettato una proposta dalla Turchia e dal Brasile per spedire il suo uranio arricchito in Turchia per immagazzinarlo lì. In cambio, l’Occidente avrebbe forniti isotopi per reattori iraniani usati per le ricerche mediche. Il presidente Obama, ha denunciato con rabbia il Brasile e la Turchia per essere usciti dai ranghi e ha rapidamente imposto sanzioni più severe. Irritato, il Brasile ha diffuso una lettera da parte di Obama in cui aveva proposto questo accordo, presumibilmente immaginando che l’Iran l’avrebbe rifiutato. L’incidente è rapidamente scomparso dalla vista.
Sempre nel 2010, i membri del Trattato di non-proliferazione nucleare hanno richiesto una conferenza per realizzare un’iniziativa araba di vecchia data per istituire una zona libera da armi di distruzione di massa nella regione, da tenersi ad Helsinki nel 2012. Israele si è rifiutata di partecipare. L’Iran ha acconsentito a partecipare, in maniera incondizionata.
Gli Stati Uniti hanno annunciato che la conferenza era stata cancellata, ripetendo le obiezioni di Israele. Gli stati arabi, il Parlamento europeo e la Russia hanno richiesto una rapida riconvocazione della Conferenza, mentre l’Assemblea generale dell’ONU ha votato con 174 a 6 per chiedere a Israele di entrare nel Trattato di non-proliferazione nucleare, e di aprire i suoi impianti per farli ispezionare.
A votare “no” sono stati Israele, il Canada, le Isole Marshall, la Micronesia e Palau e gli Stati Uniti – un risultato che suggerisce un’altra possibile concessione degli Stati Uniti, oggi.
Un tale isolamento degli Stati Uniti nell’arena internazionale è molto normale, rispetto a una vasta gamma di argomenti.
Al contrario, il movimento dei paesi non-allineati (la maggior parte del mondo), al suo incontro dello scorso anno a Teheran, ha sostenuto di nuovo vigorosamente il diritto dell’Iran, in quanto firmatario del Trattato di non-proliferazione nucleare, di arricchire l’uranio. Gli Stati Uniti rifiutano quell’argomento, sostenendo che il diritto è condizionato da un certificato di controllo rilasciato dagli ispettori, ma nel trattato non c’è questa clausola.
La grande maggioranza degli arabi appoggiano il diritto dell’Iran a perseguire il suo programma nucleare. Gli arabi sono ostili all’Iran, ma a grande maggioranza considerano gli Stati Uniti e Israele come le principali minacce che hanno di fronte, come ha riferito di nuovo Shibley Telhami nel suo recente ed esauriente esame delle opinioni nel mondo arabo.
“I funzionari occidentali sembrano sconcertati dal rifiuto dell’Iran di abbandonare il diritto ad arricchire l’uranio, osserva Frank Rose sul New York Times, offrendo una spiegazione psicologica. Ne vengono in mente altre se abbandoniamo un poco gli schemi.
Si può essere d’accordo che gli Stati Uniti guidino la comunità internazionale, soltanto se quella comunità è definita come Stati Uniti e come chiunque si trovi ad essere d’accordo con loro, spesso tramite intimidazioni, come viene tacitamente ammesso.
Alcuni critici del nuovo accordo, come David E.Sanger e Jodi Rudoren riferiscono sul New York Times, avvertono che astuti intermediari, i cinesi, avidi di fonti di energia, e gli Europei che cercano un modo per tornare indietro ai vecchi tempi, quando l’Iran era una fonte importante di commerci, vedranno la loro possibilità di saltare le barriere.” In breve, attualmente accettano gli ordini americani soltanto per paura. E infatti la Cina, l’India, e molti altri hanno cercato i loro modi di evitare le sanzioni degli Stati Uniti all’Iran.
La prospettiva alternativa contesta il resto della versione standard degli Stati Uniti. Non passa sopra al fatto che per 60 anni, senza un’interruzione, gli Stati Uniti hanno torturato gli iraniani. Questa punizione è iniziata nel 1953 quando il golpe gestito dalla CIA ha destituito il governo parlamentare dell’Iran e ha installato lo Scià, un tiranno che regolarmente compilva dei peggiori rapporti sui diritti umani del mondo come alleato degli americani.
Quando lo stesso Scià è stato deposto nel 1979, gli Stati Uniti hanno rivolto la loro attenzione ad appoggiare la sanguinosa invasione dell’Iran intrapresa da Saddam Hussein, infine ci sono entrati direttamente registrando con la nazionalità e la bandiera statunitense le petroliere del Kuwait, alleato dell’Iraq, in modo che potessero rompere il blocco iraniano. Nel 1988 un vascello statunitense ha anche abbattuto con un missile un aereo iraniano di linea nello spazio aereo commerciale, uccidendo 290 persone, poi ha ricevuto onori presidenziali al suo ritorno in patria.
Dopo che l’Iran è stato costretto a capitolare, gli Stati Uniti hanno rinnovato il loro appoggio al loro amico Saddam, perfino invitando gli ingegneri nucleari iracheni negli Stati Uniti per un addestramento avanzato nella produzione di armi. L’amministrazione Clinton ha poi imposto sanzioni all’Iran, che sono diventate molto più dure in anni recenti.
Ci sono infatti due stati canaglia che operano nella regione, facendo ricorso all’aggressione e al terrore e violando a piacere la legge internazionale: gli Stati Uniti e il loro cliente israeliano. L’Iran in effetti ha attuato un atto di aggressione: la conquista di tre isole arabe nell’epoca dello Scià che era appoggiato dagli Stati Uniti. Ma qualsiasi atto di terrore attribuito in modo credibile all’Iran, impallidisce in confronto a quello degli stati canaglia.
E’ comprensibile che quegli stati dovrebbero strenuamente opporsi a un deterrente nella regione, e che dovrebbero condurre una campagna per liberarsi da qualsiasi vincolo di quel tipo.
Soltanto, fino a che punto si spingerà lo stato canaglia minore per eliminare il temuto deterrente con il pretesto di una ‘minaccia esistenziale’? Alcuni temono che si spingerà molto lontano. Micah Zenko del Consiglio per le relazioni estere avverte, su Foreign Policy che Israele potrebbe ricorrere alla guerra nucleare. L’analista di Foreign Policy, Zbigniew Brzezinski esorta Washington a chiarire a Israele che l’aviazione statunitense li fermerà se tenteranno di bombardare.
Quale di queste alternative contrastanti è più vicina alla realtà? Rispondere alla domanda è più che soltanto un esercizio utile. Le conseguenze globali importanti suscitano la riposta.
© 2012 Noam Chomsky Distributed by The New York Times Syndicate
Noam Chomsky è professore di linguistica e filosofia al MIT di Boston.
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://www.zcommunications.org/the-dangerous-rogue-states-operating-in-the-mideast-u-s-and-israel-by-noam-chomsky
Originale: New York Times Syndicate
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2013 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY – NC-SA 3.0
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Quello che Obama non ha detto
di Patrick Boylan
La conferenza stampa del Presidente Obama - tenutasi il 9 agosto 2013 e incentrata sul caso Snowden, sui rapporti con la Russia e sullo spionaggio condotto dall'ente americano NSA - spicca per le sue tante omissioni. Perciò colmiamo le lacune noi.
(Nessuna speranza e la nostra speranza)
Alla sua conferenza stampa del 9 agosto 2013, il Presidente statunitense Barack Obama ha liquidato come criminale comune Edward Snowden, l'analista della NSA (National Security Agency) che ha denunciato lo spionaggio illecito dell'ente nazionale per la sicurezza; ha rimproverato Vladimir Putin di voler tornare alla Guerra Fredda dando asilo a Snowden e rifiutando la sua estradizione; infine, ha rassicurato i giornalisti e i telespettatori sulle buone intenzioni della NSA nello spiare le telecomunicazioni del mondo intero. Il tutto snocciolando mezze-verità con tanto candore e franchezza da ispirare subito fiducia in quanto da lui affermato.
Eppure le mezze-verità -- proprio perché tacciono volutamente i fatti capaci di invalidare quanto viene affermato -- sono da considerarsi bugie a tutti gli effetti. Anzi, sono qualcosa di peggio: consentono di fuorviare e di abbindolare l'ascoltatore -- esattamente come le bugie -- ma lo fanno in maniera più subdola e meno compromettente. Bush jr. ricorreva alle bugie, anche grosse, e quindi era facile smascherarle e denunciarlo. Obama invece usa le mezze verità, cioè affermazioni incontestabili in sé ma che ci obbligano poi, prima di accettarle, a scervellarci per immaginare (e poi verificare) tutto quello che andava detto ma non è stato detto e che potrebbe invalidare quanto sostenuto. Un lavoro estenuante.
Nella sua conferenza stampa, dunque, il Presidente Obama si è dimostrato maestro delle mezze-verità. Segue perciò una lista parziale delle cose che NON ha detto -- ma che andavano dette per avere un quadro veritiero dei temi trattati -- con i relativi documenti di appoggio. I documenti sono quasi tutti in lingua inglese, ma cliccando sulle parole "in italiano", apparirà la traduzione automatica Google (molto approssimativa).
I.
Cominciamo con il preteso torto commesso da Putin nel non riconsegnare Snowden agli Stati Uniti e nell'accordargli asilo temporaneo in Russia.
Obama, da giurista che è, avrebbe potuto informarci che la normativa internazionale imponeva alla Russia di accordare asilo, almeno temporaneo; invece ha taciuto questo fatto. Ha taciuto anche il fatto che il capo di accusa formulato dal governo statunitense (spionaggio politico), proprio perché è politico, preclude la possibilità di estradizione, anche in presenza di specifici accordi al riguardo (che nemmeno ci sono, nel caso dei rapporti USA-Russia). Vedi la dichiarazione dell'emerito professore di diritto internazionale dell'Università Princeton e consulente ONU Richard Falk: documento(in italiano).
Obama ha dimenticato altresì di informarci, a proposito delle estradizioni, che gli stessi Stati Uniti spesso le negano, anche in presenza di specifici accordi al riguardo. Per esempio, esistono accordi di estradizione tra gli USA e l'Italia, eppure l'anno scorso, quando l'Italia ha richiesto l'estradizione dei 26 agenti della CIA condannati per un sequestro con tortura da loro commesso sul suolo italiano, il governo americano ha respinto la richiesta. Anzi, aveva già dichiarato, all'inizio del processo di primo grado, che non avrebbe in nessun caso riconsegnato gli agenti (scappati negli Stati Uniti prima del processo). Vedi la dichiarazione di John Bellinger, consulente legale ufficiale del Dipartimento di Stato: documento (in italiano).
Quest'anno uno dei 26 agenti, in viaggio a Panama, incautamente si è fatto arrestare per una banalità. Facendo i controlli di routine, la polizia ha scoperto il mandato di estradizione internazionale spiccato dall'Italia; perciò ha incarcerato l'agente e si è messa in contatto con l'Italia per la riconsegna. Ma il governo americano, venutone a conoscenza, ha esercitato pressione sul Presidente del Panama che ha fatto prelevare l'agente dalla sua cella per rispedirlo in un aereo speciale negli Stati Uniti. Il ministro della Giustizia Cancellieri non ha potuto far altro che esprimere il suo vivo "rammarico" per la non avvenuta estradizione. Vedi il servizio del Fox News, vicinissimo al Dipartimento di Stato USA: documento (in italiano)
Non solo. Ma nel 2012 gli Stati Uniti hanno rifiutato di riconsegnare l'ex presidente boliviano, scappato negli USA per non essere arrestato per i crimini contro l'umanità da lui commessi durante il suo mandato. Vedi il servizio del Guardian: documento (in italiano). Nel 2005 gli Stati Uniti hanno rifiutato di riconsegnare al Venezuela un terrorista, reo di aver fatto esplodere in volo un aereo passeggeri cubano con a bordo dei diplomatici venezuelani; anzi, gli USA hanno concesso al terrorista asilo politico. Vedi la voce "2005" nel resoconto Wikipedia: documento (già in italiano).
In una parola, se tutti i non detti fossero stati detti, i rimproveri fatti dal Presidente americano al Presidente russo sarebbero risultati giuridicamente non validi e, visto il pulpito da cui provenivano, persino ipocriti.
II.
In quanto a Edward Snowden, l'informatore che ha osato rivelare le attività dubbie della NSA (pur sapendo di rischiare una persecuzione a vita), Obama ha negato il valore di questo suo sacrificio. "Non è stato un atto patriottico, il suo", ha commentato Obama, "è stato soltanto un reato." Mentre lo spionaggio dell'intera popolazione da parte della NSA non sarebbe per Obama un reato, in quanto autorizzato (a suo dire) da un'apposita legge.
Ma Obama ha omesso di precisare che lo spionaggio dell'intera popolazione è palesemente anticostituzionale negli Stati Uniti (l'art. IV vieta le perquisizioni senza mandato nominale, cioè i general warrant), com'è anticostituzionale, dunque, la stessa legge invocata da Obama per giustificare quello spionaggio. Se questa legge non è stata ancora cassata dalla Corte Costituzionale, è soltanto perché le attività della NSA sono state finora tenute segrete e nessuna causa è stata intentata. In questi giorni, invece, grazie alle rivelazioni di Snowden, è partita la prima causa. Sarebbe stato opportuno menzionare anche il fatto che diversi impiegati della NSA avevano in passato, seguendo i canali interni dell'ente, cercato di denunciare l'incostituzionalità delle mansioni a loro affidate, ma sono stati inascoltati, emarginati e zittiti. Vedi l'esposizione del prof. J. Kavanagh sull'art. IV della Costituzione statunitense (documento , in italiano) e le testimonianze degli impiegati NSA inascoltati (documento, initaliano).
Obama ha anche dimenticato di dire che lui stesso, durante la sua campagna elettorale, ha dichiarato di voler difendere, come "attopatriottico" (parole sue), la denuncia di qualsiasi misfatto governativo da parte di un impiegato dello Stato. Perché, ha aggiunto Obama, solo così si riesce a rompere l'omertà e a ripulire la pubblica amministrazione. Vedi il brano in questo documento, initaliano. Malgrado questa promessa, durante il suo mandato Obama ha dato la caccia a più informatori di tutti i presidenti prima di lui, messi insieme. E con una severità verso gli imputati senza precedenti (basta pensare alle condizioni iniziali di prigionia di Bradley Manning, giudicate dall'ONU una forma di tortura.) Vedi l'entità della persecuzione in questo documento, in italiano.
III.
Infine, per tranquillizzare i suoi concittadini (e il resto del mondo), Obama ha illustrato, nella sua conferenza stampa del 9 agosto, alcuni rimedi parziali contro l'invadenza del programma di spionaggio della NSA.
Ma ha omesso di menzionare il rimedio principale che intende mettere in pratica, perché altri "casi Snowden" non succedano in futuro: invece di eliminare le attività anticostituzionali della NSA, Obama eliminerà il 90% degli impiegati dell'ente. Essi verranno sostituiti con dei computer (che sono meno versatili degli esseri umani ma che non faranno denunce, non avendo una coscienza). In quanto al 10% di impiegati che rimarrà per gestire il lavoro di analisi svolto dai computer, essi verranno sottoposti ad un programma di controllo totale: verranno indotti a denunciarsi a vicenda per qualsiasi atteggiamento contestatario (o comunque sospetto) lasciato trapelare durante una conversazione. Vedi questo documento (initaliano) sul 90% e questo documento (in italiano) per il 10%.
Allo scopo di "dare speranza" (Hope) ai suoi concittadini e al mondo, Obama ha poi prospettato l'arrivo di innovazioni tecnologiche nel prossimo futuro, che potrebbero proteggerci contro l'invadenza di un governo. Egli si è espresso più o meno in questi termini: "La tecnologia stessa potrà in futuro fornirci alcune protezioni supplementari. Così, se tu non credi che la legge ti tuteli sufficientemente, se tu temi che i controlli reciproci tra i diversi rami del governo non siano sufficienti per impedire che il governo ficchi il naso nei tuoi affari, ebbene forse in futuro potrai incorporare delle nuove tecnologie nei dispositivi che usi per comunicare, che impediscano al governo di origliare le tue conversazioni, anche se ce la mette tutta per cercare di spiarti." [Detto per inciso, questo è un esempio tipico del linguaggio franco, candido e senza fronzoli del Presidente Obama, così diverso dai periodi forbiti e sfumati del Presidente Napolitano e dei politici italiani colti. Somiglia semmai al linguaggio di Bossi, di Berlusconi, di Grillo e di Renzi, i quali, esattamente come i presidenti e anche i politici comuni americani, cercano di dare (ingannevolmente) l'impressione di parlare "dalla pancia" e "a tu per tu" con gli elettori -- ognuno a modo suo, naturalmente.] Per la trascrizione integrale della conferenza stampa, vedi questo documento (in italiano).
Invece Obama NON ha detto -- e ne vedremo dopo il motivo -- che le tecnologie future che ci salveranno dallo spionaggio, in realtà esistono già da tempo e funzionano benissimo. Ad esempio, la casa Lavabit produce un programma email simile a Hotmail e Gmail ma assolutamente inviolabile; le email vengono criptate sul computer dell'utente, al momento dell'invio, con un codice unico che neanche la CIA e la NSA riescono a decriptare. Mentre era rinchiuso nell'aeroporto di Mosca, Edward Snowden usava Lavabit per comunicare con Julian Assange e con i suoi avvocati. Mentre la casa Silent Circle offre un servizio criptato di telefonia e di chat in Internet simile a Skype, ma anch'esso inviolabile da parte delle agenzie governative. La tecnologia Silent Circle può essere usata anche sui telefonini cellulari, garantendo conversazioni assolutamente riservate.
Ma se Obama ha omesso di dare questi esempi, è perché, causa le tremende pressioni esercitate su queste due aziende da parte del governo americano, entrambe hanno cessato di esistere proprio in questi giorni: Lavabit l'8 agosto e Silent Circle il 9 agosto, ossia il giorno prima e il giorno stesso della conferenza stampa di Obama. Nella lettera che ha inviato ai suoi azionisti e ai suoi sottoscrittori, il Presidente di Lavabit ha dichiarato che non intendeva spiegare quali pressioni siano state esercitate. Ma ha precisato che "se il Congresso americano o i tribunali non cambiano l'attuale assetto del sistema di spionaggio negli USA, è altamente sconsigliabile affidare i propri dati e le proprie comunicazioni ad una azienda qualsiasi statunitense". Ciò vuol dire niente Facebook, Twitter, Skype, Gmail, Hotmail; niente Internet Explorer, Firefox, Chrome; niente iCloud, ecc.. Perché tutte queste aziende -- almeno questo è ciò che si desume -- forniscono le loro chiavi di accesso alla NSA. E l'azienda che non le fornisce? Non ha altra scelta che chiudere. Vedi la lettera del Presidente di Lavabit in questo documento (in italiano).
A questo punto le speranze per un futuro di comunicazioni libere, non controllate dalla NSA, sembrano piuttosto magre.
Ecco perché, piuttosto di riporre la nostra speranza in Obama o nelle nuove tecnologie che verranno, conviene sperare nelle nuove generazioni (e contribuire a formarle): cittadini con la coscienza retta e con il coraggio indomito che hanno contraddistinto Julian Assange, Bradley Manning, Edward Snowden e tanti altri testimoni della verità.
Anche l'Italia ha i suoi protagonisti, in particolare se pensiamo a tutti i testimoni di giustizia, a partire dalla diciasettenne Rita Atria, che hanno osato denunciare i soprusi commessi dalla mafia.
Il 7 agosto 2013, due giorni prima della conferenza stampa di Obama, il giornale The Guardian ha intervistato John Lewis, uno dei luogotenenti di Martin Luther King (nei cinegiornali lo vediamo accanto a King durante il discorso "I have a dream") ed ora 73enne deputato della Georgia.
L'intervistatore ha chiesto a Lewis la sua opinione su Edward Snowden. Egli sta continuando -- è stata la risposta -- la tradizione di disubbidienza civile teorizzata da Thoreau e messa in pratica da Gandhi e dallo stesso King. Tutti quanti, facendo appello ad una legge "più alta di quella umana", hanno deciso di compiere atti di rottura con le norme esistenti.
"Se sei capace di riconoscere un'ingiustizia, se capisci quando qualcosa non va fatto", ha spiegato Lewis nell'intervista, "e se tu hai la determinazione poi di sfidare, quando serve, le abitudini, le tradizioni e le leggi inique -- allora vuol dire che tu hai una coscienza. E ciò ti dà il diritto di sfidare quelle leggi inique, anche se devi pagare di persona il prezzo della tua disubbidienza." Vedi il documento (initaliano).
Ecco il grande non detto, la frase mai pronunciata, durante tutta la lunga conferenza stampa di Barack Obama.
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Questo bombardamento coi luoghi comuni sulla Siria non mostra alcun segno di fermarsi.
I politici di tutto il mondo discutono la guerra
col peggiore linguaggio
di
Robert Fisk
Giovedi 5 settembre 2013
(The Independent)
Missili forse. Ma il bombardamento coi luoghi comuni è abbastanza reale - e abbastanza di bassa qualità per non fare del male a nessuno tranne ai signori che li pronunciano. Davvero, chi scrive questa roba per Kerry ? C'era " l’ isolazionismo della poltrona" . Perché una poltrona ? E chi era l'obiettivo del bizzarro riferimento al'isolazionismo degli Stati Uniti dopo la prima guerra mondiale?
Kerry sta cercando di trasformare Obama nel Roosevelt del " giorno dell'infamia " dopo il 1941 (un vero e proprio non- luogo comune da parte del vecchio Franklin Delano ) ? Poi abbiamo avuto il nostro vecchio amico , lo " stato sponsor del terrorismo " fin dai tempi di Saddam - non stupisce che un ministro britannico abbia scambiato Assad per il dittatore iracheno giustiziato – si tratta del leader della maggioranza Eric Cantor . E basta ascoltare queste parole da Kerry : "Questo non è il momento di essere spettatori di un massacro. Né il nostro paese, né la nostra coscienza possono permettersi il costo del silenzio . "
E poi ancora una volta di più – quanto siamo stufi di questo pattume? - Kerry si è sentito anche di poter paragonare Assad a Hitler. Questo è assurdo. Oltre un centinaio di migliaia di siriani potrebbero essere morti in questa terribile guerra. Ma Hitler ha iniziato una guerra che ha ucciso circa 70 milioni di persone. Pensa, forse, Kerry che Hitler sia ancora vivo ? L' ex Primo Ministro israeliano Menachem Begin, durante la sua invasione del Libano nel 1982, si sentiva, mentre fantasticava in una lettera a Ronnie Reagan, di essere quello che avanzava verso Berlino ( Arafat era l'uomo nel bunker). E non molto tempo fa l'ora primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto a tutti noi che il presidente picchiatello dell'Iran (Mahmoud Ahmedinejad in quel momento) era "peggio di Hitler ". Quindi diciamolo ancora una volta: Hitler è morto.
E sentite questo. Obama non sta chiedendo all'America di andare in guerra, ma a "ridurre e scoraggiare" la capacità di Assad di usare armi chimiche. Siamo arrivati con la "riduzione" nella guerra del Golfo del 1991, quindi l’abbiamo ottenuta di nuovo quando la Nato ha sparato armi ai compagni di Milosevic in Serbia (obiettivi, si può ricordare, che comprendevano una stazione TV, un treno espresso e un ospedale). Inoltre: "i costi dell'inazione sono maggiori e più gravi ancora" - questo ha detto il presidente democratico della commissione del Senato, Robert Menendez . Ma è vero? Quando Saddam usò il gas contro i curdi di Halabjah , gli Stati Uniti non hanno visto questa come un 'grave costo' per la nazione . Anzi, ha aspettato anni prima di condannarlo perché Saddam era il nostro compagno in quel momento .
Ma si va avanti e avanti attraverso lo stagno: Nancy Pelosi parla ancora di quella 'linea rossa' e, naturalmente , "tutte le opzioni sono sul tavolo" e i potentati del Medio Oriente non sono lontani da un tuffo nello stagno dei luoghi comuni. Abbiamo avuto lo stesso Assad che avvertiva per l'ennesima volta che la "polveriera" della regione potrebbe esplodere, che "il caos e l'estremismo", possono diffondersi. La condanna dello 'estremismo' è moneta corrente al giorno d'oggi e sicuramente qualifica Assad per la cittadinanza americana.
Avanti gente - a Beirut - il presidente iraniano della commissione parlamentare per la sicurezza nazionale, Alaeddin Boroujerdi, annuncia che un attacco degli Stati Uniti potrebbe "inghiottire l'intera regione". Il che, come ho detto prima, non esonera il governo siriano da attacchi di armi chimiche. Ma finora abbiamo dovuto fare affidamento su quei famosi "funzionari di intelligence " per i dettagli, gli stessi ragazzi e ragazze che ci hanno parlato di armi di distruzione di massa in Iraq, ma non sono riusciti a individuare gli indizi evidenti che erano sulla loro scrivania sui 19 arabi che avevano programmato di guidare gli aerei contro i grattacieli 12 anni fa.
E nel frattempo, si libra sopra l'orizzonte quel misterioso missile che Israele ha sparato sul Mediterraneo Martedì in una "esercitazione congiunta" con gli Stati Uniti. Sono stati i russi che hanno rivelato la storia, naturalmente. Ma perché quel missile sparato ora, in questo preciso momento, quando il regime siriano si aspetta i missili Cruise? E' stato sparato per valutare le difese antimissile di Israele, secondo il Pentagono. Ma difese contro chi? Hezbollah? Hamas? Siria? Iran? Beh , si rivela una cosa. Se Obama va avanti , avremo i russi che ci daranno una radiocronaca diretta. Ma per favore, niente luoghi comuni .
(La traduzione dall'inglese è mia)
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L'Iran, non la Siria,
il vero bersaglio dell'Occidente
L'Iran è sempre più coinvolto nel proteggere il governo siriano: una vittoria di Bashar è una vittoria dell'Iran. E vittorie iraniane non son tollerate ad Ovest
di Robert Fisk
sabato 31 agosto 2013
Prima che la più stupida guerra occidentale nella storia del mondo moderno abbia inizio- mi sto naturalmente riferendo all'attacco alla Siria che tutti noi dobbiamo ancora ingoiare - potrebbe essere bene dire che i missili cruise, che fiduciosamente ci attendiamo che si scaglino su una delle città più antiche dell'umanità, non hanno assolutamente nulla a che fare con la Siria .
Sono destinati a danneggiare l'Iran. Sono destinati a colpire la repubblica islamica, ora che ha un nuovo e brillante presidente - a differenza di quel picchiatello di Mahmoud Ahmadinejad - proprio nel momento in cui potrebbe essere appena più stabile.
L'Iran è il nemico di Israele. L'Iran è quindi, naturalmente, nemico dell'America. Perciò si sparano i missili contro l'unico alleato arabo dell'Iran. Non c'è nulla di gradevole da dire sul regime di Damasco. Né questi commenti scagionano il regime in materia di uso massiccio di gas. Ma io sono abbastanza vecchio per ricordare che quando l'Iraq - allora alleato degli Stati Uniti - aveva usato i gas contro i curdi di Hallabjah nel 1988, noi non abbiamo aggredito Baghdad. In realtà, tale attacco dovette aspettare fino al 2003, quando Saddam non aveva più alcun gas o una qualsiasi delle altre armi su cui abbiamo avuto degli incubi.
A me capita anche di ricordare che la CIA nel 1988 ha architettato la storiella che l'Iran fosse responsabile per le gasazioni di Hallabjah, una tangibile bugia che si è concentrata sul nemico dell'America che Saddam stava allora combattendo per nostro conto. E migliaia - non centinaia - morirono ad Hallabjah. Ma così va il mondo. Tempi diversi, standard diversi. E suppongo che valga la pena notare che quando Israele ha ucciso fino a 17mila uomini, donne e bambini in Libano nel 1982, in una invasione ipoteticamente provocata dal tentativo dell'OLP di assassinare l'ambasciatore israeliano a Londra - era in realtà il compagno di Saddam Abu Nidal ad aver organizzato l'uccisione, non l'OLP, ma questo non conta, ora - l'America semplicemente si limitò a far appello a entrambe le parti affinché esercitassero "moderazione". E quando, pochi mesi prima di quella invasione, Hafez al-Assad - padre di Bashar - inviò suo fratello fino ad Hama per spazzare via migliaia di ribelli dei Fratelli Musulmani, nessuno mormorò una sola parola di condanna. "Regole di Hama" fu il modo in cui il mio vecchio collega Tom Friedman cinicamente definì questo bagno di sangue.
In ogni caso, c'è una Fratellanza diversa in campo oggigiorno - e Obama non ha potuto nemmeno dire né a né ba quando il loro presidente eletto è stato deposto. Ma aspettate un attimo. Non fu che forse che l'Iraq - quando era il "nostro" alleato contro l'Iran - fece anch'esso uso di gas contro l'esercito iraniano? Lo fece. Ho visto le persone colpite da ferite come quelle di Ypres in conseguenza di questo folle attacco di Saddam - ufficiali statunitensi , dovrei aggiungere, hanno visitato il campo di battaglia più tardi e riferito a Washington - e non ce n'è fregato un fico secco. Migliaia di soldati iraniani nella guerra 1980-1988 sono stati avvelenati a morte da questa arma vile.
Sono tornato a Teheran durante la notte su un treno di feriti militari e ho sentito la puzza di questa roba per davvero, aprendo i finestrini nei corridoi per liberare i miasmi del gas. Questi giovani avevano ferite su ferite - letteralmente. Avevano piaghe orribili in cui galleggiavano piaghe ancora più dolorose che si avvicinano all'indescrivibile. Eppure, quando i soldati sono stati inviati agli ospedali occidentali per ricevere delle cure, noi gazzettieri definimmo questi feriti - dopo prove fornite dall'ONU infinitamente più convincenti di quelle che stiamo probabilmente per ottenere da fuori Damasco - "presunte" vittime del gas.
Ebbene, cosa stiamo facendo in nome del cielo? Dopo che innumerevoli migliaia di persone sono morte nell'impressionante tragedia della Siria, improvvisamente - ora , dopo mesi e anni di soperchierie - ci stiamo arrabbiando per qualche centinaio di morti. Terribile. Inconcepibile. Sì, questo è vero. Ma avremmo dovuto essere traumatizzati sul campo da questa guerra nel 2011. E nel 2012. Ma perché ora?
Sospetto di saperne il motivo. Io penso che lo spietato esercito di Bashar al-Assad potrebbe essere proprio in procinto di vincere contro i ribelli che noi segretamente armiamo. Con l'assistenza del libanese Hezbollah - alleato dell'Iran in Libano - il regime di Damasco ha debellato i ribelli a Qusayr ed è lì per lì per sgominarli anche a nord di Homs. L'Iran è sempre più profondamente coinvolto nella protezione del governo siriano. Per questo motivo una vittoria per Bashar è una vittoria per l'Iran. E vittorie iraniane non possono essere tollerate dall'Occidente.
E già che siamo in tema di guerra, che cosa è successo a quei magnifici negoziati israelo-palestinesi di cui si vantava John Kerry? Mentre esprimiamo la nostra angoscia per le orribili gasazioni in Siria, la terra di Palestina continua ad essere divorata. Le politiche Likudiste di Israele - ossia negoziare per la pace fino a quando non sarà rimasta alcuna Palestina - continuano a ritmo sostenuto, ed è per questo che l'incubo del re Abdullah di Giordania (assai più opprimente di quello delle "armi di distruzione di massa " da noi vagheggiato nel 2003) diventa ancora più grande: che la "Palestina" sarà in Giordania, non in Palestina.
Ma se dobbiamo credere alle sciocchezze che escono da Washington, Londra, Parigi e dal resto del mondo "civilizzato", è solo una questione di tempo prima che la nostra spada rapida e vendicativa si scagli sui damasceni. Il fatto di osservare i leader del resto del mondo arabo mentre applaudono a questa distruzione è forse la più dolorosa esperienza storica che la regione debba sopportare. E la più vergognosa . Se non fosse per il fatto che staremo attaccando i musulmani sciiti e i loro alleati al titmo del battimani dei musulmani sunniti. Ed è ciò di cui la guerra civile è fatta.
Fonte: http://www.independent.co.uk/voices/comment/iran-not-syria-is-the-wests-real-target-8789506.html.
Traduzione per Megachip a cura di Sebastian Versus.
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Il filmato dell’attacco chimico in Siria è una frode
Madre Agnes Mariam el- Salib
6 Set 2013 00:29
L' immagine presa da un video caricato su YouTube dall'ufficio stampa Arbeen unificato il 21 Agosto 2013 mostra un uomo confortante una ragazza siriana in stato di shock mentre grida in arabo " Io sono viva " a seguito di un attacco in cui l'opposizione siriana accusa il regime di aver usato armi chimiche a Ghouta orientale, alla periferia di Damasco ( AFP Photo )
Vi è la prova che il filmato del presunto attacco chimico in Siria è stato fabbricato, ha detto a RT (http://rt.com/news/) Madre Agnes Mariam el- Salib , madre superiora del monastero di San Giacomo a Qara , Siria . Lei dice che è in procinto di presentare i suoi risultati alle Nazioni Unite .
Madre Agnese, una suora cattolica, che vive in Siria da 20 anni e ha riferito attivamente su quello che è in corso nel paese devastato dalla guerra , dice che ha studiato attentamente il video con presumibilmente vittime dell'attentato di armi chimiche nella villaggio siriano di Guta in agosto e ora discute la sua autenticità .
Nella sua intervista con RT , Madre Agnese dubita che scene così lunghe potevano essere prese in così poco tempo , e chiede dove siano i genitori dei bambini presumibilmente morti. Promette di mandare il suo rapporto alle Nazioni Unite .
La suora è indignata con i media mondiali per avere rivolto un occhio cieco al massacro di Latakia compiuto dagli estremisti ribelli , che hanno ucciso 500 civili tra cui donne e bambini.
Il Ministero degli Esteri della Russia ha invitato la comunità internazionale a prestare attenzione alle rivelazioni fatte da Madre Agnes Mariam el- Salib .
RT : Gli Stati Uniti hanno usato le foto di internet e del filmato del presunto attacco di armi chimiche a Guta orientale per costruire un caso contro il governo siriano. Sei è stata in grado di guardare questi file ? Che cosa hai da dire su di loro ?
Madre Agnese : ho studiato con attenzione il filmato , e io presenterò un'analisi scritta su di esso più tardi . Io sostengo che tutta la vicenda è stata una montatura. Era stato organizzato e preparato in anticipo, con l'obiettivo di inquadrare il governo siriano come autore .
La prova chiave è che la Reuters ha reso questi file di pubblico dominio alle 6,05 del mattino . L'attacco chimico si dice che sia stato lanciato alle 03:00-5:00 del mattino a Guta . Come è possibile ritirare una dozzina di diversi pezzi di filmato , avere più di 200 bambini e 300 giovani insieme in un unico luogo , dare loro il primo soccorso e di intervistarli davanti alla videocamera, e tutto ciò in meno di tre ore? E' completamente realistico? Come sa chi lavora nel settore delle notizie , occorre molto tempo per far tutto questo.
I corpi dei bambini e adolescenti che vediamo in questo filmato - Chi erano? Che cosa è successo a loro ? Furono uccisi per davvero ? E come potrebbe accadere in anticipo l'attacco del gas ? Oppure, se non sono stati uccisi , da dove vengono? Dove sono i loro genitori ? Come mai non si vedono corpi femminili tra tutti quei bambini presumibilmente morti ?
Non sto dicendo che nessun agente chimico sia stato utilizzato nella zona - certamente lo era. Ma io insisto che il filmato che viene ora spacciata come prova era stata fabbricata in anticipo. Ho studiato meticolosamente , e io presenterò la mia relazione alla Commissione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite con sede a Ginevra .
RT : Recentemente hai visitato Latakia e le aree adiacenti , hai parlato con i testimoni oculari del massacro di civili effettuate a Latakia da Jabhat al- Nusra . Che cosa ci può dire a riguardo?
MA : Che cosa voglio chiedere prima di tutto è come la comunità internazionale possa ignorare la serie di omicidi brutali a Latakia su Laylat al - Qadr nelle prime ore del mattino del 5 agosto , un attacco che ha colpito più di 500 persone, tra cui bambini, donne e gli anziani . Sono stati tutti massacrati . Le atrocità commesse superano qualsiasi scala . Ma non c'era quasi nulla a riguardo nei mass media internazionali . C'era solo un piccolo articolo in " The Independent " , credo .
Abbiamo inviato la nostra delegazione a questi villaggi , e il nostro popolo ha avuto uno sguardo alla situazione in loco, parlato con la gente del posto , e la cosa più importante - ha parlato con i sopravvissuti al massacro .
Io non capisco perché i media occidentali applicano due pesi e due misure in questo caso - si parla di omicidio di massa che l'uso di armi chimiche ha provocato non-stop , ma tacere sul massacro diLatakia .
RT : Sapete qualcosa sulla sorte degli ostaggi catturati a Latakia ?
Una foto rilasciata dall'agenzia di stampa araba siriana ( SANA ) il 20 Agosto 2013 mostra i soldati fedeli alle forze del regime avvolgere un corpo decomposto che è stato presumibilmente scoperto in una fossa comune nel nord di Latakia , una provincia sulla costa mediterranea ( AFP Photo )
MA : Nel villaggio di Estreba hanno massacrato tutti i residenti e bruciato le loro case . Nel villaggio di al- Khratta sono stati uccisi quasi tutti i 37 abitanti del luogo . Solo dieci persone erano in grado di fuggire.
Un totale di dodici villaggi alawiti sono stati sottoposti a questo orrendo attacco . Quello era un vero macello . Le persone furono mutilati e decapitati . C'è anche un video che mostra una ragazza mentre viene smembrata viva - viva! - Da una inquadratura . Il bilancio delle vittime finale ha superato i 400 , con 150 /200 persone prese in ostaggio . In seguito alcuni degli ostaggi sono stati uccisi , le loro morti filmate .
Al momento stiamo cercando gli ostaggi e negoziare il loro rilascio con i militanti , ma finora non siamo riusciti a raggiungere questo obiettivo.
RT : Spesso sentiamo notizie di cristiani di essere perseguitati dai militanti . Proprio l'altro ieri c'è stato un attacco nel villaggio di Maaloula , dove la maggioranza della popolazione è cristiana . I cristiani sono in Siria di fronte a un grave pericolo ?
MA : Tutti in Siria siamo davanti a gravi pericoli . C'è stato un caso di leader religiosi musulmani rapiti e decapitati . Essi sono stati umiliati e torturati . Ismailiti , drusi , cristiani - persone provenienti da tutte le parti della società siriana - sono stati assassinati in massa. Vorrei dire che se questi macellai non avessero il sostegno internazionale , nessuno avrebbe avuto il coraggio di attraversare il limite . Ma oggi , purtroppo, la violazione dei diritti umani e il genocidio in Siria sono coperti a livello internazionale . Esigo che la comunità internazionale smetta di sistemare la situazione in Siria in conformità con gli interessi di un certo gruppo di grandi potenze . I siriani sono uccisi. Essi sono vittime di mercenari , che sono provvisti di armi e inviati in Siria per uccidere quante più persone possibile. La verità è che , ovunque in Siria le persone vengono rapite , torturate , violentate e derubate . Questi crimini rimangono impuniti , perché i principali poteri hanno scelto il terrorismo internazionale, come un modo per distruggere gli Stati sovrani . L'hanno fatto in altri paesi . E continueranno a farlo se la comunità internazionale non dice "Basta!"
RT : Sei riuscita a entrare in possesso di alcune informazioni sensibili . Hai paura per la tua vita , come una persona che tiene i documenti che possono compromettere i militanti ? Qualcuno ti ha minacciato ?
MA : Hai ragione . Io vengo minacciata . Stanno cercando di screditare me . So che c'è un libro di prossima uscita in Francia, che mi etichetta come una criminale che uccide le persone . Ma ogni credente dovrebbe fidarsi prima di tutto della propria coscienza , della propria fede in Dio , e che lo aiuterà a salvare vite umane innocenti . Non mi importa molto della mia vita . La mia vita non è più preziosa di quella di qualsiasi bambino siriano , il cui corpo potrebbe essere usato come prova per giustificare il misfatto . Questo è il più grande crimine mai perpetrato nella storia.
RT : Cosa dovrebbero fare i siriani per fermare la tragedia che stanno attraversando ?
MA : I siriani da soli non possono fare nulla per fermarla . Essi possono solo fare affidamento sulla comunità internazionale , nazioni amiche , potenze mondiali , come la Russia , la Cina e l'India . Con un sacco di entusiasmo abbiamo fatto accogliere la notizia che il parlamento britannico ha votato contro la partecipazione del loro paese nella possibile guerra contro la Siria . C'è una guerra terroristica in corso contro la Siria in questo momento . La comunità internazionale e gli amici della Siria dovrebbero unire le forze e dire : Basta! E hanno bisogno di utilizzare ogni occasione per farlo. In caso contrario, questa minaccia che la Siria sta affrontando ora si trasformerà in una minaccia per la pace universale .
RT : Cosa dovrebbero fare il Vaticano e altri enti della cristianità per porre fine a questa tragedia ?
MA : Il Papa dice che non ha nessun aereo , senza bombe e senza forze armate . Al contrario , egli ha il potere della verità , e la verità che ha raccontato . Ci sono messaggi provenienti da ogni parte del mondo che sollecitano contro un intervento militare in Siria . Coloro che vogliono sentire lo faranno . Il Papa , i patriarchi , i premi Nobel , tra cui le donne , continuano a dire la stessa all'unisono : smettete di combattere. Nessun conflitto può essere risolto con mezzi militari . Smettete di aggiungere benzina sul fuoco !
Tutte le preminenti figure pubbliche nel mondo si sono levate ai parlare contro la guerra . Tutti hanno parlato, ma gli Stati Uniti preferisce fare orecchie da mercante . L' opinione pubblica mondiale si è rivoltato contro gli Stati Uniti . E 'la prima volta nella storia che l'America è sola. Essi affermano che essi sono sostenuti da dieci paesi . Ma io insisto che non lo sono , perché la gente di questi paesi non sono d'accordo con i loro governi . Anche gli americani non sono d'accordo con il loro governo .
RT : Tu credi che questa tragedia finirà e la Siria rimarrà una patria per tutti i siriani, a prescindere dalla loro identità etnica o religiosa ?
MA : Io stessa non sono siriana, ma vivo in Siria da 20 anni . Vorrei ricordare a tutti che Damasco è la più antica capitale del mondo. Vorrei ricordare a tutti che la Siria è la culla della civiltà . Vorrei ricordare a tutti che questa è la terra santa che ha dato alla luce le principali religioni del mondo. Quello che sta accadendo in Siria dovrebbe servire da lezione per tutti. Voglio dirlo in senso esistenziale piuttosto che politico . Sono convinta che con l'aiuto di Dio il popolo siriano sarà in grado di rimanere forte , guarire le sue ferite , riconciliare e cacciare fuori tutti i mercenari stranieri e terroristi . Credo che non ci sarà pace in Siria . Ma per questo abbiamo bisogno di aiuto da parte della comunità internazionale.
(La traduzione dall'inglese è mia)
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Siria, suore trappiste:
«Abbiamo paura dell’ingiusto attacco americano. Destabilizzerà subito il paese»
Riportiamo questo articolo dal sito ufficiale della Fraternità Sacerdotale San Pio X (www.sanpiox.it). L'autore è Andrea Giacobazzi, collaboratore di Radio Spada.
"Ṭob shebe-goyyim harog": "Il migliore dei gentili [non ebrei] merita di essere ucciso". Così afferma, nel Talmud, Simon ben Yoḥai. Questa espressione, commenta la Jewish Encyclopedia, è "spesso citata dagli antisemiti"[1].
Frequentemente, nell'affrontare il tema della xenofobia rabbinica si ricorre alla citazione dei testi tradizionali ebraici attraverso i quali interpretare determinati risvolti storici del giudaismo. Ciò che faremo nelle righe che seguono ribalta questa prospettiva, ovvero partendo da dichiarazioni di autorevoli rabbini di epoca contemporanea - molti dei quali ancora viventi ed attivi – andremo a confermare quelli che sono gli aspetti più problematici dell'antica ed attuale avversione rispetto ai gentili (goyim, non ebrei). Nel fare questo, abbiamo selezionato - da un insieme ben più ampio - una serie di dichiarazioni e appelli: se si fosse raccolto tutto il materiale a disposizione sarebbero stati necessari spazi decisamente superiori a quelli di questo saggio breve. La quasi totalità delle citazioni sono tratte dalla stampa mainstream israeliana (Haaretz, Jerusalem Post, Yedioth Ahronoth, ecc.).
Affermazioni che sminuiscono o negano la dignità e l'umanità dei non-ebrei
(NELLA FOTO: Ovadia con il premier israeliano Netahnyahu)
Uno degli esponenti religiosi che probabilmente ci fornisce maggiori spunti di analisi è Ovadia Yosef, nel 1970 vincitore dell'Israel Prize per la letteratura rabbinica, dal 1973 al 1983 ricoprì l'incarico di Rabbino Capo sefardita d'Israele. Guida spirituale del partito religioso Shas, nel 2005 fu votato - in un sondaggio di Ynet - come il 23° più grande israeliano della storia[2].
"I non ebrei sono nati solo per servire noi. Senza questa funzione, non hanno motivo di essere al mondo" disse in un suo sermone dell'ottobre 2010. [...] Devono morire, ma [Dio] dà loro una lunga vita. Perché? Immaginate: se l'asino di una persona morisse, questa perderebbe i suoi soldi, questo è il suo servo.. Ecco perché ha una lunga vita: per lavorare bene per questo ebreo". "Perché c'è bisogno dei gentili? Questi lavoreranno, areranno la terra, mieteranno e noi staremo seduti come dei signori e mangeremo"[3]. Sempre nel 2010 augurò che "sparissero dal mondo tutte le persone disgustose che odiano Israele (come Abu Mazen)" e che potessero essere "colpite dalla peste insieme a tutti i cattivi palestinesi persecutori dello Stato ebraico"[4]. Parlando degli arabi in un sermone del 2001 disse che "era vietato avere pietà di loro", che bisognava "lanciare missili contro di loro e annientarli", definendoli "perfidi e dannati"[5]. Quando l'uragano Katrina devastò New Orleans, sostenne che questo fatto aveva avuto luogo "perché non c'era abbastanza studio della Torah... gente negra risiedeva là (in New Orleans). I negri studieranno la Torah? [Dice Dio] portiamo uno tsunami e anneghiamoli [...] Centinaia di migliaia sono rimasti senza casa, decine di migliaia sono stati uccisi, tutto questo perché erano senza Dio"[6]. Aggiunse: "Dietro l'espulsione di Gush Katif [insediamento israeliano a Gaza] c'era Bush, incoraggiò Sharon: [...] 15.000 persone sono state espulse là e qui ne sono state espulse 150.000, è un castigo di Dio"[7]. In ambito medico, l'eminente rabbino, pur offrendo soluzioni halachiche per evitare problemi legali, dichiarò: "Se un gentile è ferito in un incidente stradale durante lo Shabbat, ed è portato all'ospedale [in Israele] non dovrebbe essere curato, ma nella realtà i pazienti sono ricoverati e devono essere trattati"[8]. In anni precedenti il più avveduto il Rabbino Capo ashkenazita Isser Yehuda Unterman, aveva invece stabilito che i dottori ebrei erano tenuti a soccorrere i pazienti non ebrei anche durante lo Shabbat.
In relazione alla sostanziale negazione della dignità umana dei non ebrei, rabbi Mordechai Eliyahu si colloca sulla medesima scia del suo predecessore. Rabbino Capo sefardita d'Israele dal 1983 al 1993, fu definito sul quotidiano Haaretz come "an eloquent racist"[9]: "elogiò appassionatamente"[10], il rabbino-terrorista Meir Kahane in occasione del suo funerale. Nel 2008 durante la celebrazione dell'anniversario dell'attacco che portò alla morte di otto studenti di una scuola rabbinica affermò: "Anche quando si cerca vendetta è bene mettere in chiaro una cosa: la vita di un ragazzo che studia in una yeshiva vale più delle vite di 1.000 arabi. Il Talmud stabilisce che se dei gentili derubano Israele d'argento, dovranno restituire in oro [...] ma in casi come questi non c' nulla da restituire dato che, come ho detto, la vita di un ragazzo che studia in una yeshiva vale più delle vite di 1.000 arabi"[11]. Eliyahu non mancò di precisare, nel maggio 2007, che tutti i civili di Gaza erano collettivamente responsabili per il lancio di razzi Kassam su Sderot. Matthew Wagner, sul Jerusalem Post, spiegò che il rabbino affermò la non proibizione dell'uccisione di civili durante una potenziale operazione massiva su Gaza con lo scopo di fermare i colpi. In accordo con l'etica di guerra ebraica, "ad un intera città si applicava la responsabilità collettiva per il comportamento immorale di individui[...]". Il figlio di rabbi Mordecahi, Shmuel Eliyahu (Rabbino Capo di Safed), disse che il padre - opponendosi ad operazioni di terra che mettessero in pericolo soldati israeliani - proponeva un bombardamento a tappeto dell'area dalla quale i Kassam erano lanciati, tutto questo "regardless of the price in Palestinian life". Aggiunse: "Se non si fermano dopo che ne avremo uccisi 100, allora dovremo ucciderne 1.000, se non si fermano ancora, dovremo ucciderne 100.000, anche un milione. Qualunque cosa per farli smettere"[12].
Sulla dignità e la vita dei gentili anche il Rabbino Capo ashkenazita della Palestina (Mandato Britannico) Abraham Isaac Kook (1921-1935), era stato chiaro: "La differenza tra un'anima ebraica e le anime dei non ebrei è più ampia e profonda della differenza tra l'anima umana e quella del bestiame"[13].
Rabbi Kook
Similmente a quanto fin qui riportato, dai vertici di uno dei più importanti movimenti ebraici esistenti al mondo (Chabad Lubavich, 4000centri in oltre 50 nazioni) ci giungono dichiarazioni che lasciano poco spazio alla discussione. Rabbi Menachem Mendel Schneerson fu il settimo Rebbe: guidò e sviluppò questa comunità fino al suo ultimo giorno di vita (1994). Dopo la sua morte gli fu attribuita la Medaglia d'Oro del Congresso Americano.Alcuni tratti dei suoi discorsi sono facilmente sovrapponibili a quelli che abbiamo visto fin qui: "Il corpo di una persona ebrea è di una qualità totalmente differente rispetto al corpo dei membri di tutte le altre nazioni del mondo [...] L'intera creazione esiste solo per gli ebrei"[14]. "Esistono due tipi contrari di anima, quella non ebraica viene da tre sfere sataniche mentre quella ebraica deriva dalla santità [...]. Il corpo di un embrione ebraico è su un livello più alto del corpo di un non ebreo"[15]. Queste parole del Rebbe non sono certo un caso isolato nel movimento, si pensi che il rabbino Manis Friedman (che aiutò Bob Dylan a entrare in relazione con Chabad) arrivò a sostenere: "Il solo modo di combattere una guerra morale è il modo ebraico: distruggere i loro luoghi santi. Uccidere uomini, donne e bambini (e bestiame)"[16]. Queste dichiarazioni causarono forti polemiche e Friedman decise di chiarire, misurando il senso delle sue parole e virando verso "respect and compassion"[17]. Rabbi Yitzhak Ginsburg, anche lui importante membro del movimento Chabad, nel 1989 commentando gli attacchi contro i palestinesi offrì una giustificazione religiosa in base alla visione secondo cui "lo spargimento di sangue non ebraico era un reato minore rispetto lo spargimento di sangue ebraico", del resto, per lui "qualsiasi processo basato sul presupposto che ebrei e goyim fossero uguali era una parodia totale della giustizia"[18].
Il Rabbino Capo Avraham Shapira, per bilanciare il peso di queste espressioni, pensò giusto fare una precisazione sulla creazione degli uomini ad immagine di Dio. Questo tuttavia non deve far credere che Shapira avesse idee particolarmente moderate: tra le altre cose, con un pronunciamento del 1995, tentò di ostacolare l'accordo di pace di Oslo chiedendo di non "trasferire le aree ai gentili" e nel 1994 invitò i soldati a disubbidire agli ordini relativi all'evacuazione di Hebron[19]. Ma torniamo a rabbi Ginsburg: nell'aprile del 1996 sul Jewish Week (uno dei più diffusi settimanali ebraici statunitensi, 70.000 copie a settimana) scrisse: "Se un ebreo ha bisogno di un fegato, può prenderlo da un non ebreo innocente per salvarsi? La Torah probabilmente lo permetterebbe. La vita ebraica ha un valore infinito. C'è qualcosa di più sacro e unico nella vita ebraica che in quella non ebraica"[20]. Tra i discepoli di Ginsburg è annoverato rabbi Yitzhak Shapira, coautore (insieme con rabbi Yosef Elitzur) de La Torah del Re (2009). Il libro portò all'arresto del religioso israeliano per avere sostenuto, tra le altre cose, la liceità dell'uccisione di bambini innocenti che in futuro avrebbero potuto rappresentare un eventuale "pericolo" per lo Stato diventando "perfidi come i loro genitori"[21]. Il clamore suscitato fu tale che non mancarono autorevoli dissociazioni: le conseguenze della pubblicazione di questi contenuti allarmarono lo stesso Ovadia Yosef. Ancora nell'ottobre del 2010 rabbi Shapira si disse favorevole all'uso dei palestinesi come scudi umani: "La vostra vita è più importante di quella del nemico" e aggiunse che un soldato non dovrebbe mai mettersi in pericolo a causa di un civile[22]. Tra i più famosi difensori di Shapira erano annoverati rabbi Yaacov Yosef (membro di spicco del partito Shas e figlio di Ovadia Yosef) e rabbi Dov Lior. Con l'accusa di "incitamento" furono coinvolti nelle indagini della polizia israeliana ed ebbero modo di affermare che "la Torah non è aperta alle investigazioni"[23].
In una libreria di Gerusalemme: "La Torah del Re"
Rabbi Yaakov Yosef, che incontreremo ancora in questo testo per le sue dichiarazioni quantomeno controverse, morì nell'aprile 2013, il rabbino capo askenazita d'Israele in carica (2003-2013), Yona Metzger, in occasione dei funerali – cui parteciparono 80.000 persone - disse che la sua morte era "un'enorme perdita per il popolo ebraico, la Terra d'Israele e il mondo sefardita. La verità era il suo principio guida"[24]. Rabbi Dov Lior - l'altro esponente religioso arrestato - è certamente una fonte di spunti non inferiore a quelle fin qui analizzate. Rabbino capo di Hebron, direttore della scuola talmudica di Kiryat Arba, guida del Council of Rabbis of Judea and Samaria. Definì il terrorista Baruch Goldstein "più santo di tutti i martiri dell'olocausto"[25]: nel 1994, il giorno di Purim, Goldstein entrò nella Grotta dei Patriarchi e uccise 29 arabi, ferendone 125 (al suo funerale un altro rabbino, Yaacov Perrin, sostenne "un milione di arabi non sono degni di un'unghia di un ebreo"[26]). Al momento dell'arresto di Dov Lior i due Rabbini Capo d'Israele, l'ashkenazita (Yona Metzger) e il sefardita (Shlomo Amar) diffusero un comunicato congiunto per condannare il fermo: "Ci rammarichiamo per la grave offesa all'onore di un importante rabbino, [che è] uno dei più grandi di Israele e leader della società religiosa"[27]. Anche recentemente Dov Lior si è lanciato in affermazioni a dir poco taglienti: come riferisce Ynetnews, asserì che una donna giudea non dovrebbe mai restare incinta a causa del seme donato da un non ebreo, "anche se questa fosse l'ultima opzione". Il bambino avrebbe "tratti genetici negativi che caratterizzano i gentili [...], tratti di crudeltà, tratti barbarici" che "non sono propri del popolo d'Israele". I giudei hanno caratteristiche positive che possono essere ereditate: "Una persona nata da genitori israeliti, anche non cresciuti nello spirito della Torah, possiede elementi che sono passati dal sangue, è genetico"[28]. Queste affermazioni riconducibili ad un certo razzismo "biologico", attraverso le quali emerge una contrapposizione uomo-barbaro, non devono colpire: la stessa Jewish Encyclopedia, evidenzia come nella tradizione giudaica non sia inedita una interpretazione in base alla quale "solo gli ebrei sono uomini" e i gentili sono non raramente classificati come barbari[29]. Credenze di questo tipo le incontreremo anche in seguito, nel paragrafo Affermazioni relative al "sangue ebraico".
Il terrorista Baruch Goldstein
Dov Lior ebbe pure modo di etichettare spregiativamente gli arabi in quanto crudeli "camel riders"[30] e di leggere l'isolamento internazionale di Israele e l'odio verso gli ebrei in tutto il mondo anche come "punizione per la demolizione di tre case nell'avamposto di Migron [...]"[31].
Proseguendo nel piccolo panorama che stiamo osservando risulta difficile non fare menzione di rabbi Aharon Leib Shteinman. Considerato come una guida nell'importante comunità Haredi, in base a quanto riferito da Israel HaYom, affermò: "Ci sono otto miliardi di persone nel mondo. E cosa sono? Assassini, ladri e soggetti senza senso. Dio creò il mondo per questi assassini? Il mondo fu creato per i giusti che studiano la Torah. Questo è lo scopo della creazione [...] Le nazioni del mondo non hanno qualità di redenzione"[32]. Nell'aprile 2013 rabbi Shteinman and rabbi Chaim Kanievsky offrirono "una spiegazione religiosa della crescita dell'antisemitismo in Europa, sostenendo che la polarizzazione tra ebrei ed altre nazioni si è rafforzata grazie alla Provvidenza divina per prevenire i matrimoni misti". In una lettera inviata ai partecipati alla Conference of European Rabbis, i due rabbini scrissero che "avvicinarsi ai gentili è un male doloroso, come apprendiamo dai loro atti e - Dio non voglia - assimilandoci con loro. Quando ci si avvicina, Dio separa [ebrei e gentili] tra loro, aumentando l'odio delle nazioni"[33]. Nel caso in cui queste parole sembrassero discriminatorie, una spiegazione potrebbe essere fornita da Rabbi Yosef Scheinen (guida della yeshiva di Ashdod), il quale non esitò a riconoscere che "il razzismo ha origine nella Torah"[34].
Se la dignità dei goyim pare oggetto di energici attacchi, a volte anche gli ebrei non religiosi finiscono per scivolare in una condizione non dissimile dai gentili. Su Haaretz, Admiel Kosman, riflettendo sul pensiero di rabbi Shagar (Rabbi Shimon Gershon Rosenberg, "uno dei più importanti leader spirituali e filosofi del sionismo religioso", scomparso nel 2007) annota: Shagar vedeva nel ritorno a quartieri separati la soluzione del problema. Solo in questo modo "l'ebreo secolare può ricevere il rispetto che merita come essere umano dal credente religioso, poiché come "straniero" ha cessato di essere una minaccia. Shagar pensa che tanto più l'ebreo religioso percepisce l'ebreo secolare come "altro", come una sorta di "goy" che vive nel quartiere, tanto più può rispettarlo"[35].
L'avversione descritta in queste pagine ha spesso portato a conseguenze angoscianti. Nel maggio del 2008, l'ANSA diffondeva una nota, ripresa da vari giornali italiani e stranieri in cui si dava la notizia: "Centinaia di volumi del Nuovo Testamento sono stati dati pubblicamente alla fiamme giovedì scorso nella città israeliana di Or Yehuda (Tel Aviv) su istruzione del vicesindaco Uzi Aharon". Seguivano la scena "centinaia di allievi di una scuola ortodossa". Aharon spiegò di essere impegnato in una lotta serrata per contrastare le attività di missionari cristiani[36]. Nel dicembre 2010 – come riferito dal Jerusalem Post – situazioni come quella appena descritta furono osservate da numerosi ed importanti esponenti cristiani spaventati dagli atteggiamenti razzisti e dai "proclami anti-arabi e anti-gentili"[37]. Ancora nel 2012, Padre Pierbattista Pizzaballa, Custode della Terra Santa denunciava che "la passività della polizia e una cultura volta a incoraggiare i bambini a trattare i cristiani con disprezzo" rendeva "sempre più intollerabile la situazione"[38]. Sebbene inusuali per un esponente così in vista del clero, le parole di Pizzaballa si resero necessarie dal momento in cui degli estremisti pro-insediamenti attaccarono il monastero trappista a Latroun[39]. La porta "fu bruciata e le pareti ricoperte di graffiti anti-cristiani" arricchiti con insulti irriferibili a Nostro Signore. In quell'anno, l'incidente appena narrato, fu uno "di una serie di atti a carattere incendiario e vandalico che prendevano di mira i luoghi di culto". Sui muri del Monastero della Croce (XI secolo), furono lasciate scritte offensive e dipinte frasi del tipo "morte ai cristiani"[40].
Il quotidiano Haaretz ci porta testimonianza di un'altra inaccettabile abitudine, quella di sputare contro i sacerdoti cristiani: "i giovani ultra-ortodossi maledicono e sputano routinariamente sul clero cristiano nella Città Vecchia di Gerusalemme. In molti casi i sacerdoti ignorano gli attacchi ma a volte rispondono"[41].
Atti vadalici a Latroun
Affermazioni che incitano alla discriminazione dei non ebrei
Le offese alla dignità dei gentili hanno come conseguenza immediata l'istigazione alla discriminazione. Così annotava, nel luglio 2010, il sito del Jerusalem Post: "più di 40 rabbini municipali hanno firmato una petizione [...] dicendo che gli ebrei non dovrevano affittare case in Israele ai gentili. Tra le ragioni per la proibizione c'era il pericolo di matrimonio misto e l'abbassamento dei prezzi immobiliari nelle zone in cui non ebrei vivono. [Inoltre] il diverso stile di vita dei gentili (rispetto agli ebrei) poteva mettere in pericolo vite". La lettera fu firmata da esponenti di primissimo piano del rabbinato, molti dei quali già incontrati nelle righe precedenti. Tra i più noti: Rabbi Yaakov Edelstein di Ramat HaSharon, Haim Pinto di Ashdod, Dov Lior di Kiryat Arba, David Abuhazeira di Yavne, David Bar-Chen di Sderot e altri ancora. Oltre ad essi firmò Rabbi Shlomo Aviner, Rabbi Yaakov Yosef e i leaders della comunità haredi, Rabbi Yosef Shalom Elyashiv e Rabbi Avigdor Neventzal. Tra i più convinti detrattori dell'"affitto ai gentili", emerse il già citato Rabbi Shmuel Eliyahu di Safed[42]. Quest'ultimo, trovandosi in corsa per l'incarico di rabbino capo sefardita d'Israele, vide opporsi alle sue ambizioni il membro del parlamento israeliano Esawi Frij (del partito Meretz) che definì Eliyahu "un razzista primitivo, che incita e che odia gli arabi". Per Frij era "un oltraggio che qualcuno che ha chiesto di non affittare appartamenti agli studenti arabi a Safed potesse ottenere un premio per il suo razzismo e diventare Rabbino Capo d'Israele"[43].
Anche in ambito di scelte commerciali paiono sussistere atteggiamenti discriminatori. Rabbi Yaakov Yosef affermò: "Se abbiamo davanti a noi due negozi – uno posseduto da un ebreo e l'altro da un non-ebreo (o un ebreo che si comporta come un gentile) – è nostro dovere comprare dall'ebreo timorato di Dio". Questo vale anche nel caso di "ristrutturazione della casa o trasloco". Si deve preferire l'impiego di lavoratori religiosi ed è permesso trasgredire solo per differenze di prezzo "superiori al 16.6%"[44].
Rabbi Shlomo Aviner (citato poco fa, "guida della Ateret Yerushalayim yeshiva di Gerusalemme" e "importante rabbino sionista"), aggiunge a quanto visto fin qui alcuni elementi curiosi. Prendendo le difese dell'ex presidente israeliano Katsav e mettendo in discussione alcuni aspetti del sistema giudiziario israeliano sostenne, per la presenza tra i giudici di un arabo cristiano, che la sentenza era stata emessa da una "corte di gentili"[45]. Durante l'operazione Cast Lead a Gaza, pubblicò un controverso libretto, distribuito dal rabbinato delle forze armate. In una sezione, giustificava la possibilità di colpire i civili e diceva che la "crudeltà era una cattiva qualità, ma tutto dipendeva da quando"[46].
Soldati e religiosi
Alcuni dubbi sui diritti di cittadinanza furono avanzati da Rabbi Melamed, capo della yeshiva di Beit El. Ynet titolò: "Rabbi: Revoke citizenship of non-Jews". Citiamo: "Il nostro obiettivo ideale per la terra d'Israele, in tutti i suoi confini, è che sia riempita dal popolo d'Israele, come fu promesso al nostro padre Abramo [...]"."Melamed chiede di spogliare gli arabi israeliani dei loro diritti civili": "Anche quelli con un punto di vista democratico capiscono che dobbiamo limitare i diritti di coloro che vogliono fare del male allo Stato. Ci sono molti non ebrei in Israele che si sforzano di indebolire il Paese"[47].
Opinioni non isolate secondo un recente sondaggio israeliano, tra gli ultra-ortodossi: "il 70% sosterrebbe la necessità di escludere gli arabi israeliani dal voto, l'82% il trattamento preferenziale dallo Stato verso gli ebrei e il 95% sarebbe a favore della discriminazione degli arabi nell'ammissione al lavoro"[48].
Affermazioni relative al "sangue ebraico"
Scorrendo le pagine dell'edizione online del Jerusalem Post è possibile incontrare una singolare domanda sull'ebraicità cui autorevolmente rispose Rav Shlomo Brody (laureato ad Harvard, semicha ottenuta dal rabbinato centrale di Israele):
"[...]Un rabbino conservatore ha garantito la mia ebraicità in quanto sono nato da madre ebrea. La parte complessa è che, anche se mia madre nacque ebrea, si convertì al cristianesimo ben prima della mia nascita. Sono cresciuto cattolico - dal Battesimo fino alla Cresima - ma mia mamma in seguito mi ha permesso di praticare il giudaismo con gli amici e le loro famiglie. Sono ebreo? [...]". Dopo una lunga introduzione, il rabbino conclude: "Dal momento che la madre biologica nacque ebrea, i figli degli apostati mantengono la loro identità giuridica ebraica, e non richiedono alcun processo di conversione formale per tornare all'ovile (Pit'hei Teshuva YD 268:10). Se i dati forniti sono esatti, la stragrande maggioranza dei rabbini sosterrebbe la tua ebraicità"[49]. Una ulteriore e non necessaria conferma del carattere "biologico" della trasmissione dell'ebraismo.
Già abbiamo visto le dichiarazione di rabbi Dov Lior sugli esiti "barbarici" della paternità gentile: in un'ottica di questo tip il "matrimonio misto" non può che essere scoraggiato. Nel 1964 il Rabbinical Council of America chiese a tutti i rabbini di rifiutare la celebrazione di matrimoni in cui erano coinvolti non ebrei. Il Consiglio sostenne che in base ad una ricerca il 70% dei bambini nati da matrimoni misti non seguiva il giudaismo mettendo in pericolo la sussistenza della religione[50]. Rabbi Meir Lau, Rabbino Capo emerito ashkenazita d'Israele e Yad Vashem Council Chairman - sostanzialmente allineato a questa impostazione – affermò: "Sposare i gentili è fare il gioco dei nazisti"[51] [...].
Nel dicembre 2010 un gruppo (ovviamente non "ortodosso") di 30 donne "rabbino" riformate, reagendo alla lettera di diverse mogli di rabbini che chiedevano alle ragazze ebree di stare alla larga dai giovani arabi, diramarono una dichiarazione nella quale si denunciava l'ondata "di incitazione ed intimidazione razziali che non aveva ricevuto la risposta appropriata dai dirigenti del Paese e dalle forze dell'ordine"[52].
A volte queste campagne religiose hanno portato all'identificazione di bersagli precisi. Rabbi Yisrael Rosen, capo dello Zomet Institute, nel marzo 2011 lanciò un feroce attacco contro Einat Wilf (membro della Knesset, gruppo: Independence) per il suo matrimonio con un non ebreo, aggiungendo l'invito a boicottare le sue attività pubbliche[53]. Anche fuori dal parlamento non sono mancati episodi significativi: nel dicembre 2010 a Bat Yam, circa 200 persone fecero una manifestazione attaccando "le relazioni tra le donne ebree locali e uomini arabi". Uno dei manifestanti disse: "ogni donna ebrea che va con un arabo dovrebbe essere uccisa, ogni ebreo che vende la sua casa ad un arabo dovrebbe essere ucciso". Alcuni insultarono Maometto e diedero luogo a commenti razzisti conto gli arabi[54].
Proteste a Bat Yam
Conclusione
Quanto scritto - lo abbiamo accennato nelle prime righe - ha un origine chiara ed antica. Nel Talmud, nello Shulchan Aruch e in altri testi si trova la radice visibile di questa avversione. Lo stesso pensiero di Maimonide trasuda di espressioni anti-gentili. In anni non lontani, un eminentissimo prelato, fine studioso e protettore di molti ebrei durante l'occupazione di Roma come il Cardinale Ernesto Ruffini ribadì: "A nessuno certo sfugge che i giudei seguono ancor oggi la dottrina del Talmud, secondo la quale gli altri uomini vanno disprezzati perché simili alle bestie; tutti abbiamo anche verificato che essi spesso sono avversi alla nostra religione"[55].
Giovanni XXIII e il Card. Ruffini
Ogni ebreo considera i gentili come gli autorevoli rabbini elencati in precedenza? Ovvio che no, è evidente. Tuttavia un sondaggio dell'ottobre 2012 pubblicato dal quotidiano Haaretz (già citato), ha evidenziato l'ampia penetrazione del razzismo nella società israeliana e, cosa interessante, pare dimostrare un netto acuirsi di questi pregiudizi nei gruppi ortodossi. Questo clima religioso finisce inevitabilmente per ripercuotersi anche sulla parte secolare della società e sul governo. Si pensi, tra i molti esempi che si potrebbero fare, alle parole del religioso Eli Yishai, ministro degli Interni (partito Shas), che parlando degli immigrati, nel giugno 2012 dichiarò: "i musulmani che arrivano in Israele addirittura non credono che questo paese appartenga a noi, all'uomo bianco"[56]. Come non tutti gli ebrei, chiaramente non tutti i rabbini hanno pubblicamente esternato l'odio visto in precedenza: se, per esempio, rabbi Perrin elogiò il terrorista Goldstein, ragionevolmente, il rabbino capo inglese Jonathan Sacks condannò il gesto. Mettendo però da parte i sentimentalismi, nella posizione di Sacks troviamo un problema. Per quante citazioni in favore della pace possiamo trovare nei libri ebraici "ci ritroviamo con numerosi testi che invitano alla violenza nel nome di Dio, e questo rende difficile argomentare contro Perrin e simili su basi puramente testuali"[57]. In una religione priva di clero gerarchico a guida unitaria, e con alle spalle secoli di autoisolamento, gli elementi xenofobi hanno finito per superare ampiamente quelli di apertura portando la politica israeliana - anche laica - ad essere quella che conosciamo e gran parte della diaspora a sostenerla.
[1] Jewish Encyclopedia, 1906, "Gentile".
[2] Morto il 7 ottobre 2013. Il giorno seguente il profilo della comunità ebraica romana twittava: "La Comunità Ebraica piange la morte di Rav Ovadia Yossef pilastro del mondo ebraico sefardita".
[3] Marcy Oster, Sephardi leader Yosef: Non-Jews exist to serve Jews, Jewish Telegraphic Agency, October 18, 2010.
[4] BBC, Israel rabbi calls for 'plague' on Mahmoud Abbas, 30 August 2010: http://www.bbc.co.uk/news/world-middle-east-11127409
[5] BBC, Rabbi calls for annihilation of Arabs, 10 April, 2001: http://news.bbc.co.uk/2/hi/middle_east/1270038.stm 1
[6] Più "leggera" ma sempre significativa è la battuta fatta dal neoeletto Rabbino capo ashkenazita d'Israele David Lau (agosto 2013, figlio Meir Lau, Rabbino Capo emerito) di fronte agli studenti di una yeshiva. Parlando delle partite di basket disse:"What do you get out of it when the kushim who are paid by Tel Aviv beat the kushim who are paid by Greece?" [Cosa ve ne viene se dei negri pagati da Tel Aviv battono dei negri pagati dalla Grecia?]. Dopo la bufera di polemiche che seguì queste dichiarazioni, il rabbino sostenne che la frase "was a joke". Cfr.: Gil Hoffman, New chief rabbi widely condemned for racist comments, JPost.com, 07/30/2013: http://www.jpost.com/National-News/New-chief-rabbi-widely-condemned-for-comments-on-black-people-321529
[7] Zvi Alush, Ynetnews, Rabbi: Hurricane punishment for pullout, 09.07.05:
http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-3138779,00.html
[8] Ynetnews, Rabbi Yosef: Treating gentiles violates Sabbath, 05.17.12: http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4229767,00.html
[9] Anshel Pfeffer, Rabbi Mordechai Eliyahu – an eloquent racist, Haaretz, Jun. 11, 2010: http://www.haaretz.com/print-edition/news/anshel-pfeffer-rabbi-mordechai-eliyahu-an-eloquent-racist-1.295498
[10] Ibidem.
[11] Kobi Nahshoni, Ynetnews, Rabbi Eliyahu: Life of one yeshiva boy worth more than 1,000 Arabs, 04.03.08:
http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-3527410,00.html
[12] Matthew Wagner, Eliyahu advocates carpet bombing Gaza, Jpost, 05/30/2007: http://www.jpost.com/Israel/Eliyahu-advocates-carpet-bombing-Gaza
[13] Robert Pope, Honouring the Past and Shaping the Future: Religious and Biblical Studies in Wales : Essays in Honour of Gareth Lloyd Jones, Gracewing Publishing, 2003, p. 224.
[14] Israel Shahak, Norton Mezvinsky, Jewish fundamentalism in Israel, Pluto Press, 2004, pp. 91-92.
[15] Ibidem. / in Elliot R. Wofson, Open Secret: Postmessianic Messianism and the Mystical Revision of Menahem Mendel Schneerson, Columbia University Press, 2013, p. 392, n. 180: "The source for the souls of the righteous Gentiles is similarly identified as the shell of nogah, which is also the source of the natural soul in the Jew, whereas the soul of all other Gentiles is from the three shells of impurity"; Anche nei predecessori del settimo Rebbe questo aspetto ricorre. Sempre in Elliot R. Wofson, Open Secret: Postmessianic Messianism and the Mystical Revision of Menahem Mendel Schneerson, Columbia University Press, 2013, p. 235: "In the opening chapter of the first part of Tanya [תניא, aramaico per "fu insegnato" opera base scritta nel 1797 da Rabbi Shneur Zalman di Liadi, fondatore del movimento Chabad], we find the infamous distinction between the animal soul of the Jews and the animal soul of the idolatrous nations: the former derives from the shell of the radiance (nogah), which is from the Tree of Knowledge of Good and Evil whereas the latter derives from the remaining three impure shells 'in which there is no good at all".
[16] Nathaniel Popper, Chabad rabbi: Jews should kill Arab men, women and children during war, Haaretz, Jun. 9, 2009: http://www.haaretz.com/news/chabad-rabbi-jews-should-kill-arab-men-women-and-children-during-war-1.277616
[17] Ibidem.
[18] Alan Cowell, AN ISRAELI MAYOR IS UNDER SCRUTINY, The New York Times, June 06, 1989: http://www.nytimes.com/1989/06/06/world/an-israeli-mayor-is-under-scrutiny.html?scp=1&sq=Yitzhak&st=nyt
[19] Amin Saikal, Albrecht Schnabel, Democratization in the Middle East: Experiences, Struggles, Challenges, United Nations University Press, 2003, p. 153
[20] Israël Shahak, Norton Mezvinsky, Jewish fundamentalism in Israel, Pluto Press, 2004, p. 62, et cfr.: Motti Inbari, Jewish Fundamentalism and the Temple Mount: Who Will Build the Third Temple?, SUNY Press, 2009, p. 134
[21] Matthew Wagner, Shapira's distinction between Jewish, gentile blood, JPost.com, 01/28/2010:
http://www.jpost.com/Home/Shapiras-distinction-between-Jewish-gentile-blood
[22] Leading rabbi encourages IDF soldiers to use Palestinian human shields, Haaretz, Oct. 20, 2010:
http://www.haaretz.com/news/diplomacy-defense/leading-rabbi-encourages-idf-soldiers-to-use-palestinian-human-shields-1.320311 ["'Your life is more important than that of the enemy', Rabbi Yitzhak Shapira tells students, adding that a soldier should never put himself in danger even for the sake of a civilian"]
[23] Aviad Magnezi, Rabbis fail to report to police, YNetNews, 08.10.10: http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-3933241,00.html
[24] Rabbi Yaakov Yosef passes away at age 66, JPost.com, 04/12/2013: http://www.jpost.com/Jewish-World/Jewish-News/Son-of-Shas-spiritual-leader-passes-away-at-age-66-309640
[25] Sefi Rachlevsky, A racist, messianic rabbi is the ruler of Israel, Haaretz, Jul. 1, 2011: http://www.haaretz.com/print-edition/opinion/a-racist-messianic-rabbi-is-the-ruler-of-israel-1.370554
[26] Nadia Valman, Tony Kushner, Philosemitism, Antisemitism and 'the Jews': Perspectives from the Middle Ages to the Twentieth Century, Ashgate Publishing, Ltd., 2004, p. 64.
[27] Nir Hasson, Yaniv Kubovich, Chaim Levinson, Tomer Zarchin, Israel's chief clergy decries arrest of top rabbi who called for killing gentiles, Haaretz, Jun. 28, 2011: http://www.haaretz.com/print-edition/news/israel-s-chief-clergy-decries-arrest-of-top-rabbi-who-called-for-killing-gentiles-1.369935
[28] Kobi Nahshoni, 'Gentile sperm leads to barbaric offspring', YNetNews, 01.12.11:
http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4006385,00.html
[29] Jewish Encyclopedia, 1906, "Gentile".
[30] Kobi Nahshoni, Rabbi Lior: Arabs are 'evil camel riders', YNetNews, 09.20.11:
Http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4124816,00.html
[31] Ibidem.
[32] Yehuda Shlezinger, Edna Adato, 'Rabbi called world's non-Jews murderers, thieves, senseless', israelhayom.com, May 20, 2012: http://www.israelhayom.com/site/newsletter_article.php?id=4404
[33] Kobi Nachshoni, Rabbis: Act modestly to stop anti-Semitism, YNetNews, 04.23.13:
http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4371295,00.html
[34] Chaim Levinson, Top rabbis move to forbid renting homes to Arabs, say 'racism originated in the Torah', Haaretz, Dec. 7, 2010: http://www.haaretz.com/news/national/top-rabbis-move-to-forbid-renting-homes-to-arabs-say-racism-originated-in-the-torah-1.329327
[35] Admiel Kosman, Between Orthodox Judaism and nihilism, Haaretz, Aug. 17, 2012:
http://www.haaretz.com/weekend/week-s-end/between-orthodox-judaism-and-nihilism-1.458950
[36] (ANSA) – TEL AVIV, 20 MAG 2008 – Centinaia di volumi del Nuovo Testamento sono stati dati pubblicamente alla fiamme giovedì.
[37] Greer Fay Cashman, Christian leaders dismayed by anti-gentile attitudes, JPost.com, 12/30/2010:
http://www.jpost.com/National-News/Christian-leaders-dismayed-by-anti-gentile-attitudes
[38] Adrian Blomfield, Vatican official says Israel fostering intolerance of Christianity ,The Telegraph, 07 Sep 2012:
http://www.telegraph.co.uk/news/religion/9529123/Vatican-official-says-Israel-fostering-intolerance-of-Christianity.html
[39] Ibidem.
[40] Ibidem.
[41] Oz Rosenberg, Ultra-Orthodox spitting attacks on Old City clergymen becoming daily, Haaretz, Nov. 4, 2011:
http://www.haaretz.com/news/national/ultra-orthodox-spitting-attacks-on-old-city-clergymen-becoming-daily-1.393669
[42] 40 rabbis: Jews shouldn't rent, sell homes to gentiles, Jpost.com, 12/07/2010: http://www.jpost.com/Jewish-World/Jewish-News/40-rabbis-Jews-shouldnt-rent-sell-homes-to-gentiles
[43] Maayana Miskin, Meretz MK Seeks to Disqualify Rabbi Eliyahu, israelnationalnews.com, 4/30/2013:
http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/167612#.UnkRVhA4nG8
[44] Kobi Nahshoni, Rabbi: Buy only from religious storeowners, YNetNews, 05.27.09:
http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-3720560,00.html
[45] Kobi Nahshoni, Rabbi: Judge in Katsav trial a gentile, YNetNews, 02.28.11:
http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4035656,00.html
[46] Gershom Gorenberg, The Unmaking of Israel, HarperCollins, 2011 et Cfr.: Ben Lynfield, Army rabbi 'gave out hate leaflet to troops', The Independent, 27 jan. 2009: http://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/army-rabbi-gave-out-hate-leaflet-to-troops-1516805.html
[47] Kobi Nahshoni, Rabbi: Revoke citizenship of non-Jews, YNetNews, 04.28.08:
http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-3536627,00.html
[48] October 2012 Yisraela Goldblum Fund poll, presentato su Haaretz da Gideon Levy il 23 ottobre 2012.
[49] Shlomo Brody, Ask the Rabbi: Am I Jewish or not?, JPost.com, 09/11/2007: http://www.jpost.com/Jewish-World/Jewish-Features/Ask-the-Rabbi-Am-I-Jewish-or-not
[50] AJR Information, Vol. XIX, No. 2, Feb. 1964.
[51] Udi Avni, 'Intermarriage plays into Nazis' hands', YNetNews, 10.23.11:
http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4132384,00.html
[52] Jonah Mandel, Barak slams 'wave of racism' in rabbi, rebbetzin letters, JPost.com, 12/29/2010:
http://www.jpost.com/Diplomacy-and-Politics/Barak-slams-wave-of-racism-in-rabbi-rebbetzin-letters
[53] Ari Galahar, Rabbi: Boycott MK married to gentile, YNetNews, 03.03.11:
http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4028422,00.html
[54] Yoav Zitun, Bat Yam rally: Death to Jewish women who date Arabs, YNetNews, 12.21.10:
http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4002085,00.html
[55] Giovanni Miccoli, Due nodi: la libertà religiosa e le relazioni con gli ebrei, in Storia del concilio Vaticano II, IV, diretta da G. Alberigo, a cura di A. Melloni, Bologna 1999, p. 182.
[56] Dana Weiler-Polak, Israel enacts law allowing authorities to detain illegal migrants for up to 3 years, Haaretz, Jun. 3, 2012: http://www.haaretz.com/news/national/israel-enacts-law-allowing-authorities-to-detain-illegal-migrants-for-up-to-3-years-1.434127
[57] Nadia Valman, Tony Kushner, Philosemitism, Antisemitism and 'the Jews': Perspectives from the Middle Ages to the Twentieth Century, Ashgate Publishing, Ltd., 2004, p. 64.
Storia
Censura su Fidel e Mandela
Censura su Fidel e Mandela
di Atilio A, Boron
Articolo del politologo argentino Boron che ricorda i rapporti stretti tra Mandela e Castro ed il ruolo di Cuba nella sconfitta del regime razzista sudafricano.
Nelson Mandela è morto e ci lascia davvero soli in questo mondo cinico. Il cordoglio unanime, però, trascura alcuni aspetti del complesso e travagliato destino di Mandela e del suo popolo, per esempio, la necessità, negli anni 60 di far ricorso alla lotta armata a causa della sordità e della violenza della controparte; per esempio, il ruolo di Cuba, attraverso la sua partecipazione alla guerra in Angola, su richiesta del FNLA. Lo storico italo-statunitense Pietro Gleijeses ha già da tempo documentato l’importanza dell’intervento cubano in una scacchiera in cui il Congo, la Namibia, l’Angola, il Sudafrica erano scenario di interessi non solo nazionali. La penetrazione sudafricana in Angola, dopo aver occupato la Namibia, è stata arrestata e sconfitta dalla battaglia di Cuito Cuaavale di cui si parla nell’articolo di Atilio Boron pubblicato qui sotto. (A.R.)
Atilio A, Boron
(Editorialista argentino, Direttore del PLED, Centro Culturale per la Cooperazione “Floreal Gorini”)
Censura su Fidel e Mandela
La morte di Nelson Mandela ha provocato una caterva di interpretazioni sulla sua vita e la sua opera; tutte lo presentano come un apostolo del pacifismo e come una specie di Madre Teresa del Sudafrica. Si tratta di un’immagine essenzialmente e premeditatamente sbagliata che trascura il fatto che dopo la strage di Shaperville, nel 1960, il Congresso Nazionale Africano (CNA) e il suo leader –lo stesso Nelson Mandela- adottarono la via armata e il sabotaggio a imprese e progetti di rilevanza economica, senza attentare a vite umane. Mandela viaggiò in diversi paesi dell’Africa in cerca di aiuto economico e militare per sostenere questa nuova tattica di lotta. Fu arrestato nel 1962 e, poco dopo, fu condannato all’ergastolo, restando recluso in un carcere di massima sicurezza, in una cella di due metri per due, per 25 anni, salvo i due ultimi anni in cui l’enorme pressione internazionale per ottenerne la liberazione avevano migliorato le condizioni della sua detenzione.
Dunque, Mandela non era “un adoratore della legalità borghese” ma uno straordinario leader politico le cui strategie e tattiche di lotta cambiavano come cambiavano le condizioni nelle quali librava la sua battaglia. Si dice che è stato l’uomo che l’ha fatta finita con l’odioso apartheid sudafricano, ma questa è una mezza verità. L’altra metà del merito corrisponde a Fidel e alla Rivoluzione cubana che con il loro intervento nella guerra civile dell’Angola ha determinato la sorte dei razzisti sconfiggendo le truppe dello Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo), dell’esercito sudafricano e dei due eserciti mercenari angolani organizzati, armati e finanziati dagli Stati Uniti attraverso la CIA. Grazie a questa eroica collaborazione, in cui ancora una volta si è dimostrato il nobile internazionalismo della Rivoluzione cubana, è stato possibile mantenere l’indipendenza dell’Angola, gettare le basi per la successiva emancipazione della Namibia e tirare il colpo di graziacontro l’apartheid sudafricano. Per questo, venuto a sapere del risultato della cruciale battaglia di Cuito Cuanavale, il 23 marzo 1988, Mandela scrisse dal carcere che la conclusione di quella che è stata chiamata “la Stalingrado africana” era stata “il punto di svolta per la liberazione del nostro continente, e del mio popolo, dal flagello dell’apartheid.” La sconfitta dei razzisti e dei loro mentori statunitensi ha assestato un colpo mortale all’occupazione sudafricana della Namibia e ha accelerato l’inizio dei negoziati con il CNA che, poco dopo, avrebbero finito col demolire il regime razzista sudafricano, opera comune di quei due giganteschi statisti e rivoluzionari. Anni dopo, durante la Conferenza di Solidarietà Cubana-Sudafricana del 1995, Mandela avrebbe detto che “i cubani sono venuti nella nostra regione come dottori, maestri, soldati, periti agrari, ma mai come colonizzatori. Hanno condiviso le stesse trincee nella lotta contro il colonialismo, il sottosviluppo, l’apartheid. [... ] Non dimenticheremo mai questo incomparabile esempio di disinteressato internazionalismo”. E’ bene ricordarlo a coloro che ieri e ancora oggi parlano della “invasione cubana dell’Angola”.
Cuba ha pagato un prezzo enorme per questo nobile atto di solidarietà internazionale che, come ha ricordato Mandela, ha costituito il punto di svolta della lotta contro il razzismo in Africa, Fra il 1975 e il 1991, circa 450.000 uomini e donne dell’isola sono andati in Angola a giocarsi la vita. Poco più di 2.600 l’hanno persa combattendo per sconfiggere il regime razzista di Pretoria e i suoi alleati. La morte di quello straordinario leader che è stato Nelson Mandela è un’ottima occasione per rendere omaggio alla sua lotta e, anche, all’eroismo internazionalista di Fidel e della Rivoluzione cubana.
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(Nessuna speranza e la nostra speranza)
Alla sua conferenza stampa del 9 agosto 2013, il Presidente statunitense Barack Obama ha liquidato come criminale comune Edward Snowden, l'analista della NSA (National Security Agency) che ha denunciato lo spionaggio illecito dell'ente nazionale per la sicurezza; ha rimproverato Vladimir Putin di voler tornare alla Guerra Fredda dando asilo a Snowden e rifiutando la sua estradizione; infine, ha rassicurato i giornalisti e i telespettatori sulle buone intenzioni della NSA nello spiare le telecomunicazioni del mondo intero. Il tutto snocciolando mezze-verità con tanto candore e franchezza da ispirare subito fiducia in quanto da lui affermato.
Eppure le mezze-verità -- proprio perché tacciono volutamente i fatti capaci di invalidare quanto viene affermato -- sono da considerarsi bugie a tutti gli effetti. Anzi, sono qualcosa di peggio: consentono di fuorviare e di abbindolare l'ascoltatore -- esattamente come le bugie -- ma lo fanno in maniera più subdola e meno compromettente. Bush jr. ricorreva alle bugie, anche grosse, e quindi era facile smascherarle e denunciarlo. Obama invece usa le mezze verità, cioè affermazioni incontestabili in sé ma che ci obbligano poi, prima di accettarle, a scervellarci per immaginare (e poi verificare) tutto quello che andava detto ma non è stato detto e che potrebbe invalidare quanto sostenuto. Un lavoro estenuante.
Nella sua conferenza stampa, dunque, il Presidente Obama si è dimostrato maestro delle mezze-verità. Segue perciò una lista parziale delle cose che NON ha detto -- ma che andavano dette per avere un quadro veritiero dei temi trattati -- con i relativi documenti di appoggio. I documenti sono quasi tutti in lingua inglese, ma cliccando sulle parole "in italiano", apparirà la traduzione automatica Google (molto approssimativa).
I.
Cominciamo con il preteso torto commesso da Putin nel non riconsegnare Snowden agli Stati Uniti e nell'accordargli asilo temporaneo in Russia.
Obama, da giurista che è, avrebbe potuto informarci che la normativa internazionale imponeva alla Russia di accordare asilo, almeno temporaneo; invece ha taciuto questo fatto. Ha taciuto anche il fatto che il capo di accusa formulato dal governo statunitense (spionaggio politico), proprio perché è politico, preclude la possibilità di estradizione, anche in presenza di specifici accordi al riguardo (che nemmeno ci sono, nel caso dei rapporti USA-Russia). Vedi la dichiarazione dell'emerito professore di diritto internazionale dell'Università Princeton e consulente ONU Richard Falk: documento(in italiano).
Obama ha dimenticato altresì di informarci, a proposito delle estradizioni, che gli stessi Stati Uniti spesso le negano, anche in presenza di specifici accordi al riguardo. Per esempio, esistono accordi di estradizione tra gli USA e l'Italia, eppure l'anno scorso, quando l'Italia ha richiesto l'estradizione dei 26 agenti della CIA condannati per un sequestro con tortura da loro commesso sul suolo italiano, il governo americano ha respinto la richiesta. Anzi, aveva già dichiarato, all'inizio del processo di primo grado, che non avrebbe in nessun caso riconsegnato gli agenti (scappati negli Stati Uniti prima del processo). Vedi la dichiarazione di John Bellinger, consulente legale ufficiale del Dipartimento di Stato: documento (in italiano).
Quest'anno uno dei 26 agenti, in viaggio a Panama, incautamente si è fatto arrestare per una banalità. Facendo i controlli di routine, la polizia ha scoperto il mandato di estradizione internazionale spiccato dall'Italia; perciò ha incarcerato l'agente e si è messa in contatto con l'Italia per la riconsegna. Ma il governo americano, venutone a conoscenza, ha esercitato pressione sul Presidente del Panama che ha fatto prelevare l'agente dalla sua cella per rispedirlo in un aereo speciale negli Stati Uniti. Il ministro della Giustizia Cancellieri non ha potuto far altro che esprimere il suo vivo "rammarico" per la non avvenuta estradizione. Vedi il servizio del Fox News, vicinissimo al Dipartimento di Stato USA: documento (in italiano)
Non solo. Ma nel 2012 gli Stati Uniti hanno rifiutato di riconsegnare l'ex presidente boliviano, scappato negli USA per non essere arrestato per i crimini contro l'umanità da lui commessi durante il suo mandato. Vedi il servizio del Guardian: documento (in italiano). Nel 2005 gli Stati Uniti hanno rifiutato di riconsegnare al Venezuela un terrorista, reo di aver fatto esplodere in volo un aereo passeggeri cubano con a bordo dei diplomatici venezuelani; anzi, gli USA hanno concesso al terrorista asilo politico. Vedi la voce "2005" nel resoconto Wikipedia: documento (già in italiano).
In una parola, se tutti i non detti fossero stati detti, i rimproveri fatti dal Presidente americano al Presidente russo sarebbero risultati giuridicamente non validi e, visto il pulpito da cui provenivano, persino ipocriti.
II.
In quanto a Edward Snowden, l'informatore che ha osato rivelare le attività dubbie della NSA (pur sapendo di rischiare una persecuzione a vita), Obama ha negato il valore di questo suo sacrificio. "Non è stato un atto patriottico, il suo", ha commentato Obama, "è stato soltanto un reato." Mentre lo spionaggio dell'intera popolazione da parte della NSA non sarebbe per Obama un reato, in quanto autorizzato (a suo dire) da un'apposita legge.
Ma Obama ha omesso di precisare che lo spionaggio dell'intera popolazione è palesemente anticostituzionale negli Stati Uniti (l'art. IV vieta le perquisizioni senza mandato nominale, cioè i general warrant), com'è anticostituzionale, dunque, la stessa legge invocata da Obama per giustificare quello spionaggio. Se questa legge non è stata ancora cassata dalla Corte Costituzionale, è soltanto perché le attività della NSA sono state finora tenute segrete e nessuna causa è stata intentata. In questi giorni, invece, grazie alle rivelazioni di Snowden, è partita la prima causa. Sarebbe stato opportuno menzionare anche il fatto che diversi impiegati della NSA avevano in passato, seguendo i canali interni dell'ente, cercato di denunciare l'incostituzionalità delle mansioni a loro affidate, ma sono stati inascoltati, emarginati e zittiti. Vedi l'esposizione del prof. J. Kavanagh sull'art. IV della Costituzione statunitense (documento , in italiano) e le testimonianze degli impiegati NSA inascoltati (documento, initaliano).
Obama ha anche dimenticato di dire che lui stesso, durante la sua campagna elettorale, ha dichiarato di voler difendere, come "attopatriottico" (parole sue), la denuncia di qualsiasi misfatto governativo da parte di un impiegato dello Stato. Perché, ha aggiunto Obama, solo così si riesce a rompere l'omertà e a ripulire la pubblica amministrazione. Vedi il brano in questo documento, initaliano. Malgrado questa promessa, durante il suo mandato Obama ha dato la caccia a più informatori di tutti i presidenti prima di lui, messi insieme. E con una severità verso gli imputati senza precedenti (basta pensare alle condizioni iniziali di prigionia di Bradley Manning, giudicate dall'ONU una forma di tortura.) Vedi l'entità della persecuzione in questo documento, in italiano.
III.
Infine, per tranquillizzare i suoi concittadini (e il resto del mondo), Obama ha illustrato, nella sua conferenza stampa del 9 agosto, alcuni rimedi parziali contro l'invadenza del programma di spionaggio della NSA.
Ma ha omesso di menzionare il rimedio principale che intende mettere in pratica, perché altri "casi Snowden" non succedano in futuro: invece di eliminare le attività anticostituzionali della NSA, Obama eliminerà il 90% degli impiegati dell'ente. Essi verranno sostituiti con dei computer (che sono meno versatili degli esseri umani ma che non faranno denunce, non avendo una coscienza). In quanto al 10% di impiegati che rimarrà per gestire il lavoro di analisi svolto dai computer, essi verranno sottoposti ad un programma di controllo totale: verranno indotti a denunciarsi a vicenda per qualsiasi atteggiamento contestatario (o comunque sospetto) lasciato trapelare durante una conversazione. Vedi questo documento (initaliano) sul 90% e questo documento (in italiano) per il 10%.
Allo scopo di "dare speranza" (Hope) ai suoi concittadini e al mondo, Obama ha poi prospettato l'arrivo di innovazioni tecnologiche nel prossimo futuro, che potrebbero proteggerci contro l'invadenza di un governo. Egli si è espresso più o meno in questi termini: "La tecnologia stessa potrà in futuro fornirci alcune protezioni supplementari. Così, se tu non credi che la legge ti tuteli sufficientemente, se tu temi che i controlli reciproci tra i diversi rami del governo non siano sufficienti per impedire che il governo ficchi il naso nei tuoi affari, ebbene forse in futuro potrai incorporare delle nuove tecnologie nei dispositivi che usi per comunicare, che impediscano al governo di origliare le tue conversazioni, anche se ce la mette tutta per cercare di spiarti." [Detto per inciso, questo è un esempio tipico del linguaggio franco, candido e senza fronzoli del Presidente Obama, così diverso dai periodi forbiti e sfumati del Presidente Napolitano e dei politici italiani colti. Somiglia semmai al linguaggio di Bossi, di Berlusconi, di Grillo e di Renzi, i quali, esattamente come i presidenti e anche i politici comuni americani, cercano di dare (ingannevolmente) l'impressione di parlare "dalla pancia" e "a tu per tu" con gli elettori -- ognuno a modo suo, naturalmente.] Per la trascrizione integrale della conferenza stampa, vedi questo documento (in italiano).
Invece Obama NON ha detto -- e ne vedremo dopo il motivo -- che le tecnologie future che ci salveranno dallo spionaggio, in realtà esistono già da tempo e funzionano benissimo. Ad esempio, la casa Lavabit produce un programma email simile a Hotmail e Gmail ma assolutamente inviolabile; le email vengono criptate sul computer dell'utente, al momento dell'invio, con un codice unico che neanche la CIA e la NSA riescono a decriptare. Mentre era rinchiuso nell'aeroporto di Mosca, Edward Snowden usava Lavabit per comunicare con Julian Assange e con i suoi avvocati. Mentre la casa Silent Circle offre un servizio criptato di telefonia e di chat in Internet simile a Skype, ma anch'esso inviolabile da parte delle agenzie governative. La tecnologia Silent Circle può essere usata anche sui telefonini cellulari, garantendo conversazioni assolutamente riservate.
Ma se Obama ha omesso di dare questi esempi, è perché, causa le tremende pressioni esercitate su queste due aziende da parte del governo americano, entrambe hanno cessato di esistere proprio in questi giorni: Lavabit l'8 agosto e Silent Circle il 9 agosto, ossia il giorno prima e il giorno stesso della conferenza stampa di Obama. Nella lettera che ha inviato ai suoi azionisti e ai suoi sottoscrittori, il Presidente di Lavabit ha dichiarato che non intendeva spiegare quali pressioni siano state esercitate. Ma ha precisato che "se il Congresso americano o i tribunali non cambiano l'attuale assetto del sistema di spionaggio negli USA, è altamente sconsigliabile affidare i propri dati e le proprie comunicazioni ad una azienda qualsiasi statunitense". Ciò vuol dire niente Facebook, Twitter, Skype, Gmail, Hotmail; niente Internet Explorer, Firefox, Chrome; niente iCloud, ecc.. Perché tutte queste aziende -- almeno questo è ciò che si desume -- forniscono le loro chiavi di accesso alla NSA. E l'azienda che non le fornisce? Non ha altra scelta che chiudere. Vedi la lettera del Presidente di Lavabit in questo documento (in italiano).
A questo punto le speranze per un futuro di comunicazioni libere, non controllate dalla NSA, sembrano piuttosto magre.
Ecco perché, piuttosto di riporre la nostra speranza in Obama o nelle nuove tecnologie che verranno, conviene sperare nelle nuove generazioni (e contribuire a formarle): cittadini con la coscienza retta e con il coraggio indomito che hanno contraddistinto Julian Assange, Bradley Manning, Edward Snowden e tanti altri testimoni della verità.
Anche l'Italia ha i suoi protagonisti, in particolare se pensiamo a tutti i testimoni di giustizia, a partire dalla diciasettenne Rita Atria, che hanno osato denunciare i soprusi commessi dalla mafia.
Il 7 agosto 2013, due giorni prima della conferenza stampa di Obama, il giornale The Guardian ha intervistato John Lewis, uno dei luogotenenti di Martin Luther King (nei cinegiornali lo vediamo accanto a King durante il discorso "I have a dream") ed ora 73enne deputato della Georgia.
L'intervistatore ha chiesto a Lewis la sua opinione su Edward Snowden. Egli sta continuando -- è stata la risposta -- la tradizione di disubbidienza civile teorizzata da Thoreau e messa in pratica da Gandhi e dallo stesso King. Tutti quanti, facendo appello ad una legge "più alta di quella umana", hanno deciso di compiere atti di rottura con le norme esistenti.
"Se sei capace di riconoscere un'ingiustizia, se capisci quando qualcosa non va fatto", ha spiegato Lewis nell'intervista, "e se tu hai la determinazione poi di sfidare, quando serve, le abitudini, le tradizioni e le leggi inique -- allora vuol dire che tu hai una coscienza. E ciò ti dà il diritto di sfidare quelle leggi inique, anche se devi pagare di persona il prezzo della tua disubbidienza." Vedi il documento (initaliano).
Ecco il grande non detto, la frase mai pronunciata, durante tutta la lunga conferenza stampa di Barack Obama.
(La traduzione dall'inglese è mia)
(La traduzione dall'inglese è mia)
Settembre 10, 2013 / Leone Grotti
Le quattro suore italiane che vivono in un convento in Siria tornano a parlare a tempi.it: «Perché per le armi chimiche si è pronti a scatenare una guerra nonostante i dubbi, mentre su altri massacri neanche una parola?»
«Il Papa ci ha incoraggiati tutti. Cristiani e musulmani hanno sentito una vera attenzione alla situazione della Siria e hanno apprezzato che Francesco si sia “esposto” così chiaramente, in prima persona». Sono le parole di suor Marta, che insieme ad altre tre monache italiane otto anni fa ha deciso di fondare un monastero in Siria, in un villaggio al confine con il Libano. Le quattro suore hanno di recente scritto una lettera sulla situazione del paese e oggi sono tornate a parlare a tempi.it del possibile attacco americano e della «paura per l’immediata destabilizzazione che si creerà».
L’America potrebbe attaccare a breve la Siria. Nella vostra zona la popolazione è spaventata?
Sì, ora che la cosa appare sempre più decisa la paura è molta. Che cosa succederà se colpiscono un deposito di missili o di armi chimiche? Temiamo di essere colpiti, soprattutto nel caso di una “esplosione a catena”. Abbiamo anche paura delle conseguenze di una guerra che investirà tutta la regione mediorientale e soprattutto temiamo l’immediata destabilizzazione che l’attacco creerà qui in Siria.
Che tipo di destabilizzazione?
La nostra zona, come altre, è piena di gruppi armati di al-Qaeda, salafiti e tanti altri. Subito oltre il confine con il Libano ci sono altri gruppi di mercenari pronti ad attaccare e sfondare i confini, come cercano di fare ogni notte. I piccoli villaggi temono i massacri, come avvenuto in altri casi. Da poco, nella zona di Lattakie, 14 villaggi, tra cui tre cristiani, sono stati attaccati e distrutti: molte persone sono morte, donne e bambini sono stati portati via.
Come reagiscono i siriani?
La gente si sta armando, è pronta a difendersi da sola. Qui gli scontri sono dovuti soprattutto alla bande armate, ai loro movimenti interni, agli attacchi che perpetrano contro i presidi militari.
Avete recentemente scritto una lettera contro l’intervento armato. Perché?
In questi due anni e più di conflitto abbiamo preferito non intervenire molto, se non quando era davvero necessario. Siamo monache, la nostra responsabilità per il mondo è la preghiera e in più è difficile evitare di essere subito “schierati” da una parte o dall’altra. Ma di fronte all’ignobile violenza di un attacco armato alla Siria, a questa palese ingiustizia internazionale promossa con orgoglio e per orgoglio, un’azione di parte, di fronte alla nostra gente del villaggio che nessuno ascolta, ci siamo dette: dobbiamo pur dir qualcosa, dobbiamo farlo almeno per loro.
Perché parla di “azione di parte”?
A tutti qui sorge una domanda: perché per gli altri massacri avvenuti, per quelli provati da video che nessuno ha contestato, a volte non c’è stata neppure una parola sui media, mentre per questo episodio, tragico ma pieno di interrogativi non risolti, si è pronti a scatenare una guerra ancora più tragica? È di questi giorni l’attacco a Maloula.
Nella lettera avete scritto: «Il problema è che è diventato troppo facile contrabbandare la menzogna come nobiltà, gli interessi più spregiudicati come una ricerca di giustizia, il bisogno di protagonismo e di potere come “la responsabilità morale di non chiudere gli occhi”». Che cosa intendete?
Vogliamo dire che, pur conservando uno sguardo di fiducia nell’uomo, uno sguardo di speranza sulla vita delle singole nazioni e sui rapporti che la regolano, non si può proprio essere ingenui fino a questo punto, al punto di non vedere gli interessi enormi che sono in gioco e che purtroppo sembrano prevalere su quei principi di vera umanità, di pace e speranza a cui ci ha richiamato il Papa sabato.
Non si rischia di fare un discorso dietrologico?
Dietrologico? Oggi alcune dichiarazioni vengono fatte alla luce del sole, come ad esempio quella sul Qatar e l’Arabia Saudita, che sono pronti a finanziare in toto la guerra. Questo è un esempio, ma non dovrebbe suscitare qualche domanda? E poi il Signore stesso ci ha detto: “I figli delle tenebre sono più astuti dei figli della luce “, e Lui il cuore dell’uomo lo conosce bene. Credo non si possa accusarlo di mancanza di speranza. Ma la speranza è una cosa reale, che si basa sulla conoscenza del cuore dell’uomo, quindi anche sul suo peccato di orgoglio, di sete di potere, di dominio. Il credente ha il dovere di interrogarsi e cercare la strada della verità, dentro e fuori di lui. E come già scrivevamo nella lettera, se si vuole, una verità oggettiva, insieme, la si può trovare.
Avete partecipato alla giornata di digiuno e preghiera indetta dal Papa?
Tanti qui hanno digiunato e pregato. Anche noi abbiamo vissuto la giornata di sabato in comunione con la Chiesa e gli uomini di buona volontà di tutto il mondo. Abbiamo fotocopiato e distribuito il discorso del Papa all’Angelus, e preparato con i giovani del villaggio un momento di preghiera nel pomeriggio. Non abbiamo potuto farlo in contemporanea con il Papa per non esporre la gente al rischio di riunirsi dopo il calar del sole.
È ancora possibile oggi in Siria la convivenza tra cristiani e musulmani?
I cristiani da sempre sono in buone relazioni sia con i musulmani sunniti sia con gli sciiti. Ciò che minaccia la convivenza è l’elemento fondamentalista, che a seconda dei gruppi può agire con più o meno durezza sui cristiani.
Concludendo la vostra lettera avete scritto: “Cercano di uccidere la speranza, ma noi a questo dobbiamo resistere con tutte le nostre forze”. Come si può avere ancora speranza nel futuro della Siria?
In Dio la nostra speranza non muore mai, anche perché non si basa sulle nostre forze ma sulla vita donata per sempre a noi da Cristo. Il Signore ci ha detto : “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati”. È sulla Sua parola che speriamo. Lui non ci ha mai promesso di risparmiarci la sofferenza, il dolore, la croce; ma di vincerli, sì.
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IERI SERA INCONTRO A BIELLA CON PADRE MTANIOS HADDAD SULLA CRISI SIRIANA E I RAPPORTI TRA LE CHIESE D'ORIENTE E IL GOVERNO DEL PRESIDENTE BASHAR EL ASSAD. PADRE HADDAD HA RACCONTATO LA SUA ESPERIENZA DENUNCIANDO UNA GUERRA IMPORTATA DALL'ESTERNO, CON LA COMPLICITA' DIRETTA DELL'OCCIDENTE E DEGLI STATI UNITI, PER SCARDINARE L'UNICO STATO LAICO DEL MEDIORIENTE DOVE LE VARIE RELIGIONI CONVIVONO PACIFICAMENTE DA MOLTI SECOLI.
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di Vladimir Putin
(Presidente della Russia)
Pubblicato in "New York Times, 11 settembre 2013
MOSCA — Eventi recenti in Siria mi hanno spinto a parlare direttamente al popolo americano ed ai loro leader politici. È importante farlo, in un momento di insufficiente comunicazione fra le nostre società.
Le relazioni fra noi sono passate per diversi stadi. Siamo stati nemici durante la guerra fredda. Ma siamo stati anche alleati un tempo, ed abbiamo sconfitto i Nazisti insieme. L’organizzazione universale internazionale – l’ONU – fu quindi stabilita per far sì che una tale devastazione non succedesse mai più.
I fondatori dell’ONU capirono che le decisioni riguardanti guerra e pace avrebbero dovuto essere approvate solo all’unanimità, e – con il benestare dell’America – fu inserito nello Statuto dell’ONU il diritto di veto dai membri permanenti del Consiglio di sicurezza. L’immensa saggezza di questo atto ha sostenuto la stabilità delle relazioni internazionali per decenni
Nessuno vuole che l’ONU subisca il destino della Società delle Nazioni, che crollò poiché non disponeva di un effettivo potere. Questo è possibile se paesi influenti bypassano l’ONU e lanciano iniziative militari senza l’autorizzazione del Consiglio di sicurezza.
Il potenziale attacco dagli Stati Uniti contro la Siria, nonostante la forte opposizione di molti paesi e principali leader politici e religiosi, fra cui il Papa, causerà altre innocenti vittime ed un’intensificazione del conflitto, potenzialmente propagandolo ben oltre i confini della Siria. Un attacco aumenterebbe la violenza e rilascerebbe una nuova ondata di terrorismo. Potrebbe danneggiare sforzi multilaterali per risolvere la questione nucleare iraniana ed il conflitto arabo-israeliano e destabilizzare ulteriormente il Medio Oriente ed il Nord Africa. Potrebbe far saltare gli equilibri dell’intero sistema di diritto internazionale.
La Siria non sta assistendo ad una battaglia per la democrazia, ma un conflitto armato fra il governo e l’opposizione in un paese multireligioso. Ci sono pochi esempi di democrazia in Siria. Ma ci sono combattenti di Al Qaeda ed estremisti di ogni frangia a sufficienza in lotta con il governo. Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha definito il Fronte di Al Nusra e lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante, i quali combattono fra le fila dell’opposizione, come organizzazioni terroristiche. Questo conflitto interno, alimentato da armi straniere fornite all’opposizione, è uno dei più sanguinosi al mondo.
Mercenari dai paesi Arabi coinvolti nella guerra e centinaia di militanti da paesi occidentali ed anche dalla Russia, rappresentano una questione di nostra profonda preoccupazione. Potrebbero non tornare ai nostri paesi, dopo l’esperienza in Siria? Dopo tutto, dopo aver combattuto in Libia, gli estremisti si sono spostati in Mali. Questo ci spaventa tutti.
Fin dall’inizio, la Russia ha sostenuto il dialogo pacifico permettendo ai siriani di sviluppare un piano di compromesso per il loro futuro.
Non stiamo proteggendo il governo siriano, ma il diritto internazionale. Dobbiamo usare il Consiglio di sicurezza ONU e crediamo che salvaguardare la legge e l’ordine nel mondo complesso e tumultuoso di oggi sia uno dei pochi modi per evitare che le relazioni internazionali scivolino nel caos. La legge è ancora la legge, e dobbiamo seguirla che ci piaccia o meno.
Secondo il diritto internazionale in vigore, l’utilizzo della forza è permesso solo per autodifesa o per decisione del Consiglio di sicurezza. Tutto il resto è inaccettabile secondo lo Statuto ONU e costituirebbe un atto di aggressione.
Nessuno dubita che il gas tossico è stato usato in Siria. Ma c’è ogni ragione per credere che è stato usato non dall’Esercito Siriano, ma dalle forze di opposizione, per provocare l’intervento dei loro potenti sostenitori stranieri, che si sarebbero schierati con i fondamentalisti. Resoconti su un altro attacco in via di preparazione da parte dei militanti – questa volta contro Israele – non possono essere ignorati.
È allarmante che l’intervento militare in conflitti interni di paesi stranieri sia diventata una misura ordinaria per gli Stati Uniti. È nell’interesse a lungo termine dell’America? Lo dubito. Milioni di persone in giro per il mondo vedono sempre più l’America non come modello di democrazia ma come un soggetto che conta solamente sull’uso della forza, formando coalizioni sotto lo slogan “o con noi o contro di noi.”
Ma l’uso della forza si è dimostrato improduttivo e privo di senso. L’Afghanistan sta barcollando, e nessuno può prevedere che cosa succederà dopo la ritirata delle forze internazionali. La Libia è divisa in tribù e clan. In Iraq la guerra civile continua, con dozzine di persone uccise ogni giorno. Negli Stati Uniti, molti hanno messo in luce un’analogia fra l’Iraq e la Siria, e chiedono perché il proprio governo vuole ripetere recenti errori.
Non importa quanto siano limitati gli attacchi o sofisticate le armi, vittime fra i civili sono inevitabili, compresi gli anziani e i bambini che gli attacchi dovrebbero proteggere.
Il mondo reagisce chiedendo: se non puoi contare sul diritto internazionale, allora devi trovare un altro modo per accertarsi della propria sicurezza. Quindi un crescente numero di paesi cerca di acquisire armi di distruzione di massa. È logico: se hai la bomba, nessuno ti tocca. Siamo lasciati con discorsi sul bisogno di rafforzare la non proliferazione, quando in realtà questo sta venendo eroso.
Dobbiamo smettere di usare il linguaggio della forza e tornare sul sentiero della soluzione diplomatica e politica.
Negli scorsi giorni è emersa una nuova opportunità di evitare l’azione militare. Gli Stati Uniti, la Russia e tutti i membri della comunità internazionale devono approfittare della disponibilità del governo siriano di porre il proprio arsenale chimico sotto controllo internazionale per seguente distruzione. A giudicare dalle dichiarazioni del presidente Obama, gli Stati Uniti vedono questa via come un’alternativa all’azione militare.
La mia relazione lavorativa e personale con il presidente Obama è contrassegnata da crescente fiducia. Apprezzo questo. Ho analizzato attentamente il suo discorso alla nazione martedì. E non sono d’accordo con una tesi che ha portato avanti sull’eccezionalità americana, affermando che il modo di fare degli Stati Uniti è “quello che rende l’America diversa. È quello che ci rende eccezionali.” È altamente pericoloso incoraggiare le persone a sentirsi eccezionali, a prescindere dalla motivazione.
Ci sono paesi grandi e piccoli, ricchi e poveri, quelli con lunghe tradizione democratiche e quelli ancora sulla propria strada verso la democrazia. Anche le loro politiche sono diverse. Siamo tutti diversi, ma quando chiediamo la benedizione del Signore, non dobbiamo dimenticare che Dio ci ha creati uguali.
Le quattro suore italiane che vivono in un convento in Siria tornano a parlare a tempi.it: «Perché per le armi chimiche si è pronti a scatenare una guerra nonostante i dubbi, mentre su altri massacri neanche una parola?»
«Il Papa ci ha incoraggiati tutti. Cristiani e musulmani hanno sentito una vera attenzione alla situazione della Siria e hanno apprezzato che Francesco si sia “esposto” così chiaramente, in prima persona». Sono le parole di suor Marta, che insieme ad altre tre monache italiane otto anni fa ha deciso di fondare un monastero in Siria, in un villaggio al confine con il Libano. Le quattro suore hanno di recente scritto una lettera sulla situazione del paese e oggi sono tornate a parlare a tempi.it del possibile attacco americano e della «paura per l’immediata destabilizzazione che si creerà».
L’America potrebbe attaccare a breve la Siria. Nella vostra zona la popolazione è spaventata?
Sì, ora che la cosa appare sempre più decisa la paura è molta. Che cosa succederà se colpiscono un deposito di missili o di armi chimiche? Temiamo di essere colpiti, soprattutto nel caso di una “esplosione a catena”. Abbiamo anche paura delle conseguenze di una guerra che investirà tutta la regione mediorientale e soprattutto temiamo l’immediata destabilizzazione che l’attacco creerà qui in Siria.
Sì, ora che la cosa appare sempre più decisa la paura è molta. Che cosa succederà se colpiscono un deposito di missili o di armi chimiche? Temiamo di essere colpiti, soprattutto nel caso di una “esplosione a catena”. Abbiamo anche paura delle conseguenze di una guerra che investirà tutta la regione mediorientale e soprattutto temiamo l’immediata destabilizzazione che l’attacco creerà qui in Siria.
Che tipo di destabilizzazione?
La nostra zona, come altre, è piena di gruppi armati di al-Qaeda, salafiti e tanti altri. Subito oltre il confine con il Libano ci sono altri gruppi di mercenari pronti ad attaccare e sfondare i confini, come cercano di fare ogni notte. I piccoli villaggi temono i massacri, come avvenuto in altri casi. Da poco, nella zona di Lattakie, 14 villaggi, tra cui tre cristiani, sono stati attaccati e distrutti: molte persone sono morte, donne e bambini sono stati portati via.
Come reagiscono i siriani?
La gente si sta armando, è pronta a difendersi da sola. Qui gli scontri sono dovuti soprattutto alla bande armate, ai loro movimenti interni, agli attacchi che perpetrano contro i presidi militari.
Avete recentemente scritto una lettera contro l’intervento armato. Perché?
In questi due anni e più di conflitto abbiamo preferito non intervenire molto, se non quando era davvero necessario. Siamo monache, la nostra responsabilità per il mondo è la preghiera e in più è difficile evitare di essere subito “schierati” da una parte o dall’altra. Ma di fronte all’ignobile violenza di un attacco armato alla Siria, a questa palese ingiustizia internazionale promossa con orgoglio e per orgoglio, un’azione di parte, di fronte alla nostra gente del villaggio che nessuno ascolta, ci siamo dette: dobbiamo pur dir qualcosa, dobbiamo farlo almeno per loro.
Perché parla di “azione di parte”?
A tutti qui sorge una domanda: perché per gli altri massacri avvenuti, per quelli provati da video che nessuno ha contestato, a volte non c’è stata neppure una parola sui media, mentre per questo episodio, tragico ma pieno di interrogativi non risolti, si è pronti a scatenare una guerra ancora più tragica? È di questi giorni l’attacco a Maloula.
Nella lettera avete scritto: «Il problema è che è diventato troppo facile contrabbandare la menzogna come nobiltà, gli interessi più spregiudicati come una ricerca di giustizia, il bisogno di protagonismo e di potere come “la responsabilità morale di non chiudere gli occhi”». Che cosa intendete?
Vogliamo dire che, pur conservando uno sguardo di fiducia nell’uomo, uno sguardo di speranza sulla vita delle singole nazioni e sui rapporti che la regolano, non si può proprio essere ingenui fino a questo punto, al punto di non vedere gli interessi enormi che sono in gioco e che purtroppo sembrano prevalere su quei principi di vera umanità, di pace e speranza a cui ci ha richiamato il Papa sabato.
Non si rischia di fare un discorso dietrologico?
Avete partecipato alla giornata di digiuno e preghiera indetta dal Papa?
Tanti qui hanno digiunato e pregato. Anche noi abbiamo vissuto la giornata di sabato in comunione con la Chiesa e gli uomini di buona volontà di tutto il mondo. Abbiamo fotocopiato e distribuito il discorso del Papa all’Angelus, e preparato con i giovani del villaggio un momento di preghiera nel pomeriggio. Non abbiamo potuto farlo in contemporanea con il Papa per non esporre la gente al rischio di riunirsi dopo il calar del sole.
È ancora possibile oggi in Siria la convivenza tra cristiani e musulmani?
I cristiani da sempre sono in buone relazioni sia con i musulmani sunniti sia con gli sciiti. Ciò che minaccia la convivenza è l’elemento fondamentalista, che a seconda dei gruppi può agire con più o meno durezza sui cristiani.
Concludendo la vostra lettera avete scritto: “Cercano di uccidere la speranza, ma noi a questo dobbiamo resistere con tutte le nostre forze”. Come si può avere ancora speranza nel futuro della Siria?
In Dio la nostra speranza non muore mai, anche perché non si basa sulle nostre forze ma sulla vita donata per sempre a noi da Cristo. Il Signore ci ha detto : “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati”. È sulla Sua parola che speriamo. Lui non ci ha mai promesso di risparmiarci la sofferenza, il dolore, la croce; ma di vincerli, sì.
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Iraq: un diario di guerra solleva il velo sulla vita del conflitto
domenica 17 marzo 2013
IRAK: IL DIARIO DI GUERRA DI UN EX MARINE SOTTO TRAUMA
Iraq: un diario di guerra solleva il velo sulla vita del conflitto
Sabato 16 Marzo, 2013 da La Redazione
Alcuni giocano a carte per ammazzare il tempo, lui ha preferito scrivere per raccontare la sua vita di tutti i giorni: dieci anni dopo l'inizio del conflitto in Iraq, un ex Marine ha deciso di condividere con il pubblico il suo diario di guerra, in modo che questa esperienza non sia dimenticata.
In un piccolo diario contrassegnato con il sigillo dei marines, il tenente Timothy McLaughlin ha registrato per mesi, laconicamente, la sua vita quotidiana. Elenchi, istruzioni, il suo programma, i dettagli di una battaglia, una canzone, il conteggio delle "70 persone uccise," i suoi pensieri sugli iracheni ... L'aggiunta qua e là di schizzi maldestri.
Questo giornale in stile telegrafico, brutale nella sua mancanza di emozioni, è ora al centro di una mostra straordinaria. "Invasione: Diari e memorie della guerra in Iraq". presentato al Bronx Documentary Center di New York fino al 19 aprile .
Trentasei pagine che sono state ampliate sotto forma di pannelli di grandi dimensioni alla parete per una facile lettura, e presentate con foto e testi sul conflitto. Poche righe scarabocchiate raccontano l'arrivo del suo battaglione Firdos Square a Baghdad nell'aprile del 2003: "soffocato dalla massa di giornalisti, non riuscivo a muovermi / pacifisti, quanti bambini avete ucciso oggi ?". Egli cita la sua bandiera diventata famosa per essere stata messa sulla gigantesca statua di Saddam Hussein.
Stesso stile telegrafico per raccontare un combattimento: "Ho una buona posizione per evitare perdite alle spalle. Ho ucciso in un boschetto (3-7?). poi c’è uno che attraversa a nuoto il canale, 2 entrano nel canale. "
Due righe dicono del suo carro armato che spara contro una macchina che sta percorrendo una strada non consentita. "La macchina rallenta, va fuori strada, colpisce un albero. Un civile colpito da cinque pallottole, la schiena e le gambe. Continuiamo verso Afaq."
Meglio di un lungo discorso, le sue note raccontano la brutalità quotidiana come il trauma di un soldato di 25 anni, che si era arruolato per "servire" senza porsi domande.
"La maggior parte delle persone nelle forze armate sono staccati dalle decisioni politiche. Il mio paese ha detto di andare, il mio lavoro è stato quello di andare lì ", dichiara alla AFP, rifiutando perfino di discutere l'esito della guerra.
Ma dieci anni dopo, McLaughlin, che ha lasciato l'esercito, non è più la stessa persona. Continua ad avere incubi, si sente ancora perseguitato da alcuni suoi errori, ha detto, che hanno ucciso dei civili iracheni o un altro Marine.
Ufficialmente, soffre di stress post-traumatico.
Ma "questa non è una malattia ", insiste. "Questa è una reazione naturale ad una esperienza di combattimento. Se non siete stati colpiti, allora, sì che siete malati."
"La guerra significa uccidere le persone, è brutale, non è romantica, questo non è un film. Ciò ha conseguenze reali per le persone che lo fanno e per quelli che soffrono."
E anche se non gli piace tutto ciò che ha scritto nel suo diario di guerra, voleva condividere questa storia "senza edulcorare cosa veramente è la guerra, senza i soliti filtri dei politici o della stampa."
Per provare, dice, "a fare in modo che si rifletta prima di andare in guerra."
E’ il giornalista americano Peter Maass che ha avuto l'idea l’anno scorso di questa mostra, dopo che McLaughlin gli aveva mostrato il suo taccuino malandato, dimenticato in un vecchio baule, con granelli di sabbia che ancora scivolano tra le pagine.
Maass, che ha lavorato per il New York Times Magazine, aveva incontrato McLaughlin in Iraq, e aveva seguito il suo battaglione di marines fino alla sua entrata a Baghdad.
La mostra presenta anche le fotografie del britannico Gary Knight, terzo uomo coinvolto nel montaggio di questa mostra.
(16-03-2013 - Con le agenzie di stampa)
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di Gideon Levy
Haaretz | Mar.17, 2013 | 01:06 | 24
I preparativi sono in pieno vigore per l'arrivo del presidente degli Stati Uniti Barack Obama il 20 marzo.
Barack Obama ha deciso di punire gli israeliani: parla con loro come se fossero ignoranti. Il presidente degli Stati Uniti ha deciso di punire se stesso: egli tradisce i suoi principi, quelli che gli sono valsi riconoscimenti a livello internazionale e il Nobel per la pace.
Non c'è altro modo per capire quello che ha detto nella sua intervista con Channel 2, alla vigilia della sua visita in Israele. L'adulazione con cui ha colmato il leader di Israele ha ampiamente superato il protocollo diplomatico e anche le affettate maniere americane. La negazione dei suoi valori ha deviato anche dall’opportunismo che ci potremmo aspettare da un politico. Obama ha detto che vuole "unirsi al popolo israeliano." Ciò che in realtà ha fatto bene; ha detto agli israeliani ciò che volevano sentire.
Ma da Obama ci saremmo aspettati molto di più. Quando Obama ha detto che ammira di Israele "i valori fondamentali", di quali valori stava parlando? La disumanizzazione dei palestinesi? L'atteggiamento nei confronti dei migranti africani? L'arroganza, il razzismo e il nazionalismo? E' questo quello che ammira? Non gli ricordano qualcosa i bus separati per i palestinesi? Non "suona un campanello", per il fatto che vi siano due comunità che vivono sulla stessa terra, una con pieni diritti e l'altra senza diritti, come si dice in America?
Per ammirare "i valori fondamentali", pur sapendo che stiamo parlando di uno dei paesi più razzisti che esista, con un muro di separazione come le politiche di segregazione razziale, significa tradire i valori fondamentali del movimento americano per i diritti civili che ha reso possibile il miracolo di Obama. Peccato che non sia possibile soddisfare la sua fantasia di indossare un paio di baffi finti e andare in giro a parlare con gli israeliani, sentirebbe come questi parlano dei neri come lui. Peccato che non può sedere in un caffè e "sporgersi appena", come vorrebbe. Avrebbe sentito quali "valori fondamentali" davvero muovono gli israeliani.
Obama vuole abbassare le speranze della sua visita. Beh, non è possibile tenerle più in basso. Durante il suo primo mandato ci hanno detto che avremmo dovuto aspettare fino al suo secondo. Così ora è qui, e lui dice che è solo venuto "per ascoltare". Ma il suo lavoro non è quello di ascoltare, tutti hanno ascoltato molto più che a sufficienza. Ora è il momento di agire, e siamo ancora in ritardo.
Ma più di questo, dobbiamo prestare attenzione alle sue parole. Chiama sempre il primo ministro "Bibi", mentre i leader palestinesi sono Abu Mazen (Mahmoud Abbas) e Salam Fayyad. Sempre "dice" Abu Mazen, ma "fa pensare" a Bibi.
Questa volta, ha fatto riferimento a "Bibi" molte volte, ma non ha menzionato nemmeno una volta l'occupazione. Ha parlato di "autonomia" per i palestinesi come se fossimo tornati indietro di decenni, ma non ha detto una parola sulla giustizia che dovrebbe essere un problema per le persone di coscienza a causa dell'occupazione israeliana. Ha anche parlato di sicurezza, che sarà per sempre un problema israeliano, non è mai fonte di preoccupazione per i palestinesi, che vivono in pericolo di gran lunga maggiore.
Quindi vi sono due questioni: o che lo abbiamo grossolanamente giudicato male oppure sta cercando di ingannarci, anche se non è chiaro per quale ragione. Che senso ha adulare Israele se lui non ha niente da chiedergli? A che serve il suo desiderio di parlare con gli israeliani, se non ha intenzione di dire niente a loro, tranne una adulazione vuota e zuccherosa? A che serve questa visita se nessuno si propone di ottenere dei risultati ?
Obama, che conosce una cosa o due sui diritti, la privazione, espropriazione, la discriminazione e l'occupazione, che all'inizio della sua presidenza, sentì un sacco di cose sulla situazione palestinese dal suo amico, il Prof. Rashid Khalidi, ha dimenticato tutto? Tutto ciò che riguarda la politica internazionale può essere totalmente ignorato, anche da parte di Barack Obama, la sua più sorprendente ed emozionante superstar?
Naturalmente, ancora una volta diranno alcuni - aspetta, aspetta. Un'intervista è solo un colloquio. Poi verrà il discorso al Jerusalem convention center, e che quello sarà un vero discorso. Gli anni passano, gli insediamenti sono in crescita e l'occupazione è sempre radicata. Presto, signor Presidente, sarà troppo tardi - forse lo è già. I valori fondamentali che lei ammira così tanto stanno sprofondando, e non c'è nessuno che possa salvarli.
(Traduz. dall'inglese di Diego Siragusa)
P.S. Il 21 marzo, Obama ha parlato a Gerusalemme dopo aver incontrato a Ramallah il presidente palestinese Abu Mazen. Ha fatto un generico riferimento al diritto dei palestinesi ad avere il loro stato e che la colonizzazione è "inappropriata" e impedisce la pace. Non ha spiegato per quale ragione gli USA hanno votato all'ONU contro la creazione di uno stato palestinese e non ha mai detto che le colonie su terra palestinese sono illegali e contro il diritto internazionale. Una visita inutile questa di Obama in Israele che si è dimostrata un'accorta messinscena per normalizzare i suoi rapporti col Primo Ministro israeliano Bibi Netanyhau e tranquillizzare i sionisti assicurando il "legame eterno" tra Israele e gli Stati Uniti.
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lunedì 8 aprile 2013
LA SINISTRA ITALIANA ED EUROPEA di Yitzhak Laor
La sinistra italiana ed europea
(la Fiera del Libro di Torino)
di Yitzhak Laor*
(Il Manifesto, 11 maggio 2008)
Cara amica, il nostro problema qui, in quanto israeliani contro l'occupazione, è un problema concreto con i nostri vicini concreti, quelli che tornano a casa dopo avere prestato servizio ai blocchi stradali e avere trattato esseri umani come animali: diventano fascisti attraverso la pratica - ossia attraverso il servizio militare - e solo poi fascisti ideologicamente. Questo non preoccupa la sinistra filo-israeliana in Italia. Tu sostieni che la sinistra italiana non avrebbe trattato un boicottaggio del Sudafrica nel modo in cui sta trattando qualunque proposta di boicottaggio di Israele. Ma la cosa è più semplice: pensa alla sinistra italiana durante la prima guerra del Libano e paragonala alla sua posizione attuale. Non è l'occupazione a aver cambiato natura. È l'Europa occidentale che è cambiata, che è tornata al suo vecchio modo di guardare i non-europei con odio e disprezzo. Nell'immaginario della sinistra italiana, i palestinesi hanno perso lo «status» simbolico di cui godevano un tempo (la kefia al collo di decine di migliaia di giovani italiani, ad esempio) e sono passati nell'hinterland dell'Europa: dove gli americani possono fare quello che vogliono, e l'avida Europa, come sempre, si schiera dalla parte dei più forti. I palestinesi sono ancora una volta solo degli arabi che sanguinano, e il sangue arabo - proprio come in passato il sangue ebraico - vale poco. Si potrebbe riassumere il cinismo dell'attuale scena italiana citando Giorgio Napolitano, quando ha fatto riferimento a una vecchia discussione che ebbe nel 1982 a Torino con l'allora comunista Giuliano Ferrara. Riflettendo sulla posizione del Pci sul massacro di Sabra e Shatila, Napolitano, che sarebbe poi diventato Presidente, ha detto: «Per quanto riguarda una determinata persona (Giuliano Ferrara), ricordo solo che egli si faceva promotore di una causa (la causa palestinese nel 1982) che nel Partito godeva di una qualche popolarità ma che non ci avvicinava per nulla alla presa del potere». Machiavelli avrebbe dovuto incontrare sia Ferrara che il Presidente italiano per un drink sui fiumi di sangue palestinese.
Ma il cambiamento di posizione della sinistra italiana ha molto poco a che vedere con la propaganda israeliana, anche se la Fiera del libro di Torino rientra anch'essa nella propaganda israeliana. Concentriamoci per un momento su questa fiera, a titolo di esempio. Abbiamo a che fare con la Cultura, che è sempre la «coesistenza» di affari (delle case editrici, ad esempio) con il razzismo implicito degli «amanti della Cultura», cultura che è sempre puramente occidentale (cristiana o «secolare»). Gli israeliani in questo contesto sono gli «eredi della buona vecchia Europa», mentre gli arabi, naturalmente, non sono ammessi in questa cultura. In breve, la xenofobia italiana ha anche un volto umano: la Fiera del libro di Torino. Il nostro stato, che da 41 anni sta privando un'intera nazione di qualunque diritto se non quello di emigrare, viene celebrato dalla Cultura. Bene, questa è l'Europa - dopo tutto, la stessa Europa che noi e i nostri genitori abbiamo conosciuto: la Cultura è sempre stata la cultura dei Padroni. Il dibattito sulla Fiera del libro può dimostrare come la sinistra, un tempo la più sensibile d'Europa verso la causa palestinese, sia diventata la più cinica sinistra filo-israeliana. Ha perso il suo orizzonte politico, e in questo vuoto ideologico ciò che si è realmente verificato è il ritorno del Coloniale. È questo il contesto storico in cui va letta l'estinzione della nazione palestinese, celebrata attraverso il 60° anniversario di Israele. L'Europa si sta espandendo fino a includere Israele, come «isola di democrazia», di «diritti umani».
Non dobbiamo dimenticare che la sinistra italiana non ha mai attraversato un processo post-coloniale. Ha fatto tutta la strada dalla retorica anticolonialista degli anni '70 all'attuale «ansia» coloniale per «i nostri fratelli ebrei là nella giungla, tra i selvaggi». Mamma li turchi!
Cara amica, non possiamo dipendere dagli europei, nonostante pochi coraggiosi. Guarda, i nostri soldati sono tornati a casa e dai loro scarponi il sangue cola in salotto. Imparano presto nella vita a ignorare le lacrime delle madri. Prima di compiere vent'anni sono già crudeli come cacciatori di teschi. Lo ammetto: dovevo scrivere questo pezzo per il Manifesto, ma mi sono rivolto a te, perché non riesco più a rivolgermi agli europei direttamente, chiedendo loro di pensare ai palestinesi rinchiusi come animali nei loro ghetti, al vento e alla pioggia.
E gli anni passano.
* scrittore e poeta israeliano, (traduzione Marina Impallomeni)
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"L'idea è quella di mettere i palestinesi a dieta, ma non di farli morire di fame".
È ormai un dato di fatto! I figli della Palestina vengono affamati dagli occupanti israeliani!
Con il crollo del processo di pace, l’atrocità e la violenza hanno dominato le notizie in Palestina. Le televisioni si concentrano sui proiettili, gas lacrimogeni, pietre, la resistenza popolare, il muro ecc. Ma pochi al mondo conoscono il vero nemico di questa guerra: la fame e la povertà.
Un recente studio fa luce sugli effetti devastanti di questa oppressione: il 50% dei bambini soffre di malnutrizione!
Il problema è che le famiglie palestinesi sono state cacciate sempre più in profondità negli abissi della povertà. Chiusure, confisca delle terre palestinesi, le fabbriche che chiudono per mancanza di materie prime, i coloni che controllano le strade e sradicano gli alberi di ulivo, ecc - tutto questo ha portato alla povertà ........ Niente lavoro, niente soldi, niente cibo, niente stipendi!
Ci ha detto il capo consigliere israeliano Dov Weisglass: "L'idea è quella di mettere i palestinesi a dieta, ma non farli morire di fame".
Vi rendete conto di ciò che questo causerà? Il divario tra noi e voi aumenterà, i genitori dei bambini avranno metodi drastici per portare il cibo a casa dalle loro famiglie, illegalità, furti, violenze, omicidi, ecc..
Perché punire un’intera nazione? Perché punire i bambini innocenti? Questi bambini cresceranno con l'odio e il sentimento di vendetta è piantato in loro.
Dove si trova il "diritto alla provvista alimentare"?
La fame è molto dolorosa per le persone colpite, ma è ancora più doloroso e straziante per i padri e le madri con bambini affamati indifesi.
La fame in Palestina - Un lento genocidio
di Manuel Musallam e Milena Akel
"L'idea è quella di mettere i palestinesi a dieta, ma non di farli morire di fame".
È ormai un dato di fatto! I figli della Palestina vengono affamati dagli occupanti israeliani!
Con il crollo del processo di pace, l’atrocità e la violenza hanno dominato le notizie in Palestina. Le televisioni si concentrano sui proiettili, gas lacrimogeni, pietre, la resistenza popolare, il muro ecc. Ma pochi al mondo conoscono il vero nemico di questa guerra: la fame e la povertà.
Un recente studio fa luce sugli effetti devastanti di questa oppressione: il 50% dei bambini soffre di malnutrizione!
Il problema è che le famiglie palestinesi sono state cacciate sempre più in profondità negli abissi della povertà. Chiusure, confisca delle terre palestinesi, le fabbriche che chiudono per mancanza di materie prime, i coloni che controllano le strade e sradicano gli alberi di ulivo, ecc - tutto questo ha portato alla povertà ........ Niente lavoro, niente soldi, niente cibo, niente stipendi!
Ci ha detto il capo consigliere israeliano Dov Weisglass: "L'idea è quella di mettere i palestinesi a dieta, ma non farli morire di fame".
Vi rendete conto di ciò che questo causerà? Il divario tra noi e voi aumenterà, i genitori dei bambini avranno metodi drastici per portare il cibo a casa dalle loro famiglie, illegalità, furti, violenze, omicidi, ecc..
Perché punire un’intera nazione? Perché punire i bambini innocenti? Questi bambini cresceranno con l'odio e il sentimento di vendetta è piantato in loro.
Dove si trova il "diritto alla provvista alimentare"?
La fame è molto dolorosa per le persone colpite, ma è ancora più doloroso e straziante per i padri e le madri con bambini affamati indifesi.
giovedì 7 febbraio 2013
L'ATTACCO AEREO ISRAELIANO CONTRO LA SIRIA
L’attacco aereo israeliano contro la Siria: il disperato tentativo di salvare dal fallimento la guerra “sotto copertura USA-NATO”
di Tony Cartalucci, Global Research News
(Traduzione di Curzio Bettio)
QUANDO I SIONISTI E GLI “JIHADISTI” SI PRENDONO PER MANOIl 29 gennaio 2013, Israele ha scatenato attacchi aerei contro la Siria, in flagrante violazione della Carta delle Nazioni Unite, del diritto internazionale, e in diretta violazione della sovranità della Siria, sulla base di “sospetti” trasferimenti di armi chimiche.The Guardian in un suo articolo dal titolo“Israel carries out air strike on Syria,” “Israele compie un raid aereo sulla Siria”, afferma: “Gli aerei da guerra israeliani hanno attaccato un obiettivo vicino al confine siriano-libanese dopo diversi giorni di avvertimenti sempre più intensi lanciati da funzionari del governo di Israele contro la Siria, a causa di un presunto ammassamento di armi.”
QUANDO I SIONISTI E GLI “JIHADISTI” SI PRENDONO PER MANOIl 29 gennaio 2013, Israele ha scatenato attacchi aerei contro la Siria, in flagrante violazione della Carta delle Nazioni Unite, del diritto internazionale, e in diretta violazione della sovranità della Siria, sulla base di “sospetti” trasferimenti di armi chimiche.The Guardian in un suo articolo dal titolo“Israel carries out air strike on Syria,” “Israele compie un raid aereo sulla Siria”, afferma: “Gli aerei da guerra israeliani hanno attaccato un obiettivo vicino al confine siriano-libanese dopo diversi giorni di avvertimenti sempre più intensi lanciati da funzionari del governo di Israele contro la Siria, a causa di un presunto ammassamento di armi.”
Inoltre, il documento continua:
“Israele ha messo in guardia pubblicamente che ci sarebbe stata un’azione militare per impedire che le armi chimiche del regime siriano cadano nelle mani di Hezbollah in Libano o in quelle di “jihadisti globali”, che combattono all’interno della Siria.
Il servizio di spionaggio militare israeliano afferma di stare controllando ventiquattro ore su ventiquattro la zona via satellite per possibili convogli che trasportano armi.”In realtà questi “jihaidisti globali” sono di fatto armati e finanziati dagli Stati Uniti, dall’Arabia Saudita e da Israele almeno a partire dal 2007 (by the US, Saudi Arabia, and Israel since at least as early as 2007.)
Inoltre, a tutti gli effetti, sono costoro i diretti beneficiari dell’attuale aggressione da parte di Israele.
I “sospetti” di Israele su “trasferimenti di armi”, ovviamente, restano da confermare, perché lo scopo dell’attacco non era quello di impedire il trasferimento di “armi chimiche” agli Hezbollah in Libano, ma di provocare un conflitto più ampio volto non alla difesa di Israele, ma al salvataggio delle forze terroriste delegate dell’Occidente, che si dibattono in difficoltà all’interno della Siria nel tentativo di sovvertire e rovesciare la nazione siriana.Il silenzio delle Nazioni Unite è assordante.
Mentre la Turchia ospita apertamente basi di terroristi stranieri, (arming and funding them) armati e finanziati dall’Occidente, dall’Arabia e dal Qatar, pronta cassa, (Saudi, and Qatari cash ) per condurre incursioni nella vicina Siria, qualsiasi attacco siriano sul territorio turco avrebbe come conseguenza immediata la mobilitazione delle Nazioni Unite.
Al contrario, alla Turchia è consentito, per anni, di condurre attacchi aerei (to conduct air strikes) e perfino invasioni di terra del confinante Iraq, seppure parziali (partial ground invasions), per attaccare gruppi di Curdi accusati di minacciare la sicurezza della Turchia.
È chiaro che questo doppio metro di giudizio è da tempo applicato anche in favore di Israele.Israele, insieme a Stati Uniti & Arabia Saudita, fra gli sponsor più importanti di Al Qaeda.
Va ricordato che nel lontano 2007, veniva ammesso da funzionari degli Stati Uniti, dell’Arabia Saudita e del Libano che erano proprio gli Stati Uniti, Israele e l’Arabia Saudita ad intenzionalmente armare, finanziare, e organizzare questi “jihadisti globali” direttamente vincolati ad Al Qaeda, allo scopo esplicito di rovesciare i governi di Siria ed Iran.
Questo veniva ribadito dal giornalista vincitore del Premio Pulitzer Seymour Hersh nel suo articolo sul New Yorker, “The Redirection,” in cui affermava:
Questo veniva ribadito dal giornalista vincitore del Premio Pulitzer Seymour Hersh nel suo articolo sul New Yorker, “The Redirection,” in cui affermava:
“Per indebolire l’Iran, che è prevalentemente sciita, l’amministrazione Bush ha deciso, in buona sostanza, di riconfigurare le sue priorità in Medio Oriente.
In Libano, l’amministrazione ha collaborato con il governo dell’Arabia Saudita, che è sunnita, in operazioni clandestine che hanno lo scopo di indebolire Hezbollah, l’organizzazione sciita sostenuta dall’Iran.
Inoltre, gli Stati Uniti hanno preso parte ad operazioni segrete dirette contro l’Iran e il suo alleato Siria. Un prodotto collaterale di queste attività è stato il rafforzamento di gruppi estremisti sunniti che sposano una visione militante dell’Islam e sono ostili agli Stati Uniti d’America e sodali con Al Qaeda.”Di Israele, è specificamente indicato:
“Il cambiamento di politica ha indotto l’Arabia Saudita e Israele in un nuovo abbraccio strategico, soprattutto perché entrambi i paesi vedono l’Iran come una minaccia alla loro esistenza. I due paesi sono stati impegnati in colloqui diretti, e i Sauditi, che credono che una maggiore stabilità in Israele e in Palestina possa rendere l’Iran meno influente nella regione, sono i più convinti nel portare avanti i negoziati arabo-israeliani.”Per giunta, funzionari sauditi sottolineavano come il loro paese avesse la necessità di esercitare un’attenta azione di equilibrio in modo da non rendere evidente il suo ruolo nel sostenere le ambizioni USA-Israele in tutta la regione:
“I Sauditi affermavano che, secondo il punto di vista del loro paese, ci si assumeva un rischio politico nell’imbarcare gli Stati Uniti nella sfida contro l’Iran: Bandar è già visto nel mondo arabo come troppo vicino all’amministrazione Bush.”
[ N.d.tr.: Bandar bin Sultan è un membro della famiglia reale saudita ed è stato ambasciatore dell’Arabia Saudita negli Stati Uniti dal 1983 al 2005. Nel 2005, è stato nominato Segretario Generale del Consiglio di Sicurezza Nazionale. Il 19 luglio 2012 ha assunto l’incarico di Direttore generale dell’Agenzia di intelligence dell’Arabia Saudita per volontà diretta del re Abdullah.]Un ex diplomatico mi interpellava così: “Abbiamo due incubi, che l’Iran acquisisca la bomba atomica e che gli Stati Uniti attacchino l’Iran. Preferisco che siano gli Israeliani a bombardare gli Iraniani, e noi allora potremo condannare gli Israeliani. Se lo fanno gli Stati Uniti d’America, la colpa sarà nostra!”Può interessare ai lettori sapere che, mentre la Francia invade e occupa vaste aree del Mali in Africa, accusando il Qatar di finanziare e armare gruppi terroristici nella regione collegati ad Al Qaeda (accusing the Qataris of funding and arming Al Qaeda-linked terrorist groups), la Francia, gli Stati Uniti e Israele stanno lavorando in tandem con il Qatar, finanziando e armando questi stessi gruppi in Siria.
In effetti, il centro studi statunitense, la Brookings Institution, ha un suo “Doha Center” con sede proprio in Qatar, mentre ilBrookings “Saban Center” di Haim Saban, un cittadino israelo-statunitense, organizza incontri, e molti componenti del suo consiglio di amministrazione sono
anche residenti a Doha, Qatar.
Doha è anche servita da sede territoriale per la creazione (as the venue for the creation) della più recente “Coalizione siriana” dell’Occidente, guidata da Moaz al-Khatib, un sostenitore senza alcun imbarazzo di Al Qaeda (an unabashed supporter of Al Qaeda).
Doha è anche servita da sede territoriale per la creazione (as the venue for the creation) della più recente “Coalizione siriana” dell’Occidente, guidata da Moaz al-Khatib, un sostenitore senza alcun imbarazzo di Al Qaeda (an unabashed supporter of Al Qaeda).
Tutti questi sono particolari che dimostrano gli accordi complottistici documentati da Seymour Hersh nel 2007.
Il Wall Street Journal, sempre nel 2007, riferiva sui piani dell’amministrazione degli Stati Uniti di Bush per creare un sodalizio con i Fratelli Musulmani della Siria, e sottolineava come il gruppo fosse l’ideologico ispiratore delle organizzazioni terroristiche collegate con la stessa Al Qaeda. Nell’articolo intitolato “To Check Syria, U.S. Explores Bond With Muslim Brothers” – “Per controllare la Siria, gli Stati Uniti vanno alla ricerca di un collegamento con i Fratelli Musulmani” si legge:
“In un pomeriggio umido di fine maggio, circa 100 sostenitori del più grande gruppo di oppositori siriani in esilio, il Fronte di Salvezza Nazionale, si sono riuniti davanti all’ambasciata di Damasco per protestare contro il governo del presidente siriano Bashar Assad. I partecipanti hanno gridato slogan anti-Assad e innalzato striscioni con su scritto: “Cambiamo il regime adesso!”.
Il Fronte di Salvezza Nazionale riunisce democratici liberali, Curdi, marxisti ed ex funzionari siriani, nel tentativo di trasformare il regime dispotico del presidente Assad.
Ma la protesta di Washington è anche servita da connessione fra una coppia di attori, la peggioassortita - il governo degli Stati Uniti e la Fratellanza Musulmana.”L’articolo inoltre segnalava:
“Negli ultimi mesi, anche diplomatici e politici statunitensi hanno incontrato legislatori e parlamentari di fazioni collegate con la Fratellanza Musulmana in Giordania, Egitto ed Iraq per ascoltare le loro opinioni sull’attuazione di riforme democratiche in Medio Oriente, come asserito dai funzionari degli Stati Uniti.
Il mese scorso, un’unità del servizio segreto del Dipartimento di Stato ha organizzato una conferenza di esperti sul Medio Oriente per esaminare i pro e i contro di un impegno con la Fratellanza, in particolare in Egitto e in Siria.”Il documento descrive i legami ideologici e operativi tra la Fratellanza e Al Qaeda:
“Oggi, le relazioni fra la Fratellanza e gli attivisti islamisti, con Al Qaeda in particolare, sono fonte di molte discussioni.
Osama bin Laden e altri leader di Al Qaeda citano le opere dell’ideologo della Fratellanza, Sayyid Qutb (accusato di apostasia e giustiziato in Egitto il 29 agosto 1966 tramite impiccagione), come fonte di ispirazione per la loro crociata contro l’Occidente e i dittatori arabi. Membri del braccio armato della Fratellanza egiziana e siriana hanno continuato ad assumere ruoli di primo piano nel movimento di Mr. bin Laden.”
Eppure, nonostante tutto questo, gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita e il Qatar, insieme ad Israele e alla Turchia, stanno apertamente tramando con costoro; per anni hanno continuato ad armare e finanziare questi gruppi terroristici di estremisti decisamente settari, in tutto il mondo arabo, dalla Libia all’Egitto, e ora in Siria e ai suoi confini.
I timori di Israele che questi terroristi arrivino ad impossessarsi di “armi chimiche” sono assurdi. Costoro già se ne erano impossessati nel 2011 in Libia (in Libya in 2011 ) con la complicità degli Stati Uniti, della NATO, della Gran Bretagna, dell’Arabia Saudita, del Qatar e perfino di Israele.
Di fatto, i medesimi terroristi libici sono alla testa dei gruppi di miliziani stranieri (are spearheading the foreign militant groups) che si stanno riversando all’interno della Siria, attraverso il confine turco-siriano.Quello che l’attacco di Israele può davvero significare
In buona sostanza, la spiegazione di Israele sul perché ha colpito la vicina Siria è debole come non mai, per il timore che armamenti possano cadere nelle mani di terroristi, considerando i suoi documentati rapporti allacciati da lungo tempo con questi “jihaidisti globali” nel finanziarli ed armarli.
Anche i timori di Israele su Hezbollah sono parimenti infondati - Hezbollah, o i Siriani, o gli Iraniani fossero stati interessati a piazzare armi chimiche in Libano, lo avrebbero già fatto, e certamente lo avrebbero fatto utilizzando altri mezzi ben diversi da convogli in piena vista semplicemente “attraversanti il confine”.
Hezbollah. ha già dimostrato di essere in grado di sconfiggere l’aggressore Israele con armi convenzionali, come dimostrato durante l’estate del 2006.
In realtà, la pressione esercitata sulle frontiere della Siria sia da Israele che dal suo partner, la Turchia del primo ministro Recep Tayyip Erdogan, al nord, fa parte di un piano documentato per allentare la pressione sulle milizie che operano all’interno della Siria, armate e finanziate dall’Occidente, da Israele, dall’Arabia Saudita-Qatar.Il sopracitato centro studi di politica estera degli Stati Uniti, finanziato da Fortune 500 (vedi pagina 19) [Fortune 500-funded (page 19)], la Brookings Institution - che aveva nel suo programma progetti per un cambiamento di regime in Libia, così come in Siria e nell’Iran, (in Libya as well as both Syria and Iran) – ha ribadito questo in modo specifico nel suo rapporto intitolato “Assessing Options for Regime Change. - Valutazione delle opzioni per un cambio di regime.”
[N.d.tr.: Fortune 500 è una lista annuale compilata e pubblicata dalla rivista Fortune che classifica le 500 maggiori imprese societarie statunitensi misurate sulla base del loro fatturato.]
“La Siria è intrappolata sull’orlo di un precipizio che si sta sgretolando, e comunque avvenga il crollo, questo comporterà rischi significativi per gli Stati Uniti e per il popolo siriano.
“La Siria è intrappolata sull’orlo di un precipizio che si sta sgretolando, e comunque avvenga il crollo, questo comporterà rischi significativi per gli Stati Uniti e per il popolo siriano.
Il brutale regime di Bashar al-Assad sta impiegando le sue forze militari lealiste e criminali settari per schiacciare l’opposizione e riaffermare la sua tirannia.
Anche se Bashar cadesse, la Siria non potrebbe dirsi fuori dei guai: esiste un’alternativa sempre più probabile all’attuale regime, vale a dire una sanguinosa guerra civile del tutto simile ai conflitti a cui noi abbiamo assistito in Libano, Bosnia, Congo, e più di recente in Iraq.
Gli orrori di un tale conflitto potrebbero perfino eccedere la brutale riaffermazione del controllo di Assad, ed espandersi a macchia d’olio ai paesi vicini della Siria – Turchia, Iraq, Giordania, Libano, ed Israele – con risultati disastrosi per loro e per gli interessi usamericani nel Medio Oriente.
Tuttavia, la rivolta in Siria, che ora sta entrando nel suo secondo anno di attività, offre anche alcune rilevanti opportunità, che potrebbero derivare dalla caduta del regime di Bashar al-Assad, la cui famiglia ha governato il paese con pugno di ferro per oltre quarant’anni.
La Siria è il più vecchio e il più importante alleato dell’Iran nel mondo arabo, e il regime iraniano ha puntato doppio su Assad, fornendogli aiuto finanziario e sostegno militare per puntellare il suo regime. L’uscita di scena di Assad potrebbe assestare un duro colpo a Teheran, isolando ulteriormente l’Iran in un’epoca in cui questo paese può vantare pochi amici nella regione e nel mondo.
Per giunta, Damasco è risoluto nel suo atteggiamento ostile nei confronti di Israele, ed inoltre il regime di Assad sta appoggiando da tanto tempo gruppi terroristici, come Hezbollah ed Hamas, e in qualche occasione ha aiutato i terroristi di al-Qaeda ed elementi dell’ex regime in Iraq.
Quindi, il collasso del regime potrebbe procurare significativi vantaggi agli Stati Uniti e ai loro alleati nella regione.
Comunque, spodestare effettivamente Assad non sarà facile. Sebbene l’amministrazione Obama per mesi abbia lanciato appelli perché Assad se ne vada, ogni opzione politica per la sua rimozione si è incrinata, e qualcuno potrebbe anche rendere la situazione ancora peggiore, ad esempio proponendo una ricetta all’inazione.
Tuttavia, fare nulla significa stare a guardare mentre Assad massacra il suo popolo, e la Siria sprofonda nella guerra civile, con il rischio della dissoluzione dello Stato.
Già la violenza è incredibile: dal marzo 2012, nel tentativo di far crollare il regime, almeno 8.000 Siriani sono stati uccisi e migliaia sono stati arrestati e torturati. Nello stesso tempo, la Siria si sta disgregando. L’opposizione siriana rimane divisa e l’Esercito Libero Siriano è più una sigla, che una formazione armata significativa e coesa.
Al-Qaeda sta sollecitando combattenti a gettarsi nella mischia siriana, e sono in aumento uccisioni settarie e atrocità. Dovesse la violenza aumentare di intensità, i paesi vicini della Siria potrebbero accrescere la loro ingerenza, l’instabilità potrebbe espandersi, e paesi come l’Iraq e il Libano già di per sé fragili potrebbero vedersi ulteriormente indeboliti.
Allora, per la protezione degli interessi degli Stati Uniti, Assad non può prevalere.
Ma dal crollo della Siria, dalla sua rovina a causa della guerra civile, potrebbe derivarne un bene come un male.
Per questo, la politica degli Stati Uniti deve muoversi con grande equilibrio, cercando di rimuovere Assad, ma in maniera tale che la Siria rimanga uno Stato integro, in grado di controllare i propri confini e di assicurare l’ordine interno.
Alla fine, in buona sostanza, la rimozione di Assad potrebbe dimostrarsi non tanto realizzabile.”In questo documento non si fa segreto che l’umanitaria “responsabilità di fornire protezione” per salvare la Siria non è altro che un pretesto per un cambio di regime a lungo pianificato.
Brookings indica come gli sforzi israeliani nel sud della Siria, in combinazione con il dispiegamento da parte della Turchia di grandi quantità di armamenti e truppe lungo il confine a nord, potrebbero contribuire efficacemente a un cambiamento di regime violento in Siria:
“Inoltre, i servizi di intelligence di Israele hanno una forte conoscenza della Siria, così come delle attività all’interno del regime siriano che potrebbero essere utilizzate per sovvertire le basi del potere del regime ed esercitare pressioni per la rimozione di Assad.
Israele potrebbe posizionare forze sopra o vicino le alture del Golan e, in tal modo, potrebbe distrarre forze del regime dall’opera di soppressione dell’opposizione. Questa dislocazione di forze potrebbe suscitare nel regime di Assad timori di un conflitto su più fronti, particolarmente se la Turchia è disposta a fare lo stesso sul suo confine, e se l’opposizione siriana viene alimentata con forniture costanti di armi e di addestramento. Una tale mobilitazione potrebbe forse convincere gli alti gradi militari della Siria a cacciare Assad, con l’obiettivo di salvare se stessi.
I sostenitori di questa strategia reputano che questa pressione addizionale potrebbe far pendere la bilancia contro Assad all’interno della Siria, se altre forze venissero schierate tutte nella stessa direzione in modo opportuno.” - page 6, Assessing Options for Regime Change, Brookings Institution - pagina 6, della “Valutazione delle opzioni per un cambio di regime”, Brookings Institution.
Naturalmente, gli attacchi aerei all’interno della Siria vanno oltre “il posizionamento di forze”, e indicano forse il grado di esasperazione in Occidente, dove sembra abbiano eletto il loro capo canaglia, Israele, per un “intervento” sempre più accentuato con riferimento a un attacco all’Iran, proprio come si era progettato (just as they had planned in regards to attacking Iran) - e documentato da Brookings in un rapporto dal titolo “Which Path to Persia? - Quale percorso verso la Persia?”
Naturalmente, gli attacchi aerei all’interno della Siria vanno oltre “il posizionamento di forze”, e indicano forse il grado di esasperazione in Occidente, dove sembra abbiano eletto il loro capo canaglia, Israele, per un “intervento” sempre più accentuato con riferimento a un attacco all’Iran, proprio come si era progettato (just as they had planned in regards to attacking Iran) - e documentato da Brookings in un rapporto dal titolo “Which Path to Persia? - Quale percorso verso la Persia?”
Per quanto riguarda l’Iran, in questa relazione di Brookings si afferma specificamente:
“Sembra che Israele abbia già accuratamente pianificato e compiuto esercitazioni per un attacco di questa portata, e la sua forza aerea probabilmente è già dislocata il più vicino possibile all’Iran.
In quanto tale, Israele potrebbe essere in grado di lanciare l’attacco nel giro di settimane o addirittura di giorni, e questo dipende dalle condizioni meteo e di intelligence le più opportune.
In più, dal momento che Israele avrebbe pochissime necessità (o interessi) di garantirsi un appoggio regionale in questa operazione, Gerusalemme probabilmente si dimostra meno disposta ad attendere una provocazione iraniana prima di attaccare.
In breve, Israele potrebbe passare all’azione molto velocemente per dare esecuzione a questa opzione, se entrambe le dirigenze di Israele e degli Stati Uniti si decidessero che ciò avvenga.
Tuttavia, come osservato in precedenza, gli stessi attacchi aerei costituiscono in realtà solo l’inizio di questa politica. D’altra parte, gli Iraniani andrebbero senza dubbio a ricostruire i loro siti nucleari. Probabilmente il loro desiderio sarebbe quello di restituire pan per focaccia ad Israele, e anche potrebbero rivalersi contro gli Stati Uniti, (che potrebbero creare un pretesto per attacchi aerei statunitensi o addirittura un’invasione).”- pagina91, Which Path to Persia?, Brookings Institution.E da queste affermazioni possiamo intuire e dedurre cosa ci sia nel retroscena, dietro l’attitudine guerrafondaia, altrimenti irrazionale, (otherwise irrational belligerent posture) di Israele nel corso della sua breve storia, così come nel suo più recente atto di aggressione non provocata contro la Siria.
Il ruolo di Israele è quello di recitare la parte del “cattivo”.
Come testa di ponte nella regione per gli interessi del capitale finanziario dell’Occidente, Israele introduce sempre un “piede nella porta” in ognuno dei molti conflitti desiderati fortemente dall’Occidente.
Bombardando la Siria, Israele spera di provocare un conflitto più ampio - un intervento che l’Occidente ha voluto e progettato fin dal momento in cui nel 2011 ha iniziato a soffiare sul fuoco di un conflitto violento in Siria.
Per la Siria e i suoi alleati – l’obiettivo ora deve essere quello di scoraggiare ulteriori aggressioni israeliane e di evitare a tutti i costi l’allargamento del conflitto. Se le forze terroristiche che agiscono per procura della NATO sono così deboli come sembra - incapaci di conquiste sul terreno sia tattiche che strategiche, e in fase di disgregazione a causa dei loro disperati attacchi, è solo una questione di tempo l’arresto subitaneo della campagna della NATO.
Per la Siria e i suoi alleati – l’obiettivo ora deve essere quello di scoraggiare ulteriori aggressioni israeliane e di evitare a tutti i costi l’allargamento del conflitto. Se le forze terroristiche che agiscono per procura della NATO sono così deboli come sembra - incapaci di conquiste sul terreno sia tattiche che strategiche, e in fase di disgregazione a causa dei loro disperati attacchi, è solo una questione di tempo l’arresto subitaneo della campagna della NATO.
Come accennato prima, un tale insuccesso da parte della NATO sarà l’inizio della fine dell’aggressione, e degli interessi occidentali che l’hanno sfruttata come strumento per acquisire egemonia geopolitica.
Per questo è possibile che Israele si impegni in azioni sempre più estreme e disperate per provocare la Siria e l’Iran, visto che i suoi governanti rappresentano direttamente gli interessi del capitalismo straniero delle imprese e della finanza, non gli interessi migliori per il popolo di Israele, (tra cui la pace e perfino la sua sopravvivenza).
Per il popolo di Israele, questo deve rendersi conto che i suoi dirigenti in effetti non lo rappresentano, e nemmeno operano in favore dei suoi interessi, e che gli attuali governanti di Israele sono capaci, anzi entusiasti, di spendere le vite e le fortune dei loro cittadini al servizio degli interessi stranieri delle corporation e della finanza e dell’egemonia globale.
Articoli di riferimento:Israeli Intelligence: US Israeli led “Covert Wars” on Iran and Syria
Articoli di riferimento:Israeli Intelligence: US Israeli led “Covert Wars” on Iran and Syria
Dall’intelligence di Israele: gli Stati Uniti ed Israele hanno condotto “conflitti segreti” contro l’Iran e la Siria.
I conflitti segreti degli Stati Uniti ed Israele esercitano ulteriori pressioni su Iran e Siria, 29 novembre 2011.
Le guerre nascoste che gli Stati Uniti, la NATO, i membri della Lega araba e Israele stanno conducendo contro l’Iran, la Siria ed Hezbollah stanno assumendo ritmi vertiginosi…
US-NATO-Israeli Agenda: Syria to be Subdivided into “Three Weaker States”
US-NATO-Israeli Agenda: Syria to be Subdivided into “Three Weaker States”
L’agenda USA-NATO-Israele: la Siria deve essere smembrata in “tre Stati più deboli”
L’esperto mediologico egiziano Tawfik Okasha, proprietario del canale televisivo dell’opposizione egiziana al-Fara'een, ha accusato il sistema dei media di complicità con i Fratelli Musulmani nel propinare menzogne al popolo egiziano sulla crisi siriana. Egli fa appello a tutti i Siriani liberi…
SAVE SYRIA: Demand An End to US-NATO Supported Sectarian Terrorists
SAVE SYRIA: Demand An End to US-NATO Supported Sectarian Terrorists
Salviamo la Siria: pretendiamo la fine dell’appoggio ai terroristi settari da parte degli USA-NATO
Cronistoria 1991: Paul Wolfowitz, allora sottosegretario alla Difesa, rivela al generale Wesley Clark dell’Esercito degli Stati Uniti che gli Stati Uniti si sono dati 5-10 anni per “ripulire quei vecchi regimi clienti dell’Unione Sovietica, Siria, Iran, Iraq, prima che la prossima superpotenza arrivi a sfidare ...
NATO Terrorists in Syria Attack Kurdish Minority
NATO Terrorists in Syria Attack Kurdish Minority
I terroristi NATO in Siria aggrediscono la minoranza curda
I media occidentali e i rappresentanti dei governi occidentali, dagli Stati Uniti all’Unione europea nel suo complesso, ancora insistono sul fatto che il bagno di sangue settario in atto in Siria, alimentato dalle armi e dal denaro degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, e dall’Unione europea sia una cosiddetta rivolta “pro-democrazia”. Perché …
venerdì 8 febbraio 2013
IL VENEZUELA SOMMINISTRA COMPUSTIBILE AGLI EMARGINATI NEGLI USA
Il Venezuela somministra combustibile
agli emarginati negli USA
agli emarginati negli USA
Per maggiori informazioni: http://www.citizensenergy.com e http://www.citgo.com
da AlbainFormazione, 3 febbraio 2013
di Davide Brooks – Corrispondente del periodico La Jornada; sabato 2 febbraio 2013, pag. 25
Caracas somministra agli emarginati USA combustibile per il riscaldamento.
Lanciata l’ottava edizione del programma di solidarietà del Venezuela con gli USA
New York, 1 Febbraio 2013.
Il progetto di solidarietà del Venezuela con gli USA, attraverso un programma di consegna di combustibile per riscaldamento alle comunità marginali e in difficoltà, che aiuterà circa 100mila famiglie in 25 Stati – incluse più di 240 comunità indigene – per resistere al freddo invernale, ha iniziato il suo ottavo anno questa settimana, così come ha annunciato l’impresa petrolifera statunitense Citgo, sussidiaria della Petróleos de Venezuela, e la sua socia Citizens Energy Corporation.
Durante una cerimonia in un albergo per famiglie a Baltimora, il responsabile esecutivo della Citgo, Alejandro Granado, insieme con Joseph P. Kennedy II, presidente della Citizens Energy Corporation, impresa energetica senza fine di lucro, hanno lanciato l’ottava edizione annuale del programma di combustibile da riscaldamento “Citgo-Venezuela”.
Di questo piano hanno beneficiato più di 1.7 milioni di persone dal 2005, quando si è dato inizio alla donazione venezuelana per aiutare le vittime degli uragani Katrina e Rita.
Il programma, in collaborazione con l’organizzazione di Kennedy, si è sviluppato fino a donare più di 200 milioni di galloni di combustibile, per un valore superiore ai 400 milioni di dollari.
Tale programma, ha dichiarato Granado, “è uno degli sforzi di assistenza di energia più importanti del paese”.
Granado ha informato che la percentuale delle risorse che l’impresa ha speso in programmi sociali negli USA è stata fino a cinque volte maggiore di quelle delle altre società petrolifere di questo paese. Ha affermato che quest’anno il programma sarà ancora più importante, poiché la donazione darà beneficio anche a molte delle vittime dell’uragano Sandy che ha colpito la costa est.
Ha sottolineato che il programma è “un perfetto esempio di principi umanitari attuati” dalla Petróleos de Venezuela SA (Pdvsa).
L’ex rappresentate federale Joseph Kennedy – figlio maggiore di Robert F. Kennedy – ha dichiarato che queste donazioni “del popolo del Venezuela” hanno aiutato negli ultimi anni migliaia di famiglie negli USA e ha evidenziato che “è importante continuare ad appoggiare famiglie statunitensi attraverso tale programma”. Ha ribadito come “quest’inverno aiuteremo più di 400 mila persone a mantenersi calde e sicure”
Kennedy ha sottolineato di essersi riunito con rappresentanti delle principali imprese petrolifere degli USA e di altri paesi produttori di petrolio per sollecitare il loro aiuto in questo tipo di sforzo: “Tutti costoro hanno detto di no, ad eccezione della Citgo, del presidente Chávez e del popolo del Venezuela”.
Il progetto era stato originariamente avviato nel 2005 dall’allora ambasciatore venezuelano negli USA, Bernardo Álvarez, che adesso è rappresentante del suo governo in Spagna.
[trad. dal castigliano di Ciro Brescia]
“Un decennio di guerra sta per concludersi.”*
Al presidente Obama ci sono voluti pochi minuti per raccontare agli americani che un “decennio di guerra sta per concludersi” e che userà la forza solo per sostenere i valori universali e lo Stato di diritto.
“Non possiamo confondere l'assolutismo con i principi o sostituire lo spettacolo alla politica, o trattare gli insulti come fossero ragionevoli”.
Tuttavia Obama è Hollywood quando partecipa alla stesura del film Zero Dark Thirty che celebra la spettacolare morte di Bin Laden e glorifica la tortura, è finzione quando afferma di voler chiudere Guantanamo mentre elimina l’ufficio dell’inviato speciale per la chiusura del penitenziario di Guantanamo. Gli uomini del Pentagono e della Cia ingannano quando enfatizzano le “bombe intelligenti”, quelle con un cervello ma senza un’anima, e poi eleggono a nuovi eroi del fronte tecnologico i droni, i robot killer capaci di giocare a ping-pong.
E così il decennio di guerra si conclude per le truppe inviate nelle zone di guerra e si apre ai droni armati UCAV)per riempire i cieli di Iraq, Afhghanistan, Pakistan, Somalia, Yemen, Iran, Libia ed ora anche Mali.
Noel Sharkey, professore ed esperto di intelligenza artificiale e robotica alla Sheffield University, ha definito il ricorso segreto ai droni una “uccisione automatizzata come tappa finale della rivoluzione industriale della guerra” http://www.guardian.co.uk/ world/2012/aug/03/drone-race- factory-slaughter?newsfeed= true
In “The Automation and Proliferation of Military Drones” http://www.utwente.nl/gw/ wijsb/organization/ coeckelbergh/publications/52. pdf Noel Sharkey scrive che dopo l’attacco alle torri gemelle del settembre 2001 e i conflitti a Gaza, c’è stato un drammatico aumento dell'uso di droni armati. Questi robot non possono discriminare tra gli obiettivi i combattenti e non-combattenti, non hanno la consapevolezza della battaglia, non possono ragionare in modo appropriato o prendere decisioni proporzionate. E’necessario segnalare i pericoli di queste soluzioni tecnologiche perché i robot potrebbero diventare dominanti nelle guerre future.
Nell’articolo del Guardian viene citata l’Agenzia giornalistica no-profit Bureau of Investigative Journalism che ha monitorato gli attacchi con i droni in Pakistan dal giugno 2004 al settembre 2012, contando tra le 2.562 e le 3.325 persone uccise (circa 881 erano civili).
Secondo gli strateghi militari, gli attacchi con i droni sono necessari in quanto rendono più sicuri gli Stati Uniti, pur interrompendo l'attività militare. Diversamente, un importante studio della Stanford University e New York University, smonta la narrazione degli “omicidi mirati” evidenziando gli inconvenienti e gli effetti collaterali. Questi sono emersi dopo aver condotto due inchieste in Pakistan, più di 130 interviste con le vittime, testimoni ed esperti, e la revisione di migliaia di pagine di documentazione e dei media di riferimento.
Le inchieste hanno svelato che la continua presenza di droni provoca terrore fra uomini, donne e bambini, e causa traumi psicologici perché la comunità ha la preoccupazione costante che un attacco improvviso possa uccidere senza che ci si possa proteggere. Vi sono prove che gli Stati Uniti hanno colpito la stessa zona più volte uccidendo anche i soccorritori, per cui gli stessi operatori umanitari hanno paura e non vogliono assistere i feriti. Alcuni genitori scelgono di mantenere a casa i bambini, e i bambini feriti o traumatizzati dagli attacchi, abbandonano la scuola.
La possibilità di essere colpiti perché ci si raduna per un funerale o una qualsiasi pratica culturale, ha fatto sì che anche le funzioni religiose siano state abbandonate. L’evidenza dei fatti ha suggerito che questi attacchi hanno suscitato risentimento nelle persone, e piuttosto hanno facilitando il reclutamento nei ranghi dei gruppi armati (il 74% dei pakistani considerano gli Stati Uniti un nemico). Il rapporto mette anche in dubbio la legittimità degli attacchi su individui o gruppi che non sono legati agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2011, e non rappresentano una minaccia per gli Stati Uniti.
Queste pratiche inoltre rappresentano un precedente valido per altri paesi, è più che certo che in tutto il mondo sempre più Stati hanno deciso di produrre, comprare o vendere, questo tipo di armamento letale.
Il rapporto sostiene che gli Stati Uniti dovrebbero adempiere ai suoi obblighi internazionali per quanto riguarda la responsabilità e la trasparenza, e garantire un adeguato dibattito democratico sulle politiche chiave.http://livingunderdrones.org/ wp-content/uploads/2012/10/ Stanford-NYU-LIVING-UNDER- DRONES.pdf
Un nuovo rapporto del Congresso degli Stati Uniti sulla proliferazione dei droni, ha confermato un enorme aumento del numero di paesi che hanno aerei senza equipaggio. Il GAO ha pubblicato il report “NONPROLIFERATION
Agencies Could Improve Information Sharing and End-Use Monitoring on Unmanned Aerial Vehicle Exports” che esamina sia la proliferazione degli UAV, comunemente noti come drone, sia i controlli che gli Stati Uniti operano sulle esportazioni di tecnologia drone. La relazione afferma che tra il 2005 e il dicembre 2011, il numero di paesi che possiedono questi sistemi vanno da 41 a 76. Sempre secondo il rapporto "la maggior parte degli UAV che i paesi hanno acquistato rientrano nella categoria degli UAV tattici, cioè svolgono missioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione, e in genere hanno una gamma limitata di funzionamento al massimo di 300 chilometri. Tuttavia, alcune versioni più avanzate sono in grado di effettuare la raccolta di informazioni e le missioni di attacco. I mini UAV sono acquistati in tutto il mondo ma attualmente solo gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e Israele, sono noti per avere utilizzato UAV armati. La relazione afferma che ci sono paesi che hanno già acquisito informazioni sulle attività militari statunitensi attraverso gli UAV, per cui gli Stati Uniti hanno stabilito di selezionare i paesi a cui trasferire la tecnologia UAV. Tra il 2005 e il 2010 gli Stati Uniti hanno approvato per più di 380 milioni di dollari le esportazioni di droni verso la Danimarca, Italia, Lituania, Regno Unito, Australia, Colombia, Israele e Singapore (in totale i paesi sono 15). L'accordo internazionale principale che controlla il trasferimento dei droni fa riferimento al regime di controllo delle tecnologie missilistiche (MTCR). http://www.gao.gov/assets/600/ 593131.pdf
Il Predator statunitense costa 11 milioni dollari per unità, il Reaper 30 milioni per unità. L'esercito americano ha in dotazione circa 7.000 droni. Israele è stato il primo paese che ha sviluppato la tecnologia militare drone dopo la guerra arabo-israeliana del 1973.
Uno dei modelli più grandi e più avanzato al mondo è l’Heron TP (Eitan), costa circa 35 milioni e può restare in aria per più di 20 ore consecutive.
Israele è anche un grande esportatore di droni.
Oltre ai rapporti sopra citati, le Nazioni Unite hanno deciso di portare avanti una inchiesta a proposito degli attacchi con i droni e le uccisioni mirate.
L'obiettivo principale dell’inchiesta è quello di esaminare le prove che gli attacchi sproporzionati causano vittime civili.
Il relatore speciale delle Nazioni Unite nella lotta al terrorismo e per i diritti umani, Ben Emmerson, ha detto che c'era la necessità di cercare una "responsabilità" quando gli attacchi sbagliano bersaglio.
Emerson ha dichiarato che "L'aumento esponenziale l'uso della tecnologia drone in una varietà di contesti militari e non militari, rappresenta una vera sfida per il diritto internazionale”, e che, sia per una questione di principio sia per realtà politica, la comunità internazionale dovrebbe focalizzare l'attenzione sulle norme applicabili a questo sviluppo tecnologico. Lo studio dovrebbe vertere su casi specifici prendendo in considerazione ciò che è accaduto in Pakistan, Yemen, Somalia, Afghanistan e nei Territori Palestinesi, sui diversi paesi che sono in possesso della tecnologia UAV in particolare Israele e il governo degli Stati Uniti, e sugli attacchi della CIA in Pakistan. http://www.bbc.co.uk/news/ world-21176279
Ovviamente la reazione di Washington a questa inchiesta è stata immediata: una task force di giuristi della Casa Bianca e della CIA è stata messa all’opera per trovare una copertura giuridica alle uccisioni mirate e tracciare le nuove linee guida della guerra dei droni.
Anche Israele ha avuto la stessa reazione al rapporto del Centro di informazione israeliano per i diritti umani nei Territori Occupati, circa
l'uso di armi per il controllo della folla in Cisgiordania.
“Le azioni di dispersione delle Forze di Difesa israeliane mettono in pericolo i palestinesi. B'Tselesm richiama l’attenzione dell’IDF per proibire l’uso di munizioni letali per disperdere le rivolte, l’esercito dice che il report è parziale e che sceglie gli incidenti che possano confermare la propria tesi” http://www.jpost.com/ MiddleEast/Article.aspx?ID= 301211&R=R1
Crowd Control: l'uso di armi per il controllo della folla in Cisgiordania http://www.btselem.org/ download/201212_crowd_control_ eng.pdf
Le armi usate dalle autorità durante le manifestazioni di massa dovrebbero essere non letali, cioè non dovrebbero mettere in pericolo la vita umana.
In realtà sono armi pericolose se usate impropriamente, possono causare la morte, lesioni gravi e danni alle cose. Il rapporto contiene nei dettagli gli ordini che regolano l'uso di queste armi, ma che le forze di sicurezza si rifiutano di divulgare. Inoltre esamina la loro violazione.
In primo luogo i regolamenti che permettono l’uso di queste armi sono ambigui, in alcuni casi non possono essere adeguatamente seguiti.
In secondo luogo, quando le forze di sicurezza violano le norme, anche sistematicamente, non si interviene per porre fine a tale comportamento illecito. Gli ufficiali di rango superiore negano che vi sia una violazione delle regole e classificano i danni ai civili come "eccezioni alla regola". Inoltre, anche nei rari casi in cui vengono condotte delle indagini su incidenti di questo tipo, per la maggior parte non vengono addossate responsabilità.
Di seguito sono riportati alcuni dei risultati della relazione:
I soldati e la polizia di frontiera sparano spesso bombe lacrimogene direttamente contro i manifestanti con l'obiettivo di colpirli e provocano incendi, senza garanzie per i manifestanti che non sono nella linea diretta di fuoco. Questa è una prima violazione.
I Soldati e la polizia di frontiera violano sistematicamente gli ordini permanenti, sparando proiettili di metallo rivestiti di gomma anche in circostanze chiaramente vietate dagli ordini.
B'Tselem ha documentato casi in cui le forze di sicurezza hanno sparato questi proiettili senza tenere la distanza prevista rendendoli potenzialmente letali. Hanno anche sparato ai minori, ai passanti o manifestanti che non costituivano un pericolo per le forze di sicurezza o per qualsiasi altro individuo. In alcuni casi, i comandanti, tra cui alti ufficiali, conoscevano il loro uso illegittimo e lo hanno ordinato ugualmente.
Le forze di sicurezza sparano munizioni durante le manifestazioni in particolare contro i palestinesi che stanno lanciando pietre contro di loro. B'Tselem ha documentato l'uso di munizioni in circostanze che non erano pericolose per la vita.
I soldati e la polizia di frontiera hanno sparato proiettili
calibro 0,22 in circostanze che non giustificano l'uso di armi letali.
In effetti queste munizioni sono usate come se fossero mezzi non-letali per il controllo della folla.
Vedere anche http://www.bilin-village.org/ italiano/articoli/ testimonianze/Nuove-armi- utilizzate-contro-i- manifestanti-in-Cisgiordania
In molti casi le forze di sicurezza spruzzano il liquido maleodorante Skunk in corrispondenza o nei pressi delle abitazioni, sollevando il grave sospetto di essere utilizzato come misura collettiva punitiva nei confronti dei residenti dei villaggi in cui si svolgono regolarmente manifestazioni settimanali.
Gli agenti di polizia fanno uso di spray al pepe in violazione delle procedure di polizia ufficiale, che prevedono un equilibrio tra le considerazioni delle forze dell'ordine e quelle di sicurezza.
L'uso illecito delle armi per il controllo della folla da parte delle forze di sicurezza israeliane, è accompagnato da ulteriori restrizioni alla libertà di parola e alla libertà di protestare contro l'occupazione israeliana della Cisgiordania. Queste restrizioni sono l'arresto e lal persecuzione degli organizzatori di una dimostrazione, la dispersione delle dimostrazioni attraverso l’uso della forza anche quando i manifestanti non sono violenti, e la deportazione di cittadini stranieri che partecipano alle manifestazioni. Le aree della Cisgiordania dove si svolgono le manifestazioni sono dichiarate zone militari e chiuse per il tempo previsto per la dimostrazione. Questi ordini specifici che designano le zone militari chiuse consentono alle forze di sicurezza di fermare gli attivisti israeliani che prendono parte alle manifestazioni, arrestarli e processarli. Queste restrizioni sproporzionate si discostano dalle istruzioni emanate dal Consigliere giuridico per la Cisgiordania, che vieta di dichiarare zona militare chiusa a un gruppo specifico, come ad esempio gli attivisti durante le manifestazioni.
I membri delle forze di sicurezza che si trovano ad affrontare i lanciatori di pietre hanno la facoltà di utilizzare le varie armi menzionate nella presente relazione. Tuttavia, le autorità devono garantire che le truppe sul terreno rispettino i parametri circa l’uso di queste armi. Ne consegue che ogni soldato, ufficiale o poliziotto che violi queste regole, deve essere perseguito. Inoltre B'Tselem richiede:
- di vietare l'uso di munizioni, tra cui i proiettili calibro 022, ai fini di disperdere le manifestazioni, se non in casi di pericolo di vita
- di limitare l'uso dei proiettili di metallo rivestiti di gomma solo in casi di pericolo mortale
- di vietare completamente il lancio di lacrimogeni direttamente su persone fisiche o in orizzontale.
Un elenco delle armi http://www.btselem.org/ publications/2012_alfa
1) Il gas dei lacrimogeni è una sostanza chimica irritante che colpisce gravemente gli occhi e le vie respiratorie. E'l'arma più usata per il controllo della folla. Quella in dotazione alle forze di sicurezza israeliane si disperde attraverso diversi tipi di granate prodotte negli Stati Uniti: la "granata skittering" che può essere lanciata a mano o sparata da un lanciatore montato su un fucile. http://www.inetres.com/gp/ military/infantry/grenade/ hand.html
A Gerusalemme Est le forze di sicurezza hanno utilizzato granate che si dividono in tre sotto-contenitori. Alcune sono montate sui fucili dei soldati e sparate una alla volta, altre sono montate su lanciatori che possono sparare 1-6 granate in rapida successione. Le forze di sicurezza israeliane hanno anche a disposizione jeep munite di un sistema in grado di coprire una vasta area con gas lacrimogeni.
2) Le granate stordenti. Si tratta di una misura usata come diversivo, la cui esplosione emette una luce brillante e un rumore fragoroso. Le granate sono progettati per causare il panico consentendo in tal modo le forze di sicurezza di sopraffare le persone. Come le bombe lacrimogene in uso da parte delle forze di sicurezza israeliane, le granate stordenti sono prodotte negli Stati Uniti.
3) I proiettili di metallo coperti di gomma sono utilizzati in primo luogo contro lanciatori di pietre. Le forze di sicurezza utilizzano due tipi di proiettili che hanno un nucleo metallico rivestito con gomma o plastica, sparati da lanciatori montati su canne di fucile. Questi proiettili sono forniti da Israele Military Industries Ltd. La Commissione Orr ha vietato l'utilizzo di questi proiettili all'interno dei confini di Israele. A Gerusalemme Est la polizia israeliana ha usato proiettili importati dagli Stati Uniti. http://en.wikipedia.org/wiki/ Or_Commission
4) Skunk è liquido maleodorante usato dalla polizia israeliana allo scopo di disperdere le manifestazioni. Viene spruzzato da cannoni ad acqua posizionati su autocarri. L'odore è talmente offensivo che costringe ogni persona di fare marcia indietro.
* (Discorso di inaugurazione del secondo mandato presidenziale pronunciato da Obama il 21 gennaio)http://www.washingtonpost.com/ politics/president-obamas- second-inaugural-address- transcript/2013/01/21/ f148d234-63d6-11e2-85f5- a8a9228e55e7_print.html
mercoledì 6 febbraio 2013
L'USO DEI DRONI STATUNITENSI E ISRAELIANI IN CISGIORDANIA
Report a confronto sull’uso disinvolto dei droni statunitensi e delle armi israeliane in Cisgiordania
Le aree della Cisgiordania dove si svolgono le manifestazioni sono dichiarate zone militari e chiuse per il tempo previsto per la dimostrazione
29 gennaio 2013 - Rossana De Simone
“Un decennio di guerra sta per concludersi.”*
Al presidente Obama ci sono voluti pochi minuti per raccontare agli americani che un “decennio di guerra sta per concludersi” e che userà la forza solo per sostenere i valori universali e lo Stato di diritto.
“Non possiamo confondere l'assolutismo con i principi o sostituire lo spettacolo alla politica, o trattare gli insulti come fossero ragionevoli”.
Tuttavia Obama è Hollywood quando partecipa alla stesura del film Zero Dark Thirty che celebra la spettacolare morte di Bin Laden e glorifica la tortura, è finzione quando afferma di voler chiudere Guantanamo mentre elimina l’ufficio dell’inviato speciale per la chiusura del penitenziario di Guantanamo. Gli uomini del Pentagono e della Cia ingannano quando enfatizzano le “bombe intelligenti”, quelle con un cervello ma senza un’anima, e poi eleggono a nuovi eroi del fronte tecnologico i droni, i robot killer capaci di giocare a ping-pong.
E così il decennio di guerra si conclude per le truppe inviate nelle zone di guerra e si apre ai droni armati UCAV)per riempire i cieli di Iraq, Afhghanistan, Pakistan, Somalia, Yemen, Iran, Libia ed ora anche Mali.
Noel Sharkey, professore ed esperto di intelligenza artificiale e robotica alla Sheffield University, ha definito il ricorso segreto ai droni una “uccisione automatizzata come tappa finale della rivoluzione industriale della guerra” http://www.guardian.co.uk/
In “The Automation and Proliferation of Military Drones” http://www.utwente.nl/gw/
Nell’articolo del Guardian viene citata l’Agenzia giornalistica no-profit Bureau of Investigative Journalism che ha monitorato gli attacchi con i droni in Pakistan dal giugno 2004 al settembre 2012, contando tra le 2.562 e le 3.325 persone uccise (circa 881 erano civili).
Secondo gli strateghi militari, gli attacchi con i droni sono necessari in quanto rendono più sicuri gli Stati Uniti, pur interrompendo l'attività militare. Diversamente, un importante studio della Stanford University e New York University, smonta la narrazione degli “omicidi mirati” evidenziando gli inconvenienti e gli effetti collaterali. Questi sono emersi dopo aver condotto due inchieste in Pakistan, più di 130 interviste con le vittime, testimoni ed esperti, e la revisione di migliaia di pagine di documentazione e dei media di riferimento.
Le inchieste hanno svelato che la continua presenza di droni provoca terrore fra uomini, donne e bambini, e causa traumi psicologici perché la comunità ha la preoccupazione costante che un attacco improvviso possa uccidere senza che ci si possa proteggere. Vi sono prove che gli Stati Uniti hanno colpito la stessa zona più volte uccidendo anche i soccorritori, per cui gli stessi operatori umanitari hanno paura e non vogliono assistere i feriti. Alcuni genitori scelgono di mantenere a casa i bambini, e i bambini feriti o traumatizzati dagli attacchi, abbandonano la scuola.
La possibilità di essere colpiti perché ci si raduna per un funerale o una qualsiasi pratica culturale, ha fatto sì che anche le funzioni religiose siano state abbandonate. L’evidenza dei fatti ha suggerito che questi attacchi hanno suscitato risentimento nelle persone, e piuttosto hanno facilitando il reclutamento nei ranghi dei gruppi armati (il 74% dei pakistani considerano gli Stati Uniti un nemico). Il rapporto mette anche in dubbio la legittimità degli attacchi su individui o gruppi che non sono legati agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2011, e non rappresentano una minaccia per gli Stati Uniti.
Queste pratiche inoltre rappresentano un precedente valido per altri paesi, è più che certo che in tutto il mondo sempre più Stati hanno deciso di produrre, comprare o vendere, questo tipo di armamento letale.
Il rapporto sostiene che gli Stati Uniti dovrebbero adempiere ai suoi obblighi internazionali per quanto riguarda la responsabilità e la trasparenza, e garantire un adeguato dibattito democratico sulle politiche chiave.http://livingunderdrones.org/
Un nuovo rapporto del Congresso degli Stati Uniti sulla proliferazione dei droni, ha confermato un enorme aumento del numero di paesi che hanno aerei senza equipaggio. Il GAO ha pubblicato il report “NONPROLIFERATION
Agencies Could Improve Information Sharing and End-Use Monitoring on Unmanned Aerial Vehicle Exports” che esamina sia la proliferazione degli UAV, comunemente noti come drone, sia i controlli che gli Stati Uniti operano sulle esportazioni di tecnologia drone. La relazione afferma che tra il 2005 e il dicembre 2011, il numero di paesi che possiedono questi sistemi vanno da 41 a 76. Sempre secondo il rapporto "la maggior parte degli UAV che i paesi hanno acquistato rientrano nella categoria degli UAV tattici, cioè svolgono missioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione, e in genere hanno una gamma limitata di funzionamento al massimo di 300 chilometri. Tuttavia, alcune versioni più avanzate sono in grado di effettuare la raccolta di informazioni e le missioni di attacco. I mini UAV sono acquistati in tutto il mondo ma attualmente solo gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e Israele, sono noti per avere utilizzato UAV armati. La relazione afferma che ci sono paesi che hanno già acquisito informazioni sulle attività militari statunitensi attraverso gli UAV, per cui gli Stati Uniti hanno stabilito di selezionare i paesi a cui trasferire la tecnologia UAV. Tra il 2005 e il 2010 gli Stati Uniti hanno approvato per più di 380 milioni di dollari le esportazioni di droni verso la Danimarca, Italia, Lituania, Regno Unito, Australia, Colombia, Israele e Singapore (in totale i paesi sono 15). L'accordo internazionale principale che controlla il trasferimento dei droni fa riferimento al regime di controllo delle tecnologie missilistiche (MTCR). http://www.gao.gov/assets/600/
Il Predator statunitense costa 11 milioni dollari per unità, il Reaper 30 milioni per unità. L'esercito americano ha in dotazione circa 7.000 droni. Israele è stato il primo paese che ha sviluppato la tecnologia militare drone dopo la guerra arabo-israeliana del 1973.
Uno dei modelli più grandi e più avanzato al mondo è l’Heron TP (Eitan), costa circa 35 milioni e può restare in aria per più di 20 ore consecutive.
Israele è anche un grande esportatore di droni.
Oltre ai rapporti sopra citati, le Nazioni Unite hanno deciso di portare avanti una inchiesta a proposito degli attacchi con i droni e le uccisioni mirate.
L'obiettivo principale dell’inchiesta è quello di esaminare le prove che gli attacchi sproporzionati causano vittime civili.
Il relatore speciale delle Nazioni Unite nella lotta al terrorismo e per i diritti umani, Ben Emmerson, ha detto che c'era la necessità di cercare una "responsabilità" quando gli attacchi sbagliano bersaglio.
Emerson ha dichiarato che "L'aumento esponenziale l'uso della tecnologia drone in una varietà di contesti militari e non militari, rappresenta una vera sfida per il diritto internazionale”, e che, sia per una questione di principio sia per realtà politica, la comunità internazionale dovrebbe focalizzare l'attenzione sulle norme applicabili a questo sviluppo tecnologico. Lo studio dovrebbe vertere su casi specifici prendendo in considerazione ciò che è accaduto in Pakistan, Yemen, Somalia, Afghanistan e nei Territori Palestinesi, sui diversi paesi che sono in possesso della tecnologia UAV in particolare Israele e il governo degli Stati Uniti, e sugli attacchi della CIA in Pakistan. http://www.bbc.co.uk/news/
Ovviamente la reazione di Washington a questa inchiesta è stata immediata: una task force di giuristi della Casa Bianca e della CIA è stata messa all’opera per trovare una copertura giuridica alle uccisioni mirate e tracciare le nuove linee guida della guerra dei droni.
Anche Israele ha avuto la stessa reazione al rapporto del Centro di informazione israeliano per i diritti umani nei Territori Occupati, circa
l'uso di armi per il controllo della folla in Cisgiordania.
“Le azioni di dispersione delle Forze di Difesa israeliane mettono in pericolo i palestinesi. B'Tselesm richiama l’attenzione dell’IDF per proibire l’uso di munizioni letali per disperdere le rivolte, l’esercito dice che il report è parziale e che sceglie gli incidenti che possano confermare la propria tesi” http://www.jpost.com/
Crowd Control: l'uso di armi per il controllo della folla in Cisgiordania http://www.btselem.org/
Le armi usate dalle autorità durante le manifestazioni di massa dovrebbero essere non letali, cioè non dovrebbero mettere in pericolo la vita umana.
In realtà sono armi pericolose se usate impropriamente, possono causare la morte, lesioni gravi e danni alle cose. Il rapporto contiene nei dettagli gli ordini che regolano l'uso di queste armi, ma che le forze di sicurezza si rifiutano di divulgare. Inoltre esamina la loro violazione.
In primo luogo i regolamenti che permettono l’uso di queste armi sono ambigui, in alcuni casi non possono essere adeguatamente seguiti.
In secondo luogo, quando le forze di sicurezza violano le norme, anche sistematicamente, non si interviene per porre fine a tale comportamento illecito. Gli ufficiali di rango superiore negano che vi sia una violazione delle regole e classificano i danni ai civili come "eccezioni alla regola". Inoltre, anche nei rari casi in cui vengono condotte delle indagini su incidenti di questo tipo, per la maggior parte non vengono addossate responsabilità.
Di seguito sono riportati alcuni dei risultati della relazione:
I soldati e la polizia di frontiera sparano spesso bombe lacrimogene direttamente contro i manifestanti con l'obiettivo di colpirli e provocano incendi, senza garanzie per i manifestanti che non sono nella linea diretta di fuoco. Questa è una prima violazione.
I Soldati e la polizia di frontiera violano sistematicamente gli ordini permanenti, sparando proiettili di metallo rivestiti di gomma anche in circostanze chiaramente vietate dagli ordini.
B'Tselem ha documentato casi in cui le forze di sicurezza hanno sparato questi proiettili senza tenere la distanza prevista rendendoli potenzialmente letali. Hanno anche sparato ai minori, ai passanti o manifestanti che non costituivano un pericolo per le forze di sicurezza o per qualsiasi altro individuo. In alcuni casi, i comandanti, tra cui alti ufficiali, conoscevano il loro uso illegittimo e lo hanno ordinato ugualmente.
Le forze di sicurezza sparano munizioni durante le manifestazioni in particolare contro i palestinesi che stanno lanciando pietre contro di loro. B'Tselem ha documentato l'uso di munizioni in circostanze che non erano pericolose per la vita.
I soldati e la polizia di frontiera hanno sparato proiettili
calibro 0,22 in circostanze che non giustificano l'uso di armi letali.
In effetti queste munizioni sono usate come se fossero mezzi non-letali per il controllo della folla.
Vedere anche http://www.bilin-village.org/
In molti casi le forze di sicurezza spruzzano il liquido maleodorante Skunk in corrispondenza o nei pressi delle abitazioni, sollevando il grave sospetto di essere utilizzato come misura collettiva punitiva nei confronti dei residenti dei villaggi in cui si svolgono regolarmente manifestazioni settimanali.
Gli agenti di polizia fanno uso di spray al pepe in violazione delle procedure di polizia ufficiale, che prevedono un equilibrio tra le considerazioni delle forze dell'ordine e quelle di sicurezza.
L'uso illecito delle armi per il controllo della folla da parte delle forze di sicurezza israeliane, è accompagnato da ulteriori restrizioni alla libertà di parola e alla libertà di protestare contro l'occupazione israeliana della Cisgiordania. Queste restrizioni sono l'arresto e lal persecuzione degli organizzatori di una dimostrazione, la dispersione delle dimostrazioni attraverso l’uso della forza anche quando i manifestanti non sono violenti, e la deportazione di cittadini stranieri che partecipano alle manifestazioni. Le aree della Cisgiordania dove si svolgono le manifestazioni sono dichiarate zone militari e chiuse per il tempo previsto per la dimostrazione. Questi ordini specifici che designano le zone militari chiuse consentono alle forze di sicurezza di fermare gli attivisti israeliani che prendono parte alle manifestazioni, arrestarli e processarli. Queste restrizioni sproporzionate si discostano dalle istruzioni emanate dal Consigliere giuridico per la Cisgiordania, che vieta di dichiarare zona militare chiusa a un gruppo specifico, come ad esempio gli attivisti durante le manifestazioni.
I membri delle forze di sicurezza che si trovano ad affrontare i lanciatori di pietre hanno la facoltà di utilizzare le varie armi menzionate nella presente relazione. Tuttavia, le autorità devono garantire che le truppe sul terreno rispettino i parametri circa l’uso di queste armi. Ne consegue che ogni soldato, ufficiale o poliziotto che violi queste regole, deve essere perseguito. Inoltre B'Tselem richiede:
- di vietare l'uso di munizioni, tra cui i proiettili calibro 022, ai fini di disperdere le manifestazioni, se non in casi di pericolo di vita
- di limitare l'uso dei proiettili di metallo rivestiti di gomma solo in casi di pericolo mortale
- di vietare completamente il lancio di lacrimogeni direttamente su persone fisiche o in orizzontale.
Un elenco delle armi http://www.btselem.org/
1) Il gas dei lacrimogeni è una sostanza chimica irritante che colpisce gravemente gli occhi e le vie respiratorie. E'l'arma più usata per il controllo della folla. Quella in dotazione alle forze di sicurezza israeliane si disperde attraverso diversi tipi di granate prodotte negli Stati Uniti: la "granata skittering" che può essere lanciata a mano o sparata da un lanciatore montato su un fucile. http://www.inetres.com/gp/
A Gerusalemme Est le forze di sicurezza hanno utilizzato granate che si dividono in tre sotto-contenitori. Alcune sono montate sui fucili dei soldati e sparate una alla volta, altre sono montate su lanciatori che possono sparare 1-6 granate in rapida successione. Le forze di sicurezza israeliane hanno anche a disposizione jeep munite di un sistema in grado di coprire una vasta area con gas lacrimogeni.
2) Le granate stordenti. Si tratta di una misura usata come diversivo, la cui esplosione emette una luce brillante e un rumore fragoroso. Le granate sono progettati per causare il panico consentendo in tal modo le forze di sicurezza di sopraffare le persone. Come le bombe lacrimogene in uso da parte delle forze di sicurezza israeliane, le granate stordenti sono prodotte negli Stati Uniti.
3) I proiettili di metallo coperti di gomma sono utilizzati in primo luogo contro lanciatori di pietre. Le forze di sicurezza utilizzano due tipi di proiettili che hanno un nucleo metallico rivestito con gomma o plastica, sparati da lanciatori montati su canne di fucile. Questi proiettili sono forniti da Israele Military Industries Ltd. La Commissione Orr ha vietato l'utilizzo di questi proiettili all'interno dei confini di Israele. A Gerusalemme Est la polizia israeliana ha usato proiettili importati dagli Stati Uniti. http://en.wikipedia.org/wiki/
4) Skunk è liquido maleodorante usato dalla polizia israeliana allo scopo di disperdere le manifestazioni. Viene spruzzato da cannoni ad acqua posizionati su autocarri. L'odore è talmente offensivo che costringe ogni persona di fare marcia indietro.
* (Discorso di inaugurazione del secondo mandato presidenziale pronunciato da Obama il 21 gennaio)http://www.washingtonpost.com/
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(1 febbraio 2013)
venerdì 1 febbraio 2013
IL VATICANO E LO STATO DI PALESTINA
Per la prima volta, la Santa Sede usa ufficialmente l'espressione "Stato di Palestina"
(1 febbraio 2013)
Per la prima volta, la Santa Sede ha usato ufficialmente il termine di 'Stato di Palestina', è stato rilevato oggi in Vaticano, che si spiega come una conseguenza del riconoscimento da parte delle Nazioni Unite.
Riferendosi ai negoziati tenuti a Ramallah il 30 gennaio tra le delegazioni dell'organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) e della Santa Sede, un comunicato ufficiale della Santa Sede, pubblicato giovedì, ha parlato di "Stato di Palestina" tre volte.
Dopo la sessione dell'Assemblea generale dell'ONU che ha riconosciuto il nuovo status della Palestina, questo è il suo nome ufficiale, la Santa Sede lo accetta e lo usa, ha detto venerdì il portavoce della Santa Sede, il gesuita Federico Lombardi, interrogato dai giornalisti.
Il negoziato si concentra su un progetto di accordo in discussione da molti anni tra l'autorità palestinese e il Vaticano.
La delegazione della Santa sede era guidata dall'arcivescovo Ettore Ballestrero, sottosegretario per i rapporti con gli Stati, che aveva incontrato il giorno precedente i suoi partner israeliani a Gerusalemme nei negoziati volti al raggiungimento di un accordo giuridico-finanziario.
La Santa Sede ha dato alla Palestina un contributo di 100.000 euro per il restauro del tetto della Chiesa della Natività a Betlemme.
Nel mese di novembre, il Vaticano ha accolto la decisione delle Nazioni Unite di concedere lo stato di osservatore non membro alla Palestina precisando che non era "una soluzione sufficiente per i problemi della regione".
venerdì 1 febbraio 2013IL DOCUMENTARIO AMERICANO "LE SPORCHE GUERRE" VINCE UN PREMIO AL SUNDANCE FILM FESTIVAL
IL DOCUMENTARIO "LE GUERRE SPORCHE"
Il documentario "Dirty Wars: The World is a Battlefield" (Le sporche guerre: il mondo è un campo di battaglia) conduce il giornalista investigativo Jeremy Scahill in Afghanistan, Somalia e nello Yemen poiché egli cerca la verità nascosta dietro le guerre segrete dell’espansione americana, concentrandosi sull'utilizzo crescente dell'amministrazione Obama di droni armati e unità segrete compreso il Joint Special Operations Command. Il regista del film, Richard Rowley, ha ricevuto il premio al Sundance Film Festival per la miglior fotografia in un documentario americano, onorato per "aver elevato l'arte del cinema d'osservazione attraverso lenti sofisticate e una tavolozza di colori elettrici." Accettando il premio, Rowley ha detto: "quasi tre anni fa, quando Jeremy e io bussammo ad una porta a Gardez nell’Afghanistan rurale, fummo i primi americani che una famiglia aveva visto da quando gli americani sfondarono a calci la loro porta e uccisero metà della loro famiglia. Quelle persone ci hanno invitato ad entrare e hanno condiviso la storia più difficile della loro vita con noi, perché abbiamo promesso loro che avremmo fatto tutto ciò che potevamo per fare conoscere la loro storia in America."
Guarda il video qui sotto: http://www.democracynow.org/2013/1/28/dirty_wars_documentary_on_us_covert giovedì 31 gennaio 2013EX AGENTE DELLA CIA CONDANNATO AL CARCERE PER AVERE RIVELATO L’USO DELLA TORTURA. |
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