Caro musulmano i tuoi
fratelli adesso siamo noi
16/07/2016
MASSIMO GRAMELLINI
Caro musulmano non
integralista che vivi in Occidente, esci fuori. Lo so che esisti, ti ho
conosciuto. In privato mi hai confidato tante volte il tuo sgomento per
l’eresia wahabita che ha deformato il Corano, trasformando il suicidio in un
atto eroico, e la tua rabbia verso la corte saudita che si atteggia a nostra
alleata e invece finanzia quell’eresia dai tempi di Bin Laden. Il piano degli
aspiranti califfi è piuttosto chiaro: utilizzano ragazzotti viziati come gli
stragisti del Bataclan e relitti umani come il camionista che ha seminato la
morte sulla promenade di Nizza per alimentare la paura e l’odio verso l’Islam,
così da portare i razzisti al potere in Occidente e creare le condizioni per
innescare una guerra di civiltà. È la trama dei fanatici di ogni epoca, la conosciamo bene. Negli Anni Settanta
del secolo scorso il terrorismo di sinistra insanguinò le nostre strade con
altri metodi (bersagli simbolici e non indiscriminati) ma identici obiettivi:
scatenare la rivoluzione. Fallì quando l’operaio comunista che credeva suo
alleato gli fece il vuoto intorno. E l’operaio gli si rivoltò contro perché
aveva qualcosa da perdere: una casa, uno stipendio, un pallido benessere.
Nessuno, credimi, fa la rivoluzione se ha qualcosa da perdere. Il simbolo di
quel cambio di stagione fu il sindacalista Guido Rossa, che pagò con la vita la
rottura dell’omertà in fabbrica.
Oggi Guido Rossa sei tu. Ti auguro lunga
vita, ma è da te che ci aspettiamo il gesto che può cambiare la trama di questa
storia. I farabutti che sgozzano in nome dell’Islam non vengono dal deserto:
sono cresciuti in Occidente e quasi sempre ci sono anche nati. Frequentano i
tuoi negozi e le tue moschee, parlano la tua lingua, credono (a modo loro)
nella tua religione. Hanno figli che vanno a scuola con i tuoi, mogli che
chiacchierano con la tua. Per troppo tempo li hai guardati come dei fratelli
che sbagliavano, ma che non andavano traditi. Non condividevi i loro
comportamenti, ma non te la sentivi di denunciarli: in qualche caso per paura,
ma più spesso per una forma perversa di solidarietà religiosa e razziale.
Adesso però il gioco si è fatto troppo
duro e non puoi più restare sull’uscio a osservarlo. Adesso anche tu, come
l’operaio comunista di quarant’anni fa, hai qualcosa da perdere. Bene o male
l’Occidente ti ha accolto, offrendoti la possibilità di una vita più dignitosa
di quella che ti era consentita nella terra da cui sei scappato. Ora sei uno di
noi. Tuo fratello non è più il camionista di Nizza, ma il bambino che le sue
ruote hanno stritolato sul selciato. Non puoi continuare a negare l’evidenza o
a girarti dall’altra parte. Hai oltrepassato quel confine sottile che separa il
menefreghismo dalla complicità.
Facciamo un patto. Noi cercheremo di tenere i nostri razzisti lontani dal
governo e di migliorare il livello della sicurezza, anche se è impossibile
proteggere ermeticamente ogni assembramento umano. Tu però devi passare
all’azione. Devi prendere le distanze dagli invasati che si sentono invasori e
dagli imam che li fomentano. Denunciarli, sbugiardarli, controbattere punto su
punto le loro idee distorte. Pretendendo, tanto per cominciare, che nella tua
moschea si parli la lingua che a scuola parlano i tuoi figli: francese in
Francia, italiano in Italia. Senza di te perderemmo la partita. Ma vorrei ti
fosse chiaro che fra gli sconfitti ci saresti anche tu.
CARO GRAMELLINI, TU NON SEI MIO FRATELLO
La giornalista italiana e musulmana Sabika Shah Povia risponde al
Buongiorno di Gramellini sui fatti di Nizza, pubblicato il 16 luglio su La
Stampa
di Sabika Shah Povia
Caro Gramellini, tu non sei mio fratello
Fiori e biglietti per rendere omaggio alle 84 vittime dell'attacco di Nizza
del 14 luglio 2016. Credit: Reuters
Eccomi. Sono qui. Sono uscita. Sono uscita giorni, mesi, anni fa. Sono
uscita tutti i giorni dall'11 settembre in poi. Forse non mi hai vista. Forse
non mi hai voluta vedere, ma io sono uscita ed insieme a me sono usciti i miei
fratelli, musulmani e non, italiani e non. Gente figlia dell'amore, gente che
crede nell'unità del popolo, nella libertà e nell'uguaglianza.
Hai ragione quando dici che servono gesti che cambino la trama di questa
storia, ma sbagli ad aspettarteli solo da me. Sbagli a pensare che tu puoi
permetterti il lusso di “restare sull'uscio ad osservare”, mentre io combatto
la nostra battaglia: quella di tutti noi cittadini europei che crediamo nella
pace e nella convivenza tra popoli, religioni, etnie. Quella che già combatto
da tempo, ma che non posso vincere senza di te.
Un fratello condivide il tuo dolore. Un fratello ti sostiene. Un fratello
scende in piazza accanto a te, non ti lascia solo. Tu mi hai lasciata sola. Tu
non sei mio fratello.
Da un lato mi dici che questi farabutti sono nati e cresciuti qui, insieme
a me e te, dall'altro dici che parlano la “mia” lingua, frequentano i “miei”
negozi, che i loro figli vanno a scuola con i “miei”. E i tuoi, caro
Gramellini? Dove vanno a scuola i tuoi figli? Che negozi frequenti tu? Che
lingua parli? Dici che sono “una di voi”, ma continui a parlare di “nostri” e
“vostri”.
Gli attentatori non sono mai ragazzi religiosi, non frequentano quasi mai
le moschee e io non ho mai a che fare con loro. Proprio come te. Sono ragazzi
disturbati, che provengono dalle periferie dimenticate delle grandi città; sono
degli emarginati con precedenti penali, e non c'entrano niente con me.
La solidarietà religiosa e razziale che mi accusi di provare non esiste,
anche perché non provo solidarietà per i fomentatori di odio e i violenti. Se
provo solidarietà è solo per i miei fratelli europei che, loro malgrado, sono
diventati il bersaglio di una violenza indiscriminata e ingiustificabile.
L'Italia è la mia casa. Non mi ha accolta e non mi ha offerto nulla. Ogni
cosa che ho in questa terra, me la sono guadagnata con il sacrificio, la fatica
e il lavoro, miei e dei miei genitori, che sono arrivati qui ormai più di 40
anni fa. Un italiano che credeva nella ricchezza della diversità ha saputo
guardare oltre il loro essere giovani musulmani pakistani, e gli ha voluto
bene. Tanto, da dare loro il suo cognome e convincerli a restare.
Le tue parole feriscono l'anima di persone come loro, di persone come mio
nonno e dei tuoi un milione di concittadini musulmani da cui hai tante pretese,
forse anche giuste, ma al fianco dei quali non vuoi combattere, e che accusi di
essere complici di barbarie come quella commessa da un folle a Nizza. Non è
giusto.
Hai oltrepassato quel confine sottile che separa il populismo
dall'islamofobia.
E per questo, io non voglio fare nessun patto con te, anche perché il tuo
mi sembra più una minaccia che un patto. I nostri razzisti li terremo lontani
dal governo io e i miei fratelli, con il nostro voto e il nostro impegno. Siamo
già passati all'azione, abbiamo già preso le distanze dagli invasati e
contraddetto punto su punto chi si è avvicinato a noi con idee distorte, e
continueremo a farlo.
Sai, è perché stiamo giocando senza di te che stiamo perdendo la partita.
Ma vorrei ti fosse chiaro che se ci sconfiggeranno, sarà stata anche colpa tua.
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