Di Robert F. Kennedy, JR
Perché gli arabi non ci vogliono in Siria
Essi non odiano 'le nostre libertà.' Odiano che abbiamo
tradito i nostri ideali
nei loro paesi - per il petrolio.
In parte perché mio padre fu assassinato da un arabo, ho
fatto uno sforzo per comprendere l'impatto della politica degli Stati Uniti in
Medio Oriente e in particolare i fattori che motivano a volte le risposte
sanguinarie del mondo islamico contro il nostro paese. Quando ci concentriamo
sulla crescita dello Stato islamico e cerchiamo la fonte della barbarie che ha preso
così tante vite innocenti a Parigi e a San Bernardino, dovremmo guardare al di
là delle spiegazioni di comodo della religione e dell’ideologia. Invece
dovremmo esaminare le più complesse logiche della storia e del petrolio - e
come queste ,spesso, puntano il dito sulle nostre colpe passate.
Il primato sgradevole degli interventi violenti dell'America
in Siria - poco conosciuto al popolo americano ma ancora ben noto ai siriani -
ha seminato un terreno fertile per il jihadismo islamico violento che ora
complica qualsiasi risposta efficace del nostro governo per affrontare la sfida
di ISIL. Finché l'opinione pubblica e i politici americani non sono a
conoscenza di questo passato, ulteriori interventi rischiano solo di aggravare
la crisi. Il Segretario di Stato John Kerry questa settimana ha annunciato un
cessate il fuoco "provvisorio" in Siria. Ma dal momento che l’influenza
e il prestigio degli Stati Uniti all'interno della Siria sono al minimo - e il
cessate il fuoco non riguarda i combattenti chiave come lo Stato islamico e al
Nusra – esso è destinato ad essere una tregua al massimo traballante. Allo
stesso modo l'intervento militare intensificato del presidente Obama in Libia –
gli attacchi aerei degli Stati Uniti la scorsa settimana hanno preso di mira un
campo di addestramento dello Stato islamico - è probabile che rafforzino,
piuttosto che indebolire i radicali. Come ha riferito il New York Times in un articolo
di prima pagina l’8 dicembre 2015, i capi politici e i pianificatori strategici
dello stato islamico stanno lavorando per provocare un intervento militare
americano. Essi sanno per esperienza che questo farà affluire nelle loro fila i
combattenti volontari, soffocherà le voci dei moderati e unificherà il mondo
islamico contro l'America.
Per capire questa dinamica, abbiamo bisogno di guardare la
storia dal punto di vista dei siriani e in particolare i semi del conflitto in
corso. Molto prima che la nostra occupazione dell'Iraq nel 2003 innescasse la
rivolta sunnita che ormai si è trasformata in Stato Islamico, la CIA aveva
nutrito un jihadismo violento come arma della guerra fredda e ha fatto
viaggiare le relazioni USA/Siria con i bagagli tossici.
Questo non è avvenuto senza polemiche in casa. Nel mese di
luglio 1957, in seguito a un fallito colpo di stato in Siria organizzato dalla
CIA, mio zio, il senatore John F. Kennedy, fece infuriare la Casa
Bianca del Presidente Eisenhower, i capi di entrambi i partiti politici ed i
nostri alleati europei con un discorso memorabile avallando il diritto all’autogoverno
del mondo arabo e la fine delle ingerenze imperialiste degli Stati Uniti nei
paesi arabi. Nel corso della mia vita, e in particolare durante i miei
frequenti viaggi in Medio Oriente, innumerevoli arabi mi hanno affettuosamente
ricordato quel discorso come la più chiara affermazione dell'idealismo che si
aspettavano dal discorso di Kennedy; era un invito per impegnare di nuovo
l'America ai valori alti che il nostro
paese aveva sostenuto nella Carta Atlantica; l'impegno formale che tutte le ex
colonie europee avrebbero avuto il diritto all’auto-determinazione dopo la Seconda
Guerra Mondiale. Franklin D. Roosevelt aveva armato notevolmente Winston
Churchill e gli altri alleati per firmare la Carta Atlantica nel 1941 come
condizione preliminare per il sostegno degli Stati Uniti nella guerra contro il
fascismo europeo.
Ma grazie in gran parte ad Allen Dulles e alla CIA, la cui
politica estera fatta di intrighi era spesso direttamente in contrasto con le
politiche dichiarate della nostra nazione, il percorso idealista delineato
nella Carta Atlantica non fu la strada intrapresa. Nel 1957, mio nonno,
l'ambasciatore Joseph P. Kennedy, sedeva in un comitato segreto incaricato di
investigare i misfatti clandestini della CIA in Medio Oriente. Il cosiddetto
"Rapporto Bruce-Lovett", del quale fu uno dei firmatari, descrisse i
colpi di stato della CIA trame in Giordania, Siria, Iran, Iraq e in Egitto, fatti
notoriamente conosciuti per le strade arabe, ma praticamente sconosciuti al
popolo americano che credeva, come fossero oro colato, alle smentite del loro
governo. Il rapporto incolpava la CIA per il dilagante antiamericanismo che stava
poi misteriosamente prendendo piede "nei numerosi paesi nel mondo di
oggi." Il Rapporto di Bruce-Lovett sottolineava che tali interventi erano
antitetici ai valori americani e aveva compromesso la guida e l’autorità morale
internazionale degli Stati Uniti senza che il popolo americano fosse informato.
Il diceva anche che la CIA non aveva mai considerato il modo in cui avrebbe
trattato tali interventi se qualche governo straniero dovesse applicarli nel
nostro paese.
Questa è la storia sanguinosa che manca ai moderni interventisti, come George W. Bush,
Ted Cruz e Marco Rubio quando recitano il loro narcisistico luogo comune che i
nazionalisti del Medio Oriente "ci odiano per le nostre libertà."In
buona parte non è vero; invece ci odiano per il modo in cui abbiamo tradito
tali libertà - i nostri ideali – dentro i loro confini.
* * *
Per gli americani che vogliono capire realmente cosa sta
succedendo, è importante rivedere alcuni dettagli su questa storia sordida ma
poco ricordata. Nel corso del 1950, il presidente Eisenhower e i fratelli
Dulles – il direttore della CIA Allen Dulles e il Segretario di Stato John
Foster Dulles – respinsero le proposte sovietiche di trattato per considerare
il Medio Oriente una zona neutrale nella Guerra Fredda e lasciare che gli arabi
governino l’Arabia. Invece, hanno montato una guerra clandestina contro il
nazionalismo arabo - che Allen Dulles equiparò al comunismo - in particolare
quando l'autogoverno arabo minacciò le concessioni petrolifere. Hanno pompato
segreti aiuti militari americani ai tiranni in Arabia Saudita, Giordania, Iraq
e Libano favorendo questi pupazzi con ideologie conservatrici jihadiste che
essi consideravano come un antidoto affidabile al marxismo sovietico. In un
incontro alla Casa Bianca tra il direttore dei piani della CIA Frank Wisner, e
John Foster Dulles, nel settembre del 1957, Eisenhower consigliò all'agenzia: “Dobbiamo
fare tutto il possibile per sottolineare l'aspetto di 'guerra santa'”, secondo
una nota registrata dal suo segretario personale, il generale Andrew J.
Goodpaster.
La CIA iniziò la sua ingerenza attiva in Siria nel 1949 -
appena un anno dopo la creazione dell'Agenzia. I patrioti siriani avevano
dichiarato guerra ai nazisti, espulsero i loro dominatori coloniali francesi di
Vichy e realizzarono una fragile democrazia laica basata sul modello americano.
Ma nel marzo 1949, il presidente democraticamente eletto della Siria, Shukri
al-Quwatli, esitò ad approvare la pipeline Trans-araba, un progetto americano
destinato a collegare i campi petroliferi dell’Arabia Saudita per i porti del
Libano attraverso la Siria. Nel suo libro, Legacy
of Ashes, lo storico della CIA Tim Weiner racconta che come rappresaglia
per la mancanza di entusiasmo per il gasdotto americano da parte di Al-Quwatli,
la CIA organizzò un colpo di stato per sostituire al-Quwatli con il dittatore selezionato
dalla CIA, un truffatore condannato di nome Husni al- Za'im. Al-Za'im ebbe
appena il tempo di sciogliere il parlamento e approvare l'oleodotto americano prima
che i suoi connazionali lo deponessero, durante i quattro mesi e mezzo del suo
regime.
Dopo numerosi contro-colpi di stato nel paese di nuovo
destabilizzato, il popolo siriano cercò di nuovo la democrazia nel 1955, ri-eleggendo
al-Quwatli e il suo partito nazionale. Al-Quwatli era ancora neutralista nella
Guerra Fredda, ma, stimolato dal coinvolgimento americano nella sua estromissione,
a questo punto si rivolse verso il campo sovietico. Questo atteggiamento spinse
il direttore della CIA Dulles a dichiarare che "la Siria è maturo per un
colpo di stato" e inviò i suoi due maghi del colpo di stato, Kim Roosevelt
e Rocky Stone, a Damasco.
Due anni prima, Roosevelt e Stone aveva orchestrato un
colpo di stato in Iran contro il presidente democraticamente eletto Mohammed
Mosaddegh, dopo Mosaddegh cercarono di rinegoziare i termini dei contratti
sbilenchi dell'Iran con il gigante petrolifero britannico Anglo-Iranian Oil Company (ora BP). Mosaddegh fu il primo statista
eletto in 4000 anni di storia iraniana e un campione popolare per la democrazia
in tutto il mondo in via di sviluppo. Mosaddegh espulse tutti i diplomatici
britannici dopo aver scoperto un tentativo di colpo di stato da parte di ufficiali dei servizi segreti del Regno
Unito che lavoravano in combutta con la BP. Mosaddegh, tuttavia, fece l'errore
fatale di resistere alle suppliche dei suoi consiglieri di espellere anche la
CIA, che, essi giustamente sospettavano di complicità nel complotto britannico.
Mosaddegh idealizzò gli Stati Uniti come un modello di governo per la nuova
democrazia in Iran e incapace di tali perfidie. Nonostante la ricostruzione del
rapporto con Dulles, il presidente Harry Truman aveva proibito alla CIA di
unirsi attivamente agli stravaganti inglesi per rovesciare Mosaddegh. Quando
Eisenhower entrò in carica nel gennaio del 1953, immediatamente scatenò Dulles.
Dopo aver spodestato Mosaddegh con l’ "Operazione Ajax," Stone e
Roosevelt installarono lo Shah Reza Pahlavi, che favorì gli Stati Uniti le
compagnie petrolifere, ma il cui feroce
regime verso il suo popolo, durato due decenni e sostenuto dalla CIA, avrebbe
finalmente infiammato la rivoluzione islamica del 1979 che ha tormentato la
nostra politica estera per 35 anni.
Soddisfatto per il “successo” dell’ Operazione Ajax "
in Iran, Stone arrivò a Damasco nel mese di aprile 1957 con 3 milioni di dollari per armare e incitare i
militanti islamici e corrompere gli ufficiali militari siriani e i politici per
rovesciare il regime laico democraticamente eletto di al-Quwatli, come si legge
nel libro SAFE FOR DEMOCRACY : the
secret wars of CIA, di John Prados. Lavorando con la Fratellanza Musulmana e con milioni di dollari, Rocky Stone tramò
per assassinare il capo siriano dei servizi segreti, il capo di Stato Maggiore
e il capo del Partito comunista, e di progettare "cospirazioni nazionali e
varie provocazioni violente" in Iraq, Libano e Giordania che potevano
essere imputate ai baathisti siriani. Tim Weiner descrive in Legacy of Ashes come il piano della CIA fosse
quello di destabilizzare il governo siriano e creare un pretesto per
un'invasione da parte dell’Iraq e della Giordania, i cui governi erano già
sotto il controllo della CIA. La previsione di Kim Roosevelt che il governo
fantoccio di nuova installazione della CIA avrebbe "contato on primo luogo
sulle misure repressive e sull'esercizio arbitrario del potere", secondo
documenti declassificati della CIA riportati nel quotidiano The Guardian.
Ma tutti quei soldi della CIA non riuscirono a corrompere
gli ufficiali militari siriani. I soldati riferirono i tentativi della CIA di
corrompere il regime baathista. In risposta, l'esercito siriano invase
l'ambasciata americana, prendendo Stone prigioniero. Dopo un duro interrogatorio,
Stone fece una confessione televisiva del suo ruolo nel colpo di stato iraniano
e nel tentativo della CIA abortito per rovesciare il governo legittimo della
Siria. I siriani espulsero Stone e due membri dello staff dell'ambasciata degli
Stati Uniti. Era la prima volta che un diplomatico americano del Dipartimento
di Stato fosse cacciato da un paese arabo. La Casa Bianca di Eisenhower in modo
disonesto respinto la confessione di Stone come "invenzioni" e
"calunnie", una negazione inghiottita per intero dalla stampa
americana, guidata dal New York Times
e creduta dal popolo americano, che condivideva la visione idealistica di
Mosaddegh del loro governo. La Siria eliminò tutti i politici simpatizzanti
degli Stati Uniti e giustiziò per tradimento tutti gli ufficiali militari coinvolti
nel colpo di stato. Per ritorsione, gli Stati Uniti spostarono la Sesta Flotta
nel Mediterraneo, minacciarono la guerra e pungolarono la Turchia a invadere la
Siria. I turchi raccolsero 50.000 soldati ai confini della Siria e fecero marcia
indietro solo di fronte all'opposizione unita dalla Lega Araba i cui capi erano
furiosi per l'intervento degli Stati Uniti. Anche dopo la sua espulsione, la
CIA proseguì i suoi sforzi segreti per rovesciare il governo ba'athista
democraticamente eletto della Siria. La CIA tramò col servizio segreto britannico
MI6 per formare un "Comitato per la Siria libera" e armò i Fratelli
Musulmani per assassinare tre funzionari del governo siriano, che avevano
aiutato a smascherare "il complotto americano", secondo quanto scrive
Matthew Jones in “The ‘Preferred Plan’: The Anglo-American Working Group Report
on Covert Action in Syria, 1957.” I misfatti della CIA spisero la Siria ancora
più lontano dagli Stati Uniti e in una prolungata alleanza con la Russia e l’Egitto.
Dopo il secondo tentativo di colpo di stato in Siria,
rivolte anti-americane scossero il Medio Oriente dal Libano all'Algeria. Tra i
riverberi vi fu il colpo di stato del 14 luglio 1958, guidato dalla nuova
ondata di ufficiali anti-americani dell'esercito che rovesciarono il monarca filoamericano
iracheno, Nuri al-Said. I golpisti pubblicarono documenti governativi segreti,
esponendo Nuri al-Said come un fantoccio ben pagato della CIA. In risposta al
tradimento americano, il nuovo governo iracheno invitò i diplomatici e i
consiglieri economici sovietici in Iraq e girò le spalle all'Occidente.
Dopo aver perso l'Iraq e la Siria, Kim Roosevelt abbandonò il
Medio Oriente per lavorare come dirigente per l'industria petrolifera che aveva
servito così bene durante la sua carriera di servizio pubblico alla CIA. Il
sostituto di Roosevelt come capo locale della CIA, James Critchfield, tentò un assassinio
fallito contro il nuovo presidente iracheno con un fazzoletto tossico, secondo
Weiner. Cinque anni più tardi, la CIA finalmente riuscì a deporre il presidente
iracheno e l'installazione del partito Baath al potere in Iraq. Un giovane
assassino carismatico di nome Saddam Hussein fu uno dei capi illustri della
squadra ba'athista della CIA. Il segretario del partito Ba'ath, Ali Saleh
Sa'adi, che si insediò al fianco di Saddam Hussein, dirà più tardi, "Siamo
andati al potere su un treno della CIA", secondo A Brutal Friendship: The West and the Arab Elite, di Said Aburish,
giornalista e autore. Aburish ha raccontato che la CIA aveva fornito a Saddam
ed ai suoi amici una lista di persone che "dovevano essere eliminate
immediatamente al fine di assicurare il successo." Tim Weiner scrive che
Critchfield poi riconobbe che la CIA aveva, in sostanza, "creato Saddam
Hussein." durante gli anni di Reagan, la CIA ha fornito a Hussein miliardi
di dollari in addestramento aiuti alle forze speciali, armi e informazioni
riservate sui campi di battaglia, sapendo che stava usando gas mostarda, gas
nervino e armi biologiche - tra cui l'antrace ottenuto dal governo degli Stati
Uniti - nella sua guerra contro l'Iran. Reagan e il suo direttore della CIA,
Bill Casey, consideravano Saddam come un potenziale amico per l'industria
petrolifera statunitense e una barriera robusta contro la diffusione della rivoluzione
islamica iraniana. Il loro emissario, Donald Rumsfeld, incontrò Saddam con
speroni da cowboy d'oro e un menu di armi biologiche e chimiche convenzionali in
occasione di un viaggio del 1983 a Baghdad. Allo stesso tempo, la CIA stava
illegalmente fornendo al nemico di Saddam, l'Iran, migliaia di missili anti-carro
e anti-aerei per combattere l’Iraq, un crimine reso famoso durante lo scandalo
Iran-Contra. Jihadisti provenienti da entrambe le parti in seguito rivolsero
molte di queste armi fornite dalla CIA contro il popolo americano.
Anche quando l'America contempla già l'ennesimo intervento
violento in Medio Oriente, la maggior parte degli americani non è consapevole
dei molti modi in cui quel "contraccolpo" da precedenti errori della CIA
ha rafforzato la crisi attuale. Le ripercussioni dopo decenni di losche manovre
della CIA oggi continuano a risuonare in tutto il Medio Oriente, nelle capitali
nazionali e dalle moschee alle scuole Madras oltre il paesaggio distrutto della
democrazia e dell’Islam moderato che la CIA ha aiutato a cancellare.
Una sfilata di dittatori iraniani e siriani, tra cui Bashar
al-Assad e suo padre, hanno invocato la storia di colpi di stato sanguinosi
della CIA come pretesto per il loro regime autoritario, le tattiche repressive
e la necessità di una forte alleanza con la Russia. Queste storie sono, quindi,
ben note ai popoli di Siria e Iran, che, naturalmente, interpretano la versione
dell’intervento degli Stati Uniti nel contesto di quella storia.
Mentre la stampa americana allineata ripete come i pappagalli
la narrazione che il nostro sostegno militare all'insurrezione siriana è
puramente umanitari, molti arabi vedono la crisi come un’altra guerra per
procura sui gasdotti e la geopolitica. Prima di precipitare più in profondità verso
l'incendio, sarebbe saggio per noi considerare i tanti fatti che sostengono
quella prospettiva.
A loro avviso, la nostra guerra contro Bashar Assad non è
cominciata con le pacifiche proteste civili della primavera araba nel 2011.
Invece è iniziata nel 2000, quando il Qatar propose di costruire un gasdotto di
10 miliardi di dollari, lungo 1.500 km attraverso l'Arabia Saudita, la Giordania,
la Siria e La Turchia. Il Qatar condivide con l'Iran il giacimento di gas di
South Pars / North Dome, il più ricco di gas naturale del mondo. L'embargo del
commercio internazionale fino a poco tempo vietava all'Iran di vendere gas
dall'estero. Nel frattempo, il gas del Qatar poteva raggiungere i mercati
europei solo se viene liquefatto e spedito via mare, un percorso che limita il
volume e drammaticamente aumenta i costi. La conduttura proposta avrebbe collegato
il Qatar direttamente ai mercati europei dell'energia tramite terminali di
distribuzione in Turchia, che avrebbe intascato ricche tasse di transito. Il
gasdotto Qatar / Turchia darebbe ai regni sunniti la dominazione decisiva dei
mercati del Golfo Persico di gas naturale in
tutto il mondo e rafforzare il Qatar, il più stretto alleato degli Stati
Uniti nel mondo arabo. Il Qatar ospita due enormi basi militari americane e la sede
del Quartier Generale mediorientale del Comando Centrale degli Stati Uniti.
L'Unione Europea, che ottiene il 30 per cento del suo gas
dalla Russia, era ugualmente interessata al gasdotto, che avrebbe dato ai suoi
membri energia a basso costo e sollievo dall’influenza economica e politica
soffocante di Vladimir Putin. La Turchia, il secondo più grande cliente di gas
della Russia, era particolarmente ansioso di porre fine alla sua dipendenza dal
suo antico rivale e di posizionarsi come centro di smistamento redditizio per i
combustibili asiatici verso i mercati dell'UE. La conduttura del Qatar avrebbe
beneficato la monarchia conservatrice sunnita dell'Arabia Saudita dandole un
punto di appoggio nella Siria sciita. L’obiettivo geopolitico saudita è quello
di contenere il potere economico e politico del rivale del regno principale,
l'Iran, uno stato sciita, e stretto alleato di Bashar Assad. La monarchia
saudita ha visto il cambio di governo sciita sponsorizzato dagli USA in Iraq
(e, più recentemente, la cessazione dell'embargo commerciale all’Iran) come una
retrocessione per il suo status di potenza regionale e si è già impegnato in
una guerra per procura contro Teheran in Yemen, evidenziato dal genocidio
saudita contro la tribù Houthi sostenuta dall’Iran.
Naturalmente, i russi, che vendono il 70 per cento delle
loro esportazioni di gas verso l'Europa, hanno visto il gasdotto
Qatar / Turchia come una minaccia esistenziale. Secondo Putin, il gasdotto del Qatar
è un complotto della NATO per cambiare lo status quo, privare la Russia del suo
unico punto d'appoggio in Medio Oriente, strangolare l'economia russa e porre
fine all’influenza russa nel mercato europeo dell'energia. Nel 2009, Assad aveva
annunciato che si sarebbe rifiutato di firmare l'accordo per permettere al
gasdotto di correre attraverso la Siria "per proteggere gli interessi del
nostro alleato russo."
Assad ulteriormente fece infuriare i monarchi sunniti del
Golfo, approvando un "gasdotto islamico" approvato dalla Russia che
attraversava parte dei giacimenti di gas dell'Iran attraverso la Siria e fino ai
porti del Libano. Il gasdotto islamico avrebbe reso l'Iran sciita, non il sunnita
Qatar, il principale fornitore per il mercato europeo dell'energia e aumentare
notevolmente l'influenza di Teheran in Medio Oriente e nel mondo. Anche Israele
era comprensibilmente determinato a far deragliare il gasdotto islamico, che avrebbe
arricchito l'Iran e la Siria e, presumibilmente, rafforzato i loro delegati,
Hezbollah e Hamas.
Messaggi segreti e rapporti degli Stati Uniti, dell'Arabia Saudita
e dei servizi segreti israeliani indicano che nel momento in cui Assad respinse
i pianificatori militari e investigativi del gasdotto del Qatar rapidamente si arrivò
al consenso che fomentare una rivolta sunnita in Siria per rovesciare il non
collaborativo Bashar Assad era un percorso fattibile per raggiungere
l'obiettivo condiviso di completare il collegamento di gas del Qatar / Turchia.
Nel 2009, secondo WikiLeaks, subito dopo che Bashar Assad aveva respinto la
pipeline del Qatar, la CIA iniziò a finanziare i gruppi di opposizione in
Siria. È importante
notare che questo accadde ben prima della rivolta della primavera araba contro
Assad.
La famiglia di Bashar Assad è alawita, una setta musulmana
ampiamente percepita come allineata con il campo sciita. "Bashar Assad non
è mai stato destinato alla carica di presidente", mi ha detto in
un'intervista il giornalista Seymour Hersh. "Suo padre lo fece ritornare
da Londra, dove studiava Medicina, quando il fratello maggiore, l'erede vero, morì
in un incidente d'auto." Prima dell'inizio della guerra, secondo Hersh,
Assad lavorava per liberalizzare il paese. “C’erano internet e giornali e
sportelli bancomat e Assad intendeva muoversi verso l’occidente. Dopo l’11
Settembre 2001, consegnò migliaia di informazioni preziose per la CIA sui
radicali jihadisti, che egli considerava un nemico comune.” Il regime di Assad
è stato volutamente laico e la Siria è stata straordinariamente diversa. Il
governo siriano e i militari, per esempio, erano formati per l'80 per cento da sunniti.
Assad manteneva la pace tra i suoi popoli diversi tramite un forte e disciplinato
esercito fedele alla famiglia Assad, una fedeltà assicurata da un corpo di
ufficiali a livello nazionale stimato e ben pagato, un apparato investigativo
freddamente efficiente e una inclinazione per la brutalità che, prima della
guerra, era piuttosto moderata rispetto a quella di altri capi in Medio
Oriente, tra cui i nostri alleati attuali. Secondo Hersh, “Di certo non decapitava
le persone ogni mercoledì, come i sauditi fanno alla Mecca”.
Un altro veterano del giornalismo, Bob Parry, fa eco a
quella valutazione. “Nessuno nella regione ha le mani pulite, ma nei regni della
tortura, uccisioni di massa, [soppressione] di libertà civili e terrorismo di
supporto, Assad è molto meglio dei sauditi.” Nessuno credeva che il regime fosse
vulnerabile all'anarchia che aveva lacerato l’Egitto, la Libia, Yemen e
Tunisia. Entro la primavera del 2011, ci furono piccole, manifestazioni
pacifiche a Damasco contro la repressione da parte del regime di Assad. Questi
erano principalmente gli effluvi della primavera araba che si era diffusa
viralmente attraverso la Lega degli Stati Arabi l'estate precedente. Tuttavia,
i documenti WikiLeaks indicano che la CIA era già operativa sul terreno in
Siria.
Ma i regni sunniti con vaste riserve di petrodollari in
gioco volevano un coinvolgimento molto più profondo da parte dell'America. Il 4
settembre 2013, il Segretario di Stato John Kerry disse in un’audizione al
Congresso che i regni sunniti si erano offerti di pagare il conto per
l'invasione statunitense della Siria per spodestare Bashar Assad. “In effetti,
alcuni di loro dissero che se gli Stati Uniti sono pronti ad andare a fare tutto
da soli, come abbiamo fatto in precedenza in altri luoghi [Iraq], dovranno
sopportare il costo.” Kerry ribadì l'offerta alla deputata repubblicana della
Florida Ileana Ros-Lehtinen: “Per quanto riguarda i paesi arabi che propongono di
sostenere i costi di [un'invasione americana] per rovesciare Assad, la risposta
è profondamente sì. L'offerta è sul tavolo. "
Nonostante le pressioni dei repubblicani, Barack Obama scoraggiò
l’impiego di giovani americani da mandare a morire come mercenari per un
conglomerato di gasdotti. Obama saggiamente ignorò la richiesta a gran voce dei
repubblicani di mandare truppe di terra in Siria o per incanalare maggiori
finanziamenti per “gli insorti moderati.” Ma entro la fine del 2011, la
pressione repubblicana e dei nostri alleati sunniti aveva spinto il governo
americano nella mischia.
Nel 2011, agli Stati Uniti si unirono Francia, Qatar,
Arabia Saudita, Turchia e Regno Unito per formare la coalizione “Amici della
Siria”, che chiese formalmente la rimozione di Assad. La CIA fornì 6 milioni di
$ a Barada, un canale televisivo britannico, per la produzione di servizi che imploravano
la cacciata di Assad. Documenti dei servizi segreti sauditi, pubblicati da
Wikileaks, mostrano che dal 2012, la Turchia, il Qatar e l'Arabia Saudita armavano,
addestravano e finanziavano i combattenti radicali sunniti jihadisti
provenienti da Siria, Iraq e altrove, per rovesciare il regime di Assad alleato
degli sciiti. Il Qatar, che aveva più degli altri da guadagnare, investì $ 3
miliardi nella costruzione dell'insurrezione e invitò il Pentagono per
addestrare gli insorti presso le basi statunitensi in Qatar. Secondo un
articolo del mese di aprile 2014 di Seymour Hersh, le vie di rifornimento delle
armi della CIA furono finanziate dalla Turchia, dall’Arabia Saudita e dal Qatar.
L'idea di fomentare una guerra civile tra sunniti e sciiti
per indebolire i regimi siriano e iraniano, al fine di mantenere il controllo
delle forniture petrolchimiche della regione non era un’idea di romanzo nel
lessico del Pentagono. Un maledetto rapporto del 2008 per il Pentagono finanziato
dalla Rand proponeva un progetto preciso per quello che stava per accadere. Il
rapporto osservava che il controllo del gas e dei giacimenti di petrolio del
Golfo Persico rimarrà, per gli Stati Uniti, “una priorità strategica” che
"interagirà fortemente con quella di perseguire la lunga guerra.” Rand
raccomandava l'utilizzo di “azioni segrete, operazioni di informazione, guerra non
convenzionale” per imporre una “strategia divide et impera”. “Gli Stati Uniti e
i suoi alleati locali potrebbero utilizzare i jihadisti nazionalisti per
lanciare una campagna per procura” e “i dirigenti degli Stati Uniti potrebbero
anche scegliere di trarre vantaggi appoggiando la traiettoria del conflitto tra
sciiti e sunniti, prendendo posizione a favore dei regimi sunniti conservatori
contro i movimenti di risveglio sciita nel mondo musulmano ... possibilmente aiutando
i governi sunniti autoritari contro un Iran continuamente ostile.”
Come previsto, la reazione eccessiva di Assad alla crisi di
fabbricazione straniera – sganciamento di bombe a botte sulle roccaforti
sunnite che causò la morte di civili – polarizzò la divisione tra sciiti /
sunniti della Siria e permise ai responsabili politici degli Stati Uniti di
vendere agli americani l'idea che la guerra per il gasdotto era una guerra
umanitaria. Quando i soldati sunniti dell'esercito siriano cominciarono a
disertare nel 2013, la coalizione occidentale armò l'esercito siriano libero per
destabilizzare ulteriormente la Siria. Il ritratto fatto dalla stampa del Free Syrian Army (l’Esercito Libero
Siriano) come battaglioni coesi dei moderati siriani era allucinantee. Le unità
disciolte si raggrupparono in centinaia di milizie indipendenti la maggior
parte dei quali erano comandate da, o alleati con i militanti jihadisti, che
erano i combattenti più impegnati ed efficaci. Da allora, gli eserciti sunniti
di Al Qaeda in Iraq attraversarono il confine dall'Iraq in Siria e si unirono alle
altre forze con gli squadroni di disertori dell'esercito siriano libero, molti
dei quali addestrati e armati dagli Stati Uniti.
Nonostante la prevalente descrizione fatta dalla stampa di
una rivolta araba moderata contro il tiranno Assad, i pianificatori della CIA
americana sapevano fin dall'inizio che i loro addetti al gasdotto erano
jihadisti radicali che probabilmente si sarebbero ritagliato un nuovo califfato
islamico dalle regioni sunnite di Siria e Iraq. Due anni prima i tagliatori di
gola dell’ ISIL fecero un passo sulla scena mondiale, uno studio di sette
pagine del 12 Agosto 2012, redatto dalla Defense Intelligence Agency
statunitense, ottenuto dal gruppo di destra Judicial Watch, avvertiva che,
grazie al sostegno continuo da parte degli Stati Uniti e della Coalizione sunnita
a favore dei jihadisti sunniti radicali, “i salafiti, i Fratelli musulmani e
AQI (ora ISIS), sono le principali forze motrici della rivolta in Siria.”
Utilizzando il finanziamento degli Stati Uniti e degli stati
del Golfo, questi gruppi avevano trasformato le proteste pacifiche contro
Bashar Assad verso “una chiara, direzione settaria (sciiti contro sunniti)”. Il
documento osserva che il conflitto era diventato una guerra civile settaria sostenuta
da potenze “religiose e politiche sunnite”. Il rapporto dipinge il conflitto
siriano come una guerra globale per il controllo delle risorse della regione
con “l'Occidente, i paesi del Golfo e la Turchia a sostegno dell'opposizione
[di Assad], mentre la Russia, la Cina e l'Iran sostengono il regime”. Gli
autori del rapporto di sette pagine del Pentagono sembrano approvare l'avvento
previsto del califfato ISIS: “Se la situazione si dipana, vi è la possibilità
di stabilire un principato salafita dichiarato o non dichiarato nella parte
orientale della Siria (Hasaka e Der Zor) e questo è esattamente ciò che le
potenze sostenitrici dell'opposizione vogliono al fine di isolare il regime
siriano”. Il rapporto del Pentagono avverte che questo nuovo principato poteva
muoversi attraverso il confine iracheno verso Mosul e Ramadi e “dichiarare uno
stato islamico attraverso la sua unione con le altre organizzazioni terroristiche
in Iraq e la Siria.”
Naturalmente, questo è precisamente quanto è successo. Non
a caso, le regioni della Siria occupate dallo Stato Islamico esattamente
comprendono l'itinerario proposto del gasdotto del Qatar.
Ma poi, nel 2014, i nostri delegati sunniti atterrirono il popolo
americano tagliando teste e mandando un milione di rifugiati verso l'Europa.
"Le strategie basate sull'idea che il nemico del mio nemico è mio amico
può essere una specie di accecamento", dice Tim Clemente, che presiedette
il Joint Terrorism Task Force dell'FBI dal 2004 al 2008 e servì da collegamento
in Iraq tra l'FBI, la polizia di Stato irachena e l'esercito americano. “Abbiamo
fatto lo stesso errore quando addestrammo i mujaheddin in Afghanistan. Nel
momento in cui i russi se ne andarono, i nostri presunti amici iniziarono a distruggere le antichità, schiavizzarono le
donne, mutilavano i corpi e sparavano contro di noi”, mi disse Clemente in
un'intervista.
Quando il famoso “Jihadi John” dello Stato Islamico cominciò
a uccidere i prigionieri in TV, la Casa Bianca girò i tacchi e parlò sempre
meno di deporre Assad e di più di stabilità regionale. L'amministrazione Obama
cominciò a prendere le distanze tra sé e l'insurrezione che avevamo finanziato.
La Casa Bianca puntò il dito accusatore verso i nostri alleati. Il 3 ottobre
2014, il vice Presidente Joe Biden disse agli studenti al John F. Kennedy Jr.
forum presso l'Istituto di Politica ad Harvard che”i nostri alleati nella
regione erano il nostro problema più grande in Siria.” Spiegò che la Turchia,
l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti erano “così determinati ad abbattere
Assad” che avevano lanciato una “guerra per procura tra sunniti e sciiti”
convogliando “centinaia di milioni di dollari e decine di migliaia di
tonnellate di armi in tutti coloro che avrebbero lottato contro Assad, tranne
al-Nusra, e al-Qaeda” - i due gruppi che si sono fusi nel 2014 per formare lo
Stato islamico. Biden sembrava irritato del fatto che i nostri “amici” fidati
non potevano essere affidabili per seguire l’ordine del giorno degli Stati
Uniti.
In tutto il Medio Oriente, i capi arabi ripetutamente
accusano gli Stati Uniti di aver creato lo Stato islamico. Per la maggior parte
degli americani, tali accuse sembrano folli. Tuttavia, per molti arabi, la
prova del coinvolgimento degli Stati Uniti è così abbondante che essi
concludono che il nostro ruolo nel promuovere lo Stato Islamico deve essere
stato intenzionale.
In effetti, molti dei combattenti dello Stato Islamico e i
loro comandanti sono da un punto di vista ideologico e organizzativo i successori
dei jihadisti che la CIA aveva alimentato
per più di 30 anni dalla Siria e dall’Egitto fino all’Afghanistan e all’Iraq.
Prima dell'invasione americana, non c'era Al Qaeda nell’Iraq
di Saddam Hussein. Il presidente George W. Bush distrusse il governo laico di
Saddam, e il suo viceré, Paul Bremer, in un atto monumentale di cattiva
gestione, di fatto creò l'esercito sunnita, ora chiamato Stato Islamico. Bremer
portò gli sciiti al potere e proibì il Partito Ba’ath di Saddam, licenziando
circa 700.000 persone in maggioranza sunnite, funzionari di governo, di
partito, ministri e insegnanti. Poi smobilitò l'esercito formato da circa 380.000-
uomini, che erano sunniti all'80 per cento. Le decisioni di Bremer spogliarono
un milione di sunniti iracheni di rango, privandoli della proprietà, della
ricchezza e del potere, lasciando una sottoclasse disperata di sunniti
arrabbiati, istruiti, capaci, addestrati e armati fino ai denti con poco da
perdere. L'insurrezione sunnita in Iraq prese il nome di Al Qaeda. A partire
dal 2011, i nostri alleati finanziarono l'invasione dei combattenti qaedisti in
Siria. Nel mese di aprile 2013, dopo essere entrati in Siria, Al Qaeda cambiò
nome in ISIL. Secondo Dexter Filkins del New Yorker, “l’ISIS è gestito da un
consiglio di ex generali iracheni. ... Molti sono membri del partito laico
Baath di Saddam Hussein, convertiti all'Islam radicale nelle prigioni
americane”. I $ 500 milioni in aiuti militari degli Stati Uniti che Obama inviò
in Siria quasi certamente finirono per beneficiare questi jihadisti militanti.
Tim Clemente, ex presidente della unità militare congiunta del FBI, mi disse
che la differenza tra i conflitti in Iraq e in Siria sono i milioni di uomini in
età militare che fuggono il campo di battaglia per in Europa, piuttosto che
stare a lottare per le loro comunità. La spiegazione ovvia è che i moderati
della nazione fuggono una guerra che non è la loro guerra. Essi vogliono
semplicemente evitare di essere schiacciati tra l'incudine della tirannia di
Assad appoggiata dalla Russia e il martello immorale sunnita jihadista che
abbiamo impugnato in una battaglia globale per gli oleodotti concorrenti. Non
si può incolpare il popolo siriano per non aver ampiamente abbracciato un
progetto per la loro nazione coniato o a Washington o a Mosca. Le superpotenze
non hanno lasciato opzioni per un futuro idealistico per cui i moderata siriani
avrebbero potuto considerare di lottare. E nessuno vuole morire per un
oleodotto.
* * *
Qual è la risposta? Se il nostro obiettivo è la pace a
lungo termine in Medio Oriente, l'autogoverno da parte delle nazioni arabe e la
loro sicurezza nazionale, dobbiamo pensare qualche nuovo intervento nella
regione con un occhio alla storia e un intenso desiderio di imparare la lezione.
Solo quando noi americani comprenderemo il contesto storico e politico di
questo conflitto potremo applicare gli opportuni controlli alle decisioni dei
nostri capi. Utilizzando le stesse immagini e il linguaggio che sostenne la
nostra guerra del 2003 contro Saddam Hussein, i nostri dirigenti politici hanno
portato gli americani a credere che il nostro intervento in Siria sia una
guerra idealistica contro la tirannia, il terrorismo e il fanatismo religioso.
Tendiamo a liquidare come mero cinismo le opinioni di quegli arabi che vedono
la crisi attuale come una replica delle stesse vecche trame sugli oleodotti e
la geopolitica. Ma, se vogliamo avere una politica estera efficace, dobbiamo
riconoscere che il conflitto siriano è una guerra per il controllo delle
risorse indistinguibile dalla miriade di guerre clandestine e non dichiarate per
il petrolio che abbiamo combattuto in Medio Oriente per 65 anni. E solo quando
vedremo questo conflitto come una guerra per procura per un oleodotto renderemo
gli eventi comprensibili. È l'unico paradigma che spiega perché il Partito
Repubblicano e l'amministrazione Obama sono ancora fissati su un cambiamento di
regime, piuttosto che sulla stabilità della regione, perché l'amministrazione
Obama non può trovare moderati siriani disposti a combattere la guerra, perché l’ISIL
ha fatto saltare in aria un aereo russo con passeggeri a bordo, perché i
sauditi hanno appena decapitato un potente religioso sciita solo per farsi
bruciare la loro ambasciata a Teheran, perché la Russia sta bombardando i
combattenti che non appartengono all’ ISIL e perché la Turchia ha violato le
regole abbattendo un jet russo. Il milione di profughi che sta inondando l’Europa
sono profughi di un oleodotto e di una guerra condotta alla cieca dalla CIA.
Clemente paragona l’ISIL alle FARC della Colombia - un
cartello della droga con un'ideologia rivoluzionaria per ispirare i suoi guerriglieri.
“Bisogna pensare a ISIS come a un cartello del petrolio”, ha detto Clemente. “Alla
fine, il denaro è la logica di governo. L'ideologia religiosa è uno strumento
che ispira i suoi soldati a dare la vita per un cartello petrolifero”.
Una volta che spogliamo questo conflitto della sua patina
umanitaria e riconosciamo il conflitto siriano come una guerra per il petrolio,
la nostra strategia di politica estera diventa chiara. Come i siriani in fuga verso
l'Europa, nessun americano vuole mandare i propri figli a morire per un oleodotto.
Invece, la nostra prima priorità dovrebbe essere quella che nessuno menziona mai
- dobbiamo dare un calcio ai nostri legami col petrolio in Medio Oriente, un
obiettivo sempre più realizzabile, quando gli Stati Uniti diventeranno più indipendenti
in tema di energia. Quindi, abbiamo bisogno di ridurre drasticamente il nostro
profilo militare in Medio Oriente e lasciare che gli arabi governino l’Arabia. Oltre
che gli aiuti umanitari e la garanzia della sicurezza dei confini di Israele,
gli Stati Uniti non hanno alcun ruolo legittimo in questo conflitto. Mentre i
fatti dimostrano che abbiamo giocato un ruolo nella creazione della crisi, la
storia dimostra che abbiamo poco potere per risolverlo.
Contemplando la storia, ci lascia senza fiato considerare
la consistenza sorprendente con cui praticamente ogni intervento violento in
Medio Oriente, fin dalla Seconda Guerra Mondial, e da parte del nostro Paese ha
portato a miserabili fallimenti e a contraccolpi terribilmente costosi. Un
rapporto del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti del 1997 ha rilevato
che “i dati mostrano una forte correlazione tra il coinvolgimento degli Stati
Uniti all'estero e un aumento degli attacchi terroristici contro gli Stati
Uniti”. Diciamolo chiaro; ciò che noi chiamiamo la “guerra al terrore” è in
realtà solo un'altra guerra del petrolio. Abbiamo sprecato $ 6.000.000.000.000 (trilioni)
su tre guerre all'estero e sulla costruzione di uno stato di guerra per la
sicurezza nazionale fin da quando il petroliere Dick Cheney dichiarò la
"Lunga Guerra" nel 2001. Gli unici vincitori sono stati gli
appaltatori militari e le compagnie petrolifere che hanno intascato profitti
storici, le agenzie investigative che sono cresciute in modo esponenziale in
potere e influenza a scapito delle nostre libertà e dei jihadisti che hanno
usato sempre i nostri interventi come strumento di reclutamento più efficace.
Noi abbiamo compromesso i nostri valori, massacrato la nostra gioventù, ucciso
centinaia di migliaia di persone innocenti, sovvertito il nostro idealismo e
sperperato i nostri tesori nazionali in avventure inutili e costose all'estero.
Mentre facevamo questo, abbiamo aiutato i nostri peggiori nemici e trasformato
l'America, una volta faro al mondo di libertà, in uno stato di sorveglianza
della sicurezza nazionale e un paria morale internazionale.
I padri fondatori dell'America misero in guardia gli
americani contro gli eserciti permanenti, i coinvolgimenti stranieri e, nelle
parole di John Quincy Adams, contro la tendenza di “andare all'estero in cerca
di mostri da distruggere”. Quegli uomini saggi avevano capito che
l'imperialismo all'estero è incompatibile con la democrazia e i diritti civili all’interno.
Alla Carta Atlantica ha fatto eco il loro ideale seminale americano che ogni
nazione dovrebbe avere il diritto all'autodeterminazione. Nel corso degli
ultimi sette decenni, i fratelli Dulles, la banda Cheney, i neoconservatori e i
loro simili hanno dirottato tale principio fondamentale dell'idealismo americano
e messo in campo il nostro apparato militare e investigativo per servire gli
interessi mercantili delle grandi imprese e, in particolare, le compagnie
petrolifere e gli imprenditori militari che hanno letteralmente fatto una
strage mediante questi conflitti.
È il momento per gli americani di portare l'America fuori
da questo nuovo imperialismo e di riportarla sul sentiero dell’idealismo e
della democrazia. Dobbiamo lasciare che gli arabi governino l’Arabia e rivolgere
le nostre energie per il grande tentativo della costruzione della nazione a
casa nostra. Abbiamo bisogno di iniziare questo processo, non invadendo la
Siria, ma ponendo fine alla dipendenza rovinosa dal petrolio che ha distorto la
politica estera degli Stati Uniti per mezzo secolo.
Robert F. Kennedy, Jr. è il
presidente di Waterkeeper Alliance. Il suo libro più recente è Thimerosal: Let
The Science Speak.
(Traduzione di Diego Siragusa)
(Traduzione di Diego Siragusa)
(Fonte: http://www.politico.eu/article/why-the-arabs-dont-want-us-in-syria-mideast-conflict-oil-intervention/
ENGLISH VERSION
By ROBERT F. KENNEDY, JR
They don’t hate ‘our
freedoms.’ They hate that we’ve betrayed our ideals in their own countries —
for oil.
2/23/16
In part because my
father was murdered by an Arab, I’ve made an effort to understand the impact of
U.S. policy in the Mideast and particularly the factors that sometimes motivate
bloodthirsty responses from the Islamic world against our country. As we focus
on the rise of the Islamic State and search for the source of the savagery that
took so many innocent lives in Paris and San Bernardino, we might want to look
beyond the convenient explanations of religion and ideology. Instead we should
examine the more complex rationales of history and oil — and how they often
point the finger of blame back at our own shores.
America’s unsavory
record of violent interventions in Syria — little-known to the American people
yet well-known to Syrians — sowed fertile ground for the violent Islamic
jihadism that now complicates any effective response by our government to address
the challenge of ISIL. So long as the American public and policymakers are
unaware of this past, further interventions are likely only to compound the
crisis. Secretary of State John Kerry this week announced a “provisional”
ceasefire in Syria. But since U.S. leverage and prestige within Syria is
minimal — and the ceasefire doesn’t include key combatants such as Islamic
State and al Nusra — it’s bound to be a shaky truce at best. Similarly
President Obama’s stepped-up military intervention in Libya — U.S. airstrikes
targeted an Islamic State training camp last week — is likely to strengthen
rather than weaken the radicals. As the New York Times reported in a December
8, 2015, front-page story, Islamic State political leaders and strategic
planners are working to provoke an American military intervention. They know
from experience this will flood their ranks with volunteer fighters, drown the
voices of moderation and unify the Islamic world against America.
To understand this
dynamic, we need to look at history from the Syrians’ perspective and
particularly the seeds of the current conflict. Long before our 2003 occupation
of Iraq triggered the Sunni uprising that has now morphed into the Islamic
State, the CIA had nurtured violent jihadism as a Cold War weapon and freighted
U.S./Syrian relationships with toxic baggage.
This did not happen
without controversy at home. In July 1957, following a failed coup in Syria by
the CIA, my uncle, Sen. John F. Kennedy, infuriated the Eisenhower White House,
the leaders of both political parties and our European allies with a milestone
speech endorsing the right of self-governance in the Arab world and an end to
America’s imperialist meddling in Arab countries. Throughout my lifetime, and
particularly during my frequent travels to the Mideast, countless Arabs have
fondly recalled that speech to me as the clearest statement of the idealism
they expected from the U.S. Kennedy’s speech was a call for recommitting
America to the high values our country had championed in the Atlantic Charter;
the formal pledge that all the former European colonies would have the right to
self-determination following World War II. Franklin D. Roosevelt had
strong-armed Winston Churchill and the other allied leaders to sign the
Atlantic Charter in 1941 as a precondition for U.S. support in the European war
against fascism.
But thanks in large
part to Allen Dulles and the CIA, whose foreign policy intrigues were often
directly at odds with the stated policies of our nation, the idealistic path
outlined in the Atlantic Charter was the road not taken. In 1957, my
grandfather, Ambassador Joseph P. Kennedy, sat on a secret committee charged
with investigating the CIA’s clandestine mischief in the Mideast. The so called
“Bruce-Lovett Report,” to which he was a signatory, described CIA coup plots in
Jordan, Syria, Iran, Iraq and Egypt, all common knowledge on the Arab street,
but virtually unknown to the American people who believed, at face value, their
government’s denials. The report blamed the CIA for the rampant
anti-Americanism that was then mysteriously taking root “in the many countries
in the world today.” The Bruce-Lovett Report pointed out that such
interventions were antithetical to American values and had compromised
America’s international leadership and moral authority without the knowledge of
the American people. The report also said that the CIA never considered how we
would treat such interventions if some foreign government were to engineer them
in our country.
This is the bloody
history that modern interventionists like George W. Bush, Ted Cruz and Marco
Rubio miss when they recite their narcissistic trope that Mideast nationalists
“hate us for our freedoms.” For the most part they don’t; instead they hate us
for the way we betrayed those freedoms — our own ideals — within their borders.
* * *
For Americans to really
understand what’s going on, it’s important to review some details about this
sordid but little-remembered history. During the 1950s, President Eisenhower
and the Dulles brothers — CIA Director Allen Dulles and Secretary of State John
Foster Dulles — rebuffed Soviet treaty proposals to leave the Middle East a
neutral zone in the Cold War and let Arabs rule Arabia. Instead, they mounted a
clandestine war against Arab nationalism — which Allen Dulles equated with
communism — particularly when Arab self-rule threatened oil concessions. They
pumped secret American military aid to tyrants in Saudi Arabia, Jordan, Iraq
and Lebanon favoring puppets with conservative Jihadist ideologies that they
regarded as a reliable antidote to Soviet Marxism. At a White House meeting
between the CIA’s director of plans, Frank Wisner, and John Foster Dulles, in
September 1957, Eisenhower advised the agency, “We should do everything possible
to stress the ‘holy war’ aspect,” according to a memo recorded by his staff
secretary, Gen. Andrew J. Goodpaster.
The CIA began its
active meddling in Syria in 1949 — barely a year after the agency’s creation.
Syrian patriots had declared war on the Nazis, expelled their Vichy French
colonial rulers and crafted a fragile secularist democracy based on the
American model. But in March 1949, Syria’s democratically elected president,
Shukri-al-Quwatli, hesitated to approve the Trans-Arabian Pipeline, an American
project intended to connect the oil fields of Saudi Arabia to the ports of
Lebanon via Syria. In his book, Legacy of Ashes, CIA historian Tim Weiner
recounts that in retaliation for Al-Quwatli’s lack of enthusiasm for the U.S.
pipeline, the CIA engineered a coup replacing al-Quwatli with the CIA’s
handpicked dictator, a convicted swindler named Husni al-Za’im. Al-Za’im barely
had time to dissolve parliament and approve the American pipeline before his
countrymen deposed him, four and a half months into his regime.
Following several
counter-coups in the newly destabilized country, the Syrian people again tried
democracy in 1955, re-electing al-Quwatli and his National Party. Al-Quwatli
was still a Cold War neutralist, but, stung by American involvement in his
ouster, he now leaned toward the Soviet camp. That posture caused CIA Director
Dulles to declare that “Syria is ripe for a coup” and send his two coup
wizards, Kim Roosevelt and Rocky Stone, to Damascus.
Two years earlier,
Roosevelt and Stone had orchestrated a coup in Iran against the democratically
elected President Mohammed Mosaddegh, after Mosaddegh tried to renegotiate the
terms of Iran’s lopsided contracts with the British oil giant Anglo-Iranian Oil
Company (now BP). Mosaddegh was the first elected leader in Iran’s 4,000-year
history and a popular champion for democracy across the developing world.
Mosaddegh expelled all British diplomats after uncovering a coup attempt by
U.K. intelligence officers working in cahoots with BP. Mosaddegh, however, made
the fatal mistake of resisting his advisers’ pleas to also expel the CIA,
which, they correctly suspected, was complicit in the British plot. Mosaddegh
idealized the U.S. as a role model for Iran’s new democracy and incapable of
such perfidies. Despite Dulles’ needling, President Harry Truman had forbidden
the CIA from actively joining the British caper to topple Mosaddegh. When
Eisenhower took office in January 1953, he immediately unleashed Dulles. After
ousting Mosaddegh in “Operation Ajax,” Stone and Roosevelt installed Shah Reza
Pahlavi, who favored U.S. oil companies but whose two decades of CIA sponsored
savagery toward his own people from the Peacock throne would finally ignite the
1979 Islamic revolution that has bedeviled our foreign policy for 35 years.
Flush from his
Operation Ajax “success” in Iran, Stone arrived in Damascus in April 1957 with
$3 million to arm and incite Islamic militants and to bribe Syrian military
officers and politicians to overthrow al-Quwatli’s democratically elected
secularist regime, according to Safe for Democracy: The Secret Wars of the CIA,
by John Prados. Working with the Muslim Brotherhood and millions of dollars,
Rocky Stone schemed to assassinate Syria’s chief of intelligence, the chief of
its General Staff and the chief of the Communist Party, and to engineer
“national conspiracies and various strong arm” provocations in Iraq, Lebanon
and Jordan that could be blamed on the Syrian Ba’athists. Tim Weiner describes
in Legacy of Ashes how the CIA’s plan was to destabilize the Syrian government
and create a pretext for an invasion by Iraq and Jordan, whose governments were
already under CIA control. Kim Roosevelt forecast that the CIA’s newly
installed puppet government would “rely first upon repressive measures and
arbitrary exercise of power,” according to declassified CIA documents reported
in The Guardian newspaper.
But all that CIA money
failed to corrupt the Syrian military officers. The soldiers reported the CIA’s
bribery attempts to the Ba’athist regime. In response, the Syrian army invaded
the American Embassy, taking Stone prisoner. After harsh interrogation, Stone
made a televised confession of his roles in the Iranian coup and the CIA’s
aborted attempt to overthrow Syria’s legitimate government. The Syrians ejected
Stone and two U.S. Embassy staffers—the first time any American State
Department diplomat was barred from an Arab country. The Eisenhower White House
hollowly dismissed Stone’s confession as “fabrications” and “slanders,” a denial
swallowed whole by the American press, led by the New York Times and believed
by the American people, who shared Mosaddegh’s idealistic view of their
government. Syria purged all politicians sympathetic to the U.S. and executed
for treason all military officers associated with the coup. In retaliation, the
U.S. moved the Sixth Fleet to the Mediterranean, threatened war and goaded
Turkey to invade Syria. The Turks assembled 50,000 troops on Syria’s borders
and backed down only in the face of unified opposition from the Arab League
whose leaders were furious at the U.S. intervention. Even after its expulsion,
the CIA continued its secret efforts to topple Syria’s democratically elected
Ba’athist government. The CIA plotted with Britain’s MI6 to form a “Free Syria
Committee” and armed the Muslim Brotherhood to assassinate three Syrian
government officials, who had helped expose “the American plot,” according to
Matthew Jones in “The ‘Preferred Plan’: The Anglo-American Working Group Report
on Covert Action in Syria, 1957.” The CIA’s mischief pushed Syria even further
away from the U.S. and into prolonged alliances with Russia and Egypt.
Following the second
Syrian coup attempt, anti-American riots rocked the Mideast from Lebanon to
Algeria. Among the reverberations was the July 14, 1958 coup, led by the new
wave of anti-American Army officers who overthrew Iraq’s pro-American monarch,
Nuri al-Said. The coup leaders published secret government documents, exposing
Nuri al-Said as a highly paid CIA puppet. In response to American treachery,
the new Iraqi government invited Soviet diplomats and economic advisers to Iraq
and turned its back on the West.
Having alienated Iraq
and Syria, Kim Roosevelt fled the Mideast to work as an executive for the oil
industry that he had served so well during his public service career at the
CIA. Roosevelt’s replacement as CIA station chief, James Critchfield, attempted
a failed assassination plot against the new Iraqi president using a toxic
handkerchief, according to Weiner. Five years later, the CIA finally succeeded
in deposing the Iraqi president and installing the Ba’ath Party in power in
Iraq. A charismatic young murderer named Saddam Hussein was one of the
distinguished leaders of the CIA’s Ba’athist team. The Ba’ath Party’s
Secretary, Ali Saleh Sa’adi, who took office alongside Saddam Hussein, would
later say, “We came to power on a CIA train,” according to A Brutal Friendship:
The West and the Arab Elite, by Said Aburish, a journalist and author. Aburish
recounted that the CIA supplied Saddam and his cronies a murder list of people
who “had to be eliminated immediately in order to ensure success.” Tim Weiner
writes that Critchfield later acknowledged that the CIA had, in essence,
“created Saddam Hussein.” During the Reagan years, the CIA supplied Hussein
with billions of dollars in training, Special Forces support, weapons and
battlefield intelligence, knowing that he was using poisonous mustard and nerve
gas and biological weapons — including anthrax obtained from the U.S.
government — in his war against Iran. Reagan and his CIA director, Bill Casey,
regarded Saddam as a potential friend to the U.S. oil industry and a sturdy
barrier against the spread of Iran’s Islamic Revolution. Their emissary, Donald
Rumsfeld, presented Saddam with golden cowboy spurs and a menu of
chemical/biological and conventional weapons on a 1983 trip to Baghdad. At the
same time, the CIA was illegally supplying Saddam’s enemy, Iran, with thousands
of anti-tank and anti-aircraft missiles to fight Iraq, a crime made famous
during the Iran-Contra scandal. Jihadists from both sides later turned many of
those CIA-supplied weapons against the American people.
Even as America
contemplates yet another violent Mideast intervention, most Americans are unaware
of the many ways that “blowback” from previous CIA blunders has helped craft
the current crisis. The reverberations from decades of CIA shenanigans continue
to echo across the Mideast today in national capitals and from mosques to
madras schools over the wrecked landscape of democracy and moderate Islam that
the CIA helped obliterate.
A parade of Iranian and
Syrian dictators, including Bashar al-Assad and his father, have invoked the
history of the CIA’s bloody coups as a pretext for their authoritarian rule,
repressive tactics and their need for a strong Russian alliance. These stories
are therefore well known to the people of Syria and Iran who naturally
interpret talk of U.S. intervention in the context of that history.
While the compliant
American press parrots the narrative that our military support for the Syrian
insurgency is purely humanitarian, many Arabs see the present crisis as just
another proxy war over pipelines and geopolitics. Before rushing deeper into
the conflagration, it would be wise for us to consider the abundant facts
supporting that perspective.
In their view, our war
against Bashar Assad did not begin with the peaceful civil protests of the Arab
Spring in 2011. Instead it began in 2000, when Qatar proposed to construct a
$10 billion, 1,500 kilometer pipeline through Saudi Arabia, Jordan, Syria and
Turkey. Qatar shares with Iran the South Pars/North Dome gas field, the world’s
richest natural gas repository. The international trade embargo until recently
prohibited Iran from selling gas abroad. Meanwhile, Qatar’s gas can reach
European markets only if it is liquefied and shipped by sea, a route that
restricts volume and dramatically raises costs. The proposed pipeline would
have linked Qatar directly to European energy markets via distribution
terminals in Turkey, which would pocket rich transit fees. The Qatar/Turkey
pipeline would give the Sunni kingdoms of the Persian Gulf decisive domination
of world natural gas markets and strengthen Qatar, America’s closest ally in
the Arab world. Qatar hosts two massive American military bases and the U.S.
Central Command’s Mideast headquarters.
The EU, which gets 30
percent of its gas from Russia, was equally hungry for the pipeline, which
would have given its members cheap energy and relief from Vladimir Putin’s
stifling economic and political leverage. Turkey, Russia’s second largest gas
customer, was particularly anxious to end its reliance on its ancient rival and
to position itself as the lucrative transect hub for Asian fuels to EU markets.
The Qatari pipeline would have benefited Saudi Arabia’s conservative Sunni
monarchy by giving it a foothold in Shia-dominated Syria. The Saudis’
geopolitical goal is to contain the economic and political power of the
kingdom’s principal rival, Iran, a Shiite state, and close ally of Bashar
Assad. The Saudi monarchy viewed the U.S.-sponsored Shiite takeover in Iraq
(and, more recently, the termination of the Iran trade embargo) as a demotion
to its regional power status and was already engaged in a proxy war against
Tehran in Yemen, highlighted by the Saudi genocide against the Iranian backed
Houthi tribe.
Of course, the
Russians, who sell 70 percent of their gas exports to Europe, viewed the
Qatar/Turkey pipeline as an existential threat. In Putin’s view, the Qatar
pipeline is a NATO plot to change the status quo, deprive Russia of its only
foothold in the Middle East, strangle the Russian economy and end Russian
leverage in the European energy market. In 2009, Assad announced that he would
refuse to sign the agreement to allow the pipeline to run through Syria “to
protect the interests of our Russian ally.”
Assad further enraged
the Gulf’s Sunni monarchs by endorsing a Russian-approved “Islamic pipeline”
running from Iran’s side of the gas field through Syria and to the ports of
Lebanon. The Islamic pipeline would make Shiite Iran, not Sunni Qatar, the
principal supplier to the European energy market and dramatically increase
Tehran’s influence in the Middke East and the world. Israel also was
understandably determined to derail the Islamic pipeline, which would enrich
Iran and Syria and presumably strengthen their proxies, Hezbollah and Hamas.
Secret cables and
reports by the U.S., Saudi and Israeli intelligence agencies indicate that the
moment Assad rejected the Qatari pipeline, military and intelligence planners
quickly arrived at the consensus that fomenting a Sunni uprising in Syria to
overthrow the uncooperative Bashar Assad was a feasible path to achieving the
shared objective of completing the Qatar/Turkey gas link. In 2009, according to
WikiLeaks, soon after Bashar Assad rejected the Qatar pipeline, the CIA began
funding opposition groups in Syria. It is important to note that this was well
before the Arab Spring-engendered uprising against Assad.
Bashar Assad’s family
is Alawite, a Muslim sect widely perceived as aligned with the Shiite camp.
“Bashar Assad was never supposed to be president,” journalist Seymour Hersh
told me in an interview. “His father brought him back from medical school in
London when his elder brother, the heir apparent, was killed in a car crash.”
Before the war started, according to Hersh, Assad was moving to liberalize the
country. “They had internet and newspapers and ATM machines and Assad wanted to
move toward the west. After 9/11, he gave thousands of invaluable files to the
CIA on jihadist radicals, who he considered a mutual enemy.” Assad’s regime was
deliberately secular and Syria was impressively diverse.
The Syrian government
and military, for example, were 80 percent Sunni. Assad maintained peace among
his diverse peoples by a strong, disciplined army loyal to the Assad family, an
allegiance secured by a nationally esteemed and highly paid officer corps, a
coldly efficient intelligence apparatus and a penchant for brutality that,
prior to the war, was rather moderate compared to those of other Mideast
leaders, including our current allies. According to Hersh, “He certainly wasn’t
beheading people every Wednesday like the Saudis do in Mecca.”
Another veteran
journalist, Bob Parry, echoes that assessment. “No one in the region has clean
hands, but in the realms of torture, mass killings, [suppressing] civil
liberties and supporting terrorism, Assad is much better than the Saudis.” No
one believed that the regime was vulnerable to the anarchy that had riven
Egypt, Libya, Yemen and Tunisia. By the spring of 2011, there were small,
peaceful demonstrations in Damascus against repression by Assad’s regime. These
were mainly the effluvia of the Arab Spring that spread virally across the Arab
League States the previous summer. However, WikiLeaks cables indicate that the
CIA was already on the ground in Syria.
But the Sunni kingdoms
with vast petrodollars at stake wanted a much deeper involvement from America.
On September 4, 2013, Secretary of State John Kerry told a congressional
hearing that the Sunni kingdoms had offered to foot the bill for a U.S.
invasion of Syria to oust Bashar Assad. “In fact, some of them have said that
if the United States is prepared to go do the whole thing, the way we’ve done
it previously in other places [Iraq], they’ll carry the cost.” Kerry reiterated
the offer to Rep. Ileana Ros-Lehtinen (R-Fla.): “With respect to Arab countries
offering to bear the costs of [an American invasion] to topple Assad, the
answer is profoundly yes, they have. The offer is on the table.”
Despite pressure from
Republicans, Barack Obama balked at hiring out young Americans to die as
mercenaries for a pipeline conglomerate. Obama wisely ignored Republican
clamoring to put ground troops in Syria or to funnel more funding to “moderate
insurgents.” But by late 2011, Republican pressure and our Sunni allies had
pushed the American government into the fray.
In 2011, the U.S.
joined France, Qatar, Saudi Arabia, Turkey and the UK to form the Friends of
Syria Coalition, which formally demanded the removal of Assad. The CIA provided
$6 million to Barada, a British TV channel, to produce pieces entreating
Assad’s ouster. Saudi intelligence documents, published by WikiLeaks, show that
by 2012, Turkey, Qatar and Saudi Arabia were arming, training and funding
radical jihadist Sunni fighters from Syria, Iraq and elsewhere to overthrow the
Assad’s Shiite-allied regime. Qatar, which had the most to gain, invested $3
billion in building the insurgency and invited the Pentagon to train insurgents
at U.S. bases in Qatar. According to an April 2014 article by Seymour Hersh,
the CIA weapons ratlines were financed by Turkey, Saudi Arabia and Qatar.
The idea of fomenting a
Sunni-Shiite civil war to weaken the Syrian and Iranian regimes in order to
maintain control of the region’s petrochemical supplies was not a novel notion
in the Pentagon’s lexicon. A damning 2008 Pentagon-funded Rand report proposed
a precise blueprint for what was about to happen. That report observes that
control of the Persian Gulf oil and gas deposits will remain, for the U.S., “a
strategic priority” that “will interact strongly with that of prosecuting the
long war.” Rand recommended using “covert action, information operations,
unconventional warfare” to enforce a “divide and rule” strategy. “The United
States and its local allies could use the nationalist jihadists to launch a
proxy campaign” and “U.S. leaders could also choose to capitalize on the
sustained Shia-Sunni conflict trajectory by taking the side of the conservative
Sunni regimes against Shiite empowerment movements in the Muslim world …
possibly supporting authoritative Sunni governments against a continuingly hostile
Iran.”
As predicted, Assad’s
overreaction to the foreign-made crisis — dropping barrel bombs onto Sunni
strongholds and killing civilians — polarized Syria’s Shiite/Sunni divide and
allowed U.S. policymakers to sell Americans the idea that the pipeline struggle
was a humanitarian war. When Sunni soldiers of the Syrian Army began defecting
in 2013, the western coalition armed the Free Syrian Army to further
destabilize Syria. The press portrait of the Free Syrian Army as cohesive
battalions of Syrian moderates was delusional. The dissolved units regrouped in
hundreds of independent militias most of which were commanded by, or allied
with, jihadi militants who were the most committed and effective fighters. By
then, the Sunni armies of Al Qaeda in Iraq were crossing the border from Iraq
into Syria and joining forces with the squadrons of deserters from the Free
Syrian Army, many of them trained and armed by the U.S.
Despite the prevailing
media portrait of a moderate Arab uprising against the tyrant Assad, U.S.
intelligence planners knew from the outset that their pipeline proxies were
radical jihadists who would probably carve themselves a brand new Islamic
caliphate from the Sunni regions of Syria and Iraq. Two years before ISIL
throat cutters stepped on the world stage, a seven-page August 12, 2012, study
by the U.S. Defense Intelligence Agency, obtained by the right-wing group
Judicial Watch, warned that thanks to the ongoing support by U.S./Sunni
Coalition for radical Sunni Jihadists, “the Salafist, the Muslim Brotherhood
and AQI (now ISIS), are the major forces driving the insurgency in Syria.”
Using U.S. and Gulf
state funding, these groups had turned the peaceful protests against Bashar
Assad toward “a clear sectarian (Shiite vs. Sunni) direction.” The paper notes
that the conflict had become a sectarian civil war supported by Sunni
“religious and political powers.” The report paints the Syrian conflict as a
global war for control of the region’s resources with “the west, Gulf countries
and Turkey supporting [Assad’s] opposition, while Russia, China and Iran
support the regime.” The Pentagon authors of the seven-page report appear to
endorse the predicted advent of the ISIS caliphate: “If the situation unravels,
there is the possibility of establishing a declared or undeclared Salafist
principality in eastern Syria (Hasaka and Der Zor) and this is exactly what the
supporting powers to the opposition want in order to isolate the Syrian
regime.” The Pentagon report warns that this new principality could move across
the Iraqi border to Mosul and Ramadi and “declare an Islamic state through its
union with other terrorist organizations in Iraq and Syria.”
Of course, this is
precisely what has happened. Not coincidentally, the regions of Syria occupied
by the Islamic State exactly encompass the proposed route of the Qatari
pipeline.
But then, in 2014, our
Sunni proxies horrified the American people by severing heads and driving a
million refugees toward Europe. “Strategies based upon the idea that the enemy
of my enemy is my friend can be kind of blinding,” says Tim Clemente, who
chaired the FBI’s Joint Terrorism Task Force from 2004 to 2008 and served as
liaison in Iraq between the FBI, the Iraqi National Police and the U.S.
military. “We made the same mistake when we trained the mujahideen in
Afghanistan. The moment the Russians left, our supposed friends started
smashing antiquities, enslaving women, severing body parts and shooting at us,”
Clemente told me in an interview.
When the Islamic
State’s “Jihadi John” began murdering prisoners on TV, the White House pivoted,
talking less about deposing Assad and more about regional stability. The Obama
administration began putting daylight between itself and the insurgency we had
funded. The White House pointed accusing fingers at our allies. On October 3,
2014, Vice President Joe Biden told students at the John F. Kennedy Jr. forum
at the Institute of Politics at Harvard that “our allies in the region were our
largest problem in Syria.” He explained that Turkey, Saudi Arabia and the UAE
were “so determined to take down Assad” that they had launched a “proxy
Sunni-Shia war” funneling “hundreds of millions of dollars and tens of
thousands of tons of weapons into anyone who would fight against Assad. Except
the people who were being supplied were al-Nusra, and al-Qaeda” — the two
groups that merged in 2014 to form the Islamic State. Biden seemed angered that
our trusted “friends” could not be trusted to follow the American agenda.
Across the Mideast, Arab
leaders routinely accuse the U.S. of having created the Islamic State. To most
Americans, such accusations seem insane. However, to many Arabs, the evidence
of U.S. involvement is so abundant that they conclude that our role in
fostering the Islamic State must have been deliberate.
In fact, many of the
Islamic State fighters and their commanders are ideological and organizational
successors to the jihadists that the CIA has been nurturing for more than 30
years from Syria and Egypt to Afghanistan and Iraq.
Prior to the American
invasion, there was no Al Qaeda in Saddam Hussein’s Iraq. President George W.
Bush destroyed Saddam’s secularist government, and his viceroy, Paul Bremer, in
a monumental act of mismanagement, effectively created the Sunni Army, now
named the Islamic State. Bremer elevated the Shiites to power and banned
Saddam’s ruling Ba’ath Party, laying off some 700,000 mostly Sunni, government
and party officials from ministers to schoolteachers. He then disbanded the
380,000-man army, which was 80 percent Sunni. Bremer’s actions stripped a
million of Iraq’s Sunnis of rank, property, wealth and power; leaving a
desperate underclass of angry, educated, capable, trained and heavily armed
Sunnis with little left to lose. The Sunni insurgency named itself Al Qaeda in
Iraq. Beginning in 2011, our allies funded the invasion by AQI fighters into
Syria. In April 2013, having entered Syria, AQI changed its name to ISIL.
According to Dexter Filkins of the New Yorker, “ISIS is run by a council of
former Iraqi generals. … Many are members of Saddam Hussein’s secular Ba’ath
Party who converted to radical Islam in American prisons.” The $500 million in
U.S. military aid that Obama did send to Syria almost certainly ended up
benefiting these militant jihadists. Tim Clemente, the former chairman of the
FBI’s joint task force, told me that the difference between the Iraq and Syria
conflicts is the millions of military-aged men who are fleeing the battlefield
for Europe rather than staying to fight for their communities. The obvious
explanation is that the nation’s moderates are fleeing a war that is not their
war. They simply want to escape being crushed between the anvil of Assad’s
Russian-backed tyranny and the vicious jihadist Sunni hammer that we had a hand
in wielding in a global battle over competing pipelines. You can’t blame the
Syrian people for not widely embracing a blueprint for their nation minted in
either Washington or Moscow. The superpowers have left no options for an
idealistic future that moderate Syrians might consider fighting for. And no one
wants to die for a pipeline.
* * *
What is the answer? If
our objective is long-term peace in the Mideast, self-government by the Arab
nations and national security at home, we must undertake any new intervention
in the region with an eye on history and an intense desire to learn its
lessons. Only when we Americans understand the historical and political context
of this conflict will we apply appropriate scrutiny to the decisions of our
leaders. Using the same imagery and language that supported our 2003 war
against Saddam Hussein, our political leaders led Americans to believe that our
Syrian intervention is an idealistic war against tyranny, terrorism and
religious fanaticism. We tend to dismiss as mere cynicism the views of those
Arabs who see the current crisis as a rerun of the same old plots about
pipelines and geopolitics. But, if we are to have an effective foreign policy,
we must recognize the Syrian conflict is a war over control of resources indistinguishable
from the myriad clandestine and undeclared oil wars we have been fighting in
the Mideast for 65 years. And only when we see this conflict as a proxy war
over a pipeline do events become comprehensible. It’s the only paradigm that
explains why the GOP on Capitol Hill and the Obama administration are still
fixated on regime change rather than regional stability, why the Obama
administration can find no Syrian moderates to fight the war, why ISIL blew up
a Russian passenger plane, why the Saudis just executed a powerful Shiite
cleric only to have their embassy burned in Tehran, why Russia is bombing
non-ISIL fighters and why Turkey went out of its way to shoot down a Russian
jet. The million refugees now flooding into Europe are refugees of a pipeline
war and CIA blundering.
Clemente compares ISIL
to Colombia’s FARC — a drug cartel with a revolutionary ideology to inspire its
footsoldiers. “You have to think of ISIS as an oil cartel,” Clemente said. “In
the end, money is the governing rationale. The religious ideology is a tool
that inspires its soldiers to give their lives for an oil cartel.”
Once we strip this
conflict of its humanitarian patina and recognize the Syrian conflict as an oil
war, our foreign policy strategy becomes clear. Like the Syrians fleeing for
Europe, no American wants to send their child to die for a pipeline. Instead,
our first priority should be the one no one ever mentions — we need to kick our
Mideast oil jones, an increasingly feasible objective, as the U.S. becomes more
energy independent. Next, we need to dramatically reduce our military profile
in the Middle East and let the Arabs run Arabia. Other than humanitarian
assistance and guaranteeing the security of Israel’s borders, the U.S. has no
legitimate role in this conflict.
While the facts prove
that we played a role in creating the crisis, history shows that we have little
power to resolve it.
As we contemplate
history, it’s breathtaking to consider the astonishing consistency with which
virtually every violent intervention in the Middle East since World War II by
our country has resulted in miserable failure and horrendously costly blowback.
A 1997 U.S. Department of Defense report found that “the data show a strong
correlation between U.S. involvement abroad and an increase in terrorist
attacks against the U.S.” Let’s face it; what we call the “war on terror” is
really just another oil war. We’ve squandered $6 trillion on three wars abroad
and on constructing a national security warfare state at home since oilman Dick
Cheney declared the “Long War” in 2001. The only winners have been the military
contractors and oil companies that have pocketed historic profits, the
intelligence agencies that have grown exponentially in power and influence to
the detriment of our freedoms and the jihadists who invariably used our
interventions as their most effective recruiting tool. We have compromised our
values, butchered our own youth, killed hundreds of thousands of innocent
people, subverted our idealism and squandered our national treasures in
fruitless and costly adventures abroad. In the process, we have helped our
worst enemies and turned America, once the world’s beacon of freedom, into a
national security surveillance state and an international moral pariah.
America’s founding
fathers warned Americans against standing armies, foreign entanglements and, in
John Quincy Adams’ words, “going abroad in search of monsters to destroy.”
Those wise men understood that imperialism abroad is incompatible with
democracy and civil rights at home. The Atlantic Charter echoed their seminal
American ideal that each nation should have the right to self-determination.
Over the past seven decades, the Dulles brothers, the Cheney gang, the neocons
and their ilk have hijacked that fundamental principle of American idealism and
deployed our military and intelligence apparatus to serve the mercantile
interests of large corporations and particularly, the petroleum companies and
military contractors that have literally made a killing from these conflicts.
It’s time for Americans
to turn America away from this new imperialism and back to the path of idealism
and democracy. We should let the Arabs govern Arabia and turn our energies to
the great endeavor of nation building at home. We need to begin this process,
not by invading Syria, but by ending the ruinous addiction to oil that has
warped U.S. foreign policy for half a century.
Robert F. Kennedy, Jr. is
the president of Waterkeeper Alliance. His newest book is Thimerosal: Let The Science Speak.
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