venerdì 15 novembre 2024

CHI GUADAGNA DALLA GUERRA IN UCRAINA?

 


Abbiamo tradotto per voi questo illuminante discorso di Robert Kennedy Jr. che spiega chi ha voluto e chi ci ha guadagnato e ci guadagnerà dalla guerra in Ucraina. E' imperdibile.


di Robert Kennedy Junior


"Questa è una guerra che non sarebbe mai dovuta accadere. È una guerra che i russi hanno cercato ripetutamente di risolvere a condizioni che erano molto, molto vantaggiose per l'Ucraina e per noi. La cosa principale che volevano era che tenessimo la NATO fuori dall'Ucraina.

I grandi appaltatori militari vogliono aggiungere continuamente nuovi paesi alla NATO. Perché poi quel paese deve conformare i suoi acquisti militari, le specifiche delle armi della NATO, il che significa che alcune aziende, Northrop Grumman, Raytheon, General Dynamics, Boeing e Lockheed, ottengono un mercato trappola.

Nel marzo del 2022 abbiamo impegnato 113 miliardi di dollari. Solo per farvi un esempio, avremmo potuto costruire una casa per quasi tutti i senzatetto di questo paese. Da allora, due mesi fa, abbiamo impegnato altri 24 miliardi di dollari e ora il presidente Biden ne chiede altri 60.

Ma le grandi, grandi spese arriveranno dopo la guerra, quando dovremo ricostruire tutte le cose che abbiamo distrutto.

A Mitch McConnell è stato chiesto: possiamo davvero permetterci di spendere 113 miliardi di dollari in Ucraina? Ha detto, non preoccuparti. Non sta andando in Ucraina. Sta andando ai produttori di difesa americani. Quindi ha semplicemente ammesso che si tratta di uno schema di riciclaggio di denaro. E chi pensi possieda ognuna di queste società? BlackRock. Così Tim Scott, durante il dibattito repubblicano, ha detto, non preoccupatevi. Non è un regalo all'Ucraina. È un prestito. Quindi alzi la mano chi pensa che quel prestito verrà mai rimborsato. Sì, certo che non lo è. Allora perché lo chiamano prestito? Perché se lo chiamano prestito, possono imporre condizioni di prestito. E quali sono le condizioni di prestito che imponiamo su di noi?

Numero uno, un programma di austerità estrema, in modo che se sei povero in Ucraina, sarai povero per sempre.

In secondo luogo, il più importante, l'Ucraina deve mettere in vendita tutti i suoi beni di proprietà del governo alle multinazionali, compresi tutti i suoi terreni agricoli, il più grande patrimonio singolo in Europa e in Ucraina. È il granaio d'Europa. Ne hanno già venduto il 30%. Gli acquirenti erano DuPont, Cargill e Monsanto. Chi pensi che possieda tutte queste società? BlackRock.

E poi, a dicembre, il presidente Biden ha consegnato il contratto per la ricostruzione dell'Ucraina. Il contratto lo ha ottenuto Black Rock. E' la loro strategia, tenerci l'uno contro l'altro per continuare le guerre."




sabato 9 novembre 2024

DISCORSO DI PUTIN ALLA SESSIOME PLENARIA DEL 21° INCONTRO ANNUALE "VALDAI CLUB"

 


Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin


Sono lieto di darvi il benvenuto al nostro tradizionale incontro. Innanzitutto, vorrei ringraziarvi per aver preso parte alle discussioni acute e sostanziali del Valdai Club. Ci incontreremo il 7 novembre, una data significativa sia per la Russia che per il mondo intero. La Rivoluzione russa del 1917, come le rivoluzioni olandese, inglese e francese del loro tempo, sono diventate tutte, in una certa misura, pietre miliari nel percorso di sviluppo dell'umanità e hanno ampiamente determinato il corso della storia, la natura della politica, della diplomazia, delle economie e della struttura sociale.


Siamo anche destinati a vivere in un'epoca di cambiamenti fondamentali, persino rivoluzionari, e non solo a comprendere, ma anche a prendere parte direttamente ai processi più complessi del primo quarto del XXI secolo . Il Valdai Club ha già 20 anni, quasi la stessa età del nostro secolo. A proposito, in casi come questo si dice spesso che il tempo vola velocemente, ma non in questo caso. Questi due decenni sono stati più che pieni degli eventi più importanti, a volte drammatici, di portata veramente storica. Stiamo assistendo alla formazione di un ordine mondiale completamente nuovo, niente a che vedere con quelli che avevamo in passato, come i sistemi di Westfalia o di Yalta.

Stanno emergendo nuovi poteri. Le nazioni stanno diventando sempre più consapevoli dei loro interessi, del loro valore, della loro unicità e identità, e sono sempre più insistenti nel perseguire gli obiettivi di sviluppo e giustizia. Allo stesso tempo, le società si trovano ad affrontare una moltitudine di nuove sfide, da entusiasmanti cambiamenti tecnologici a catastrofici disastri naturali, da una scandalosa divisione sociale a massicce ondate migratorie e gravi crisi economiche.

Gli esperti parlano della minaccia di nuovi conflitti regionali, di epidemie globali, di aspetti etici complessi e controversi dell'interazione tra esseri umani e intelligenza artificiale, di come tradizioni e progresso si conciliano tra loro.

Tu e io avevamo previsto alcuni di questi problemi quando ci siamo incontrati prima e ne abbiamo persino discusso in dettaglio alle riunioni del Valdai Club. Ne avevamo anticipati istintivamente alcuni, sperando nel meglio ma senza escludere lo scenario peggiore.

Qualcosa, al contrario, è diventata una sorpresa completa per tutti. In effetti, la dinamica è molto intensa. In effetti, il mondo moderno è imprevedibile. Se si guarda indietro di 20 anni e si valuta la portata dei cambiamenti, e poi si proiettano questi cambiamenti negli anni a venire, si può supporre che i prossimi vent'anni non saranno meno, se non più difficili. E quanto più difficili saranno, dipende dalla moltitudine di fattori. Da quanto ho capito, vi state riunendo al Valdai Club esattamente per analizzare tutti questi fattori e cercare di fare delle previsioni, delle previsioni.

Arriva, in un certo senso, il momento della verità. Il precedente assetto mondiale sta irreversibilmente scomparendo, in realtà è già scomparso, e si sta svolgendo una seria, inconciliabile lotta per lo sviluppo di un nuovo ordine mondiale. È inconciliabile, soprattutto, perché questa non è nemmeno una lotta per il potere o l'influenza geopolitica. È uno scontro dei principi stessi che saranno alla base delle relazioni tra paesi e popoli nella prossima fase storica. Il suo esito determinerà se saremo in grado, attraverso sforzi congiunti, di costruire un mondo che consentirà a tutte le nazioni di svilupparsi e risolvere le contraddizioni emergenti sulla base del rispetto reciproco per culture e civiltà, senza coercizione e uso della forza. E infine, se la società umana sarà in grado di mantenere i suoi principi etici umanistici e se un individuo sarà in grado di rimanere umano.

A prima vista, potrebbe sembrare che non ci siano alternative. Eppure, purtroppo, ce ne sono. È l'immersione dell'umanità nelle profondità dell'anarchia aggressiva, delle divisioni interne ed esterne, dell'erosione dei valori tradizionali, dell'emergere di nuove forme di tirannia e dell'effettiva rinuncia ai principi classici della democrazia, insieme ai diritti e alle libertà fondamentali. Sempre più spesso, la democrazia viene interpretata non come il governo della maggioranza, ma della minoranza. La democrazia tradizionale e il governo del popolo vengono contrapposti a una nozione astratta di libertà, per il bene della quale, come sostengono alcuni, le procedure democratiche, le elezioni, l'opinione della maggioranza, la libertà di parola e un media imparziale possono essere ignorati o sacrificati.



Il pericolo sta nell'imposizione di ideologie totalitarie e nel renderle la norma, come esemplificato dall'attuale stato del liberalismo occidentale. Questo moderno liberalismo occidentale, a mio avviso, è degenerato in un'estrema intolleranza e aggressività verso qualsiasi pensiero alternativo o sovrano e indipendente. Oggi, cerca persino di giustificare il neonazismo, il terrorismo, il razzismo e persino il genocidio di massa di civili.

Inoltre, ci sono conflitti e scontri internazionali carichi del pericolo di distruzione reciproca. Le armi che possono causare ciò esistono e vengono costantemente migliorate, assumendo nuove forme man mano che le tecnologie avanzano. Il numero di nazioni che possiedono tali armi sta crescendo e nessuno può garantire che queste armi non saranno utilizzate, soprattutto se le minacce si moltiplicano gradualmente e le norme legali e morali vengono infine infrante.

Ho già affermato in precedenza che abbiamo raggiunto le linee rosse. Gli appelli dell'Occidente a infliggere una sconfitta strategica alla Russia, una nazione con il più grande arsenale di armi nucleari, rivelano l'avventurismo sconsiderato di certi politici occidentali. Una fede così cieca nella propria impunità ed eccezionalità potrebbe portare a una catastrofe globale. Nel frattempo, gli ex egemoni, che sono stati abituati a governare il mondo fin dall'epoca coloniale, sono sempre più stupiti che i loro ordini non vengano più ascoltati. Gli sforzi per aggrapparsi al loro potere in calo attraverso la forza si traducono solo in un'instabilità diffusa e in maggiori tensioni, con conseguenti vittime e distruzione. Tuttavia, questi sforzi non riescono a raggiungere il risultato desiderato di mantenere un potere assoluto e incontrastato. Perché la marcia della storia non può essere fermata.

Invece di riconoscere la futilità delle loro ambizioni e la natura oggettiva del cambiamento, alcune élite occidentali sembrano pronte a fare di tutto per ostacolare lo sviluppo di un nuovo sistema internazionale che si allinei con gli interessi della maggioranza globale. Nelle recenti politiche degli Stati Uniti e dei suoi alleati, ad esempio, il principio di "Non apparterrai a nessuno!" o "O sei con noi o contro di noi" è diventato sempre più evidente. Voglio dire che una formula del genere è molto pericolosa. Dopotutto, come dice il proverbio del nostro e di molti altri paesi, "Quello che la fai torna indietro".

Il caos, una crisi sistemica sta già aumentando nelle stesse nazioni che tentano di attuare tali strategie. La ricerca dell'esclusività, del messianismo liberale e globalista e del monopolio ideologico, militare e politico sta costantemente esaurendo quei paesi che perseguono queste strade, spingendo il mondo verso il declino e contraddicendo nettamente i genuini interessi delle persone negli Stati Uniti e nei paesi europei.

Sono convinto che prima o poi l'Occidente arriverà a questa consapevolezza. Storicamente, i suoi grandi successi sono sempre stati radicati in un approccio pragmatico e lucido, basato su una valutazione dura, a volte cinica ma razionale delle circostanze e delle proprie capacità.

In questo contesto, vorrei sottolineare ancora una volta: a differenza delle nostre controparti, la Russia non vede la civiltà occidentale come un avversario, né pone la questione "noi o loro". Ribadisco: "O sei con noi o contro di noi" non fa parte del nostro vocabolario. Non abbiamo alcun desiderio di insegnare a nessuno o di imporre la nostra visione del mondo a nessuno. La nostra posizione è aperta ed è la seguente.

L'Occidente ha effettivamente accumulato significative risorse umane, intellettuali, culturali e materiali che gli consentono di prosperare come uno degli elementi chiave del sistema globale. Tuttavia, è precisamente "uno dei" accanto ad altre nazioni e gruppi in rapido progresso. L'egemonia nel nuovo ordine internazionale non è una considerazione. Quando, ad esempio, Washington e altre capitali occidentali comprenderanno e riconosceranno questo fatto incontrovertibile, il processo di costruzione di un sistema mondiale che affronti le sfide future entrerà finalmente nella fase di autentica creazione. Se Dio vuole, ciò dovrebbe accadere il prima possibile. Ciò è nell'interesse comune, soprattutto per l'Occidente stesso.

Finora, noi, cioè tutti coloro che sono interessati a creare un mondo giusto e stabile, abbiamo impiegato troppa energia per resistere alle attività distruttive dei nostri oppositori, che si aggrappano al loro monopolio. Questo è ovvio, e tutti a ovest, a est, a sud e ovunque altrove ne sono consapevoli. Stanno cercando di preservare il loro potere e il loro monopolio, il che è ovvio.

Questi sforzi potrebbero essere indirizzati con risultati molto migliori verso l'affrontare i problemi comuni che riguardano tutti, dalla demografia e disuguaglianza sociale al cambiamento climatico, alla sicurezza alimentare, alla medicina e alle nuove tecnologie. È qui che dovremmo concentrare le nostre energie, ed è ciò che tutti noi dovremmo fare.

Oggi mi prenderò la libertà di fare una serie di digressioni filosofiche. Dopo tutto, questo è un circolo di discussione e spero che queste digressioni siano nello spirito delle discussioni che abbiamo tenuto qui.

Come ho detto, il mondo sta cambiando radicalmente e irreversibilmente. A differenza delle precedenti versioni dell'ordine mondiale, il nuovo mondo è caratterizzato da una combinazione o esistenza parallela di due elementi apparentemente incompatibili: un potenziale di conflitto in rapida crescita e la frammentazione delle sfere politica, economica e legale, da un lato, e la continua stretta interconnessione dello spazio globale nel suo insieme, dall'altro. Ciò può sembrare paradossale. Ci siamo abituati a queste tendenze che si susseguono e si sostituiscono a vicenda. Per secoli, i periodi di conflitti e divisione sono stati seguiti da periodi di interazione più favorevoli. Questa è la dinamica dello sviluppo storico.

Si scopre che questo principio non è più valido. Riflettiamoci sopra. Conflitti violenti, concettuali e altamente emotivi complicano notevolmente, ma non fermano, lo sviluppo globale. Nuovi legami di interazione emergono al posto di quelli distrutti da decisioni politiche o persino da metodi militari. Questi nuovi legami possono essere molto più complicati e talvolta contorti, ma aiutano a mantenere i legami economici e sociali.

Possiamo parlare per esperienza. Di recente, l'Occidente collettivo, il cosiddetto Occidente collettivo, ha fatto un tentativo senza precedenti di bandire la Russia dagli affari globali e dai sistemi economici e politici internazionali. Il numero di sanzioni e misure punitive applicate contro il nostro paese non ha analoghi nella storia. I nostri avversari hanno dato per scontato che avrebbero inflitto una sconfitta schiacciante, infliggendo un colpo mortale alla Russia da cui non si sarebbe mai ripresa, cessando così di essere una delle strutture permanenti della comunità internazionale.

Penso che non ci sia bisogno di ricordarvi cosa è successo veramente. Il fatto stesso che questa conferenza di Valdai, che quest'anno segna un anniversario importante, abbia attirato un pubblico così importante parla da sé, credo. Valdai è solo un esempio. Ha solo messo in prospettiva la realtà in cui viviamo, in cui esiste la Russia. La verità è che il mondo ha bisogno della Russia, e nessuna decisione presa da individui a Washington o Bruxelles che credono che gli altri debbano prendere i loro ordini può cambiare questo.

Lo stesso vale per altre decisioni. Persino un nuotatore esperto non andrà molto lontano controcorrente, indipendentemente dai trucchi o persino dal doping che potrebbe usare. La corrente della politica globale, il mainstream, sta correndo dal mondo egemonico in rovina verso una crescente diversità, mentre l'Occidente sta cercando di nuotare controcorrente. Questo è ovvio; come si dice, non c'è premio per chi indovina. È semplicemente così chiaro.

Torniamo alla dialettica della storia, all'alternanza di periodi di conflitto e cooperazione. Il mondo è davvero cambiato così tanto che questa teoria non è più valida? Proviamo a guardare a ciò che sta accadendo oggi da un'angolazione leggermente diversa: qual è l'essenza del conflitto e chi vi è coinvolto oggi?

Sin dalla metà del secolo scorso, quando il nazismo, l'ideologia più maligna e aggressiva, frutto di aspre controversie nella prima metà del XX secolo  , fu sconfitto con un'azione tempestiva e a costo di enormi perdite, l'umanità si trovò di fronte al compito di evitare la rinascita di questo male e una recidiva delle guerre mondiali. Nonostante tutti gli zigzag e le scaramucce locali, il vettore generale fu definito in quel momento. Fu un rifiuto totale di tutte le forme di razzismo, lo smantellamento del sistema coloniale classico e l'inclusione di un numero maggiore di partecipanti a pieno titolo nella politica internazionale. C'era un'evidente richiesta di apertura e democrazia nel sistema internazionale, insieme a una rapida crescita in diversi paesi e regioni e all'emergere di nuovi approcci tecnologici e socioeconomici volti ad ampliare le opportunità di sviluppo e raggiungere la prosperità. Come ogni altro processo storico, ciò diede origine a uno scontro di interessi. Ancora una volta, il desiderio generale di armonia e sviluppo in tutti gli aspetti di questo concetto era ovvio.

Il nostro Paese, allora chiamato Unione Sovietica, diede un contributo importante al consolidamento di queste tendenze. L'Unione Sovietica aiutò gli Stati che avevano rinunciato alla dipendenza coloniale o neocoloniale, che si trovassero in Africa, nel Sud-est asiatico, nel Medio Oriente o in America Latina. Vorrei sottolineare che a metà degli anni '80, fu l'Unione Sovietica a chiedere la fine dello scontro ideologico, il superamento dell'eredità della Guerra Fredda, la fine della Guerra Fredda e della sua eredità, e l'eliminazione delle barriere che ostacolavano l'unità globale e lo sviluppo globale del mondo.

Sì, il nostro atteggiamento verso quel periodo è complicato, alla luce delle conseguenze delle politiche della leadership politica nazionale. Dobbiamo confrontarci con alcune tragiche conseguenze, e stiamo ancora combattendo con esse. Vorrei sottolineare gli impulsi ingiustificatamente idealistici dei nostri leader e della nostra nazione, così come i loro approcci a volte ingenui, come possiamo vedere oggi. Indubbiamente, questo è stato motivato da sincere aspirazioni di pace e benessere universale. In realtà, questo riflette una caratteristica saliente della mentalità della nostra nazione, delle sue tradizioni, dei suoi valori e delle sue coordinate spirituali e morali.

Ma perché queste aspirazioni hanno portato a risultati diametralmente opposti? Questa è una domanda importante. Conosciamo la risposta, e l'ho menzionata ripetutamente, in un modo o nell'altro. L'altra parte del confronto ideologico ha percepito quegli sviluppi storici come il suo trionfo e la sua vittoria, vedendoli come la resa del nostro paese all'Occidente e come un'opportunità e il diritto del vincitore di stabilire un dominio completo, piuttosto che come una possibilità di ricostruire il mondo sulla base di concetti e principi nuovi ed equi.

Ne ho parlato qualche tempo fa e ora lo accenno brevemente, senza fare nomi. A metà degli anni Novanta e persino alla fine degli anni Novanta, un politico statunitense osservò che, da quel momento in poi, avrebbero trattato la Russia non come un avversario sconfitto, ma come uno strumento spuntato nelle loro mani. Questo era il principio da cui erano guidati. Non avevano una visione ampia e una consapevolezza culturale e politica complessiva; non riuscirono a comprendere la situazione e a capire la Russia. Distorcendo i risultati della Guerra Fredda per adattarli ai propri interessi e rimodellando il mondo secondo le proprie idee, l'Occidente ha mostrato un'avidità geopolitica flagrante e senza precedenti. Queste sono le vere origini dei conflitti nella nostra era storica, a partire dalle tragedie in Jugoslavia, Iraq, Libia e ora Ucraina e Medio Oriente.

Alcune élite occidentali pensavano che il loro monopolio e il momento di unipolarità in senso ideologico, economico, politico e in parte anche militare-strategico fossero il punto di arrivo. Eccoci qui. Fermatevi e godetevi il momento! Questa è la fine della storia, come hanno annunciato con arroganza.

Non ho bisogno di dire a questo pubblico quanto miope e imprecisa fosse questa ipotesi. La storia non è finita. Al contrario, è entrata in una nuova fase. E la ragione non è che alcuni avversari malevoli, rivali o elementi sovversivi abbiano impedito all'Occidente di stabilire il suo sistema di potere globale.

A dire il vero, dopo il crollo dell'Unione Sovietica come alternativa socialista sovietica, molti pensavano che il sistema monopolistico fosse destinato a durare, quasi per l'eternità, e che avessero bisogno di adattarvisi. Ma quel sistema iniziò a vacillare da solo, sotto il peso delle ambizioni e dell'avidità di quelle élite occidentali. Quando videro che altre nazioni prosperavano e assumevano la leadership nel sistema che avevano creato per soddisfare le loro esigenze - dobbiamo ammettere che le nazioni vittoriose crearono il sistema di Yalta per soddisfare le proprie esigenze dopo la seconda guerra mondiale e più tardi, dopo la guerra fredda, coloro che pensavano di aver vinto la guerra fredda iniziarono ad adattarlo alle proprie esigenze - quindi, quando videro che altri leader apparivano all'interno del quadro del sistema che avevano creato per soddisfare le proprie esigenze, cercarono immediatamente di adattarlo, violando nel processo le stesse regole che avevano sostenuto il giorno prima e cambiando le regole che loro stessi avevano stabilito.

A quale conflitto stiamo assistendo oggi? Sono convinto che non si tratti di un conflitto di tutti contro tutti causato da una deviazione dalle regole che l'Occidente continua a raccontarci. Niente affatto. È un conflitto tra la stragrande maggioranza della popolazione mondiale, che vuole vivere e svilupparsi in un mondo interconnesso con un sacco di opportunità, e la minoranza globale, la cui unica preoccupazione, come ho detto, è la conservazione del suo dominio. Per raggiungere questo obiettivo, sono pronti a distruggere i risultati che sono il risultato di un lungo periodo di movimento verso un sistema globale comune. Come vediamo, non ci stanno riuscendo e non ci riusciranno.

Allo stesso tempo, l'Occidente sta ipocritamente tentando di convincerci che i risultati per cui l'umanità si è battuta dalla seconda guerra mondiale sono compromessi. Non è affatto così, come ho appena sottolineato. Sia la Russia che la stragrande maggioranza delle nazioni sono impegnate a sostenere lo spirito di progresso internazionale e le aspirazioni per una pace duratura che sono state centrali per lo sviluppo dalla metà del XX  secolo.

Ciò che è veramente in gioco è qualcosa di molto diverso. Ciò che è in gioco è il monopolio dell'Occidente, emerso dopo il crollo dell'Unione Sovietica e mantenuto temporaneamente alla fine del XX secolo  . Ma lasciatemi ripetere, come coloro che sono qui riuniti capiscono: ogni monopolio, come la storia ci insegna, prima o poi finisce. Non ci si può fare illusioni su questo. Il monopolio è invariabilmente dannoso, persino per i monopolisti stessi.

Le politiche delle élite all'interno dell'Occidente collettivo possono essere influenti, ma data la limitata appartenenza a questo club esclusivo, non sono né lungimiranti né creative; piuttosto, si concentrano sul mantenimento dello status quo. Qualsiasi appassionato di sport, per non parlare dei professionisti di football, hockey o arti marziali, sa che una strategia di contenimento porta quasi invariabilmente alla sconfitta.

Passando alla dialettica della storia, possiamo affermare che la coesistenza di conflitti e la ricerca dell'armonia sono intrinsecamente instabili. Le contraddizioni della nostra era devono alla fine essere risolte attraverso la sintesi, passando a una nuova qualità. Mentre ci imbarchiamo in questa nuova fase di sviluppo, costruendo una nuova architettura globale, è fondamentale per tutti noi evitare di ripetere gli errori della fine del XX secolo  quando, come ho affermato in precedenza, l'Occidente ha tentato di imporre il suo modello, a mio avviso profondamente imperfetto, di ritiro dalla Guerra Fredda, che era irto di potenziale per nuovi conflitti.

Nel mondo multipolare emergente, non dovrebbero esserci nazioni o popoli rimasti perdenti o che si sentano offesi e umiliati. Solo allora potremo garantire condizioni veramente sostenibili per uno sviluppo universale, equo e sicuro. Il desiderio di cooperazione e interazione sta senza dubbio prevalendo, superando anche le situazioni più acute. Questo rappresenta il mainstream internazionale, il corso portante degli eventi.

Naturalmente, stando all'epicentro dei cambiamenti tettonici provocati da profondi cambiamenti nel sistema globale, è difficile prevedere il futuro. Tuttavia, comprendere la traiettoria generale, dall'egemonia a un mondo complesso di cooperazione multilaterale, ci consente di tentare di abbozzare almeno alcuni dei contorni in sospeso.

Nel mio discorso al Valdai Forum dell'anno scorso, mi sono avventurato a delineare sei principi che, a nostro avviso, dovrebbero sostenere le relazioni mentre ci imbarchiamo in una nuova fase di progresso storico. Sono convinto che gli eventi che si sono svolti e il passare del tempo abbiano solo corroborato l'equità e la validità delle proposte che abbiamo avanzato. Lasciatemi spiegare questi principi.

In primo luogo, l'apertura all'interazione è il valore supremo amato dalla stragrande maggioranza delle nazioni e dei popoli. Il tentativo di costruire barriere artificiali non è solo sbagliato perché impedisce un normale e vantaggioso progresso economico per tutti, ma anche perché è particolarmente pericoloso in mezzo a calamità naturali e tumulti socio-politici, che, sfortunatamente, sono fin troppo comuni negli affari internazionali.

Per illustrare, si consideri lo scenario che si è verificato l'anno scorso in seguito al devastante terremoto in Asia Minore. Per ragioni puramente politiche, gli aiuti al popolo siriano sono stati ostacolati, con il risultato che alcune regioni hanno sopportato il peso della calamità. Tali casi di interessi opportunistici e opportunistici che ostacolano il perseguimento del bene comune non sono isolati.

L'ambiente senza barriere a cui ho accennato l'anno scorso è indispensabile non solo per la prosperità economica, ma anche per affrontare le acute esigenze umanitarie. Inoltre, mentre affrontiamo nuove sfide, tra cui le ramificazioni dei rapidi progressi tecnologici, è imperativo per l'umanità consolidare gli sforzi intellettuali. È significativo che coloro che ora si pongono come i principali avversari dell'apertura siano gli stessi individui che, fino a poco tempo fa, ne esaltavano le virtù con grande fervore.

Attualmente, queste stesse forze e individui cercano di esercitare restrizioni come strumento di pressione contro i dissidenti. Questa tattica si rivelerà inutile, per la stessa ragione per cui la stragrande maggioranza globale sostiene l'apertura priva di politicizzazione.

In secondo luogo, abbiamo costantemente sottolineato la diversità del mondo come prerequisito per la sua sostenibilità. Può sembrare paradossale, poiché una maggiore diversità complica la costruzione di una narrazione unitaria. Naturalmente, si presume che le norme universali aiutino in questo senso. Possono svolgere questo ruolo? È logico che questo sia un compito formidabile e complicato. In primo luogo, dobbiamo evitare uno scenario in cui il modello di un paese o di un segmento relativamente minuto dell'umanità sia presunto universale e imposto agli altri. In secondo luogo, è insostenibile adottare un codice convenzionale, sebbene democraticamente sviluppato, e dettarlo come una verità infallibile agli altri in perpetuo.

La comunità internazionale è un'entità viva, con la sua diversità di civiltà che la rende unica e presenta un valore intrinseco. Il diritto internazionale è un prodotto di accordi non solo tra paesi, ma tra nazioni, perché la coscienza giuridica è parte integrante di ogni cultura unica e di ogni civiltà. La crisi del diritto internazionale, che è oggetto di un ampio dibattito pubblico oggi, è, in un certo senso, una crisi di crescita.

L'ascesa di nazioni e culture che in precedenza sono rimaste ai margini della politica globale per un motivo o per un altro significa che le loro idee distinte di legge e giustizia stanno giocando un ruolo sempre più importante. Sono diverse. Ciò può dare l'impressione di discordia e forse cacofonia, ma questa è solo la fase iniziale. Sono profondamente convinto che l'unico nuovo sistema internazionale possibile sia uno che abbracci la polifonia, in cui molti toni e molti temi musicali siano suonati insieme per formare armonia. Se vuoi, ci stiamo muovendo verso un sistema mondiale che sarà polifonico piuttosto che policentrico, uno in cui tutte le voci sono ascoltate e, cosa più importante, devono assolutamente essere ascoltate. Coloro che sono abituati a fare assoli e vogliono mantenerlo così dovranno abituarsi alle nuove "partiture" ora.

Ho menzionato il diritto internazionale del dopoguerra? Questo diritto internazionale si basa sulla Carta delle Nazioni Unite, che è stata scritta dai paesi vittoriosi. Ma il mondo sta cambiando, con nuovi centri di potere emergenti e potenti economie in crescita e in prima linea. Ciò richiede prevedibilmente anche un cambiamento nella regolamentazione legale. Naturalmente, questo deve essere fatto con attenzione, ma è inevitabile. Il diritto riflette la vita, non viceversa.

In terzo luogo, abbiamo detto più di una volta che il nuovo mondo può svilupparsi con successo solo attraverso la più ampia inclusione. L'esperienza degli ultimi due decenni ha chiaramente dimostrato a cosa porta l'usurpazione, quando qualcuno si arroga il diritto di parlare e agire per conto di altri.

Quei paesi che sono comunemente definiti grandi potenze sono giunti a credere di avere il diritto di dettare agli altri quali siano i loro interessi, in effetti, di definire gli interessi nazionali degli altri in base ai propri. Ciò non solo viola i principi di democrazia e giustizia, ma, cosa peggiore, ostacola una soluzione effettiva ai problemi in questione.

Continua.

Originariamente pubblicato su  en.kremlin.ru

21° incontro annuale del Valdai Discussion Club

04.11.2024 - 07.11.2024


venerdì 8 novembre 2024

I TEPPISTI ISRAELIANI AD AMSTERDAM


di Lorenzo Forlani


8 novembre 2024


Se gruppi di fasci di Casapound - anzi, mettiamo di fasci di Vox in gita in Italia - andassero in giro a strappare bandiere palestinesi dai balconi altrui, a picchiare tassisti arabi, a cantare cori razzisti e genocidiari (“non ci sono più bambini a Gaza”) in aree abitate da comunità straniere ed anche palestinesi, a insozzare collettivamente il minuto di silenzio per le vittime di Valencia dentro lo stadio, prima o poi qualcuno che li prende a schiaffi lo troverebbero. 


Moltissimi dei tifosi del Maccabi - parliamo di un migliaio - sono andati ad Amsterdam precipuamente per cercare rogna, in parte perché sono tifosi israeliani giunti in una città che sanno avere consistenti comunità arabofone ed in parte perché sono ultras, cioè chi tendenzialmente si fa trasferte così lunghe e impegnative. E se questi del Maccabi vi sembrano un filo suprematisti forse non avete visto quelli del Beitar Jerusalem. Non è che serva dire che se la cercassero, perché se glielo aveste chiesto in privato prima che partissero da Tel Aviv vi avrebbero detto proprio questo. Il fatto che siano tecnicamente ebrei, invece, sembra essere l’unica cosa che conta per taluni, anzi, a me sembra proprio l’elemento che ai loro occhi trasforma un migliaio di fanatici fascisti in vittime. 


Anni di titoli surreali sugli “scontri” tra palestinesi e forze armate israeliane, tra civili poco armati e forze speciali, tra carri armati e fucili, tra aerei e razzi, poi degli ultras le prendono con altri ultras giunti sul posto ad esplicitare il loro fascismo e guai a usare la parola “scontri”, ma no, scomodiamo ancora una volta i pogrom senza che ve ne sia alcun motivo. Persino il Times of Israel ha dato la notizia dei tifosi israeliani in giro per Amsterdam “taunting arabs” (schernendo gli arabi). Guardate i nostri quotidiani, invece.

PS. - sempre ai nostri media imbarazzanti: L’Ajax è una squadra dalla nota identità ebraica, con declinazioni multiculturali ma con precise radici ebraiche. Nessuno ha mai avuto problemi in quanto ebreo. Vergognatevi!!!



giovedì 7 novembre 2024

** ULTIMA NOTIZIA** - Palestina - Parere consultivo della Corte internazionale di giustizia

 

di Chantal Meloni 

(Professore associato di Diritto penale presso l'Università degli Studi di Milano ove è titolare del corso di International Criminal Law)

7/11/2024


"Messaggio per i cari giornalisti italiani a reti unificate: oggi, in uno storico parere consultivo, la Corte internazionale di giustizia, massimo organismo giudiziario dell'Onu, NON ha semplicemente detto che le colonie israeliane sono contrarie al diritto internazionale. Al contrario di quel che i vostri titoletti, relegati dopo notizie e gossip vario e irrilevante, sembrano suggerire, la Corte ha concluso che l'occupazione del territorio palestinese (Cisgiordania con Gerusalemme est e Gaza) è illegale e deve immediatamente cessare. Ha anche concluso che Israele discrimina i Palestinesi e viola l'art 3 della convenzione contro le discriminazioni razziali, che richiama l'apartheid. Ha anche concluso che Israele viola il diritto alla autodeterminazione del popolo palestinese, diritto inviolabile e senza eccezioni. Ha anche concluso che Israele annette illegalmente territorio palestinese in violazione del divieto di acquisizione di territori con l'uso della forza sancito dalla Carta Onu. Ha inoltre concluso che Israele sottrae illegalmente risorse naturali ai palestinesi, demolisce le case, trasferisce forzatamente la popolazione. Ha stabilito che la situazione di illegalità deve cessare rapidamente, le colonie devono essere smantellate, le terre restituite. Restituzioni, risarcimenti e compensazione spettano ai Palestinesi per i 57 (!) anni di occupazione illegale. Ha anche concluso che tutti gli Stati e le organizzazioni internazionali hanno il dovere di porre fine a questa situazione illegale e che spetta ora alla Assemblea Generale dell'Onu e al Consiglio di Sicurezza individuare le modalità per porre fine alla occupazione etc etc. E molti altri dettagli su cui avremo modo di tornare. Credo che la notizia meriterebbe di essere raccontata ai cittadini in tutto altro modo rispetto a quello che leggo. E meriterebbe la prima pagina, non trafiletti timidi e imbarazzati. Speriamo nei prossimi giorni..."


lunedì 4 novembre 2024

LA CRISI DELLA GLOBALIZZAZIONE E I BRICS+



                                  di Ratko Krsmanović

2 novembre, 2024


Oggi è certo che il globalismo come dottrina e l’unipolarismo come “nuovo ordine mondiale” non sono né la “fine della storia” né la “fine della geografia”. L' "Impero" vittorioso, dopo una breve fase trionfalistica ed espansionistica, si trovò di fronte a sfide difficilmente risolvibili: disunità interna dovuta a grossolane differenziazioni di classi sociali, vassalli disobbedienti, rafforzamento e associazione sempre più pronunciati dei viceré coloniali e dei "barbari" di ieri, crisi d'identità, relativizzazione della leadership e del carattere del mondo al di fuori dell' "Occidente collettivo", che si sta posizionando sempre più attraverso la sua influenza nelle colonie antiche e attuali, e anche dove l' "Impero" vittorioso ha instaurato per decenni regimi vassalli. Oltre alle manipolazioni dei media, alla doppiezza e all’abuso della tecnologia dell’informazione, oggi sono riconoscibili integrazioni dell’Occidente motivate dall’espansionismo e istituzioni basate su tali integrazioni.

Negli ultimi due secoli, l'Eurasia è stata l'arena principale della competizione geopolitica, dove, in un certo modo, l'unipolarismo assoluto è stato contrastato in modo inadeguato, disorganizzato e fondamentalmente senza successo, perché i creatori del progetto unipolare sono riusciti a mettere in imbarazzo persino gli alleati naturali. Invece della solidarietà e del sostegno attesi, ad esempio, per il popolo palestinese nelle condizioni di brutale aggressione israeliana, il mondo arabo era preoccupato per vari conflitti interetnici indotti dall'esterno e quindi è diventato una facile preda per i tutori e la Palestina una vittima dell'avidità e dell'aggressione israeliana. La scena della rivalità geopolitica postmoderna si è estesa all'intero continente dell'Afro-Eurasia e oltre. Perfino la popolazione latinoamericana, motivata dagli sforzi di liberazione di Bolivar, Castro, Chavez e altri liberatori, non ha accettato lo sfruttamento spietato delle proprie risorse da parte dei vincitori della guerra fredda. Il mondo che conosciamo è il risultato di un saccheggio a lungo termine grazie al quale, a partire dal XVI secolo, gli europei e in seguito gli americani hanno colonizzato e saccheggiato l'Africa, l'Asia e il Sud America. La ricchezza saccheggiata, e spesso il lavoro degli schiavi, hanno pagato l'ascesa dell'Occidente e del suo "eterno" capitalismo, l'imperialismo e la fondazione di moderni stati sovrani. Hanno creato organizzazioni internazionali per perpetuare la loro egemonia e aumentare il loro potere militare.

Si è così creata una situazione in cui un piccolo gruppo di paesi del G-7 (Germania, Canada, USA, Francia, Italia, Giappone, Regno Unito e Unione Europea) si sforza di dominare il mondo politicamente, economicamente e militarmente. Questo gruppo, che rappresenta meno del 10% della popolazione e consuma la maggior parte delle risorse del pianeta, crea un'impressione di eccezionalità e di diritto a tutti i tipi di interventismo, incluso quello militare, in tutto il mondo. Oggi prescrivono e impongono standard e strategie sotto forma di "raccomandazioni sulla democrazia", ​​"agende verdi", "sviluppo sostenibile", resistenza al "cambiamento climatico", fino a "raccomandazioni" sui metodi di cura, nutrizione, educazione familiare...

La crisi della globalizzazione che è culminata, tra le altre cose, nel conflitto tra Russia e alleanza NATO sotto forma di guerra "russo-ucraina", è stata causata dalla crisi di egemonia e dalle fantasie coloniali sotto forma di desiderio di controllo delle risorse naturali russe. Tale avidità non può essere mascherata da manipolazioni mediatiche e dal divieto di forme "inadatte" di informazione e comunicazione in un mondo tecnologicamente sviluppato in cui il 70% della popolazione mondiale ha accesso a Internet, quando le informazioni raggiungono ogni angolo del pianeta a una velocità inimmaginabile e diventano molte volte più accessibili, il che è anche collegato a possibili abusi.

I nuovi sviluppi nel mondo stanno lasciando alle spalle la globalizzazione che abbiamo imparato a conoscere dopo la caduta della "cortina di ferro" e l'istituzione dell'Occidente come unica superpotenza con l'alleanza NATO. È in corso una nuova fase storica con una struttura unipolare insostenibile. Era troppo audace o ingenuo credere alla tesi di Francis Fukuyama sulla "fine della storia", creata alla fine del secolo scorso, che è stata raggiunta dalla vittoria della democrazia liberale sui regimi totalitari non democratici, "sconfitti" dopo la Guerra Fredda. Quel concetto dell'analista e politologo americano Fukuyama è diventato un modello significativo di pensiero e applicazione pratica della filosofia del liberalismo, che è diventato dominante e generalmente accettato dopo il rovesciamento di forme di governo "non democratiche". L'obiettivo qui non è confutare un punto di vista teorico e filosofico, ma mi sembra appropriato per tali analisi della regolarità dello sviluppo sociale, indicare un metodo scientifico inevitabile, e qui trascurato, noto come materialismo storico e dialettico.

Contro il mondo privilegiato della "democrazia" sotto le bandiere della NATO, Washington e Bruxelles, si erge il futuro multilaterale dell'umanità. La maggior parte dell'umanità non è incline a occidentalizzarsi secondo gli schemi del tutore globale. Tale tendenza di resistenza a volte comporta alcune incognite e rischi, tra cui l'ascesa del nazionalismo e dell'estrema destra nel sistema internazionale delle relazioni. Il multilateralismo non è sinonimo di bipolarità o multipolarità, ma un ambiente che crea ulteriori opportunità per coloro che si trovano alla periferia o in fondo alla piramide dell'influenza sui processi globali.

La sfida di trovare risposte a domande complicate attivate dalla tutela unipolare del nuovo sistema mondiale ha riunito un certo numero di paesi con diversi sistemi politici e diverse affiliazioni ideologiche (capitaliste e marxiste) e religiose (confuciane, islamiche, ortodosse, cattoliche e indù), che hanno portato all'emergere dei BRICS, originariamente la Confederazione di Brasile, Russia, India, Cina e Repubblica del Sud Africa (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa).

Prima del vertice di ottobre a Kazan 2024, BRICS+, oltre ai suoi membri originari, comprende Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e Iran. Fino a questo incontro a Kazan, questa organizzazione rappresentava il 45% della popolazione mondiale, creava il 34% del PIL mondiale, aveva il 30% di terra arabile, produceva il 40% di grano, partecipava con il 50% della pesca mondiale, produceva il 50% del latte, possedeva il 49.687% delle riserve di gas, il 40% delle riserve di carbone, il 46% delle riserve di petrolio, forniva il 46% della produzione di petrolio e il 39% delle esportazioni di petrolio greggio, gestiva il 70% della produzione mondiale di uranio... Queste cifre aumenteranno esponenzialmente quando i trenta paesi che cercano di integrarsi in BRICS+ saranno accettati.

Non è superfluo ricordare ai portabandiera della globalizzazione neoliberista e della "fine della storia", che le rivoluzioni sono state create contro la strategia di schiavizzazione dell'umanità da parte di stati e alleanze di stati i cui motivi di avidità e rapina sotto ogni intervento, anche se mascherato da un'architettura di "sviluppo", iniziative di "investitori", varie "preoccupazioni" dell'Occidente premuroso, ecc. a partire dall'interventismo politico, di sicurezza a quello militare. Su tali fondamenta rivoluzionarie, sono state create risposte sotto forma di organizzazioni come il Movimento dei paesi non allineati, l'Organizzazione per l'unità africana (OUA), l'OPEC, il Mercosur, l'ASEAN e ora i BRICS+.

I BRICS, ovvero i BRICS+, sono una risposta naturale, una sorta di antitesi all'espansionismo globalista, alla violenza, alle minacce, alle guerre e alla distruzione spietata delle risorse naturali e delle vite umane del resto del mondo al di fuori dell' "Occidente collettivo".

Sul fronte finanziario, il G-7 ha imposto una valuta obbligatoria per gli scambi internazionali con la forza delle armi e la pressione diplomatica. Senza alcun supporto o appoggio, il dollaro con cui il paese emittente ha acquistato il mondo ha adempiuto a tutti i suoi obblighi mettendo in funzione macchine da stampa di proprietà di una società privata.

In alternativa, i BRICS+ stanno proponendo una valuta sostenuta al 40% in oro e risorse naturali e al 60% in un paniere di valute membro, chiamato 5-R per la sua composizione di real, rupie, rubli, renminbi e rand. Ciò significherebbe praticamente una de-dollarizzazione globale, la diluizione dell'effetto delle misure imposte unilateralmente e quindi l'inizio della fine del mondo unipolare.

Il G-7 ha dominato la finanza globale e ha imposto l'egemonia del dollaro attraverso sistemi di trasferimento come SWIFT, che hanno consentito il blocco dei pagamenti e del commercio da parte di paesi recalcitranti e quindi l'attuazione di misure unilaterali di coercizione, furto ed estorsione come strumenti di politica economica. Una questione speciale è il ruolo della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, che hanno promosso il debito pubblico impagabile, che oggi ammonta al 333% del PIL mondiale. A questo proposito, oltre alla moneta comune, BRICS+ propone un nuovo sistema internazionale di pagamenti e transazioni in valute digitali e locali, nonché la Banca di Sviluppo, creata nel 2015 per facilitare i pagamenti e gli investimenti dei paesi membri.

L'economia della civiltà moderna si basa ancora sull'energia proveniente dai combustibili fossili, che forniscono oltre l'80% del consumo energetico globale e che, secondo stime pertinenti, potrebbero scomparire in cinque decenni. Da più di un secolo è in corso una complessa lotta geopolitica, diplomatica e militare, il cui obiettivo primario è il controllo delle riserve di idrocarburi. Pertanto, non vengono risparmiate risorse per padroneggiare il controllo dei flussi energetici, per garantire regimi vassalli su quelle rotte e la possibilità di utilizzare l'alleanza NATO. Pertanto, oltre al Medio Oriente, il tentativo di coinvolgere l'Ucraina come "candidato" cooperativo per l'adesione all'UE e alla NATO, nonché gli sforzi per stabilire un regime vassallo in Georgia, sono diventati parte del progetto geopolitico. Attualmente, il G-7, che riunisce solo il 10% della popolazione mondiale, consuma molte volte più energia mondiale, mentre gli stessi centri condividono "raccomandazioni" e programmi sull'energia verde, sulla riduzione delle emissioni di gas, ecc. Questa asimmetria è ancora più ingiusta se si considera che la maggior parte delle riserve di idrocarburi si trova nel cosiddetto Terzo Mondo e che i dettami dell'austerità, delle "agende verdi" e del "cambiamento climatico" rappresentano il massimo del cinismo e della doppiezza.

La produzione massiva di cibo non è possibile oggi senza combustibili fossili. Il paese con le maggiori riserve di petrolio accertate è il Venezuela con 303.806 milioni di barili, seguito dall'Arabia Saudita con 260.000 milioni di barili. Gli USA, il più grande consumatore di idrocarburi al mondo, sono solo al decimo posto, con 47.053 milioni di barili. La Russia è all'ottavo posto, con 80 miliardi di barili, quasi il doppio degli Stati Uniti. L'enorme Cina è al 14° posto, con appena 25.000 milioni di barili. Il Brasile è al 15° posto, con 16.184 milioni di barili. La popolosa India è al 22° posto, con 2.625 milioni di barili, e il Sudafrica è all'83° posto, con 15 milioni di barili(*).

L' inglobamento del Venezuela, sommato a quello dell'Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti, rappresenterebbe i BRICS+ come un colosso energetico mondiale. E tuttavia, è un dettaglio interessante che il Brasile, in quanto fondatore dei BRICS, il cui presidente era assente dal vertice di Kazan a causa delle ferite riportate in una "caduta nella vasca da bagno", abbia posto il veto all'ingresso del Venezuela in questa nuova organizzazione. È a ragione che la Rete per la difesa dell'umanità ha messo in guardia sulla nocività di questa procedura da parte del Brasile ufficiale, sottolineando la possibile influenza dell'egemone globale nel tentativo di far inciampare e svalutare i BRICS. Questa decisione è calcolata per ritardare l'avanzamento del progetto e la resistenza dei popoli latinoamericani e caraibici con altre nazioni del Sud del mondo, per resistere alla politica neocoloniale dell'imperialismo americano ed europeo, così come ai rischi impliciti nella guerra e negli interventi impuniti dell'alleanza NATO.

Pertanto, il veto del Brasile contro il Venezuela indica una fragilità allarmante di fronte ai meccanismi di pressione degli Stati Uniti e dei suoi partner. Anche il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, nonostante l'invito del presidente Putin, per la maggior parte degli anti-imperialisti e degli euroscettici, non ha fornito una spiegazione valida per la sua assenza al vertice di Kazan.

Il veto contro il Venezuela indica che il governo brasiliano non solo sta cedendo alle pressioni di Washington, ma sta anche mostrando la sua deviazione dalla piattaforma originale di riunire i poteri fondatori dei BRICS in relazione al Venezuela, il che in ultima analisi indica l'importanza di questa organizzazione e l'intolleranza verso qualsiasi risposta alla conservazione dello status di egemone globale.

Nel mondo odierno non c'è indipendenza o risorse senza armi per difenderle. BRICS+ non è un'alleanza militare, sebbene alcuni dei suoi membri, come la Federazione Russa, la Cina e l'Iran, abbiano potenzialità di difesa per scoraggiare il G-7 e la NATO dall'usare mezzi violenti per ottenere uno status neocoloniale e sfruttatore. BRICS+ mira ad aumentare la sua influenza nelle organizzazioni internazionali, tra cui il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il che è contraddetto dalla suddetta azione del Brasile.

BRICS+ è un'alleanza economica e politica. Dei suoi membri, solo la Cina ha un ordinamento socialista. In tali circostanze, questa nazione potente e laboriosa è riuscita ad acquisire lo status di grande potenza con una velocità inimmaginabile. Impedendo la logica usuraia su cui si fonda il capitalismo moderno, i BRICS+ potrebbero mettere questa iniziativa di integrazione su basi anticoloniali e anti-imperialiste al servizio del benessere umano generale, contro la spietata macchina del furto brutale e dello sfruttamento delle risorse naturali e del lavoro umano.

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Tradotto dal serbo da Olga Handjal




martedì 29 ottobre 2024


ISRAELE È CRIMINALE, STIA FUORI DALL’ONU 


Di Pino Arlacchi

(Ex vicesegetario dell'ONU)


La misura è colma. Lo Stato di Israele non può più stare nelle Nazioni Unite. È diventato uno Stato fuorilegge che infrange uno dopo l’altro i capisaldi del diritto internazionale e che fa sfoggio della propria impunità potendo contare sulla protezione politica e sul sostegno militare senza limiti degli Stati Uniti.

Se così non fosse, Netanyahu non avrebbe mai osato insultare l’onu, in piena Assemblea Generale, definendola “una palude di bile antisemita”, e non avrebbe fatto uccidere, durante il solo 2023, 230 dipendenti dell’unrwa nel corso di bombardamenti, incendi e assalti a scuole, depositi di viveri, convogli di aiuti umanitari marcati Onu. L’unrwa è l’agenzia creata nel 1949 dall’assemblea Generale per assistere i rifugiati palestinesi creati dalla “Nabka”, la catastrofe del 1948 che vide 700 mila palestinesi cacciati con la violenza dalle loro case e dalla loro terra dalla milizia sionista che divenne l’esercito di Israele. Tutto ciò facendosi beffa dei piani di insediamento stabiliti dall’onu, e inaugurando una lunga serie di crimini e di illegalità che arriva fino ai nostri giorni. E che sta alla radice della fondazione dello Stato di Israele nonché di Al Fatah, Hamas, Hezbollah e simili.

Accanto all’unrwa, la seconda maggiore vittima dell’ostilità israeliana verso le Nazioni Unite è l’unifil, una missione composta da 50 paesi, creata nel 1978 dal Consiglio di Sicurezza per promuovere la pace in Libano. L’unifil ha pagato finora con 337 vite umane l’attuazione del suo mandato. Non tutte le sue perdite sono dovute ad attacchi israeliani, ma è proprio in queste settimane che è esplosa tutta l’insofferenza di Tel Aviv contro possibili testimoni di atrocità pianificate e sul punto di essere attuate.


Dal 1948 fino a oggi, sono oltre 24 le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che criticano o condannano l’occupazione illegale di territori e le crudeltà di Israele contro i palestinesi. Alcune di queste risoluzioni sono diventate famose per essere richiamate di frequente durante le crisi scatenate da Israele.

La risoluzione 242 del 1967 stabilisce il ritiro di Israele dai territori occupati dopo la Guerra dei Sei giorni allo scopo di favorire una pace duratura nel Medio Oriente. Le risoluzioni 446 del 1979, 904 del 1994, 1073 del 1996 e 1394 del 2002 si uniscono alle 155 risoluzioni approvate dall’assemblea generale dal 2015 a oggi e che riguardano i tre interventi militari in Libano precedenti quello in corso, gli insediamenti illeciti in Cisgiordania, il ritiro da territori occupati, le stragi e le deportazioni di civili palestinesi.

Queste deliberazioni della maggioranza globale sono altrettante tappe del solco che si è scavato tra i governi di Israele da un lato, e le Nazioni Unite e il resto del mondo dall’altro. I 41 mila morti di Gaza, i 100 mila feriti, i milioni di sfollati del Libano e di Gaza, i ripetuti attacchi all’iran, allo Yemen e alla Siria, gli assassini mirati di singole personalità straniere avvenuti nel corso dell’ultimo anno non sono giustificabili in alcun modo. Non sono eccessi di legittima difesa causati dal massacro di 1200 civili israeliani.

Ci troviamo di fronte a uno Stato membro dell’onu colpito da un processo degenerativo. Diventato un aggressore seriale che non riesce ad astenersi dal commettere crimini contro l’umanità, crimini di guerra, tentati genocidi e stragi a ripetizione per poi fare la parte della vittima e rifugiarsi dietro lo scudo degli Stati Uniti.


Nessuno Stato membro è mai stato espulso dalle Nazioni Unite. Tuttavia, l’organizzazione ci è andata molto vicino, nel 1974, nel caso del Sudafrica, un caso che presenta evidenti analogie con quello odierno di Israele. Il dibattito all’onu sull’espulsione del Sudafrica non fu scatenato solo dalla crescente avversione internazionale nei confronti dell’apartheid, ma anche dalla continua occupazione Sudafricana della Namibia, definita illegale dalla Corte internazionale di giustizia, come nel caso dell’attuale occupazione israeliana del Libano e della Cisgiordania.

Tutto iniziò nel 1969, con la risoluzione 269, in cui si affermava che, qualora il Sudafrica non si fosse ritirato dalla Namibia, il Consiglio di Sicurezza si sarebbe “riunito immediatamente per stabilire le misure efficaci” da adottare.

Fu sollevato il tema dell’applicazione dell’articolo 6 della Carta delle Nazioni Unite, che riguarda la procedura di espulsione di uno stato membro, da votare in Assemblea Generale su proposta del Consiglio di Sicurezza.

Il Sudafrica non fu espulso dall’onu solo perché tre su cinque membri del Consiglio di Sicurezza – Usa, Francia e Regno Unito – posero il veto sulla proposta. Si trattava pur sempre di un bastione anticomunista da proteggere. Ma l’assemblea Generale aggirò l’ostacolo nel 1974 rifiutandosi di accettare, a stragrande maggioranza, le credenziali della delegazione sudafricana. Il Sudafrica restò così escluso dalla partecipazione all’assemblea Generale per ben venti anni, fino al 1994, rientrandovi solo dopo la fine dell’apartheid.

La situazione attuale di Israele è molto più grave di quella Sudafricana degli anni 70. In entrambi i casi siamo di fronte a regimi rogue, “delinquenti”, ai margini della comunità internazionale. Ma lo Stato razzista bianco – posto di fronte agli attentati commessi dall’ala terroristica del movimento di liberazione guidata dal giovane Mandela e alle enormi manifestazioni di piazza – non tentò il genocidio o la deportazione della popolazione nera. Gli anni della transizione alla democrazia, perciò, costarono ai neri sudafricani “solo” 14 mila morti. Negli ultimi decenni della sua vita, il regime di Joannesburg non mosse guerra né all’onu né alle missioni Onu. Il suo tramonto è avvenuto con un accordo tra le parti e con la promessa di una futura riconciliazione.

Mandare via Israele dall’onu è una misura drastica, ma necessaria. Occorre rompere la bolla di isteria e onnipotenza dentro cui vive un regime di psicopatici che non si rendono conto di essere in guerra non contro i palestinesi e il Medio Oriente, ma contro il mondo intero. Lo choc può essere salutare anche per il suo protettore, una superpotenza in declino tentata di andare nella stessa pericolosa direzione.


Pino Arlacchi*, 

*già Vicesegretario Generale dell’ONU.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

sabato 26 ottobre 2024

ISRAELE UCCIDE IL FIGLIO DI UN MEDICO CHE RIFIUTAVA DI ABBANDONARE I PAZIENTI


UN ESEMPIO INEGUAGLIABILE DELLA NATURA CRIMINALE DEGLI EBREI SIONISTI


- Il direttore dell'ospedale Kamal Adwan, il dott. Hussam Abu Safiya, soccombe al dolore e scoppia a piangere (1° video) mentre prega sul cadavere del figlio Ibrahim (nella foto), mentre l'IDF si vendica di lui, uccidendo il figlio per il coraggioso rifiuto del padre di sottomettersi agli ordini dell'occupazione di stare zitto e lasciare i suoi pazienti in balia dei selvaggi dell'IDF.

Le truppe israeliane alla fine hanno costretto il dott. Hussam a evacuare dopo ripetute minacce, assediando l'ospedale per quasi 2 giorni, durante i quali hanno scatenato il caos, sequestrando personale e pazienti, distruggendo letti e attrezzature mediche (3°) e uccidendo civili prima di ritirarsi.

Un giornalista palestinese riferisce che più di 40 civili sono stati lasciati morire dissanguati per diverse ore a Kamal Adwan, mentre l'IDF infligge innumerevoli massacri ai civili della condannata parte settentrionale di Gaza.