venerdì 26 settembre 2014

La guerra al terrorismo è terrorismo



La guerra al terrorismo è terrorismo

Come gli Stati Uniti hanno contribuito 
a creare Al Qaeda e ISIS

di Garikai Chengu * 

counterpunch.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

19/09/2014

Proprio come Al Qaeda, lo Stato islamico (ISIS) è "made-in-the-USA", fabbricato negli Stati Uniti, uno strumento di terrore per dividere e conquistare il Medio Oriente ricco di giacimenti petroliferi e per contrastare la crescente influenza dell'Iran nella regione.

Il fatto che gli Stati Uniti abbiano una lunga e torbida storia di supporto e sostegno ai gruppi terroristici può sorprendere solo quelli che guardano la cronaca e ignorano la storia.

La CIA si alleò con l'Islam estremista già durante la Guerra fredda. Allora, l'America vedeva il mondo in termini piuttosto semplici: da un lato, l'Unione Sovietica e il nazionalismo del Terzo mondo, che l'America ha sempre considerato come uno strumento sovietico; dall'altro lato, le nazioni occidentali e l'Islam politico militante, che l'America considerò come alleato nella lotta contro l'Unione Sovietica.

Il direttore della National Security Agency sotto Ronald Reagan, il generale William Odom ha recentemente osservato, "In ogni caso, gli Stati Uniti hanno a lungo utilizzato il terrorismo. Nel 1978-1979 il Senato stava cercando di approvare una legge contro il terrorismo internazionale e i giuristi si spinsero a dire che tutte le versioni della legge proposte per la deliberazione, avrebbero comunque visto gli Stati Uniti come trasgressori".

Durante gli anni settanta la CIA utilizzò i Fratelli Musulmani in Egitto come una barriera, sia per contrastare l'espansione sovietica e sia per prevenire la diffusione dell'ideologia marxista tra le masse arabe. Gli Stati Uniti hanno anche apertamente sostenuto Sarekat Islam contro Sukarno in Indonesia, e hanno supportato il gruppo terroristico Jamaat-e-Islami contro Zulfiqar Ali Bhutto in Pakistan. Da ultimo, ma certamente non meno importante, c'è Al Qaeda.

Non bisogna dimenticare che la CIA diede vita a Osama Bin Laden e alla sua organizzazione allattandoli al seno nel corso degli anni 1980. L'ex ministro degli Esteri britannico, Robin Cook, disse alla Camera dei Comuni che Al Qaeda fu senza dubbio un prodotto delle agenzie di "intelligence" occidentali. Il signor Cook ha spiegato che "Al Qaeda", che letteralmente è l'abbreviazione di "il database" in arabo, era in origine la banca dati informatica delle migliaia di estremisti islamici addestrati dalla CIA e finanziati dai sauditi, al fine di sconfiggere i russi in Afghanistan.

Il rapporto dell'America con Al Qaeda è sempre stata una storia d'amore-odio. A seconda che un particolare gruppo terroristico di Al Qaeda in una data regione possa assecondare gli interessi americani o no, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti o lo supporta oppure ne fa il suo bersaglio. Anche se i responsabili della politica estera americana affermano di opporsi all'estremismo islamico, lo hanno scientemente fomentano come arma di politica estera.

Lo "Stato islamico" è la sua ultima arma che, proprio come Al Qaeda, gli si sta certamente ritorcendo contro. L'ISIS è recentemente salito sulla ribalta internazionale dopo che i suoi teppisti hanno cominciato a decapitare giornalisti americani. Ora tale gruppo terroristico è in grado di controllare un'area delle dimensioni del Regno Unito.

Per capire il motivo per cui lo Stato islamico sia cresciuto e si sia sviluppato così rapidamente, si deve dare un'occhiata alle radici della sua organizzazione, foraggiata dagli USA. L'invasione e l'occupazione dell'Iraq del 2003 da parte degli Stati Uniti, creò le pre-condizioni in base alle quali i gruppi sunniti più radicali potessero metter radici. Gli USA, piuttosto imprudentemente, distrussero l'apparato statale laico di Saddam Hussein e lo sostituirono con una amministrazione a maggioranza sciita. L'occupazione americana finì per creare grande disoccupazione nelle zone sunnite, respingendo il socialismo e chiudendo le fabbriche nella speranza ingenua che la mano magica del libero mercato potesse creare posti di lavoro. Sotto il regime sciita sostenuto dagli Stati Uniti, la classe operaia composta dai sunniti perse centinaia di migliaia di posti di lavoro. A differenza degli afrikaner bianchi in Sudafrica, ai quali fu permesso di conservare la loro ricchezza dopo il cambio di regime, i sunniti appartenenti alle classi superiori e proprietarie furono sistematicamente espropriati dei loro beni e persero la loro influenza politica. Invece di promuovere l'integrazione religiosa e l'unità, la politica americana in Iraq ha esacerbato le divisioni settarie e ha creato un terreno fertile per la crescita del malcontento sunnita, malcontento che fece mettere ad Al Qaeda le radici in Iraq.

Lo Stato islamico dell'Iraq e della Siria (ISIS) era solito avere un altro nome: Al Qaeda in Iraq. Dopo il 2010 il gruppo ha cambiato la propria denominazione ed ha reindirizzato la sua attività sulla Siria.

Tre guerre sono attualmente combattute in Siria: quella tra il governo ed i ribelli, un'altra tra Iran e Arabia Saudita, ed un altra ancora tra USA e Russia. E' questa terza battaglia della nuova Guerra fredda che ha condotto la politica estera degli Stati Uniti a correre il rischio di armare i ribelli islamici in Siria, perché il presidente siriano, Bashar al-Assad, è un'alleato chiave della Russia. Con un risvolto piuttosto imbarazzante, molti di questi ribelli siriani si sono ora rivelati essere teppisti dell'ISIS, i quali apertamente combattono imbracciando gli M16 fabbricati e forniti dagli USA.

La politica americana nel Medio Oriente ruota attorno al petrolio ed a Israele. L'invasione dell'Iraq ha parzialmente soddisfatto la sete di petrolio di Washington, ma gli attacchi aerei in corso in Siria e le sanzioni economiche contro l'Iran hanno molto a che fare con Israele. L'obiettivo è quello di privare i vicini nemici di Israele, Hezbollah in Libano ed i palestinesi di Hamas, del cruciale supporto siriano ed iraniano.

L'ISIS non è soltanto uno strumento di terrore utilizzato dagli americani per rovesciare il governo siriano; viene anche utilizzato per fare pressione sull'Iran.

L'ultima volta che l'Iran ha invaso un'altra nazione fu nel 1738. Fin dalla conquista dell'indipendenza dalla madrepatria inglese, sin dal 1776, gli Stati Uniti sono stati impegnati in oltre 53 spedizioni ed invasioni militari. A differenza di quello che le grida bellicose dei media occidentali vorrebbero far credere, l'Iran non è chiaramente una minaccia per la sicurezza regionale, Washington lo è. Una relazione informativa pubblicata nel 2012 ed approvata da tutte le sedici agenzie di intelligence degli Stati Uniti ha confermato che l'Iran ha chiuso il suo programma di armamento nucleare nel 2003. In verità, qualsiasi ambizione nucleare iraniana, reale o immaginaria, è il risultato dell'ostilità americana verso l'Iran, e non il contrario.

L'America sta usando ISIS in tre modi: per attaccare i suoi nemici in Medio Oriente, per creare un pretesto all'intervento militare USA all'estero, e internamente per fomentare un'artefatta paura di una minaccia alla sicurezza nazionale, utilizzata per giustificare l'espansione senza precedenti della sorveglianza invasiva sui cittadini.

Espandendo da un lato la secretazione degli atti di governo e dall'altro la sorveglianza, il governo di Obama sta aumentando il proprio potere di sorvegliare e spiare i propri cittadini, mentre sta riducendo il potere dei medesimi cittadini di sorvegliare e controllare il governo. Il terrorismo è una scusa per giustificare la sorveglianza di massa, per prevenire rivolte di massa.

La cosiddetta "guerra al terrorismo" deve essere vista per quello che è realmente: un pretesto per il mantenimento di una macchina militare pericolosamente sovradimensionata. I due gruppi di interessi più potenti ed influenti sulla politica estera degli Stati Uniti sono la lobby israeliana, che dirige la politica americana in Medio Oriente, e il complesso militare-industriale, che beneficia in termini di profitto delle azioni del primo gruppo. Da quando George W. Bush dichiarò la "Guerra al Terrore" nell'ottobre 2001, questa è costata al contribuente americano circa 6,6 trilioni [6.600 miliardi] di dollari e migliaia di figli e figlie caduti; ma, nello stesso tempo, le guerre hanno reso miliardi di dollari per le élite militari di Washington.

In realtà, più di settanta aziende e investitori privati americani hanno vinto appalti e commesse di lavoro per 27 miliardi di dollari dal periodo del dopoguerra in Iraq e in Afghanistan sino agli ultimi tre anni, ciò secondo un recente studio del "Center for The Public Integrity" [Centro per la Probità Pubblica, n.d.t.] (1). Secondo lo studio, quasi il 75 per cento di queste aziende private ha avuto dipendenti o membri del consiglio, che hanno prestato servizio o hanno avuto stretti legami con il ramo esecutivo delle amministrazioni repubblicane e democratiche, con i membri del Congresso o i più alti livelli del settore militare.

Una relazione del 1997 redatta Ministero della Difesa degli Stati Uniti ha affermato che, "i dati mostrano una forte correlazione tra il coinvolgimento degli Stati Uniti all'estero e l'aumento degli attacchi terroristici contro gli Stati Uniti". La verità è che l'unico modo in cui l'America può vincere la "guerra al terrorismo" è quella di smettere di dare ai terroristi la motivazione e le risorse per attaccare l'America. Il terrorismo è il sintomo; l'imperialismo americano in Medio Oriente è il cancro. In parole povere, la Guerra al Terrore è terrorismo; solo che è condotto su una scala molto più ampia da parte di uomini che utilizzano aviogetti militari e missili.

(*) Garikai Chengu è ricercatore presso l'Università di Harvard.

Nota

1. "The Center for The Public Integrity" è un'associazione senza scopo di lucro fondata nel 1989 da Charles Lewis: si propone come obiettivo quello di investigare su corruzione, abusi di potere e malversazioni del patrimonio e del denaro pubblico tramite gli strumenti del giornalismo investigativo, senza legami con alcuna forza politica
 

mercoledì 10 settembre 2014

SARA ROY CONTRO ELIE WIESEL



Negare ai palestinesi la loro umanità 
(Una risposta a Elie Wiesel)


di SARA ROY


Signor Wiesel,

Ho letto la sua dichiarazione sui palestinesi, che è apparsa in The New York Times il 4 agosto. Non posso evitare di pensare che il Suo attacco contro Hamas e le sbalorditive accuse di sacrificio di bambini sono davvero un attacco, accuratamente velato ma inconfondibile, contro tutti i palestinesi, i loro bambini compresi. Come figlia di sopravvissuti all'Olocausto, entrambi i miei genitori sono sopravvissuti ad Auschwitz, io sono inorridita dalla Sua posizione anti-palestinese, che  Lei ha da lunga data. Ho sempre voluto chiederLe, perché? Quale crimine hanno commesso palestinesi ai Suoi occhi? Esponendo Israele come occupante e se stessi come vittime quasi inermi? Resistere per quasi mezzo secolo di oppressione imposta dagli ebrei e attraverso tale resistenza costringerci come popolo ad affrontare la nostra innocenza perduta (a cui Lei così tenacemente si aggrappa)?

Diversamente da Lei, signor Wiesel, ho trascorso una grande quantità di tempo a Gaza tra i palestinesi. In quel momento, ho visto molte cose terribili e devo confessare che cerco di non ricordarle a causa dell'agonia che esse continuano a infliggere. Ho visto i soldati israeliani sparare sulla folla di bambini che stavano facendo niente di più che schernirli, alcuni con pietre, alcuni solo con  parole. Ho assistito a troppi orrori, più di quanto voglia descrivere. Ma devo dirLe che le peggiori cose che ho visto, quei ricordi che continuano a perseguitarmi, che non possono essere mai dimenticati, non sono atti di violenza, ma atti di disumanizzazione.

C'è una storia che voglio raccontarLe, signor Wiesel, perché l’ho portata dentro di me per molti anni e ne ho scritto solo una volta molto tempo fa. Ero in un campo profughi a Gaza, quando un'unità dell'esercito israeliano a piedi di pattuglia incontrarono un bambino piccolo appollaiato sulla sabbia seduto appena fuori la porta della sua casa. Alcuni soldati si avvicinarono al bambino e lo circondarono. In piedi , uno vicino all’altro, i soldati cominciarono a passarsi il bambino tra di loro con i piedi, imitando una palla in una partita di calcio. Il bambino cominciò a gridare istericamente e la madre si precipitò fuori urlante, cercando disperatamente di liberare il proprio bambino dalle gambe e i piedi dei soldati. Dopo pochi secondi di "gioco", i soldati si fermarono e si allontanarono, lasciando il bambino terrorizzato a sua madre sconvolta.

Ora so cosa Lei deve pensare: questo è stato l'atto di pochi uomini fuorviati. Ma io non sono d'accordo perché ho visto così tanti atti di disumanizzazione da quel momento, tra i quali ora devo includere il Suo. Signor Wiesel, come si può difendere il massacro di oltre 500 bambini innocenti, sostenendo che Hamas li usa come scudi umani? Diciamo per amor di discussione che Hamas fa uso di bambini in questo modo; se fa questo allora Lei giustifica o rivendicare il loro assassinio davanti ai Suoi occhi? Come può un essere umano etico fare un ragionamento così grottesco? In tal modo, signor Wiesel, non vedo alcuna differenza tra Lei e i soldati israeliani che hanno usato il bambino come un pallone da calcio. Il Suo modo può essere diverso dal loro, forse Lei non tratterebbe mai un bambino palestinese come un oggetto inanimato, ma l'effetto delle Sue parole è lo stesso: disumanizzare e oggettivare i palestinesi al punto in cui la morte di bambini arabi, alcuni assassinati dentro le loro case, non La colpisce per nulla. Tutto quello che importa veramente è che gli ebrei non siano accusati per il massacro selvaggio dei bambini.

Nonostante la Sua eloquenza, è chiaro che Lei crede che solo gli ebrei siano capaci di amare e di proteggere i loro figli e in possesso di una umanità che i palestinesi non hanno. Se è così, signor Wiesel, come Lei spiega la soddisfazione pubblicamente ostentata tra molti israeliani sul massacro di Gaza, alcuni radunati come se fossero ad una festa, per vedere da vicino i bombardamenti, guardando la distruzione di innocenti, divertiti dalla devastazione? Sono questi israeliani diversi da quelle persone che stavano fuori dalle mura dei ghetti ebraici in Polonia a guardare i ghetti bruciare o ascoltare con indifferenza gli spari e le urla di altri innocenti all'interno, tra i quali i membri della mia famiglia e forse i Suoi, mentre erano cacciati e sterminati?

Lei ci vede come desidera che noi siamo e non come molti di noi in realtà siamo. Non siamo tutti insensibili alla sofferenza che infliggiamo, assuefatti  alla crudeltà con facilità e tranquillità. E grazie a Lei, signor Wiesel, a causa delle Sue parole, che negano  ai palestinesi la loro umanità e li privano del loro stato di vittime, troppi possono intendere la nostra mancanza di misericordia, come se si trattasse di qualcosa di nobile, che non lo è. Piuttosto, è qualcosa di mostruoso.
(La traduzione è mia)

Sara Roy è uno studiosa ricercatrice presso il Centro di Studi sul Medio Oriente dell'Università di Harvard.

giovedì 4 settembre 2014

LA FABBRICA DEL SOGGETTO NEOLIBERISTA



Libri consigliati

 2014 10:25

LA FABBRICA DEL SOGGETTO NEOLIBERISTA





di Pierre Dardot e Christian Laval

Dal capitolo XIII del libro "La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista" di Pierre Dardot e Christian Laval:
La concezione che vede nella società un'impresa costituita di imprese non può non generare una nuova norma soggettiva, che non corrisponde più esattamente a quella del soggetto produttivo delle società industriali. Il soggetto neoliberista in via di formazione - di cui vorremmo ora tratteggiare alcune delle caratteristiche principali - è in relazione con un dispositivo di prestazione e godimento che è l'oggetto di numerose ricerche. Non mancano oggi le descrizioni dell'uomo «ipermoderno», «incerto», «flessibile», «precario», «senza gravità». Queste ricerche preziose, e spesso convergenti, all'incrocio tra psicanalisi e sociologia, rendono conto di una nuova condizione dell'uomo, che si rifletterebbe secondo alcuni fino all'economia psichica stessa.
Da una parte numerosi psicanalisti dichiarano di avere in cura pazienti affetti da sintomi che testimoniano di una nuova era del soggetto. Il nuovo stato soggettivo è spesso rapportato nella letteratura clinica a categorie vaste come l'«era della scienza» o il «discorso capitalista». Il fatto che una prospettiva storica si sostituisca a una strutturale non stupirà i lettori di Lacan, per il quale il soggetto della psicanalisi non è una sostanza eterna né una costante trans-storica, ma l'effetto di discorsi inscritti nella storia e nella società [1].
Dall'altra, in campo sociologico, la trasformazione dell'«individuo» è un fatto innegabile. Ciò che viene designato il più delle volte con il termine ambiguo di «individualismo» fa riferimento talvolta a mutazioni morfologiche, nella tradizione di Durkheim, talvolta all'espansione dei rapporti mercificati, nella tradizione marxista, tal volta ancora all'estensione della razionalizzazione a tutti i campi dell'esistenza, secondo un filo più weberiano.
Psicanalisi e sociologia registrano dunque ciascuna a suo modo una mutazione del discorso sull'uomo che può essere rapportata, come in Lacan, da un lato alla scienza e dall'altro al capitalismo: è proprio un discorso scientifico che dal XVII secolo comincia a enunciare cosa sia l'uomo e cosa debba fare ed è proprio per fare dell'uomo quell'animale produttivo e consumatore, quell'essere di fatiche e bisogni, che un nuovo discorso scientifico ha cercato di ridefinire il metro umano. Ma tale quadro assai generale è ancora insufficiente per spiegare come una nuova logica normativa abbia potuto imporsi nelle società occidentali. In particolare, non mette a fuoco le inflessioni che la storia del soggetto occidentale ha potuto subire negli ultimi tre secoli, e meno ancora le trasformazioni in corso che possono essere messe in relazione con la razionalità neoliberista.
Il nuovo soggetto, se di nuovo soggetto si tratta, deve essere colto nelle pratiche discorsive e istituzionali che alla fine del XX secolo hanno prodotto la figura dell'uomo-impresa, o «soggetto imprenditoriale», favorendo l'imposizione di una fitta trama di sanzioni, incentivi e coinvolgimenti che generano comportamenti psichici di un tipo nuovo.
Portare a compimento l'obiettivo di riorganizzare da cima a fondo la società, le imprese e le istituzioni tramite la moltiplicazione e l'intensificazione dei meccanismi, delle relazioni e dei comportamenti di mercato, tutto questo non può non implicare una trasformazione dei soggetti. L'uomo benthamiano era l'uomo calcolatore del mercato e l'uomo produttivo delle organizzazioni industriali. L'uomo del neoliberismo è competitivo, completamente immerso nella competizione mondiale. Di questa trasformazione si è parlato continuamente nelle pagine precedenti. Si tratta ora di descriverne più sistematicamente le forme molteplici.

Il soggetto plurale e la separazione delle sfere
Da dove cominciare? Per molto tempo, il soggetto occidentale che chiamiamo «moderno» è stato sottoposto a regimi normativi e registri politici insieme eterogenei e conflittuali gli uni rispetto agli altri: la sfera del costume e della religione delle società del passato, la sfera della sovranità politica, la sfera degli scambi commerciali. Il soggetto occidentale viveva dunque in tre spazi diversi: quello delle occupazioni e delle credenze di una società ancora rurale e cristianizzata, quello degli Stati nazionali e della comunità politica, quello del mercato monetario del lavoro e della produzione.
Tale ripartizione è stata fluida sin dall'inizio, e la posta in gioco dei rapporti di forza e delle strategie politiche consisteva proprio nel fissarne o modificarne le frontiere. Le grandi lotte che riguardavano la natura stessa del regime politico ne danno un'espressione curiosamente condensata. Più importanti, ma più difficili da afferrare, sono le progressive modificazioni dei rapporti umani, le trasformazioni delle pratiche quotidiane indotte dalla nuova economia, gli effetti soggettivi delle nuove relazioni sociali nello spazio commerciale e delle nuove relazioni politiche nello spazio della sovranità.
Ledemocrazie liberali sono state sistemi dalle tensioni molteplici e dalle spinte divergenti. Senza entrare in considerazioni che oltrepassano i nostri scopi, possiamo descriverle come regimi che permettevano e rispettavano entro certi limiti un funzionamento eterogeneo del soggetto, ovvero assicuravano al contempo la separazione e l'interconnessione delle diverse sfere della vita. Tale eterogeneità si manifestava nella relativa indipendenza delle istituzioni, delle regole, delle norme morali, religiose, politiche, economiche, estetiche e intellettuali. Ciò non significa che le caratteristiche di equilibrio e «tolleranza»esauriscano la natura del movimento che le ha animate. Due grandi spinte parallele sono coesistite: la democrazia politica e il capitalismo.
Allora l'uomo moderno si è sdoppiato: il cittadino con i suoi diritti inalienabili e l'uomo economico guidato dall'interesse, l'uomo come fine e l'uomo come mezzo. La storia di questa «modernità» ha consacrato uno squilibrio verso il secondo polo. Se si volesse privilegiare lo sviluppo, anche se contrastato, della democrazia, come fanno certi autori [2], si perderebbe di vista l'asse principale che, ciascuno a suo modo, Marx, Weber e Polanyi hanno messo in evidenza: lo spiegamento di una logica generale dei rapporti umani sottomessi alla regola del profitto massimale.
Non tralasceremo a questo punto tutte le modificazioni generate nel soggetto proprio a partire dallo stesso rapporto mercificato.Marx, insieme ad altri ma forse meglio di altri, ha evidenziato gli effetti dissolutivi del mercato sui legami umani. Con l'urbanizzazione, la mercificazione dei rapporti sociali è stata uno dei fattori più potenti dell'emancipazione dell'individuo dalle tradizioni, le radici, l'attaccamento familiare e le personali fedeltà.
La grandezza di Marx è stata mostrare che tale libertà soggettiva veniva al prezzo di una nuova forma di assoggettamento alle leggi impersonali e incontrollabili della valorizzazione del capitale. L'individuo liberale poteva sì, come il soggetto di Locke proprietario di se stesso, credere di godere di tutte le sue facoltà naturali, dell'esercizio libero della ragione e della volontà, poteva sì proclamare al mondo la sua irriducibile autonomia: restava pur sempre un ingranaggio dei grandi meccanismi che l'economia classica aveva cominciato ad analizzare.
Questa mercificazione espansiva ha assunto nei rapporti umani la forma generale della contrattualizzazione. I contratti volontari impegnano persone libere: contratti pur sempre garantiti dagli organismi sovrani si sono così sostituiti alle forme istituzionali dell'alleanza e della filiazione e, più in generale, alle vecchie forme della reciprocità simbolica. Il contratto è divenuto più che mai il suggello di tutte le relazioni umane. Di modo che l'individuo ha sempre più sperimentato nel suo rapporto con gli altri la propria piena e intera libertà di impegno volontario, percependo la società come un insieme di rapporti associativi tra persone dotate di diritti sacrosanti. È questo il nocciolo di quello che chiamiamo «individualismo» moderno.
Si trattava, come spiega Durkheim, di una bizzarra illusione, dal momento che nel contratto c'è sempre qualcosa di più che il semplice contratto: senza lo Stato come garante, non esisterebbe alcuna libertà personale. Ma si può anche aggiungere, con Foucault, che dietro il contratto c'è sempre qualcosa di diverso dal contratto, o ancora che dietro la libertà soggettiva c'è sempre qualcosa di diverso dalla libertà soggettiva. È una concatenazione di processi di normalizzazione e di tecniche disciplinari che costituiscono quello che potremmo chiamaredispositivo d'efficienza.
I soggetti non si sarebbero mai «convertiti» spontaneamente alla società industriale e commerciale con la sola propaganda del libero scambio, né con le sole attrattive dell'arricchimento personale. Si saranno dovuti ideare e applicare, «tramite una strategia senza stratega», i modelli dieducazione dello spirito, di controllo del corpo, di organizzazione del lavoro, di abitazione, di riposo e di svago che erano la forma istituzionale del nuovo ideale dell'uomo, al contempo individuo calcolatore e lavoratore produttivo.
È il dispositivo d'efficienza ad aver fornito alle attività economiche le «risorse umane» necessarie, ad aver prodotto senza sosta le anime e i corpi adatti a funzionare nel grande circuito della produzione e del consumo. In una parola, la nuova normatività delle società capitaliste si è imposta tramite una normalizzazione soggettiva di un tipo preciso.
Foucault ha fornito una prima cartografia, peraltro problematica, di questo processo. Il principio generale del dispositivo d'efficienza non è tanto, come è stato detto anche troppo, un «addestramento del corpo» quanto una«gestione delle menti». O forse bisognerebbe dire che l'azione disciplinare sul corpo è stata solo un momento e un aspetto del modellamento di una certa modalità di funzionamento soggettivo.
Il Panopticon di Bentham è in effetti particolarmente emblematico di tale modellamento soggettivo. Il nuovo governo degli uomini penetra fino al loro pensiero, lo accompagna, lo orienta, lo stimola, lo educa. Il potere non è più soltanto volontà sovrana, ma, come dice giustamente Bentham, si fa «metodo obliquo» o «legislazione indiretta», destinata a pilotare gli interessi.
Postulare la libertà di scelta, suscitarla, costituirla praticamente, presuppone che gli individui siano guidati come da una «mano invisibile» a fare le scelte che saranno proficue per ciascuno e per tutti. Sullo sfondo di questa rappresentazione non si trova tanto un grande ingegnere, sul modello dell'Orologiaio supremo, quanto una macchina idealmente autonoma che trova in ogni soggetto un ingranaggio pronto a soddisfare i bisogni della catena complessiva.Ma l'ingranaggio bisogna fabbricarlo e mantenerlo.
Il soggetto produttivo fu il capolavoro della società industriale. Il problema non era soltanto aumentare la produzione materiale, bisognava anche che il potere si ridefinisse come essenzialmente produttivo, come uno stimolatore della produzione i cui limiti sarebbero stati definiti solo dagli effetti della sua azione sulla produzione. Questo potere essenzialmente produttivo aveva per controparte il soggetto produttivo: non solo il lavoratore, ma il soggetto che in tutti i campi della sua esistenza produce benessere, piacere, felicità.
Molto presto l'economia politica ha trovato corrispondenza in una psicologia scientifica che descriveva un'economia psichica a essa omogenea. Già dal XVIII secolo meccanica economica e psicofisiologia delle sensazioni si promettono amore eterno. È questo senza dubbio l'incrocio definitivo che disegnerà la nuova economia dell'uomo governato dai piaceri e dai dolori. Governato e governabile dalle sensazioni: l'individuo considerato nella sua libertà è un irriducibile briccone, un «delinquente potenziale», un essere mosso prima di tutto dal proprio interesse. La nuova politica si inaugura con il monumento panottico innalzato alla gloria della sorveglianza di ciascuno da parte di tutti e di tutti da parte di ciascuno.
Ma perché, domanderà forse qualcuno, sorvegliare i soggetti e massimizzare il potere? La risposta veniva da sé: per la produzione della massima felicità.
Intensificazione degli sforzi e dei risultati, minimizzazione delle spese inutili, è questa la legge dell'efficienza. Fabbricare uomini utili, docili nel lavoro, inclini al consumo, fabbricare l'uomo efficiente, ecco cosa si delinea, eccome, già dall'opera di Bentham. Ma l'utilitarismo classico, a dispetto del suo formidabile lavoro di demolizione delle vecchie categorie, non è venuto a capo della pluralità interna al soggetto [3] come della separazione delle sfere cui corrispondeva tale pluralità.
Il principio di utilità, la cui vocazione omogeneizzante era esplicita, non è riuscito ad assorbire tutti i discorsi e tutte le istituzioni, proprio come l'equivalente generale della moneta non è riuscito a introdursi in tutte le attività sociali. È proprio il carattere plurale del soggetto e la separazione delle sfere pratiche a essere oggi in questione.

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NOTE
[1] A volercisi soffermare, si potrebbe mostrare come Lacan abbia indicato a diverse riprese nei suoi scritti e nei suoi seminari l'importanza della svolta utilitarista nella storia occidentale. Cfr. J. Lacan, Scritti, a cura di G. Contri, Einaudi, Torino 1974, p. 116.
[2] Cfr. supra la discussione del punto di vista di Marcel Gauchet nel capitolo 5.
[3] Come si è visto più sopra (infra, capitolo 3, in particolare la nota 92), il pensiero di John Locke non trascura la differenziazione del soggetto in soggetto d'interesse, soggetto giuridico, soggetto religioso, ecc. A suo modo, l'influenza persistente di quest'idea, a dispetto dell'egemonia dell'utilitarismo, testimonia di una certa forma di resistenza alla sussunzione del soggetto sotto il regime esclusivo dell'interesse.



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