di Gianni Fresu
da Marx21.it
C’era
da aspettarselo, la morte di Fidel Castro, l’uomo che ha osato sfidare, e
persino sconfiggere, gli USA nel loro cortile di casa, ha scatenato la canea e
lo spirito di rivalsa di quanti non gli hanno saputo tenere testa in vita. Così assistiamo a strumentali letture
all’ingrosso, anatemi e condanne scomposte perché di questo uomo non rimanga
nemmeno un ricordo vagamente positivo. Poi ci sono quelli che, “da sinistra”,
inevitabilmente colgono la palla al balzo per mostrare le incongruenze della
rivoluzione cubana, parlando di tradimento e occasione mancata. Queste critiche
vengono sia dalla sinistra più pura e radicale, sia da quella “moderna” e
antiautoritaria, tuttavia, entrambe si servono quasi sempre delle stesse
argomentazioni più classiche adoperate dei reazionari al cubo. Così, non me ne
vogliano i primi e i secondi, ma uso lo stesso metro di ragionamento per tutti
questi detrattori, nel tentativo di spiegare la mia posizione.
Anzitutto,
ai tanti che non hanno perso occasione per parlare dei "diritti umani
violati" e denunciare la povertà di Cuba, suggerirei di confrontare il suo
standard di vita non con l'opulento Occidente, ma con le altre isole caraibiche
a poche miglia nautiche di distanza.
Basta
guardare lo stato di indigenza senza fondo di una realtà vicinissima, e
teoricamente con le stesse risorse naturali, come Haiti (che nemmeno ha subito
per più di cinquanta anni un durissimo embargo economico) per farsi un'idea
minima della strumentalità di queste argomentazioni. Come ha giustamente sottolineato
Raul Castro, rispondendo a muso duro alle idiozie di Obama, la prima grave
violazione dei diritti umani consiste nel privare un popolo dell'assistenza
sanitaria e delle condizioni essenziali di vita. Quando la regola è la miseria
assoluta e la totale assenza di diritti sociali, l'esercizio delle cosiddette
libertà individuali, sebbene solennemente proclamate, è una pura utopia che
diventa realtà solo per una parte della società. Senza uguaglianza sostanziale
l'uguaglianza formale resta purtroppo un ipocrita esercizio di scuola. Basta
vedere la composizione sociale delle carceri negli USA per capirlo.
Sul
piano della coerenza tra teoria e prassi, è bene ricordare che ogni
rivoluzione, scontrandosi con la realtà concreta (con le azioni e reazioni previste
o impreviste), finisce per creare un quadro nuovo sempre differente da quanto
era stato precedentemente teorizzato e idealizzato. È inevitabile, così è stato
per la rivoluzione francese (ciò nonostante continuiamo a considerala un
fondamentale atto di liberazione universale), così è per tutte le rivoluzioni
liberali che, al di là dei principi, hanno finito per istituzionalizzare forme
di povertà sconfinata, esclusione e marginalizzazione sociale aberranti e
inumane, non certo messe in conto dai vari Constant, Locke, Smith e Bentham.
Esiste però una profonda differenza, sulla quale Domenico Losurdo più volte ha
sollecitato attenzione, nei ragionamenti in merito: quando si dibatte dei
teorici e dei protagonisti delle rivoluzioni socialiste inevitabilmente ci si
concentra solo sulle contraddizioni dei processi reali da loro generati, mai
sugli aspetti progressivi; quando facciamo riferimento invece ai teorici del
pensiero liberale (“i classici”) parliamo dei valori universali di fratellanza
e libertà individuale da loro teorizzati, mai della miseria, delle guerre di
rapina e del dominio coloniale o della rigida divisione in classi,
caratteristiche delle società liberali reali. Nel primo caso ci si sofferma
solo sui limiti dei processi storici reali, nel secondo sulle petizioni di
principio e le spinte ideali dei suoi pensatori. Già in questa inversione nei
termini del ragionamento si nasconde una chiara vittoria egemonica del pensiero
liberale sulla quale non si riflette mai abbastanza. In tal senso, credo, si
spiega un giudizio storico generalizzato e consolidato: Kennedy è considerato
il profeta della "nuova frontiera", non il protagonista della guerra
in Vietnam, dello sbarco alla baia dei porci e dell'assenso-consenso a tutte le
operazioni più spericolate e antidemocratiche della CIA; Castro è invece
presentato come un oppressore, non come colui che ha lottato tutta la vita per
la affermazione dei diritti sociali e l'autonomia del suo popolo dal dominio
imperialista americano. Fino a quando non ci libereremo delle visioni
ideologiche avversarie, facendoci veicolo inconsapevole di categorie e
rappresentazioni funzionali a altre visioni del mondo, il destino della
sinistra è di rimanere nel terreno melmoso della subalternità e inutilità
storico-sociale di oggi.
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