07 Dicembre 2016
a cura di Luis Hernández Navarro
da jornada.unam.mx
Morales sostiene di non essere ancora pronto a lasciare la
presidenza, benché rispetti la decisione del paese. Quanto alla vittoria di
Trump, secondo lui è da attribuire alla rabbia contro la globalizzazione
Benché la Bolivia stia meglio senza ambasciatore degli Stati
Uniti, se lo volessero potrebbero nominarne uno, ha dichiarato a La Jornada il
presidente Evo Morales. Ma non chiunque, bensì un diplomatico e non un politico
che si dedichi a cospirare contro la sovranità del Paese.
Gli Stati Uniti non hanno un ambasciatore in Bolivia da
quando, nel settembre di 2008, il governo di Evo Morales aveva espulso Philip
Goldberg, accusandolo di dividere il paese ed appoggiare l'opposizione. Come
diplomatico, Goldberg aveva svolto un ruolo rilevante durante la guerra civile
jugoslava.
Intervistato a bordo dell'aereo presidenziale, un Falcon 900
EX di fabbricazione francese, nel percorso tra Tarija e Cochabamba, il
presidente boliviano assicura che il voto a favore di Donald Trump nelle
elezioni statunitensi è stato il prodotto dello scontento indirizzato dalla
destra contro la globalizzazione fallita.
Per altri tre anni ancora alla guida dell’Esecutivo, spiega
che la sconfitta al referendum per decidere la possibilità di presentarsi per
un nuovo incarico come presidente è stato il risultato di una campagna di
bugie, che non è ancora pronto per andarsene, ma che ha sempre rispettato la
decisione del suo popolo.
Di seguito l'intervista completa al presidente dello Stato
Plurinazionale della Bolivia.
Come spiega la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti?
Vi sono possibilità di un nuovo tipo di relazioni tra il suo Paese e
Washington?
La vittoria di Trump è il prodotto dello scontento contro la
globalizzazione fallita, della collera contro il libero mercato senza briglie,
della barbarie della guerra. Un scontento guidato dalla destra.
Gli Stati Uniti non hanno nominato un nuovo ambasciatore.
Non ancora. Se volessero potrebbero farlo. Se volessero dovrebbero nominare un
diplomatico, non un politico. Uno che rispetti, non uno che si dedichi a
cospirare o che si dedichi a toglierci la nostra sovranità. Con qualunque
presidente, se vuole rispettarci, siamo disposti a scambiare ambasciatori.
Speriamo di lavorare contro il razzismo, contro il machismo,
contro l'antimmigrazione, per la sovranità dei nostri paesi. Devono prenderlo
in considerazione. Ma guardi, nella mia esperienza, è meglio stare senza
ambasciatore degli Stati Uniti. Sebbene abbia sempre braccia operative che gli
facciano il lavoro. Per esempio, alcune organizzazioni non governative che
usano l'ecosistema per attaccarci.
Ho sempre presente un ricordo. Quando arrivai alla
presidenza, alcuni minatori che ai tempi della dittatura militare erano stati
espulsi del paese o avevano dovuto andare in esilio, mi vennero a trovare e mi
dissero: 'Presidente, si guardi dall'ambasciata degli Stati Uniti.' Sa la
ragione per la quale non ci sono colpi di Stato negli Stati Uniti? Perché lì
non ci sono ambasciate degli Stati Uniti."
Cosa pensa che sia successo in America Latina con la
sconfitta del kirchnerismo in Argentina, il colpo di Stato in Brasile, la
vittoria della destra nelle elezioni parlamentari in Venezuela? Questa avanzata
della destra riguarda anche la Bolivia?
Ci riguarda politicamente, ma anche economicamente. Riguarda
la stabilità politica.
Quanto è importante la stabilità politica? È molto
importante poter pensare a lungo termine. Quando si sta pensando solo a quando
si va al governo non si può pianificare niente. I programmi di sviluppo sono
rallentati.
Quello che è successo in Argentina ed il Brasile solleva un
confronto importante. I movimenti sociali hanno visto quello che sta succedendo
là e dicono: bisogna essere uniti, non bisogna lasciare che la destra arrivi.
Non bisogna permettere che arrivi la privatizzazione. Quell'esperienza ci ha
portato a vedere gli errori che sono stati commessi.
Quando ha assunto la Presidenza della Bolivia ha trovato un
paese devastato. Che cosa avete fatto per ricostruire il paese in questi 11
anni?
Quando siamo arrivati al governo, la Bolivia era
praticamente divisa tra le zone rurali e le città, l’occidente e l’oriente.
Economicamente era smembrata. Alcuni monopoli erano degli spagnoli (Repsol),
altri erano del Brasile (Petrobras) ed altri di francesi, Total. A comandare
erano gli statunitensi. Avevamo, politicamente ed economicamente, un Stato
mendicante, uno Stato elemosinante.
Perché ci hanno ridotti così? Perché noi boliviani non
decidevamo né politiche né programmi e, men che meno, progetti sociali. Nella
parte economica tutto era imposto dal Fondo Monetario Internazionale. Il Fondo
aveva il suo ufficio nella Banca Centrale della Bolivia. La CIA era un
parassita che aveva i suoi uffici nel Palazzo Nazionale. Il Gruppo Militare
degli Stati Uniti aveva i suoi nella sede delle forze armate nel Gran Quartiere
Generale di Miraflores.
Quando c'era un conflitto politico ed i partiti della destra
litigavano, l'ambasciatore degli Stati Uniti era il padrino. Si possono
reperire immagini, fotografie delle loro riunioni. L'ambasciatore univa partiti
come il MIR ed il MNR. Nessun partito vinceva con più del 30 percento. Avevamo
una democrazia concordata. Tutto era pattuito. Era legale, ma non c'era
legittimità.
Ciò è cambiato grazie alla nostra lotta. Per noi è stato
molto importante passare dalla lotta sindacale, dalla lotta sociale, dalla lotta
comunale alla lotta elettorale. Lo abbiamo fatto conservando i valori che ci
hanno lasciato i nostri antenati. Conserviamo viva la lotta dei tempi della
Colonia, la lotta del tempo della dittatura militare, la lotta per la
democrazia. La lotta contro il governo concordato, contro il modello
neoliberale.
Conserviamo viva anche la lotta contadina, specialmente
nella mia regione (Chapare) che ci ha fatto risvegliare di fronte alla presenza
statunitense, uniformata ed armata, con basi militari, con il pretesto della
lotta contro il narcotraffico. Ma, in fondo, allora non c'era lotta contro il
narcotraffico. Si trattava di un pretesto per esercitare un controllo
geopolitico. A quel tempo, noi dirigenti non eravamo più accusati di essere
comunisti, rossi, ma di essere narcotrafficanti e terroristi.
E' stato un evento storico questo passaggio dalla lotta
sociale alla lotta elettorale con un programma fatto per il paese che ci ha
permesso di ottenere il governo.
In cosa consisteva questo programma?
In tre cose. Primo a livello politico, la rifondazione del
paese. Sul piano economico, la nazionalizzazione delle risorse e delle imprese
strategiche. E, sul piano sociale, la ridistribuzione della ricchezza.
Con questo programma siamo arrivati al governo. Nel 2005
abbiamo ottenuto la Presidenza con il 54% dei voti. Tutto il mondo fu sorpreso.
La cosa più difficile è stata la rifondazione: l’Assemblea
Costituente e il processo della nuova Costituzione. Abbiamo atteso per quasi
quattro anni. E in questo processo la destra ha ripiegato nei suoi dipartimenti
e, ravvivando il separatismo, ha cercato di dividere il paese. Fallirono. La
destra ha tentato di revocare la Costituente. E ha fallito . Ha tentato un colpo
di Stato e ha fallito ancora. Nuovamente il popolo è tornato nelle strade. Si
sono svolte grandi manifestazioni, per un’altra convocazione. Nel settembre del
2008 abbiamo dovuto espellere l’ambasciatore degli Stati Uniti per garantire la
stabilità politica.
Il fatto è che quando i governi democratici non sono al
servizio dell'impero subiscono colpi di Stato militari. E quando ebbi
l’informazione affidabile che l'ambasciatore degli Stati Uniti stava
finanziando i miei oppositori, stava cospirando, dissi: fuori l’ambasciatore.
Ora, senza ambasciatore degli Stati Uniti, abbiamo più stabilità politica.
Che impatto ha avuto nel Paese la nazionalizzazione
economica?
Ha cambiato la matrice economica della Bolivia. La rendita
petrolifera nel 2005 era di 300 milioni di dollari. Siamo arrivati a 5 miliardi
di dollari. L'investimento pubblico nel 2005 era di 600 milioni di dollari.
Siamo arrivati ora a oltre a 8 miliardi di dollari di investimento pubblico. Il
PIL nel 2005 era di 9 miliardi di dollari, l'anno scorso è arrivato a 34
miliardi di dollari.
E la caduta del prezzo del petrolio vi ha riguardato?
Sì, quest’anno cresceremo meno. Ma ci fu il momento nel
quale precipitammo. Le riserve internazionali nel 2005 erano un miliardo e 700
milioni di dollari, nel 2014 più di 15 miliardi di dollari. Ciò, senza prendere
in considerazione i depositi, ADP. Considerandoli passiamo a 40 miliardi di
dollari. Questa è la stabilità economica della Bolivia.
Ciò è stato possibile grazie alla nazionalizzazione delle
risorse naturali, ma anche di imprese strategiche. E' stato il caso di Etel,
l'impresa di telecomunicazioni in mani italiane. Prima aveva utili per 70
milioni di dollari che non rimanevano qui. Inoltre, si trovava appena in 90
municipi dei 339 che abbiamo. Abbiamo nazionalizzato ed ora abbiamo 140 milioni
di dollari di utili che rimangono qui, ed abbiamo Internet e telecomunicazioni
in quasi tutta la Bolivia.
Come è avanzato il tema della redistribuzione?
Abbiamo l’impegno di ridistribuire gli utili delle imprese
pubbliche non solo ai comuni, ma anche a coloro che ne hanno più bisogno. Lo
facciamo creando programmi destinati allo sviluppo della produzione, come il
Programma di Appoggio alla Sicurezza Alimentare o il Programma di Alleanze
Rurali. Ma, anche, con politiche sociali, come il pagamento dei buoni che
permettono che la gente conti su più risorse economiche e in questa maniera
possa far fronte alle proprie necessità e richieste. Abbiamo per i bambini il
Bono Juancito Pinto e il sostegno ai vecchi che non possono accedere alla
pensione.
Questo ci ha permesso di ridurre, rapidamente e
drasticamente, la povertà. Ora abbiamo una nuova Bolivia. Le sue politiche sono
conosciute e riconosciute in altri paesi.
Cos’è cambiato per i popoli indigeni in questi 11 anni?
L’unico modo di garantire la pace sociale è la
partecipazione della cittadinanza. Non c’è pace senza giustizia sociale. Ma
questo vale non solo per il movimento indigeno, ma anche per tutti i settori
sociali. Tutti sono attori. Non siamo una democrazia rappresentativa, né
semplicemente partecipativa, ma decisiva. Coloro che hanno guadagnato
maggiormente da questi cambiamenti in Bolivia sono le donne e gli indigeni.
E poi c'è la rivalorizzazione. Prima, le nostre sorelle
indigene erano trattate male. Ora stanno a testa alta. Prima, la musica
originaria era vista male. Ora nelle città ormai si marcia con essa. Prima, il
cibo dell'indio che è la quinoa, era disprezzato; ora è il cibo più ricco del
mondo. Noi non lo mangiamo perché questo l’ha fatto salire molto di prezzo.
Prima si proibiva di vendere la carne di lama; ora è la carne che ha meno
colesterolo. Tutte le cose indigene sono state rivalutate.
I movimenti sociali che prima erano molto vitali. Hanno
continuato ad esserlo dopo undici anni di governo e dopo che alcuni loro
dirigenti sono stati diventati funzionari pubblici?
Tra l'85 e il 90 percento di coloro che sono eletti dal
nostro strumento politico (il MAS) per essere sindaci, consiglieri comunali o
membri delle assemblee dipartimentali sono dirigenti sociali. Ci guidano i
movimenti sociali.
Questo non è un problema per il movimento?
Sì ma è una bella esperienza. Ogni cinque anni si deve
preparare una nuova quantità di dirigenti. Arrivano le elezioni e la
maggioranza dei candidati viene dai movimenti sociali. In tutte le elezioni ci
guida il nostro movimento sociale. Prima del nostro strumento politico,
scartavamo i dirigenti. Ma ora c’è questo problema. Il dirigente sta pensando:
che incarico mi toccherà dopo? È una realtà. È una bella esperienza.
Avete fatto uscire molti boliviani dalla povertà. In posti
come il Brasile, dove si è fatto lo stesso, questo risultato non è stato
accompagnato da un lavoro ideologico e culturale. Chi ha smesso di essere
povero ha creduto di appartenere alla classe media e ha dimenticato la sua
vecchia identità ed i suoi vincoli associativi. Hanno fatto dell'aumento delle
loro capacità di consumo il centro delle loro nuove vite. È successo lo stesso
in Bolivia?
Qui c'è un problema. Una parte di coloro che sono usciti
della povertà si è integrata nella classe media. Questi 2 milioni di persone
hanno già altre aspettative. Sono le nuove classi medie. dimenticano che classe
media è a metà classe... Purtroppo alcuni smettono di apprezzare il proprio
passato contadino ed indigeno o di altri settori sociali. Arrivano persino a
disprezzarlo. È il popolo che difende il paese. Ed ai nuovi membri delle classi
medie non importa oramai difendere il paese. Le loro richieste sono di avere
maggiori possibilità di consumo. Hanno aspirazioni molto esagerate. È molto
importante questa esperienza.
Il suo periodo di presidenza termina alla fine del 2019. Il
referendum per permetterle di presentarsi a una nuova elezione è stato vinto
con uno scarso margine dei suoi oppositori. Come continuare?
Io non sono ancora pronto per andare a casa. Quello che
abbiamo fatto in tema di sviluppo e sul piano politico è un record.
Il movimento sociale propose tema del referendum. E la
destra lo affrontò sulla base di bugie e dell’avidità. Inventò una donna ed un
bambino, e disse che era figlio di Evo. È di più, disse che il bambino era
morto. Era tutta una bugia. Ed ora che si è indagato risulta che non ho mai
avuto un bambino. Ma è rimasta la calunnia. La stampa si comportò come un
cartello di bugie. Il tema era ben organizzato. L’hanno pianificato in
anticipo.
Quando non possono abbatterci ideologicamente né
democraticamente usano la famiglia e persino un bambino inesistente. Ciò mi ha
realmente sorpreso. Tuttavia, ora la gente si rende conto.
Io sono molto soddisfatto. Sebbene abbiamo perso la gente
dice: Evo, tu devi continuare fino al 2025. Ed io ho detto: non me vado. E mi
dicono: la vita di Evo non dipende da Evo. Evo è del popolo. Evo deve
sottomettersi al popolo.
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