(Lo storico israeliano Yair Auron)
(Questo documento farà parte della mia Prefazione al secondo volume dell'opera di Alan Hart SIONISMO IL VERO NEMICO DEGLI EBREI che sarà pubblicato in primavera.)
L’anno
scorso, la storia della pulizia etnica della Palestina si è arricchita di una
nuova rivelazione: il massacro di Al Dawayima. Il merito è del giornale di
sinistra israeliano Haaretz che il 5 febbraio 2016, ha raccontato questa storia
agghiacciante. Pur nell’ambito di una prefazione, questo crimine deve essere
raccontato poiché NESSUNO in Occidente ha voluto parlarne. L’articolo è stato ripreso
da Jonathan Ofir e pubblicato sul sito di ebrei antisionisti MONDOWEISS
Il Venerdì 5 febbraio, 2016, Haaretz ha pubblicato un articolo in ebraico dello storico israeliano
Yair Auron, che riferisce uno dei più grandi massacri del 1948. Il massacro è
di Al Dawayima, ad ovest di Al-Khalil (che viene spesso definito come Hebron).
In una intervista del 2004 con Haaretz, lo storico israeliano Benny Morris si
riferisce a questo come un massacro di “centinaia”.
Dopo il massacro, una lettera fu inviata al direttore del
giornale di sinistra affiliato di Al-Hamishmar,
ma mai pubblicata. Come osserva Auron, ci sono ancora molti archivi dell’epoca che
sono classificati. Auron afferma inoltre che vi fu un’indagine mai conclusa e “estinta”
quando un'amnistia di massa fu concessa al personale militare nel febbraio del
1949.
Questo è un articolo molto esaustivo, ma ho trovato
abbastanza utile tradurre questa lettera per intero. La lettera, che in un
primo momento “scomparve”, fu fornita ad Auron dallo storico Benny Morris.
Anche se questi aspetti sono stati riferiti nel passato in riassunti storici,
la lettera non è mai stata pubblicata prima in forma integrale.
La lettera è stata portata alla luce da un membro del
partito di sinistra Mapam, S. Kaplan, che ha ricevuto la lettera di
testimonianza del soldato. È scritta a Eliezer Peri, direttore di Al Hamishmar,
e datata 8 novembre 1948 (18 giorni dopo la strage):
Al
compagno Eliezer Peri, buona giornata,
oggi ho letto l'editoriale di “Al
Hamishmar” dove è andata in onda la questione del comportamento del nostro
esercito, l'esercito che conquista tutto tranne i propri desideri.
Una
testimonianza mi è stata fornita da un ufficiale che era ad [Al] Dawayima il
giorno dopo la sua conquista. Il soldato è uno dei nostri, intellettuale,
affidabile al 100%. Egli mi aveva confidato un bisogno di scaricare il peso
della sua anima dall'orrore del riconoscimento del livello di barbarie che può
essere raggiunto dalla nostra gente istruita e colta. Si confidò con me, perché
oggi non sono molti i cuori disposti ad ascoltare.
Non ci
fu alcuna battaglia e nessuna resistenza (e non c’erano egiziani). I primi
conquistatori uccisero da ottanta a cento arabi [compresi] donne e bambini. I
bambini furono uccisi spaccando i loro crani con dei bastoni. Non c'era una
casa senza morti. La seconda ondata dell'esercito [israeliano] fu un plotone al
quale il soldato che dà la testimonianza appartiene.
Nella
città furono lasciati arabi maschi e femmine, che furono messi in case e poi
chiusi dentro senza ricevere cibo o bevande. Più tardi gli ingegneri
artificieri vennero per far saltare in aria le case. Un comandante ordinò a un
ingegnere di mettere due donne anziane nella casa che doveva essere fatta
saltare in aria. L’ingegnere rifiutò e disse che era disposto a ricevere ordini
solo dal proprio comandante. Allora [il suo] comandante ordinò ai soldati di
mettere le donne in casa e fu eseguita l’azione
criminale.
Un
soldato si vantò di aver violentato una donna araba dopo di che la uccise. Una
donna araba con un bambino di pochi giorni fu utilizzata per la pulizia del
cortile dove i soldati mangiavano. Li servì per uno o due giorni, dopo di che
spararono a lei e al bambino uccidendoli. Il soldato dice che i comandanti,
colti e gentili, considerati bravi ragazzi nella società, sono diventati vili
assassini, e questo non accade nella tempesta di una battaglia e durante una
reazione animata, ma piuttosto in un sistema di espulsione e di distruzione.
Meno arabi rimangono e meglio è. Questo principio è il maggiore movente
politico [del] le espulsioni e degli atti di orrore a cui nessuno si è opposto,
né nel comando di campo né all’interno del comando militare superiore. Io
stesso sono stato al fronte per due settimane e ho sentito le storie di soldati
e comandanti che si vantavano di essere bravissimi a dare la caccia e a “scopare”
[sic]. Scopare un’araba, proprio così, e in ogni circostanza, è considerata una
missione suggestiva e c’è competizione per vincere questo [trofeo].
Ci
troviamo davanti ad un enigma. Divulgare questa storia tramite la stampa
significherà dare una mano alla Lega Araba, le cui denunce sono respinte dai
nostri dirigenti. Non reagire significherebbe essere solidali con la corruzione
morale. Il soldato mi ha detto che Deir Yassin [un altro massacro, eseguito dai
militanti dell'Irgun nel mese di aprile
del 1948] non è considerato come la punta massima del teppismo. È
possibile gridare su Deir Yassin e tacere su qualcosa di molto peggio?
È necessario
sollevare lo scandalo attraverso i canali interni, insistere per ottenere
un'indagine interna e punire i colpevoli. Prima di tutto è necessario creare
nell’esercito un’unità speciale per contenere la condotta dei soldati. Io
stesso accuso prima di tutto il governo, che non sembra avere alcun interesse a
combattere questi fenomeni e, forse, li incoraggia anche indirettamente.
Evitare di prendere provvedimenti contro questi atti significa incoraggiarli.
Il mio comandante mi ha detto che c'è un ordine scritto di non prendere
prigionieri di guerra, e l'interpretazione di “prigioniero” è data
individualmente da ogni soldato e comandante. Un prigioniero può essere un uomo
arabo, donna o bambino. Questo non è stato fatto solo davanti agli occhi di
tutti [nelle principali città palestinesi], come Majdal e Nazareth.
Con
questa lettera mi rivolgo a voi in modo che nella redazione e nel partito la
verità sia conosciuta e qualcosa di efficace possa essere fatto. Almeno non
siate indulgenti verso quella diplomazia fasulla che copre lo spargimento di
sangue e gli omicidi e, per quanto possibile, anche la stampa non deve lasciare
nel silenzio quanto è accaduto.
Kaplan
(Traduzione di D. Siragusa)
Nessun commento:
Posta un commento