mercoledì 7 giugno 2017


    • di Patrick Cockburn 

        • Friday 14 October 2016
        • The Independent
        È una fortuna per l'Arabia Saudita e per il Qatar che il furore sulle anticaglie sessuali di Donald Trump impedisce molto l’attenzione che merita l'ultima serie di messaggi elettronici inviati e ricevuti da Hillary Clinton. Il più affascinante di questi è quello che si legge come un promemoria del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, datato 17 agosto 2014, relativo alla risposta appropriata degli Stati Uniti al rapido avanzamento delle forze dell’ISIS, che allora stavano attraversando l'Iraq settentrionale e la Siria orientale.
        All'epoca, il governo Usa non ammetteva che l'Arabia Saudita e i suoi alleati sunniti fossero sostenitori dell’ISIS e di altri movimenti come al-Qaeda. Ma nel promemoria trapelato, che dice basarsi su fonti delle "intelligence occidentale, intelligence americana e regionali", non c'è ambivalenza su chi sostiene l’ISIS, che mel momento in cui scrivevamo, stava macellando e violentando i villaggi di Yazidi e macellava gli iracheni catturati e i  soldati siriani.
        Il promemoria dice: "Dobbiamo usare i nostri mezzi diplomatici e quelli di investigazione più tradizionali per esercitare pressioni sui governi del Qatar e dell'Arabia Saudita, che forniscono sostegno finanziario e logistico clandestino all’ISIS e ad altri gruppi radicali della regione". Evidentemente nelle alte sfere del governo degli Stati Uniti è arrivata la saggezza, ma non l’ha mai ammesso apertamente perché si riteneva che mettersi in contrasto con l'Arabia Saudita, le monarchie del Golfo, la Turchia e il Pakistan avrebbe fatalmente minato il potere americano in Medio Oriente e in Asia meridionale.
        Per un periodo straordinariamente lungo dopo l'11 settembre, gli Stati Uniti hanno rifiutato di affrontare questi tradizionali alleati sunniti e, quindi, hanno assicurato del tutto il fallimento della "guerra al terrore"; 15 anni dopo, Al-Qaeda, nelle sue varie forme, è molto più forte di prima perché i finanziatori di stato celati dietro le quinte, senza i quali non avrebbe potuto sopravvivere, avevano libertà di transito.
        Nessuno dica che Hillary Clinton, come Segretaria di Stato, e l’apparato della politica estera degli Stati Uniti in generale non sapessero cosa stava succedendo. Una precedente rivelazione di WikiLeaks di un messaggio del Dipartimento di Stato inviato sotto il nome della Clinton nel dicembre 2009, afferma che "l'Arabia Saudita rimane una base critica di sostegno finanziario per al-Qaeda, per i Talebani e per il gruppo LeT [Lashkar-e-Taiba in Pakistan]." Ma la complicità saudita con questi movimenti non è mai diventata un problema politico centrale negli Stati Uniti. Perchè?
        La risposta è che gli Stati Uniti non pensavano che fosse nel proprio interesse tagliare i rapporti coi suoi tradizionali alleati sunniti e impiegare molte risorse per evitare che ciò potesse accadere. Si sono circondati di giornalisti, accademici e politici consenzienti disposti a dare sostegno aperto o nascosto alle posizioni saudite.
        Le vere opinioni degli alti funzionari della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato si potevano vedere solo periodicamente e, anche quando la loro franchezza faceva notizia, ciò che dicevano era rapidamente dimenticato. All'inizio di quest'anno, per esempio, Jeffrey Goldberg in The Atlantic ha scritto un pezzo basato su numerose interviste con Barack Obama in cui Obama "esaminava, spesso duramente, il ruolo che gli alleati sunniti arabi americani svolgono per favorire il terrorismo antiamericano. Egli è chiaramente irritato che l'ortodossia della politica estera lo costringa a trattare l'Arabia Saudita come un alleato ".
        Vale la pena ricordare il cinismo della Casa Bianca su come è stata prodotta l'ortodossia della politica estera a Washington e quanto facilmente si possa comprare la sua influenza. Goldberg ha riferito che "un sentimento diffuso all'interno della Casa Bianca è che molti dei più importanti centri di ricerca della politica estera a Washington stanno elaborando l'offerta dei loro finanziatori arabi e pro-israeliani. Ho sentito che un funzionario dell'amministrazione fa riferimento a Massachusetts Avenue, la sede  di molti di questi centri di ricerca, come "territorio occupato dagli arabi". 
        Nonostante questo, le interviste televisive e sui giornali di questi auto-proclamati esperti accademici facenti parte dei medesimi centri di ricerca sull’ISIS, la Siria, l’Iraq, l’Arabia Saudita e stati del Golfo ignorano intenzionalmente o felicemente se ne infischiano  delle loro simpatie partigiane.
        Il messaggio elettronico di Hillary Clinton dell'agosto 2014 prende per scontato che l'Arabia Saudita e il Qatar stanno finanziando l’ISIS - ma questo non era il convenzionale o accademico buon senso giornalistico capitato a caso. Invece, c'erano molte affermazioni che il califfato appena dichiarato fosse autosufficiente attraverso la vendita di petrolio, l’imposizione di tasse e il commercio di reperti antichi; vale a dire che l’ISIS non aveva bisogno dei soldi dell’Arabia Saudita e dei paesi del Golfo. Lo stesso argomento non si potrebbe fare per spiegare il finanziamento di Jabhat al-Nusra, che non controllava campi petroliferi, ma anche nel caso di Isis la convinzione che fosse autosufficiente era sempre traballante.
        I capi iracheni e kurdi hanno affermato di non credere a una parola, sostenendo privatamente che l’ISIS stava ricattando gli stati del Golfo minacciando la violenza sul loro territorio a meno che non pagassero. I funzionari iracheni e kurdi non ne hanno mai dato la prova, ma sembrava improbabile che uomini così duri e spietati come i capi dell’ISIS si sarebbero accontentati di tassare il traffico di autocarri e i negozianti nelle terre estese, ma povere, che governavano e non incassassero somme molto più grandi dai favolosi donatori privati e statali che detengono la produzione del petrolio del Golfo.
        Tornando all’ultimo messaggio, il Dipartimento di Stato e l'intelligence degli Stati Uniti non hanno chiaramente avuto dubbi sul fatto che l'Arabia Saudita e il Qatar stessero finanziando l’ISIS. Ma c'è sempre stata una bizzarra discontinuità tra ciò che l'amministrazione Obama conosceva sull'Arabia Saudita e sugli Stati del Golfo e quello che avrebbero detto in pubblico. Poteca succedere che la verità sarebbe venuta fuori, come quando il vicepresidente Joe Biden disse agli studenti di Harvard nell'ottobre del 2014 che l'Arabia Saudita, la Turchia e gli Emirati Arabi Uniti "erano davvero determinati a togliere di mezzo Assad e sostanzialmente avere una procura di guerra tra sunniti e sciiti. Cosa hanno fatto? Hanno versato centinaia di milioni di dollari e migliaia di tonnellate di armi nella mani di chiunque avrebbe combattuto contro Assad. Solo che quelli che furono forniti erano al-Nusra e al-Qaeda e gli jihadisti più estremisti provenienti da altre parti del mondo". Biden ha rifiutato l'idea che vi fossero "moderati" siriani capaci di combattere contemporaneamente l’ISIS e Assad.
        Hillary Clinton ha prestato il fianco a molti fallimenti della politica estera statunitense negli anni che era Segretaria di Stato. Ma è tale la rozzezza della demagogia di Trump, che lei non è stata mai chiamata rispondere. Le sfide repubblicane si sono concentrate su questioni come: la morte dell'ambasciatore statunitense a Benghazi nel 2012 e il ritiro finale dei soldati statunitensi dall'Iraq nel 2011, fatti per i quali lei non era responsabile.
        Una presidenza di Hillary Clinton poteva significare una più stretta amicizia con l'Arabia Saudita, ma gli atteggiamenti americani verso il regime saudita stanno diventando sempre più acuti, come è stato dimostrato recentemente quando il Congresso ha clamorosamente respinto un veto presidenziale di un disegno di legge che consente ai parenti delle vittime dell'11 settembre di citare in giudizio il governo saudita .
        Un altro sviluppo sta indebolendo l'Arabia Saudita e i suoi alleati sunniti. Il promemoria trapelato parla delle ambizioni rivali dell'Arabia Saudita e del Qatar "per dominare il mondo sunnita". Ma questo non ha avuto successo, con Aleppo est e Mosul, due grandi città sunnite, che sono sotto attacco e probabilmente cadranno. Qualunque cosa abbiano pensato di fare l'Arabia Saudita, il Qatar, la Turchia e gli altri, non è accaduto e i sunniti della Siria e dell'Iraq stanno pagando un prezzo pesante. È questo fallimento che darà forma ai futuri rapporti degli Stati sunniti con la nuova amministrazione statunitense

        (Traduzione di Diego Siragusa)




        ENGLISH VERSION AVAILABLE

        It is fortunate for Saudi Arabia and Qatar that the furore over the sexual antics of Donald Trump is preventing much attention being given to the latest batch of leaked emails to and from Hillary Clinton. Most fascinating of these is what reads like a US State Department memo, dated 17 August 2014, on the appropriate US response to the rapid advance of Isis forces, which were then sweeping through northern Iraq and eastern Syria.

        At the time, the US government was not admitting that Saudi Arabia and its Sunni allies were supporting Isis and al-Qaeda-type movements. But in the leaked memo, which says that it draws on “western intelligence, US intelligence and sources in the region” there is no ambivalence about who is backing Isis, which at the time of writing was butchering and raping Yazidi villagers and slaughtering captured Iraqi and Syrian soldiers.

        The memo says: “We need to use our diplomatic and more traditional intelligence assets to bring pressure on the governments of Qatar and Saudi Arabia, which are providing clandestine financial and logistic support to Isis and other radical groups in the region.” This was evidently received wisdom in the upper ranks of the US government, but never openly admitted because to it was held that to antagonise Saudi Arabia, the Gulf monarchies, Turkey and Pakistan would fatally undermine US power in the Middle East and South Asia.
        For an extraordinarily long period after 9/11, the US refused to confront these traditional Sunni allies and thereby ensured that the “War on Terror” would fail decisively; 15 years later, al-Qaeda in its different guises is much stronger than it used to be because shadowy state sponsors, without whom it could not have survived, were given a free pass.

        It is not as if Hillary Clinton as Secretary of State and the US foreign policy establishment in general did not know what was happening. An earlier WikiLeaks release of a State Department cable sent under her name in December 2009 states that “Saudi Arabia remains a critical financial support base for al-Qaeda, the Taliban, LeT [Lashkar-e-Taiba in Pakistan].” But Saudi complicity with these movements never became a central political issue in the US. Why not?

        The answer is that the US did not think it was in its interests to cut its traditional Sunni allies loose and put a great deal of resources into making sure that this did not happen. They brought on side compliant journalists, academics and politicians willing to give overt or covert support to Saudi positions.

        The real views of senior officials in the White House and the State Department were only periodically visible and, even when their frankness made news, what they said was swiftly forgotten. Earlier this year, for instance, Jeffrey Goldberg in The Atlantic wrote a piece based on numerous interviews with Barack Obama in which Obama “questioned, often harshly, the role that America’s Sunni Arab allies play in fomenting anti-American terrorism. He is clearly irritated that foreign policy orthodoxy compels him to treat Saudi Arabia as an ally”.

        It is worth recalling White House cynicism about how that foreign policy orthodoxy in Washington was produced and how easily its influence could be bought. Goldberg reported that “a widely held sentiment inside the White House is that many of the most prominent foreign-policy think tanks in Washington are doing the bidding of their Arab and pro-Israel funders. I’ve heard one administration official refer to Massachusetts Avenue, the home of many of these think tanks, as ‘Arab-occupied territory’.”

        Despite this, television and newspaper interview self-declared academic experts from these same think tanks on Isis, Syria, Iraq, Saudi Arabia and the Gulf are wilfully ignoring or happily disregarding their partisan sympathies.

        The Hillary Clinton email of August 2014 takes for granted that Saudi Arabia and Qatar are funding Isis – but this was not the journalistic or academic conventional wisdom of the day. Instead, there was much assertion that the newly declared caliphate was self-supporting through the sale of oil, taxes and antiquities; it therefore followed that Isis did not need money from Saudi Arabia and the Gulf. The same argument could not be made to explain the funding of Jabhat al-Nusra, which controlled no oilfields, but even in the case of Isis the belief in its self-sufficiency was always shaky.

        Iraqi and Kurdish leaders said that they did not believe a word of it, claiming privately that Isis was blackmailing the Gulf states by threatening violence on their territory unless they paid up. The Iraqi and Kurdish officials never produced proof of this, but it seemed unlikely that men as tough and ruthless as the Isis leaders would have satisfied themselves with taxing truck traffic and shopkeepers in the extensive but poor lands they ruled and not extracted far larger sums from fabulously wealthy private and state donors in the oil producers of the Gulf.

        Going by the latest leaked email, the State Department and US intelligence clearly had no doubt that Saudi Arabia and Qatar were funding Isis. But there has always been bizarre discontinuity between what the Obama administration knew about Saudi Arabia and the Gulf states and what they would say in public. Occasionally the truth would spill out, as when Vice-President Joe Biden told students at Harvard in October 2014 that Saudi Arabia, Turkey and the United Arab Emirates “were so determined to take down Assad and essentially have a proxy Sunni-Shia war. What did they do? They poured hundreds of millions of dollars and thousands of tons of weapons into anyone who would fight against Assad. Except that the people who were being supplied were al-Nusra and al-Qaeda and the extremist elements of jihadis coming from other parts of the world”. Biden poured scorn on the idea that there were Syrian “moderates” capable of fighting Isis and Assad at the same time.

        Hillary Clinton should be very vulnerable over the failings of US foreign policy during the years she was Secretary of State. But, such is the crudity of Trump’s demagoguery, she has never had to answer for it. Republican challenges have focussed on issues – the death of the US ambassador in Benghazi in 2012 and the final US military withdrawal from Iraq in 2011 – for which she was not responsible.

        A Hillary Clinton presidency might mean closer amity with Saudi Arabia, but American attitudes towards the Saudi regime are becoming soured, as was shown recently when Congress overwhelmingly overturned a  presidential veto of a bill allowing the relatives of 9/11 victims to sue the Saudi government.

        Another development is weakening Saudi Arabia and its Sunni allies. The leaked memo speaks of the rival ambitions of Saudi Arabia and Qatar “to dominate the Sunni world”. But this has not turned out well, with east Aleppo and Mosul, two great Sunni cities, coming under attack and likely to fall. Whatever Saudi Arabia, Qatar, Turkey and the others thought they were doing it has not happened and the Sunni of Syria and Iraq are paying a heavy price. It is this failure which will shape the future relations of the Sunni states with the new US administration.


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