venerdì 18 agosto 2017

Intervista al generale Tricarico: "Indagate sull'università di Cambridge che mandò Giulio Regeni incontro alla morte"





Parla il generale Dino Tricarico, ex consigliere per la sicurezza di palazzo Chigi. "Pochi mesi dopo Giulio, provarono ad inviare in Egitto un altro ricercatore. Bene ha fatto Gentiloni a rimandare l'ambasciatore al Cairo. Ora serve svolta anche con Mosca"


[L'intervista] Il generale: 'Indagate sull'università di  Cambridge che mandò Giulio Regeni incontro alla morte'
Le dieci pagine di inchiesta del New York Times. Gli attacchi politici e strumentali di 5 Stelle (Grillo: “Renzi e Gentiloni hanno mentito alla famiglia Regeni”), Sinistra italiana e Mdp al governo. Persino la richiesta dei Radicali di “aprire il Parlamento e informare le Camere” sulla decisione di inviare al Cairo l’ambasciatore dopo 18 mesi di assenza come ritorsione per l’omicidio del ricercatore. La rabbia, forse meglio dire la frustrazione della famiglia Regeni, di papà Claudio e mamma Paola che, con la consueta misura, esprimono “indignazione” per la decisione del governo. Annunciano un viaggio al Cairo già a settembre e vorrebbero al loro fianco “una scorta mediatica” perché il caso resti aperto. La Federazione nazionale della stampa la promette. Per finire, gli attacchi più meno diretti delle varie organizzazioni umanitarie, capofila Amnesty international.

Una nuova opportunità per far emergere la verità

Insomma, molto si sta movendo intorno al ritorno dell’ambasciatore italiano al Cairo. Tutte reazioni che però sembrano prescindere dal contesto geopolitica ed economico. Ne parliamo con il generale Leonardo Tricarico, ora presidente del think tank di analisti che fa capo a Icsa, consigliere militare a palazzo Chigi quando l’inquilino era D’Alema. Osservatore attento delle dinamiche geopolitiche nel teatro africano e mediorientale, Tricarico punta il dito contro “il Regno Unito e quelle manine che muovono i fili per alzare la tensione tra Roma e il Cairo”. Invita i genitori di Giulio a vedere questa storia con una prospettiva diversa. “Se fosse proprio il ritorno dell’ambasciatore a favorire la verità?”. Allargando il discorso, suggerisce anche quale deve essere il prossimo passo: “L’Italia ha bisogno di interloquire con la Russia di Putin”.
Generale Tricarico, lei è persona che ha sempre messo i diritti al primo posto. Il diritto alla verità e alla giustizia soprattutto. Cosa può dire alla famiglia Regeni?
“Comprendo il dolore per un figlio ammazzato dopo torture indicibili. Ma li inviterei ad osservare la faccenda anche da altri punti di vista. Ad esempio, io punterei il dito contro i mandanti più che contro gli esecutori. Contro i secondi c'è stata un’iniziativa forte, ci si augura che dal topolino venga fuori elefante. Ma nei confronti del mandante, purtroppo, nulla è stato fatto”.
Chi sarebbe il mandante?
”L’università di Cambridge che ha mandato al Cairo un giovane ricercatore come Giulio senza chiarire confini e rischi del suo mandato. Tutta la parte della storia relativa a Cambridge, ai professori, all’incarico di Giulio è ancora molto opaca. E questo non aiuta a trovare la verità”.
Si riferisce al fatto che Regeni, prima di andare al Cairo, aveva lavorato per un anno per Oxford Analitica, think tank che analizza le tendenze politiche-economiche su scala globale?
“No, mi riferisco al fatto che nel 2016, pochi mesi dopo la tragedia di Regeni, l’università di Cambridge ha provato ad ingaggiare un altro studente italiano e a mandarlo al Cairo per svolgere inchieste analoghe a quelle di cui si occupava Giulio (i modelli organizzativi dei sindacati, ndr). Cioè, gli inglesi ci hanno provato di nuovo. Perché? Qual è il vero obiettivo di quell’università?”.
Quel ragazzo è partito?
“No, fortunatamente il ricercatore ha messo alcune condizioni alla sua partenza, cose del tipo ‘vado solo se le autorità egiziane sono informate della mia presenza e del mio ruolo’. Cambridge ha lasciato perdere”.
Che significa?
“Che è necessario capire e sapere chi c’è dietro questi incarichi, cosa si muove. Questo è un aspetto totalmente trascurato in quel gigantesco buco nero che è il sequestro, le torture e poi il ritrovamento del cadavere dello studente friulano. Occorre indagare in questa direzione. Anche gli stessi genitori che vogliono verità e giustizia devono andare a guardare qui. Sono certo che da Cambridge passa un pezzo importante della storia”.
Palazzo Chigi, il premier Gentiloni che ha informato personalmente la famiglia, dicono che “l’invio dell’ambasciatore e la sua presenza al Cairo va nell’interesse della verità”. E’ d’accordo?
“Lo sto dicendo da due-tre mesi. Avere l’ambasciatore sul posto fa l'interesse della verità. Un’interlocuzione non zoppa è necessaria qualora dovessero essere percorse altre strade. E poi, non mi sembra che in questi 18 mesi lo strumento di massima pressione diplomatica abbia prodotto chissà quali risultati. Insomma, la famiglia invece che indignata dovrebbe sentirsi protetta. Ma davanti al dolore di una famiglia si può solo tacere”.
Si parla di “golpe d'agosto”, di decisione assunta quando il Parlamento è chiuso e il paese è distratto dalle vacanze per limitare le polemiche.”Le polemiche infatti ci sono… Non sono d’accordo, non è stato un golpe. La procura parla di nuovi atti, di passi avanti nella collaborazione giudiziaria. Finalmente sapremo cosa hanno ripreso quelle telecamere (presenti sul luogo dove Giulio è scomparso, ndr). Ma ripeto, va allargato il campo di indagine, e puntare il dito sui mandanti. In questo caso non significa buttare la palla in tribuna…”.
Non negherà che ci sono molti altri interessi nazionali che passano dall’Egitto. Ha vinto la real politik?
”E da quando la real politik sarebbe qualcosa di disdicevole e di cui vergognarsi? L’interesse nazionale italiano consiste nel fatto che l’Egitto è un paese-cerniera che può giocare un ruolo decisivo su molti dossier. L’Egitto è tra i più ascoltati dal generale Haftar, il padrone della Cirenaica, verso il quale ha potere  di indirizzo e di supporto, non solo moral suasion nelle decisioni più importanti ma anche capacità militare. Non c'è dubbio quindi che se l’Italia è la prima vittima dello sbando della Libia, il processo di stabilizzazione di quell’area passa soprattutto da Haftar. Già questo mi pare un ottimo motivo per riaprire i nostri uffici al Cairo. Poi, come tutti sanno, l’Eni ha grossi interessi nell’area. E anche un centinaio di altre aziende che da oltre un anno sono in un pantano pericoloso. E poi Israele, Sudan…, tutte frontiere e stati che hanno, per motivi diversi, assoluta importanza”.
Trova riscontri l’ipotesi che l’omicidio Regeni sia stata un’operazione tesa a danneggiare i rapporti tra Roma e il Cairo?
”E’ più di un sospetto che la distensione e la restaurazione di rapporti virtuosi nel Mediterraneo, in Europa e nei confronti della Russia, siano meccanismi che qualche manina tende sistematicamente a fare inceppare. Soprattutto il crescente ruolo di Putin nella determinazione degli equilibri regionali specie con il progressivo disimpegno degli Stati Uniti. Quindi coloro che oggi gridano allo scandalo sono da considerasi a tutti gli effetti  utili idioti per chi ha interesse a destabilizzare gli equilibri cui invece mira la nostra politica estera”.
Cosa dice alle organizzazioni umanitarie che oggi gridano al golpe d’agosto?
”Non mi hanno mai convinto i talebani dei diritti civili quando poi, magari lontano dai nostri occhi, assistiamo alla morte di migliaia di innocenti in Siria o tra i migranti. Esiste una sproporzione inaccettabile tra come vengono affrontate tragedie epocali e la perentorietà con cui ci si accanisce su un caso singolo”.
E’ giunto il tempo di levare le sanzioni alla Russia?
”I rapporti con Mosca devono essere esaminati in una dinamica più generale e consapevole. Putin non è più il nemico della Nato bensì il rappresentante di grande nazionale che ha il diritto ad avere un ruolo in un contesto internazionale”.
Il governo sta valutando diversamente il dossier Russia?
”Il governo cerca di interpretare con maggiore flessibilità questa questione. Non serve una svolta ma avere una posizione più possibilista. E’ necessario aprire un dibattito su questo senza atteggiamenti ostili o ideologici nei confronti di Putin”.
E la Francia?
“Dobbiamo tutelare i nostri interessi anche rispetto alla Francia di Macron”.
Torniano un attimo su Regeni. Cosa non la convince nella modalità di quell’omicidio?
“Ci sono state molte coincidenze strane. Ma non voglio fare illazioni, non è il mio mestiere”.
La più strana?
“Il fatto che il cadavere del nostro ricercatore fu fatto ritrovare (il 3 febbraio 2016, sul ciglio della strada tra il Cairo e Alessandria, una settimana dopo la scomparsa, ndr) mentre l’allora ambasciatore Massari era in sede per un ricevimento con l'allora ministro Guidi e una sessantina di imprenditori italiani”.

mercoledì 16 agosto 2017

Danni Collaterali. Le sanzioni USA mirano alla Russia per colpire l’Europa.


di Diana Johnstone 

28 Luglio 2017

(traduzione dall’inglese dell’articolo publicato su counterpunch: G.J.E.)

Sanno cosa stanno facendo? Quando il Congresso USA adotta sanzioni draconiane con lo scopo principale di togliere potere al presidente Trump e impedire qualsiasi mossa per migliorare le relazioni con la Russia, si rendono conto che le misure costituiscono una dichiarazione di guerra economica contro i loro cari amici europei?
Che lo sappiano o meno, ovviamente non gliene importa. I politici d‘oltre Atlantico vedono il resto del mondo come una periferia americana da sfruttare, castigare o ignorare impunemente.
La legge H.R. 3364, Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act (Atto di contrasto per gli avversari dell’America attraverso sanzioni), è stata adottata il 25 Luglio da 419 membri della Camera dei rappresentanti, salvo tre contrari. Una versione precedente è stata adottata da tutti i Senatori tranne due. Tali proporzioni indicano un passaggio finale assicurato, consentendo di impedire un eventuale veto presidenziale.
Questo umore stizzoso del Congresso USA aleggia in tutte le direzioni. Le principali vittime saranno senza dubbio i cari alleati europei, in particolare la Germania e la Francia - le quali, sia detto en passant, possano talvolta costituire delle concorrenti economiche. Ma tali grossolane considerazioni non trovano udienza nello spirito dei nobili eletti del Popolo americano, totalmente votati ad innalzare la moralità universale.

Il Soft Power economico colpisce duramente.

Sotto il regime di sanzioni USA, qualsiasi nazione europea che faccia affari con la Russia (o con gli altri Paesi reprobi) potrebbe trovarsi in pesanti guai. In particolare, quest‘ultima legge colpisce tutte le società coinvolte nel finanziamento e costruzione del gasdotto Nord Stream 2, destinato a rifornire la Germania con il molto desiderato gas naturale russo.
Piccolo dettaglio: le compagnie statunitensi sono pronte a porgere una mano d‘aiuto ai loro amici tedeschi, vendendo loro il proprio gas naturale, ottenuto con il fracking, a un prezzo molto maggiore.
Questo è soltanto uno dei modi con i quali questa legge intende soggiogare le banche e le imprese europee con paralizzanti restrizioni, procedimenti legali e multe gigantesche.
Mentre predicano la libera concorrenza al mondo intero, gli Stati Uniti prendono costantemente misure per prevenirla a livello internazionale.
Secondo l’accordo del luglio 2015 che garantiva che l’Iran non avrebbe potuto sviluppare armi nucleari, le sanzioni internazionali erano state tolte, ma gli Stati Uniti hanno mantenuto le loro precedenti. Da allora, qualsiasi banca o impresa estera che si proponesse di fare investimenti o affari commerciali con l’Iran, è passibile di ricevere una lettera da un ente con base a New York autodenominatasi United against Nuclear Iran ( [Stati] Uniti contro l’Iran nucleare ) con l’avviso di rischiare «seri rischi legali, politici, finanziari, compresi rischi di reputazione facendo affari con l’Iran, particolarmente in settori dell’economia iraniana come petrolio e gas». I rischi citati includono miliardi di USdollars di multe (USA), la sorveglianza da parte “di una miriade di agenzie di controllo“, pericolo personale, perdita di copertura assicurativa, rischio di sicurezza informatica, perdita di ulteriori affari lucrosi, danno alla reputazione aziendale e la caduta del proprio valore azionario.
Gli Stati Uniti si comportano da gangsters in totale impunità, avendo negli anni sviluppato un vasto, oscuro labirinto giuridico, capace di imporre il loro volere nell‘economia del «Mondo Libero» grazie all’onnipresenza del dollaro, alla spregiudicatezza di un’intelligence senza pari, e all‘intimidazione pura e semplice.
I leader europei hanno reagito con indignazione a quest‘ultima raffica di sanzioni. Il Ministero degli esteri tedesco ha definito «inaccettabile da parte degli Stati Uniti voler utilizzare possibili sanzioni come strumento per servire gli interessi dell‘industria statunitense». Il Ministro degli Esteri francese ha denunciato l’extra territorialità della legislazione statunitense come illegale, e ha annunciato che per proteggerci dagli effetti extraterritoriali di tale legislazione USA, dobbiamo agire per adattare di conseguenza le nostre leggi francesi ed europee.
Effettivamente, l’arrogante imposizione statunitense delle loro leggi ad altri Paesi sta causando una crescente amarezza in Francia: lo scorso 5 ottobre, un severo rapporto è stato presentato alle Comissioni per gli affari esteri e delle finanze all‘Assemblea nazionale sulla questione della «extraterritorialità della legislazione USA» .

Extraterritoralità

Il presidente della commissione d’inchiesta che ha prodotto il rapporto, Pierre Lellouche, rappresentante di Parigi da lungo tempo, ha così riassunto la situazione:
«I fatti sono molto semplici. Ci troviamo di fronte un muro di leggi statunitensi estremamente denso, la cui precisa intenzione é quella di usare il diritto a fini di imperio economico e politico, con lo scopo di ottenere vantaggi economici e strategici. Come sempre per gli Stati Uniti, questo imperio, questo rullo compressore normativo si traveste e derubrica in nome delle migliori intenzioni del mondo, da quando gli Stati Uniti si definiscono un potere benevolo, un paese che può solo fare del bene.»
Sempre nel nome della lotta contro la corruzione o la lotta contro il terrorismo, gli Stati Uniti perseguono penalmente qualsiasi cosa possa essere definita un individuo giuridico USA, che secondo la bizzarra legge americana si può riferire, non importa quale impresa sia che operi nel mondo libero, a qualsiasi società riconducibile agli USA attraverso una filiale statunitense, o che sia quotata in borsa a New York, oppure che utilizzi un server basato negli Stati Uniti, o che semplicemente commerci in dollari, cosa che nessuna grande impresa internazionale può evitare.
Nel 2014 la maggiore banca di Francia, la BNP Paribas, ha acconsentito di pagare una multa enorme di quasi nove miliardi di dollari per aver utilizzato trasferimenti in dollari come transazione con nazioni sotto sanzioni statunitensi. Queste transazioni erano perfettamente legali per la legge francese. Ma poiché gli scambi sono stati effettuati in dollari il pagamento transitava attraverso gli Stati Uniti, dove diligenti esperti informatici hanno provveduto a scoprire “l‘ago nel pagliaio“.
In questa situazione, le banche europee si trovano di fronte alla scelta tra farsi trascinare in giudizio, in un procedimento che si trascinerà per anni con restrizioni e sanzioni applicate già prima del verdetto; oppure seguire i consigli di ben pagati avvocati d‘affari statunitensi, e quindi accettare di entrare nell‘oscura cultura giudiziaria statunitense del mercanteggiare e del patteggiare, poco familiare per gli europei, pur di scamparla. Come un poveraccio accusato di rubare mele al mercato, gli avvocati spingono le grosse imprese europee a dichiararsi colpevoli pur di sfuggire a peggiori conseguenze.
Alstom, grande compagnia multinazionale, il cui ramo ferroviario produce i treni ad alta velocità francesi, è un gioiello dell‘industria francese. Nel 2014 ha ceduto il suo ramo energia al gigante statunitense General Electric sotto la pressione delle accuse USA di corruzione (probabili tangenti a funzionari di alcuni Paesi del Sud del mondo).

L’ipotesi soggiacente a questa prassi è che la supposta «corruzione» da parte di aziende straniere comporti per le aziende USA una perdita di mercato. Per quanto plausibile, quello che qui manca è un qualsiasi principio di reciprocità. Tutta una panoplia di agenzie di intelligence statunitensi, con la capacità di spiare qualsiasi tipo di comunicazione privata, è impegnata nello spionaggio commerciale in tutto il mondo. Un esempio: l’Office of Foreign Assets Control opera a questo scopo con 200 impiegati e con un budget annuo di oltre 30 milioni di USdollars. Il suo omologo a Parigi impiega 5 persone.
Questa era la situazione ad ottobre 2016. L‘ultima serie di sanzioni sono destinate ad esporre le banche e le imprese europee a conseguenze ancor più severe, in special modo guardando agli investimenti per il vitale gasdotto Nord Stream.
Va fatto notare che queste sanzioni sono soltanto le ultime di una serie di misure legislative USA volte a minare le sovranità legislative nazionali e creare una giurisdizione globale entro la quale chiunque può citare in giudizio chiunque altro per qualsivoglia motivo, ma con la caratteristica determinante che la capacità di indagine e la forza per imporre queste leggi sarà detenuta dagli USA.

Sabotare l’Economia Europea

Oltre una dozzina di banche europee (inglesi, tedesche, francesi, olandesi, svizzere) si sono ritrovate nel mirino della ‘moralizzazione giuridica‘ statunitense, di fronte ad una sola banca US: JP Morgan Chase. L‘azione punta al nucleo dell‘Europa, alle grandi nazioni europee, mentre l‘influenza statunitense dilagante nei Paesi del Nord-Est – Polonia, Stati baltici e Svezia – hanno impedito all‘Unione Europea dal prendere misure di autodifesa (necessariamente unanimi) contrarie agli interessi USA.
Da lungo tempo, la più grossa preda di questa spedizione di pesca finanziaria è la Deutsche Bank. Come ha sostenuto Pierre Lellouche nell‘audizione finale della discussione sull‘extraterriorialità in ottobre, il procedimento contro Deutsche Bank rischia di demolire l‘intero sistema bancario europeo. Sebbene abbia già pagato centinaia di milioni di dollari allo Stato di New York, Deutsche Banke si trova ad affrontare « una multa di 14 miliardi di dollari, quando ne vale solo cinque e mezzo. … In altre parole, se questo affare va in porto, si rischia per un effetto domino una devastante crisi finanziaria in Europa. »

In sintesi, le sanzioni USA costituiscono una reale spada di Damocle che minaccia l’economia dei suoi maggiori partner commerciali. Potrebbe essere una vittoria di Pirro, o più semplicemente il colpo che uccide l’oca che depone le uova d’oro. Ma evviva, l’America sarò la vincitrice in un campo di rovine.
Nel corso delle audizioni parlamentari l‘ex Ministro della giustizia Elisabeth Guigou ha definito la situazione scioccante, segnalando che la Francia ha riferito all‘ambasciata USA di una situazione “insopportabile“, e riaffermato di “aver dovuto firmare“.
Lacques Myard ha affermato che “La legge statunitense è stata usata per supportare il mercato ed eliminare la concorrenza. Non dobbiamo essere ingenui ma invece consapevoli di ciò che sta accadendo.“

L’inchiesta ha fatto un passo avanti nella consapevolezza e resistenza francesi a una nuova forma di tassazione senza rappresentanza imposta dagli Stati Uniti sui Paesi europei. I membri del comitato sono stati d’accordo che qualcosa andava fatto.
Questo succedeva l’ottobre scorso. In giugno la Francia ha tenuto le sue elezioni parlamentari. Il presidente della commissione, Pierre Lellouche (repubblicano), la relatrice Karine Berger (socialista), Elisabeth Guigou (leader socialista) e Jacques Myard (repubblicano) hanno tutti perduto i loro seggi in favore di nuovi venuti senza esperienza reclutati dal partito del Presidente Emmanuel Macron, Republique en marche. I nuovi arrivati sono disorientati nell‘inquadrare il loro percorso nella vita parlamentare e non possiedono memoria politica, ad esempio riguardo il Rapporto sullextraterrioralità.
In quanto a Macron, come Ministro dell’economia, nel 2014 é andato contro le precedenti decisioni del governo approvando l’acquisto di Alstom da parte di General Electric. Non sembra ansioso di fare qualcosa che faccia arrabbiare gli Stati Uniti.
Comunque, ci sono alcune situazioni così platealmente squilibrate che non possono andare avanti per sempre.

Diana Johnstone is co-author of From MAD to Madness, by Paul H. Johnstone (Clarity Press).
She can be reached at diana.johnstone@wanadoo.fr

Così gli Usa «rassicurano» l’Europa


di Manlio Dinucci

il manifesto, 15 agosto 2017

Nell’anno fiscale 2018 (che inizia il 1° ottobre 2017) l’amministrazione Trump accrescerà di oltre il 40% lo stanziamento per la «Iniziativa di rassicurazione dell’Europa» (Eri), lanciata dall’amministrazione Obama dopo «la illegale invasione russa dell’Ucraina nel 2014»: lo annuncia il generale Curtis Scaparrotti, capo del Comando europeo degli Stati uniti e quindi per diritto Comandante supremo alleato in Europa.

Partito da 985 milioni di dollari nel 2015, il finanziamento della Eri è salito a 3,4 miliardi nel 2017 e arriverà (secondo la richiesta di bilancio) a 4,8 miliardi nel 2018. In quattro anni, 10 miliardi di dollari spesi dagli Stati uniti al fine di «accrescere la nostra capacità di difendere l’Europa contro l’aggressione russa».

Quasi la metà della spesa del 2018 – 2,2 miliardi di dollari – serve a potenziare il «preposizionamento strategico» Usa in Europa, ossia i depositi di armamenti che, collocati in posizione avanzata, permettono «il rapido spiegamento di forze nel teatro bellico». Un’altra grossa quota – 1,7 miliardi di dollari – è destinata ad «accrescere la presenza su base rotatoria di forze statunitensi in tutta Europa».

Le restanti quote, ciascuna nell’ordine di centinaia di milioni di dollari, servono allo sviluppo delle infrastrutture delle basi in Europa per «accrescere la prontezza delle azioni Usa», al potenziamento delle esercitazioni militari e dell’addestramento per «accrescere la prontezza e interoperabilità delle forze Nato».

I fondi della Eri – specifica il Comando europeo degli Stati uniti – sono solo una parte di quelli destinatati all’«Operazione Atlantic Resolve, che dimostra la capacità Usa di rispondere alle minacce contro gli alleati».

Nel quadro di tale operazione, è stata trasferita in Polonia da Fort Carson (Colorado), lo scorso gennaio, la 3a Brigata corazzata, composta da 3500 uomini, 87 carrarmati, 18 obici semoventi, 144 veicoli da combattimento Bradley, oltre 400 Humvees e 2000 veicoli da trasporto. La 3a Brigata corazzata sarà rimpiazzata entro l’anno da un’altra unità, così che forze corazzate statunitensi siano permanentemente dislocate in territorio polacco. Da qui, loro reparti vengono trasferiti, per addestramento ed esercitazioni, in altri paesi dell’Est, soprattutto Estonia, Lettonia, Lituania, Bulgaria, Romania e probabilmente anche Ucraina, ossia vengono continuamente dislocati a ridosso della Russia.

Sempre nel quadro di tale operazione, è stata trasferita nella base di Illesheim (Germania) da Fort Drum (New York), lo scorso febbraio, la 10a Brigata aerea da combattimento, con oltre 2000 uomini e un centinaio di elicotteri da guerra. Da Illesheim, sue task force vengono inviate «in posizioni avanzate» in Polonia, Romania e Lettonia.

Nelle basi di Ämari (Estonia) e Graf Ignatievo (Bulgaria), sono dislocati cacciabombardieri Usa e Nato, compresi Eurofighter italiani, per il «pattugliamento aereo» del Baltico. L’operazione prevede inoltre «una persistente presenza nel Mar Nero», con la base aerea di Kogalniceanu (Romania) e quella addestrativa di Novo Selo (Bulgaria).

Il piano è chiaro. Dopo aver provocato col putsch di Piazza Maidan un nuovo confronto con la Russia, Washington (nonostante il cambio di amministrazione) persegue la stessa strategia: trasformare l’Europa in prima linea di una nuova guerra fredda, a vantaggio degli interessi degli Stati uniti e dei loro rapporti di forza con le maggiori potenze europee. I 10 miliardi di dollari investiti dagli Usa per «rassicurare» l’Europa, servono in realtà a rendere l’Europa ancora più insicura.

sabato 12 agosto 2017

L’Italia sospende l’invio di armi a Maduro, ma la Farnesina tace

La pistola "Strike One" - Foto: Modern Firearms

di Giorgio Beretta

Unimondo

Martedì, 08 Agosto 2017


Ha suscitato molta attenzione (e in alcuni ambienti anche non poco imbarazzo) l’articolo “Venezuela: Gentiloni si indigna, ma fornisce armi a Maduro” che lo scorso 1 agosto ho pubblicato su questo portale. Nell’articolo documentavo alcuni fatti di cui nessuno in Italia aveva ancora dato notizia tra cui, soprattutto, che l’anno scorso l’Italia ha autorizzato l'esportazione al Venezuela di 10mila pistole AF-1 Strike One semiautomatiche prodotte dall’azienda italo-russa Arsenal Firearms S.r.l con sede in via X Giornate 14 a Magno di Gardone Val Trompia, in provincia di Brescia. Solo una parte di queste armi è già stata consegnata e pertanto – argomentavo – il governo italiano potrebbe sospendere le forniture in considerazione della situazione in Venezuela. Alcuni giorni dopo, il 5 agosto, il quotidiano “Avvenire” in un breve articolo a riportava la notizia secondo cui “ieri fonti del governo italiano hanno confermato di aver bloccato qualsiasi consegna a Maduro”.  Cosa è successo nel frattempo? A cosa si riferisce di preciso questa notizia? E, soprattutto, perché la Farnesina non ne ha dato notizia in modo ufficiale? Andiamo con ordine.
Unimondo ne parla e Beppe Grillo rilancia
Come detto, la notizia della fornitura di pistole italiane alle forze di polizia del Venezuela è stata data, in anteprima in Italia, dal mio articolo del 1 agosto. Tre giorni dopo, il quotidiano “Avvenire”, in un articolo di Nello Scavo dal titolo “Venezuela. «È un regime». Poi però gli vendono armi”, ne riprendeva varie informazioni e riportava una mia dichiarazione evidenziando soprattutto che non tutte le armi erano state ancora spedite: “Le altre arriveranno con nuove spedizioni, sempre che il governo Gentiloni – che nei giorni scorsi ha espresso forte preoccupazione per la «situazione al limite della guerra civile» – non decida di revocare l’autorizzazione”. Una sottolineatura importante, in linea con quanto già evidenziavo nel mio articolo.
Lo stesso giorno, il 4 agosto, il “Blog di Beppe Grillo” riportava integralmente il mio articolo, senza alcuna presentazione né commento. Non era l’unico (si vedano, ad esempio, anche i portali “Antimafia Duemila”, “Nutesla” e anche “Vita Trentina”) e non è la prima volta: gli articoli di Unimondo, infatti, sono riproducibili da tutti, anche integralmente, citando l’autore e con un preciso link alla fonte. Il rilancio di un articolo, ci tengo a sottolinearlo, non significa che Unimondo sia in qualche modo collegato a Beppe Grillo, al Movimento 5 Stelle o a qualsiasi altro movimento o partito: Unimondo è infatti una testata giornalistica indipendente nata nel 1998 per offrire un'informazione qualificata sui temi della pace, dello sviluppo umano sostenibile, dei diritti umani e dell’ambiente. E, giusto per chiarirlo, io non ho alcuna affiliazione politica né partitica e, in qualità di analista del commercio di armi, ho sempre partecipato a tutti gli incontri e dibattiti promossi da associazioni e partiti a cui sono stato invitato e anche a varie audizioni alle Camere promosse da diversi partiti.
Una polemica pretestuosa
Per questo ritengo irridente e pretestuoso, il comunicato stampa diffuso il pomeriggio del 4 agosto dal Gruppo parlamentare del Partito Democratico alla Camera firmato dalla capogruppo PD in commissione Esteri, Lia Quartapelle, e dal deputato PD eletto nella circoscrizione Estero-America meridionale, Fabio Porta. Quel comunicato – riportato anche sul sito “Deputati PD” – comincia affermando che “Con un post sull’autorevole blog di Beppe Grillo, il M5S scopre che in Italia esiste una normativa avanzata che disciplina scrupolosamente e in modo articolato il sistema di autorizzazioni per le esportazioni di armi”.
Lo ripeto: il post (l’articolo) pubblicato sul Blog di Grillo non è del M5S, ma è mio. Se qualche parlamentare ha obiezioni e critiche da sollevare in merito a ciò che scrivo (e puntualmente documento da 15 anni) sulle esportazioni di armi italiane credo che per correttezza dovrebbe innanzitutto rivolgersi a me evitando di sollevare polemiche inutili e pretestuose. Per questo ho risposto via twitter sia ai Deputati PD per segnalare loro che sono io l’autore dell’articolo, sia soprattutto per chiedere all’on. Lia Quartapelle di inviarmi i documenti ufficiali riguardo alla “sospensione” dell’autorizzazione per le forniture alla polizia venezuelana che è comunicata nella nota stampa da lei diffusa. Ho provveduto ad inviare anche via posta elettronica agli indirizzi ufficiali dei due parlamentari la richiesta di documentazione:mi auguro vogliano provvedere presto ad inviarmela.
Quali forniture di armi sono state sospese e quando?

Ma veniamo al sodo. La nota stampa dei due Deputati PD afferma testualmente (refuso compreso) che “….l’autorizzazione per le forniture alla polizia venezuelana sono già state sospese”. Si tratterebbe di “una misura doverosa, che rientra nel perimetro giuridico in cui è tenuto a operare il governo ed è coerente con la politica portata avanti dall’Italia per onorare l’amicizia e la solidarietà che riserviamo al popolo venezuelano oppresso dal regime di Nicolàs Maduro”.
La nota stampa, si badi bene, innanzitutto conferma alcune informazioni riportate nel mio articolo e soprattutto che vi è una “autorizzazione per le forniture alla polizia venezuelana”. Non riporta però – ed è per questo che ho chiesto i documenti ufficiali – né il quantitativo né il valore della fornitura e se la “sospensione” in atto riguardi solo quella fornitura od anche altre in corso. Soprattutto non dice nulla su quante armi siano già state consegnate e nemmeno a quale data risalga questa “sospensione”: il comunicato è infatti alquanto vago, mentre è fondamentale conoscere la data e le motivazioni ufficiali della misura adottata. Andrebbe chiarito, soprattutto, se si tratta di una misura provvisoria di tipo precauzionale o se invece il provvedimento ha un carattere preciso e definitorio: nel qual caso è da appurare se il provvedimento sia già stato comunicato agli altri Paesi membri dell’UE per evitare che altri Stati membri autorizzino, in sostituzione, un’operazione sostanzialmente identica di fornitura di armi al Venezuela.  Come si vede, le domande sono molte e, al riguardo, sarebbe utile che i parlamentari esercitassero tutte le prerogative di sindacato ispettivo di cui sono investiti.
Il silenzio della Farnesina
Si tratta di domande rilevanti anche alla luce del successivo articolo di Nello Scavo, pubblicato su “Avvenire” dal titolo “Interrotta la fornitura di 10mila pistole” che l’on. Quartapelle adduce a “conferma” di quanto da lei stessa affermato nel comunicato stampa dei Deputati PD. Letto attentamente, però, l’articolo di Scavo dice solo che “ieri fonti del governo italiano hanno confermato di aver bloccato qualsiasi consegna a Maduro, come spiegano in una lettera i parlamentari Quartapelle e Porta”. Ed aggiunge: “Fonti del ministero degli Esteri hanno confermato la notizia”. Ma né sul sito del Ministero degli Esteri né su quello dell’autorità preposta al controllo delle esportazioni di armamenti (U.A.M.A) nei sui canali social della Farnesina è possibile trovarne notizia. Ed è, invece, di fondamentale importanza, sia interna che a livello europeo e internazionale, che il governo comunichi ufficialmente se ha sospeso l’invio di armi alla polizia e ad altri corpi armati del Venezuela.
Non posso entrare qui nel merito delle diverse implicazioni, anche sulla politica estera, di questa decisione. Ma non si può negare che, se confermata, questa decisione rappresenta un importante precedente anche per altri casi, tra cui innanzitutto quello delle forniture di bombe italiane all’Arabia Saudita che in Yemen da oltre due anni sta compiendo azioni militari ripetutamente condannate dal Segretario Generale dell’Onu che, secondo il giudizio degli esperti delle Nazioni Unite “possono costituire crimini di guerra”: si tratta di forniture su cui dovrà prossimamente esprimersi il Parlamento. Una decisione alla quale, se confermata, mi auguro di aver contribuito segnalando ai media nazionali e ai rappresentanti politici le forniture di pistole italiane al Venezuela. Ma sulla quale, soprattutto, va fatta prontamente piena chiarezza.

giorgio.beretta@unimondo.org

giovedì 10 agosto 2017

Mons. Abou-Khazen, da Aleppo



Comunicato di mons Georges Abou-Khazen – francescano della Custodia di Terra Santa e Vicario apostolico di Aleppo

Pochi giorni prima del Natale 2016, Aleppo è stata liberata ed unificata dopo quattro anni di guerra e violenza. Città divisa, assedio quasi totale, bombardamenti alla cieca sui quartieri che hanno seminato morte e terrore tra i civili, disoccupazione, elettricitá del tutto tagliata e atavica mancanza di risorse idriche. La liberazione della cittá da parte dell’esercito regolare ha segnato una nuova tappa nella guerra siriana: la speranza e l’incentivo di liberare dai gruppi terroristici il resto del Paese, ed in modo speciale ha allontanato la paura della divisione della Siria, nonché la possibilità di creare uno Stato moderno dove i diversi gruppi etnici e religiosi possano vivere in pace ed in armonia.  Il tempo di festeggiare un evento così importante come la liberazione della città deve lasciare ora il posto alle gradi sfide che ci aspettano per il nostro futuro:

1 – Dopo aver liberato e unito tra loro i quartieri attraverso le reti viarie, è necessario ri-unire e riconciliare gli abitanti.
2 – Superare il trauma della guerra e del terrore che ha colpito tutti gli abitanti, in un modo speciale i bambini e i giovani.
3 – Dare assistenza ai minori rimasti orfani dei genitori. Le statistiche,  parlano di più di duemila bambini in questa condizione; il Governo sta cercando di registrarli fornendo loro i documenti necessari.
4 – Molti bambini non hanno potuto frequentare la scuola per quattro o cinque anni. Va colmato questo vuoto di educazione e insegnamento.
5 – C’è da occuparsi di un’intera popolazione rimasta senza lavoro né soldi a causa del perdurante conflitto.
6 – Ricostruzione degli edifici sventrati, compresi i mercati della città vecchia, gli edifici pubblici e religiosi, ad esempio tutto il patrimonio delle chiese di Aleppo, distrutte o parzialmente danneggiate.
7  – A questo problema si lega la necessità di fornire un alloggio alle famiglie rimaste senza casa.
8 – Una grande sfida è quella di far tornare la fiducia nelle persone e allontanare la diffidenza nei confronti delle altre comunità etniche.
9 – Molte famiglie, dopo essere emigrate, stanno già tornando ad Aleppo. Questo fenomeno va incentivato, aiutando chi aveva un’attività a ricominciare.
10 – All’interno della comunità cristiana ci stiamo ponendo interrogativi sul nostro futuro. Una cosa è certa: la Chiesa in Aleppo e  in tutta la Siria non sarà più la stessa. Questo conflitto ha creato un prima e un dopo. Ad Aleppo stiamo pensando di organizzare un Sinodo inter-comunitario che coinvolga tutti i riti cattolici presenti nella città (sei riti con sei vescovi).

Le esigenze e le sfide sono molte e complesse, ma la volontà della gente di vivere e ricostruire trionferà sulle paure e sulle inevitabili difficoltà. Il Signore ci doni la sua Pace per il bene della Siria e di tutta la regione.

http://www.interris.it/2017/08/01/124800/intervento/aleppo-dopo-la-liberazione.html

martedì 8 agosto 2017

Il Venezuela e l'Assemblea Nazionale Costituente: poco o molto?


di Atilio Boron

07 Agosto 2017 

Traduzione di Marx21.it

Raramente si sono svolte elezioni in un contesto così segnato dalla violenza come le ultime in Venezuela. Ci sono poche esperienze simili in Libano, Siria e Iraq. Forse nei Balcani al tempo della disintegrazione della ex Jugoslavia. Dubito che in qualsiasi paese europeo e anche negli Stati Uniti si sarebbero svolte elezioni in un contesto simile a quello venezuelano. Per questo il fatto che più di otto milioni di persone abbiano sfidato la destra terrorista con i suoi sicari, piromani, sequestratori e cecchini e siano accorse a esprimere il proprio voto dimostra il radicamento del chavismo tra le classi popolari ed è, anche, una prova inestimabile di lotta per la pace e di ripudio della violenza. E quando la Commissione Nazionale Elettorale dice che hanno votato 8.089.320 persone in modo giusto, doppiamente certificato dalla scheda elettorale e dal controllo delle impronte digitali di ciascuno dei votanti. Il materiale è a disposizione per la verifica da parte dell'opposizione e degli osservatori indipendenti, contrariamente a ciò che è avvenuto con la farsa elettorale della MUD il 16 luglio che, mediante un'esilarante innovazione nell'arte e nella scienza della politica, aveva proceduto ad ammettere elettori con o senza documenti, a farli votare quante volte volessero e, alla fine, a bruciare tutti i registri una volta terminato il conteggio corredato di menzogne.

Nonostante queste premesse, l'esito delle elezioni per l'Assemblea Nazionale Costituente è stato bollato come fraudolento dalla destra internazionale, governativa o no, e da alcune sette deliranti della sinistra eternamente funzionali all'imperialismo. Alcuni illustri governi dentro e fuori la regione: Messico, Argentina, Cile, Perù, Stati Uniti, Panama, Colombia, Paraguay, Brasile, Canada, Spagna e Costa Rica si sono affrettati a dichiarare il giorno seguente le elezioni che non avrebbero riconosciuto la ANC nata dal voto dei cittadini cosa che, senza dubbio, dovrebbe agitare il sonno del governo bolivariano e di milioni di venezuelani abbattuti da tanto degradante notizia. E' evidente che quei governi non possono farlo, poiché hanno abbastanza preoccupazioni in casa propria e non possono riconoscere la lezione di democrazia impartita dal coraggioso popolo venezuelano.

Il Messico è in imbarazzo per l'ottavo giornalista assassinato dall'inizio dell'anno, e per non aver trovato i responsabili di altre minuzie come i 57 omicidi al giorno registrati nel 2016; il governo argentino per la molto probabile sconfitta nel principale distretto elettorale del paese e un'economia che non prende il volo; il Cile, per la profonda delegittimazione del suo sistema politico e le proteste sociali che quotidianamente si manifestano nelle principali città del paese; la Colombia, impegnata con i suoi sette milioni e mezzo di sfollati a causa del paramilitarismo e del narcotraffico; il Paraguay, per la penetrazione dei narcos nei diversi livelli dell'amministrazione pubblica; il Brasile, per il letamaio in cui sta affondando l'intera sua dirigenza. Per non parlare del caos in cui si trovano gli Stati Uniti con un capo di Stato imprevedibile e volubile come pochi e una povera Spagna immersa anch'essa nella corruzione dei suoi ricconi, nella putrefazione della sua monarchia e nell'irreparabile perdita di prestigio della sua classe politica. Governi eccelsi che sicuramente ignorano che l'ex presidente degli USA James Carter – non proprio un chavista – aveva garantito che il sistema elettorale del Venezuela è più affidabile e trasparente di quello degli Stati Uniti.

Ma, incoraggiati dal sostegno di tali illustri governi, i critici della rivoluzione bolivariana non indietreggiano e alzano il dito accusatore sostenendo che il grado di partecipazione alle elezioni dell'ANC, il 42% del corpo elettorale, è stato molto bassa e non può suffragare la pretesa delle autorità ufficiali di dare legittimità alla sua installazione. La stampa canaglia, la cui missione esclusiva è mentire e manipolare, senza alcuno scrupolo, la coscienza pubblica, non dice nulla sulle condizioni in cui i venezuelani e le venezuelane sono usciti dalle loro case per recarsi a votare.

Peggio ancora, nella sua decadenza morale il quotidiano El País, fiore all'occhiello del terrorismo mediatico, si è dimenticato che il 21 febbraio 2005 aveva titolato “Si clamoroso alla Costituzione Europea con una partecipazione del 42%” degli spagnoli, risultato ottenuto in un clima di totale tranquillità, senza guarimbas e sicari che imperversano nelle strade. Ma dodici anni più tardi ciò che in Spagna permetteva di parlare di un “Si clamoroso” si è tramutato in una critica per la “violenza e l'astensione nella Costituente di Maduro”. Nulla dice questo house organ del capitale che la sua così ammirata Michelle Bachelet ha ottenuto la presidenza nel 2013 in elezioni con la partecipazione del 41,9% degli elettori registrati, e che nelle municipali del Cile dell'anno scorso l'affluenza è stata ancora minore: 34,9%. O che in Colombia Juan M. Santos è stato eletto al ballottaggio con il 47% dei votanti e che nel Referendum per la Pace, all'inizio del 2016 per decidere di una questione così importante, l'affluenza è stata di solo il 38%; o che Bill Clinton fu rieletto nel 1996 in elezioni a cui prese parte solo il 49% degli iscritti al voto e che il suo successore, George W. Bush, in altre a cui partecipò il 50,3%. E dire che in gioco era niente meno che la presidenza degli Stati Uniti!

In conclusione, si tratta di un eccellente livello di partecipazione date le circostanze e della sconfitta completa della strategia della destra per sabotare l'ANC. Ciò sicuramente intensificherà le azioni della fazione terrorista dell'opposizione il cui disprezzo per le regole democratiche è incurabile. In vista delle elezioni dei governatori in programma a dicembre di quest'anno e delle presidenziali che avranno luogo il prossimo anno. Ma a questa “élite di fuorilegge” - così il laburista britannico Harold Laski definiva la dirigenza fascista europea i cui discendenti oggi devastano il Venezuela -   ciò non interessa minimamente. Vogliono farla finita con il chavismo, incoraggiati dai loro padroni e finanziatori del nord, e per questo sono disposti a fare qualsiasi cosa, a violare qualsiasi norma etica. Toccherà al nuovamente legittimato governo di Nicolás Maduro rompere gli indugi e farla finita con l'ala terrorista dell'opposizione e ristabilire l'ordine pubblico e la normalità della vita quotidiana, senza cui sarà impossibile rilanciare il progetto bolivariano.

domenica 6 agosto 2017

Le false notizie sul Venezuela del Televideo Rai


di Attilio Folliero

Caracas 04/08/2017

Oggi, il Televideo RAI ha pubblicato una notizia totalmente falsa sul Venezuela.

Ultim'ora delle 22:15 del 4 agosto 2017, il Televideo della RAI scrive che a Caracas c'è altissima tensione dopo l'insediamento dell'Assemblea Costituente. E prosegue: "La Guardia Nazionale Bolivariana ha lanciato gas lacrimogeni contro un gruppo di oppositori che ha organizzato una imponente manifestazione davanti al Parlamento".

Più avanti, continua: "Tutta l'area è blindata e le forze di sicurezza impediscono la protesta".

Innanzitutto, all'autore della nota mi viene da chiedere: "La manifestazione c'è stata o non c'è stata? E' stata dispersa dal lancio dei lacrimogeni della "Guardia Nazionale Bolivariana" o l'area era blindata?" Chi ha scritto la nota, prima di tutto dovrebbe essere più chiaro: non può fare una affermazione e subito dopo, nella stesa nota, fare un'altra affermazione che smentisce la prima!

La stessa notizia, o meglio la stessa "fake news" è ribadita da Televideo nella parte dedicata agli esteri (pagina 150 e seguenti). Nella pagina 151, pubblicata alle 23:40, quindi una ora e 25 minuti dopo l'Ultim'ora si riporta, testuali parole: "All'esterno, imponente manifestazione degli oppositori".

Io ero davanti al Parlamento venezuelano nel momento dell'insediamento della Costituente e nelle ore successive e posso testimoniare che le affermazioni di Televideo sono totalmente infondate; non c'è stata nessuna manifestazione dell'opposizione davanti al parlamento.

Si tratta di una notizia falsa, anzi una triplice falsità: prima di tutto nel centro di Caracas, all'ovest e nella gran parte della città non c'era tensione, ma era tutto tranquillo; davanti al Parlamento c'era tantissima gente allegra, tutti sostenitori della Costituente e non c'era nessuna manifestazione imponente degli oppositori; e per finire, non c'è stata nessuna repressione e nessun lancio di bombe lacrimogene come afferma Televideo, per la semplice ragione che non c'erano manifestazioni di opposizione né imponenti, né microscopiche davanti al Parlamento.

Una manifestazione degli oppositori c'è stata, ma nella zona dei quartieri ricchi, nell'est di Caracas, che non ha avuto nessun effetto sul resto della città.

https://youtu.be/CncKZ3Pe11Q

Nel video dell'Agenzia AVN, l'installazione della Costituente all'interno del Parlamento ed immagini delle manifestazioni popolari all'esterno. Non si vedono disordini

https://youtu.be/rl7rySG20y0

Le immagini di Telesur trasmesse in diretta dalla Piazza Bolivar di Caracas

Durante gran parte del giorno sono stato a "passeggiare" con mia moglie nel centro di Caracas. Abbiamo assistito all'ingresso dei deputati eletti alla Costituente ed alla imponente partecipazione popolare che ha accompagnato gli eletti; poi abbiamo continuato la passeggiata, arrivando alla Piazza Diego Ibarra, a meno di cento metri dal Parlamento, dove abbiamo visto il recente inaugurato "Parco acquatico" per il diletto dei bambini (ho postato anche un video in youtube); abbiamo mangiato pure un gelato in una gelateria italiana e siamo passati nuovamente dal Parlamento, che si trova ad un angolo della centralissima Piazza Bolivar.

Quindi sono stato nelle vicinanze del Parlamento prima, durante e dopo l'insediamento dell'Assemblea Costituente e posso asserire senza timore di essere smentito da nessun giornalista o funzionario di Televideo RAI che non c'è stata nessuna manifestazione di opposizione e meno che meno lancio di bombe lacrimogene.




Il parlamento venezuelano circondato da una folla di sostenitori della Costituente


Conati di violenza, comunque con una partecipazione sempre più ridotta da parte degli oppositori, ci sono stati nell'est di Caracas, come accennato sopra. L'opposizione è sempre più spaccata ed una parte consistente ha deciso di abbandonare le manifestazioni violente di questi ultimi mesi per partecipare alle elezioni.

Il Venezuela viene accusato di essere una dittatura, ma è una strana dittatura dove si vota molto spesso (22 o 23 elezioni negli ultimi 18 anni) e l'opposizione vince anche: ha vinto le ultime elezioni parlamentari del 2015, vinse un referendum costituzionale, ha eletto governatori, sindaci, consiglieri regionali, comunali.

Il 30 luglio si è votato per la Costituente e fra qualche mese, quando termineranno i lavori ci sarà un referendum per l'approvazione definitiva della nuova costituzione; poi si dovranno eleggere tutti i poteri. Il Presidente della Repubblica al momento di attivare la Costituente ha rimesso il mandato a disposizione. In ogni caso l'elezione del Presidente è prevista per l'autunno del 2018. 

Intanto quest'anno ci sarà l'elezione dei governatori degli stati e lunedì saranno presentati i candidati. Molti partiti di opposizione hanno deciso di abbandonare la via della violenza e partecipare ai vari processi elettorali che ci saranno nei prossimi mesi.

Anche le grandi imprese sembrano decise ad abbandonare la guerra economica, uno dei fattori che ha inciso sulla scarsità di beni nel mercato venezuelano, accanto alla crisi economica generale, alla caduta del prezzo del petrolio ed altri. Molte imprese hanno prima ridotto e poi sospeso totalmente l'attività produttiva o distributiva per incrementare la scarsità di beni nel mercato ed alimentare il malessere della popolazione verso il governo; i grandi media privati hanno avuto il compito di diffondere l'idea che la causa della scarsità era da attribuire solamente all'inefficienza del governo.

La multinazionale Colgate, per esempio, poche ore fa ha annunciato che riattiva la produzione dei suoi prodotti, in particolare del dentifricio, prodotto che negli ultimi mesi era introvabile in Venezuela.

Quindi la situazione del Venezuela sta decisamente cambiando, nel senso che si sta riducendo il clima di violenza e settori dell'opposizione hanno deciso di partecipare alle elezioni, cercando di conquistare il potere per la via elettorale. A quanto pare alcuni media, come la RAI non hanno capito che c'è una nuova situazione in Venezuela. Per esempio, nell'Ambasciata spagnola, o meglio nella residenza dell'Ambasciatore spagnolo in Venezuela, con la mediazione dell'ex capo del Governo spagnolo, José Luis Rodríguez Zapatero, è stata portata avanti una trattativa, rimasta segreta fino a ieri, fra governo e MUD, ossia l'opposizione. Con questa trattativa l'opposizione o parte dell'opposizione alla fine è stata convinta ad abbandonare la violenza e partecipare alle elezioni. L'esistenza di questa negoziazione è stata rivelata ieri (3 agosto) dal giornalista Kico Bautista.

Intanto, proprio il 3 di agosto l'Ambasciata spagnola a Caracas è stata oggetto di un attentato con bombe molotov. Chi c'è dietro questo attentato? Qualcuno che non era d'accordo con queste trattative?

Ricapitolando la situazione in Venezuela sta cambiando ed a quanto pare alcuni media, come la RAI, non si sono ancora resi conto di questo cambiamento in atto e continuano ad attaccare il Venezuela con notizie false, come questa di una imponente manifestazione dell'opposizione davanti al Parlamento.

La RAI, come tanti altri media italiani, è impegnata da anni a manipolare le informazioni riguardanti il Venezuela. Tra le tante fake news della RAI, ricordo che qualche anno fa, nella puntata di “Italia chiama Italia” trasmessa da RAI International il 5 di ottobre del 2011 e dedicata interamente alla violenza in Venezuela, intitolata appunto “Venezuela violento”, la conduttrice di quel programma, Benedetta Rinaldi, parlò di seimila omicidi al giorno solo a Caracas! Chiunque, facendo un semplice calcolo matematico, poteva rendersi conto che si trattava di una bugia bella grossa, di un tentativo di manipolare e disinformare, di un tentativo di screditare il Venezuela. Se in una città di 3 milioni di abitanti, come Caracas o Roma, ci fossero 6.000 omicidi al giorno la città rimarrebbe senza popolazione dopo meno di un anno e mezzo. E’ semplice matematica!

LA SCOMPARSA DI PADRE DALL’OGLIO: MA CHI ERA VERAMENTE IL GESUITA CHE ESALTAVA LA “LIBERAZIONE” DI RAQQA?


Roma, 29.07.2017      

di Vincenzo Brandi            

Dopo quattro anni dalla scomparsa di Padre Dall’Oglio a Raqqa, le nostre TV e i nostri giornali ricordano in modo stranamente concertato la figura del gesuita, presentato unanimemente come “uomo di pace” e sostenitore del dialogo interreligioso.
Ma chi era in realtà questo personaggio, già presente in un convento in Siria prima della guerra, e poi allontanato dal governo come persona non grata?
Chi scrive può fornire una testimonianza diretta di chi fosse realmente Dall’Oglio per averlo conosciuto personalmente e per aver sostenuto con lui un vivace confronto in un convegno pubblico tenuto a Roma all’inizio della crisi in Siria. 
Il convegno, in cui Dall’Oglio era il principale relatore, era sostanzialmente un’iniziativa a sostegno della ribellione armata iniziata in Siria nel 2011 con il decisivo appoggio esterno di USA, Arabia Saudita, Turchia, Qatar, Israele, ed altri paesi della NATO e monarchie del Golfo Arabico.
Dall’Oglio sosteneva apertamente che i combattenti estremisti sunniti, sostenuti dalle potenze esterne, erano delle brave persone, pieni di patriottismo e senso della giustizia, “PARAGONABILI AI NOSTRI PARTIGIANI CHE SI BATTEVANO CONTRO I NAZISTI”.
Il governo laico del Baath era un “guscio vuoto” che aveva fallito nelle sue politiche riformatrici, compresa la riforma agraria. Non era vero che la comunità cristiana siriana, attaccata dagli estremisti sunniti wahabiti, fosse dalla parte del governo che la proteggeva.
Per nulla impressionato dalle obiezioni poste dal sottoscritto e da altri presenti, Dall’Oglio ha poi continuato a fare dichiarazioni a favore dei cosiddetti “ribelli”, sempre più esaltate, in numerosi convegni in Italia ed in altri paesi anche extraeuropei (se ben ricordo, anche in USA e Canada).
Successivamente il padre gesuita ha raggiunto clandestinamente le zone della Siria orientale occupate dalle bande armate, recandosi a Raqqa, già allora capitale della cosiddetta “ribellione”occupata da varie bande jihadiste che poi sarebbero confluite nello Stato Islamico .
Il telegiornale delle 8,30 di RAI 2 di stasera, 29 luglio 2017, lo ha mostrato in una rara immagine di repertorio, mentre arringa a Raqqa, con espressione esaltata una folla di jihadisti esultanti con le parole. “RAQQA E’ LIBERA E LIBERATA, IN ATTESA DELLA LIBERAZIONE DI DAMASCO”.
Subito dopo dall’Oglio è scomparso, molto probabilmente vittima delle sue illusioni e di qualcuno di quegli stessi gruppi armati che il padre gesuita paragonava incautamente ai nostri partigiani antifascisti. E’ difficile che sia ancora vivo e prigioniero, visto che di lui non si è saputo più nulla.
Da alcune parti non è stata nemmeno esclusa la possibilità (spero non vera) che abbia finito col perdere completamente la testa cambiato identità e si sia unito ai jihadisti.
Il modo con cui i nostri mass media parlano di Dall’Oglio è un’ulteriore dimostrazione della gigantesca manipolazione con cui vengono trattate le vicende della Siria (e ancor prima quelle della Libia, della Jugoslavia, o dell’Iraq, o oggi del Venezuela), quando gli aggrediti diventano aggressori, gli aggressori diventano “liberatori”, le sostenitrici dei jihadisti (come le sciagurate Greta e Vanessa) diventano “cooperanti”, i governi nazionali che cercano di difendere l’indipendenza e l’unità dei paesi sotto attacco diventano “dittature”.
I nostri governanti e la maggior parte dei giornalisti, pubblicisti, commentatori che li sostengono ormai non sanno altro che raccontarci favole e dire bugie.