mercoledì 12 settembre 2018

Di ritorno dalla Serbia. Un paese alla deriva, un popolo avvilito e umiliato e nubi nere all’orizzonte


    di  Enrico Vigna

La Serbia non può avere il piede in due scarpe allo stesso tempo: o sta con la Russia o sta con l'Occidente”
Sui media serbi di queste settimane questa intimazione, che fu espressa lo scorso anno da Hoyt Brian Yee, alto funzionario del Dipartimento di Stato USA,ed oggi è ripresa nei confronti del governo serbo, sta creando un clima molto teso in tutti i campi della società.
Queste parole riproposte oggi, nel pieno delle trattative relative al riconoscimento del Kosovo e del processo di integrazione nella UE, sono interpretate nel paese come un segnale di inasprimento della posizione occidentale nei confronti di Belgrado: un vero e proprio ultimatum con scadenza settembre, con l’obbligo di scegliere con chi stare:Russia o Occidente.
Di ritorno dal periodico viaggio di solidarietà per portare aiuti all’interno dei Progetti solidali dell’Associazione “SOS Yugoslavia – SOS Kosovo Metohija”, con la popolazione serba e le enclavi del Kosovo, resta una sensazione di sconforto e amarezza profonda. Hoconstatato sul posto e negli incontri ufficiali con esponenti delle numerose Associazioni e Comunità sociali con cui lavoriamo e siamo gemellati, ma anche con cittadini comuni, un continuo peggioramento delle condizioni di vita, di lavoro, sociali, economiche e politiche, in Serbia, a cui va aggiunta la terribile situazione della gente nelle enclavi del Kosovo Metohija.
Secondo uno studio della rivista MONS, della Fondazione per lo sviluppo economico (FREN), riportato dalla giornalista Kristina Milenkovic, del Serbian Monitor, e presentato nel corso di un convegno svoltosi a Belgrado nell’aprile 2018, la Serbia è il paese più povero d’Europa.


A 19 anni dai bombardamenti criminali della RF Jugoslava, dopo 19 anni di “democrazia” e “libertà” importati dalle potenze occidentali, in quelle terre il dato costante e inoppugnabile è un continuo e progressivo immiserimento sociale, finora irreversibile, che ha ormai quasi annichilito questo orgoglioso e fiero popolo, che non riesce a trovare vie d’uscita per rialzare la testa, mancando completamente una dirigenza politica, che sia effettiva espressione degli interessi più immediati e strategici del paese e del proprio popolo.

Una popolazione che, dopo quasi due decenni di bombe, ricatti, pressioni, devastazioni sociali, un vero e proprio saccheggio delle proprie risorse, nella sua maggioranza è sempre più schiacciato da una quotidianità al limite della sopravvivenza, dove anche la speranza in miglioramenti, è ormai strangolata da una realtà che si può fotografare in una serie di dati che possono fornire una percezione concreta.
Risale al mese scorso la chiusura di un altro accordo con il Fondo Monetario Internazionale, che alcuni politici hanno definito come la svendita finale della patria e che il movimento Dveri ha denunciato con forza; in base all’accordo la Serbia è destinata a diventare una vera e propria colonia per il capitale straniero, un paese di povertà diffusa e mano d’opera a disposizione al minimo costo. Nell’accordo alla Serbia viene imposto un ulteriore campagna di privatizzazione delle sue ultime grandi aziende pubbliche, alcune delle quali di interesse strategico, dalla Kikinda Methane, alla MSK (Vinegar Complex, alla PBK (Petrohemija Komercijalna Banka), oltre a un primo passaggio verso la privatizzazione della EPS (Elektroprivreda Srbije), l’azienda statale di fornitura elettrica del paese. E’ anche partita la gara d’appalto per vendere il complesso minerario di rame RTB Bor.  

Dal 2006, quando la Serbia ha aderito al cosiddetto “Partenariato per la pace” con la NATO, il paese ha dovuto intraprendere molti passaggi, dalla richiesta di ampie riforme sociali, a una stretta collaborazione nei settori della diplomazia, della sicurezza, della distruzione, dello stoccaggio delle munizioni in eccesso e dei temi relativi ai diritti delle donne, della pace e della sicurezza.
Per quanto riguarda le riforme economiche, è preventivato che la Serbia continui e concluda integralmente il processo di privatizzazione e modifichi la sua economia in modo da attrarre capitali stranieri. Ovviamente nell'accordo non è scritto, ma si sa che l'espressione "attrarre capitali stranieri/investimenti" significa abbattere i diritti dei lavoratori, oltre a vendere risorse naturali e umane a prezzi stracciati. Inoltre sono inclusi nell’accordo negoziati sull'appartenenza della Serbia all'Organizzazione mondiale del commercio e l'indicazione della partecipazione della Serbia all'UE e ai mercati globali. Quindi la Serbia per concludere i negoziati, aderire all'Organizzazione mondiale del commercio e attrarre gli investimenti stranieri, deve continuare a devastare lo stato sociale, a ridurre i posti di lavoro pubblici, ridurre le imposte sugli investimenti stranieri e anzi incentivare con un contributo economico statale per ogni assunzione anche solo a termine per le multinazionali, terminare completamente il processo di privatizzazione. Oltre alla cosiddetta liberalizzazione dei servizi finanziari e dei mercati interni.
Eppure, nonostante questo scenario sociale quotidiano nei mesi scorsi ci sono stati numerosi scioperi guidati dai lavoratori della ex fabbrica Zastava, che sono scesi in piazza in migliaia per protestare contro le condizioni di vita contro le condizioni di lavoro in fabbrica, dove i diritti sono calpestati dalla direzione italiana ed europea, e dove il ricatto quotidiano è l’unica relazione sul posto di lavoro: o accetti o sei fuori.
Le proteste sono terminate a fine maggio, con un unico obiettivo minimo concreto raggiunto dal Sindacato Samostalni, ovvero che non ci fossero licenziamenti e multe per gli scioperi.

Serbia: la situazione sociale:

-          Il salario medio oggi in Serbia è di 380 euro: una media tra chi guadagna 5/6000 euro al mese, chi ha la fortuna di ricevere un salario medio di 280/300 euro, i pensionati che hanno pensioni di 150/200 euro e quasi il 30% che non ha un reddito ufficiale. Il Professor Arandarenko dell’Università di Economia di Belgrado ha riferito che un quarto della popolazione della Serbia vive con un reddito mensile di 15.400 dinari (130 Euro circa), quindi in stato di povertà. Al primo posto sulla lista della povertà in Europa. Aggiungendo che lo scorso anno il tasso di povertà assoluta della popolazione con reddito inferiore a 11.700 dinari (99 euro), era del 7,3%, e che dall’1% all’1,5% della popolazione viveva in condizioni di estrema povertà. Va inoltre sottolineato che in Serbia il tasso di povertà non è calcolato con il concetto europeo di povertà relativa, che presuppone che il reddito sia inferiore al 60% della media nazionale, ma attraverso il concetto di povertà assoluta, la quale è stabilita dal paniere dei consumi, nel quale vi è solamente il minimo per la “sopravvivenza”.
-           La Zastava nel 1999, prima dei bombardamenti aveva 36.000 dipendenti (di 32 etnie diverse), oggi FCA (ex Fiat) ha ancora in carico 2.700 lavoratori.
-          I prezzi degli alimenti sono aumentati del 20%, il vestiario del 6%, la benzina del 10%
-          Una disoccupazione reale che si avvicina al 30% della forza lavoro disponibile, con punte di oltre il 40% tra i giovani.
-          La condizione sociale e lavorativa dei giovani. Secondo la rivista di studi e ricerche sociali MONS circa il 30% dei giovani tra i 19 e i 29 anni che trovano una occupazione, non hanno contratti scritti o regolari, e il 50% dei giovani con un lavoro non ha assicurazione sociale o sanitaria, diritti sindacali, di ferie o, se malati, di assentarsi per tempi lunghi. Quasi il 40% di essi hanno solo un contratto a tempo determinato. Nonostante la legge prescriva che il lavoro a tempo pieno non possa superare le 40 ore settimanali, circa il 60% dei giovani in Serbia lavora anche fino a 50 ore settimanali. Secondo un’altra ricerca ufficiale il 70% dei giovani spera o cerca di emigrare.
Studenti in piazza a Belgrado

-          Secondo l’Istituto per le indagini di mercato (IZIT), i cittadini serbi spendono più della metà del proprio salario per il cibo e la casa. Circa il 56% dello stipendio se ne va per i bisogni essenziali, solo per il cibo spendono il 41%. E’ stato annunciato anche un ulteriore aumento dei costi dell’elettricità.
                                 
-          Nelle grandi città si sono moltiplicate le “cucine popolari”; solo a Belgrado ci vanno a mangiare decine di migliaia di persone ogni giorno.


-          Attraverso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali lo Stato aiuta quotidianamente oltre un milione di persone con vari mezzi: denaro, pasti caldi, assistenza sociale varia.
-          Nel paese il 35% dei bambini vivono in stato di povertà.
-          Il numero di famiglie che hanno ricevuto aiuto per i propri figli cresce mediamente dell’8% all’anno. I genitori disagiati che ricevono un assegno mensile di circa 20 euro, sono 495.000 famiglie.


 
Cibo lasciato a disposizione dalla gente per i più bisognosi nelle strade di Belgrado

 Senza dimenticare che la Serbia ha al suo interno ancora 400.000 (il 5% della popolazione) di rifugiati e profughi interni, scappati da Croazia, Krajina, Bosnia, Kosovo Metohija.

Esodo dalla Krajina 1995
Profughi in fuga dal Kosovo nel 1999
Dopo le devastanti privatizzazioni e il saccheggio delle proprietà pubbliche e statali, che hanno provocato centinaia di migliaia di licenziamenti e tagli di posti di lavoro in tutte le strutture dei servizi, questo è il quadro:
-          La spesa dei cittadini per la Sanità è oggi un vero e proprio salasso economico, per tanti serbi impossibile materialmente. Infatti le strutture sanitarie private sono oggi in Serbia oltre il 40% delle strutture ed in crescita costante. Il personale di assistenza come infermieri e tecnici è di 628 ogni 100.000 persone, dopo i tagli del personale. Nella UE il dato medio è di 1.199, quindi oggi l’assistenza ospedaliera in Serbia è di gran lunga inferiore per qualità alla media europea. In una intervista condotta dal quotidiano Danas, il Professor Arandarenko della Facoltà di Economia di Belgrado ha riportato le conclusioni di una ricerca statistica, affermando che questa crescita a dismisura della sanità privata, è uno dei motivi per cui una larga fetta della popolazione non ha più la possibilità di accedere alle cure sanitarie. L’introduzione inoltre della e-health, della carta identità elettronica sanitaria, legata a un sistema elettronico della salute, ha peggiorato la situazione, in quanto è stato calcolato che oltre mezzo milione di persone sono state escluse dal sistema sanitario. Uno studio del “Medical Trends Around the World” di Mercer Marsh Benefits, riportato dall’ANSA ha rivelato che la Serbia Lituania e Romania sono i tre Paesi europei che hanno registrato la maggior crescita di costi per servizi medici nel 2017. Infatti nel 2017 la Serbia ha registrato una crescita dell''inflazione sanitaria del 17,5%, la più alta in assoluto; in Europa era stata del 7,6%. 

-          Secondo gli ultimi dati disponibili, l’aspettativa di vita in Serbia è stata di 75,5 anni (78 per le donne e 73 per gli uomini), la più bassa rispetto ai paesi europei. La media della UE è di 5,5 anni maggiore.

-          Dai dati dell'Istituto nazionale di statistica serbo emerge come i serbi siano sempre più indebitati, con una crescita di circa il 29% all’anno ed il debito complessivo con le banche ammonta a oltre 8 miliardi di euro.

-          Gli stessi indicatori macroeconomici degli istituti finanziari internazionali hanno rimarcato l’insufficienza della crescita del PIL interno, anche nel 2017 al di sotto degli obiettivi richiesti. Il PIL nominale pro capite nel paese è pari a 4.955 euro.

-          Annualmente le quote di iscrizione degli studenti aumentano, il costo degli studidalle superiori all’università, ammontano tra 60.000 dinari (508 E) e 250.000 dinari (2120E)
In questa situazione generale si inseriscono altri due nodi, finemente legati tra loro, di portata pericolosa e destabilizzante per la Serbia. Sono la situazione sempre più critica nel Sangiaccato, regione serba di confine tra Kosovo, Montenegro, Bosnia e Serbia con capoluogo Novi Pazar, a maggioranza musulmana, dove le istanze estremiste e separatiste fomentano continui disordini e violenze. L’altro nodo è una sottile e pericolosa infiltrazione di istanze economicamente occulte nel tessuto sociale e territoriale del sud della Serbia.
Nel Sangiaccato da secoli esiste una convivenza tra musulmani di origini bosniache e serbi; tuttavia negli ultimi decenni ci sono stati molti problemi, in parte dovuti alla partenza di dozzine di jihadisti locali verso la Siria, e alla presenza nella regione di cellule armate terroriste.
Oltre a questo, la popolazione serba non ha dimenticato che centinaia, forse migliaia di bosniaci di Novi Pazar parteciparono alla guerra negli anni '90 in Bosnia, sebbene la guerra non coinvolgesse direttamente il loro territorio.
Dopo la guerra in Kosovo molti attori esterni hanno iniziato a sostenere e fomentare le forze più estremiste e separatiste della regione. Dalla Bosnia di Izetbegovic, agli USA, dai terroristi dell’UCK kosovaro, alla Turchia e ai paesi del Golfo. Ciascuno con intenti distruttori e de stabilizzatrici della Repubblica Serba.
Oggi sotto l’ala del Partito d'Azione Democratica del Sangiaccato, il cui leader Sulejman Ugljanin, è anche Presidente del Consiglio nazionale dei bosgnacchi di Serbia, tutte le forze separatiste e fondamentaliste (spesso legate a strutture terroriste) stanno manovrando con proteste, appelli e anche manifestazioni violente per chiedere l’annessione alla Bosnia musulmana.
A Novi Pazar vengono invitati a conferenze e manifestazioni pubbliche esponenti ostili o addirittura nemici della Serbia, per provocare reazioni repressive delle autorità serbe.

L’altra problematica è emersa in tutta la sua gravità e pericolosità nell’ultimo anno. Si tratta delle massicce operazioni finanziarie e di acquisizione da parte di capitali albanesi di proprietà serbe nel sud del paese, grazie alla complicità e connivenza di cittadini serbi. Solo a Nis e nei paesi adiacenti sono già stati comprati in gran segreto 11.000 appartamenti e terreni, di cui oltre 1.500 in città, da parte di compratori albanesi.

A Bujanovac e Medvedja negli ultimi 15 anni è stato acquistato tutto ciò che era di proprietà dei serbi, utilizzando connivenze e corruzione dilagante. Recentemente si è scoperto che in queste cittadine, ormai a stragrande maggioranza albanese, ci sono più elettori che cittadini. In questo modo migliaia di residenti fittizi albanesi provenienti dal Kosovo Metohija, in combutta con compiacenti e corrotti funzionari locali serbi, hanno comprato in segreto tutte le proprietà serbe con un fiume di denaro di cui non si conosce la provenienza.
Tutto avviene in modo segreto. Il meccanismo consiste nel far comprare ad un residente serbo una proprietà; in seguito questo la vende o fa una donazione ad un residente albanese reale, che a sua volta la vende poi all’albanese che ne diventa proprietario finale. La somma per l’acquisto della proprietà viene fornita dal proprietario finale, che non risulta nelle contrattazioni. Una specie di matrioska albanese.
E’ una situazione anche giuridicamente spinosa e complessa. Di certo è una strategia di svuotamento dell’autorità serba. Sui media serbi e in molte conferenze il problema è stato posto con forza. La Serbia non può permettere di farsi sottrarre intere cittadine in modo fraudolento e subdolo.
Alcuni media sulla base di rapporti dei servizi di sicurezza serbi hanno rivelato che il più ricco miliardario albanese, Behgjet Pacolli, ora ministro degli Esteri di Pristina, ha stanziato 250 milioni di euro in contanti per gli estremisti albanesi della Serbia meridionale, in modo che nei prossimi mesi possano acquistare terreni, immobili e imprese private. Questa è solo la prima fase del tentativo di realizzare il progetto della "grande Albania", secondo i resoconti dei media serbi.
Secondo le investigazioni e inchieste in corso questa strategia sarebbe partita dal 2010.
Giocando sulla povertà della popolazione serba, il piano albanese ha l’obiettivo di estendesi oltre il confine amministrativo del Kosovo, in particolare nell’area intorno a Vranje, a Bujanovac lungo il confine, a Toplica, Prokuplje, Kursumlija, Blace, comprando a prezzi diverse volte superiori i valori reali delle proprietà.
Ora sta emergendo dalle investigazioni che questo progetto è cominciato anche nel Sangiaccato e persino in Vojvodina.

Un altro dato terribile che si aggiunge alla situazione sociale dello scenario serbo, è l’emergere drammatico del dramma dell’uranio impoverito, usato dalla NATO nei criminali bombardamenti durante l’aggressione alla RFJ del 1999; infatti stante gli studi scientifici l’uranio impoverito impiega circa 15-20 anni per manifestarsi

Per il bombardamento NATO della RFJ nel 1999 vennero impiegate tra le 10 e le 15 tonnellate di uranio impoverito; come conseguenza ogni anno si ammalano 33.000 persone, 1 bambino ogni giorno”ha denunciato a RT, Srdjan Aleksic, avvocato serbo che guida un pool composto da avvocati di UE, Russia, Cina, India. Fondata sotto il patrocinio dell’Accademia Reale degli Scienziati e Artisti Serbi.
L’uso di armi vietate da parte della NATO nei Balcani, rappresenta una violazione di tutte le convenzioni e delle norme internazionali che proteggono le persone civili”, ha aggiunto Aleksic.
10-15 tonnellate, che sono pari a circa 280 o 420 bombe atomiche, di quelle sganciate su Hiroshima.
Grazie agli sforzi infaticabili della Dott,ssa Danica Grujicic, capo del Dipartimento di Neuro Oncologia dell’Istituto di Neurochirurgia del Centro Clinico di Serbia, e di altri medici e avvocati, dopo ricerche di anni è stato raggiunto l’obiettivo della costituzione di una Commissione istituzionale per l’uso criminale della NATO, di bombe e proiettili arricchiti con l’uranio impoverito. Tutto ciò nonostante pressioni, minacce e ricatti della NATO e dell’UE, che fino ad oggi erano riusciti a insabbiare questa drammatica questione.
Dott.ssa Danica Grujicic

In una intervista al quotidiano Novosti, la Dott.ssa ha dichiarato: “E’ arrivato il momento di usare il potere dei media per far emergere la verità…abbiamo raccolto dati, argomenti e prove che dicono che gli effetti dell’aggressione si sono concretizzati in un aumento tremendo di pazienti con leucemie, sterilità nelle donne, malattie maligne e tumorali [oltre alle decine di migliaia già decedutindt]. Non c’è scientificamente altra spiegazione che l’aggressione della NATO. La mortalità per leucemie e tumori è aumentata del 139 %, i bambini affetti da queste malattie sono raddoppiati rispetto alle medie europee. La media globale di persone con tumori maligni per milione di abitanti è di 2.000, mentre in Serbia è di 5.500, quindi il doppio. Non si tratta, ovviamente, di una coincidenza”.

Purtroppo queste sono conferme tragiche di quanto già denunciato in questi 18 anni da numerosi esperti, studiosi, scienziati, medici, e numerose battaglie di informazione e denuncia, come quelle instancabili, anche a livello parlamentare, del presidente del CIVG (Centro Iniziative per Verità e Giustizia), l’ex Deputato e Ammiraglio Falco Accame, che con l’Associazione SOS Yugoslavia – Kosovo Metohija e il Forum Belgrado, hanno costantemente informato e denunciato, anche in iniziative pubbliche, questa criminale sciagura. Senza dimenticare il lavoro del maresciallo Domenico Leggiero dell’Osservatorio militare italiano.

Questi sono i risultati sociali ufficiali, ottenuti finora, da quando nel 2000 la Serbia (ex RFJ) fu riammessa nel Fondo Monetario Internazionale, nella Banca Mondiale, nella BERS (Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo).

Serbia: questione UE e NATO.

C’è da segnalare che dal 2014 sono anche partiti i negoziati per l’adesione alla UE, ma che ad oggi ci sono ancora 12 capitoli (assetti) non ancora definiti e da trattare. Negli ultimi colloqui di luglio 2018 a Parigi con il presidente serbo Vucic e il presidente francese Macron hanno dichiarato che per ora non vi sono possibilità che la Serbia entri a far parte dell’Unione Europea.
Una prospettiva, comunque la si veda, foriera di ulteriori sconquassamenti nel paese, che continua ad avere nella Russia di Putin e nella Cina due partner e investitori di notevole vitalità, oltreché due paesi spesso al fianco della Serbia nel contesto delle questioni internazionali (vedi lo status del Kosovo all’ONU).
I cosiddetti processi di integrazione europea del 2014 contengono l’accordo per la stabilizzazione e l'associazione con l'UE. I negoziati sull'adesione all'UE sono collegati a riforme di leggi in vari campi, per corrispondere al sistema giuridico dell'UE e per costruire nuove relazioni con il Kosovo. Inoltre, questo piano comprende la preparazione e l'attuazione del Programma nazionale per l'accettazione dei valori e delle tradizioni dell'UE. Quali siano questi valori e tradizioni non sono indicati nell'accordo. La Serbia si è impegnata a sostenere varie organizzazioni per la stabilità regionale, il partenariato strategico dell'UE per il fiume Danubio e il proseguimento dei negoziati con Priština relativi all'accordo di Bruxelles, in collaborazione con la Forza del Kosovo della NATO (KFOR) nel contesto della risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La Serbia deve anche riformare il proprio sistema giuridico secondo una strategia già stabilita da Bruxelles e deve legare i propri standard legali con le leggi internazionali e le tradizioni giuridiche dell'UE. Anche in questo caso non è specificato quali leggi e tradizioni giuridiche debbano essere assimilate. Anche le riforme delle forze armate e dei servizi segreti sono una ulteriore condizione posta alla Serbia.
Una ulteriore mina vagante nel futuro di questo paese è la questione della NATO: dal 2000, data del colpo di stato contro il governo di unità nazionale della RFJ, la NATO sottopone a pressioni sistematiche i vari governi succedutisi con allettamenti, proposte, pressioni, ricatti e ora con minacce aperte, per indurre la Serbia a entrare nella NATO.

In tutti questi anni, tranne i primi dei governi Dindic e Tadic, apertamente sostenuti e finanziati dagli USA e dalla Germania, la Serbia ha cercato di tenere una posizione indipendente e possibilmente neutrale, di apertura con la NATO, ma anche di collaborazione e relazioni leali con la Russia.
I leader di Stati Uniti e della NATO hanno sempre saputo che non potevano aspettarsi una gradimento della popolazione serba, dopo aver subito tanta devastazione e sofferenza.
Per questo i loro Quisling locali hanno sempre nascosto i loro colloqui con i funzionari della NATO e hanno aspettato fino al 2005 e 2006 per stipulare accordi pubblici. Il presidente della Serbia Boris Tadić e il ministro degli esteri Vuk Drašković hanno iniziato firmando accordi relativi all'uso dei sistemi di informazione e comunicazione, poi hanno discusso della “modernizzazione” delle forze armate serbe, delle acquisizioni di tecnologia della NATO e del supporto alle missioni NATO. Ma nello stesso tempo al Parlamento serbo le forze politiche patriottiche sono riuscite a far passare nel 2007 una risoluzione parlamentare che sancisce la neutralità militare, che è tuttora in vigore. Il 25 maggio 2010, il Ministero della Difesa serbo ha poi firmato un accordo con la NATO a Edimburgo, accettando il sistema di codificazione della NATO. 
Nel dicembre 2014 è stato firmato il Piano d'azione per il partenariato individuale tra Serbia e NATO. Questo accordo era collegato al processo di adesione della Serbia all'Unione europea (UE). Secondo questo accordo firmato nel 2014, la Serbia si è impegnata a condurre una campagna mediatica per promuovere le riforme militari, inclusa la portata e i benefici della sua collaborazione con la NATO nell'ambito del partenariato per la pace. Questo disegno mediatico include risorse cartacee e digitali, per il sostegno economico da fornire a università, ONG e centri di ricerca per organizzare tavole rotonde per promuovere la NATO. La strategia implica anche che scienziati, professori universitari e istituti di ricerca serbi debbano collaborare con la NATO e partecipare a progetti comuni, con il sostegno di gruppi della “diplomazia pubblica” della NATO (non è chiaro chi siano questi gruppi e come operino), con l'Ufficio militare della NATO situato a Belgrado, che è considerato cruciale nell'attuazione di questa strategia. E’ chiaro il motivo per cui tutte queste risorse sono considerate necessarie, considerando che meno del 12% della popolazione della Serbia approva qualsiasi tipo di collaborazione con la NATO.
Come dichiarato da Sutanovac ex ministro della difesa serbo e uno dei fautori dell’entrata nella NATO: "siamo circondati dai paesi della NATO e la Serbia è l'unico paese della regione che non è ancora pronto ad accettare la realtà, siamo indietro nella regione non solo in termini economici, ma anche in termini di sicurezza e difesa; quando ero ministro della difesa la Repubblica serba aveva come obiettivo l'adesione alla NATO. La cooperazione tra Stati Uniti e Serbia è regredita da quando Aleksandar Vulin ha assunto la carica di ministro della Difesa, anche se so che i cittadini serbi amano di più la Russia ", ha affermato. 
Finora la Serbia, nonostante il processo di adesione alla UE, ha comunque sempre mantenuto parallelamente relazioni, anche strette, con Mosca, con legami militari e politici, nonostante le pressioni provenienti dal blocco occidentale.

Proprio negli giorni scorsi con una ennesima “sollecitazione” da parte di Rose Gottemoeller (vice segretario NATO) la quale aveva dichiarato che: “la partnership con l'Alleanza costituisce una maggiore sicurezza della Serbia e ad una maggiore prosperità per i suoi cittadini. Per questo motivo, la NATO sta aiutando a mantenere la stabilità della regione balcanica.”.
Ad essa ha risposto l’attuale presidente A. Vucic: “la Serbia collabora lealmente nell'ambito del programma di Partenariato per la pace, ed è impegnata a fare ogni sforzo per garantire pace e stabilità nella regione balcanica. Molto importante è la collaborazione con la Kfor, la Forza Nato in Kosovo, la cui presenza è un fattore determinante per la sicurezza e la protezione della locale popolazione serba. Ma a causa dei bombardamenti Nato contro la Serbia della primavera 1999, durante la guerra del Kosovo, l'Alleanza atlantica gode di scarsa popolarità nel Paese e un recente sondaggio ha rivelato che l'80% dei serbi è attualmente contrario a una eventuale adesione del Paese alla Nato”, ha riportato l’agenzia ANSA.
Nelle scorse settimane il ministro della Difesa della Serbia (Vulin) ha fatto sobbalzare l'alto generale della NATO Curtis Scaparrotti, dopo che quest’ultimo aveva affermato che una delle maggiori minacce per l'Europa è l'aumento dell'influenza russa nei Balcani. 
InfAleksandar Vulin durante un'audizione del Senato americano per i servizi armati avera ribattuto che quella rappresentava la più "pericolosa" dichiarazione anti-serba da quando l'alleanza militare occidentale ha bombardato il paese nel 1999.
Il generale americano aveva dichiarato di aver visto un aumento dell'influenza russa nel suo anno e mezzo da comandante supremo della NATO in Europa e che lo considerava più pericoloso che nei paesi baltici, ex satelliti russi, Lituania, Lettonia ed Estonia.  Scaparrotti ha proseguito osservando che anche la regione baltica è cruciale, ma quelle nazioni fanno ora parte della NATO e hanno una posizione stabile nel continente; al contrario, si è dichiarato molto preoccupato dei sentimenti del popolo serbo, che è più suscettibile all'influenza russa: "la Russia è al lavoro nei Balcani, penso che abbiamo distolto lo sguardo dall'area".

Vulin, ha risposto: "Dal 1999, non c'è stata una dichiarazione più irresponsabile; dire che l'intera nazione (serba) rappresenta un pericolo per i Balcani, è come lanciare un appello per l'unificazione di tutto (popolo balcanico) contro i serbi. Non c'è alcuna influenza russa in Serbia, la Serbia è una nazione indipendente che sceglie i propri amici”

Il presupposto di rimanere neutrale sulla base delle proprie leggi istituzionali, è oggettivamente sempre più difficile e complicato da mantenere per la dirigenza serba, che spesso sfiora addirittura l’incostituzionalità negli accordi Serbia-NATO.
Alcuni ricercatori e scienziati politici hanno sostenuto che nulla di positivo è venuto a seguito della cooperazione della Serbia con la NATO. Il direttore del Centro serbo per gli studi geostrategici, Dragana Trifković, ha espresso la sua opinione, sottolineando che non è nell'interesse della Serbia collaborare con la NATO, aggiungendo che ciò potrebbe persino danneggiare i suoi interessi regionali.


Come ha bene sintetizzato un giornalista: la Serbia è il paese con le istituzioni più filo occidentali e il popolo più filo russo dell’Europa.
                                                                                                                       
Ma la sfida che potrebbe risultare più devastante per questo paese è l’appuntamento con la propria storia secolare, quello di settembre a cui la NATO/USA e l’Ue l’hanno inchiodata: la decisione finale sul riconoscimento del Kosovo come stato.
Una vera e propria bomba ad orologeria per un paese e un popolo secolarmente fiero, ma la cui situazione sociale disastrosa è quella vista nelle precedenti pagine.
Ci sarà occasione per parlare anche di questo.


Enrico Vigna, portavoce del Forum Belgrado Italia/CIVG - Luglio 2018

I dati qui riportati sono emersi attraverso le testimonianze e gli incontri con esponenti sindacali, responsabili di Associazioni civili, di Comunità sociali, di rappresentanti delle enclavi assediate nel Kosovo Metohija, con esponenti di alto grado e valore della Chiesa Ortodossa serba.
Oltre a documentazioni ufficiali della Fondazione FREN, dei giornali serbi Danas, Novosti,Politika, Naslovi, Serbian Monitor, IZIT, Tanjug, B92, Sputnik, del FMI, della Banca Mondiale e della UE.




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