venerdì 23 novembre 2018

«Con i miei occhi», non tutti sono uguali per la legge


di Chiara Cruciati

23.11.2018

Fonte: Il Manifesto

Il libro di Felicia Langer del 1974, ripubblicato da Zambon a pochi mesi dalla scomparsa dell'autrice. Un diario di viaggio dentro l’occupazione israeliana dei Territori palestinesi.
Quanto sono lunghi 50 anni? Poco più di 300 pagine, quelle scritte da Felicia Langer nel 1974 e affidate al libro Con i miei occhi, ripubblicato da Zambon a pochi mesi dalla scomparsa dell’autrice, lo scorso giugno, a 88 anni (pp. 384, euro 18), con prefazione di Ugo Giannangeli.
Quello della nota attivista per i diritti umani e avvocatessa israeliana, fuggita in Germania dieci anni fa per le continue intimidazioni subite, è un diario di viaggio dentro l’occupazione israeliana dei Territori palestinesi, cominciata nel 1967. O meglio, dentro le sue origini, oggi radicate da cinque decenni di perseverante repressione. Un’occupazione lunga poco più di 300 pagine perché l’assenza di giustizia che la spinse a registrare allora quegli abusi risuona ancora oggi. Con identici mezzi e identiche giustificazioni.
DA ESPONENTE COMUNISTA e avvocatessa, Langer racconta il periodo tra il 1967 e il 1973, i processi di fronte ai tribunali militari israeliani a cui sono stati sottoposti i suoi assistiti, palestinesi di Gerusalemme est, Cisgiordania e Gaza. Racconta i ricorsi legali per impedire deportazioni in Giordania e demolizioni di case, per la revoca della detenzione amministrativa (carcere senza accuse ufficiali né processo, in violazione del diritto internazionale) e per ottenere condizioni di vita migliori per i prigionieri politici.
Tra le pagine scorrono le vite di decine, centinaia di palestinesi. Persone comuni, attivisti politici, giornalisti, donne e uomini, bambini, tutti catturati nella rete di una giustizia la cui bilancia pende da una parte sola. «Dove sono i giornalisti? Dov’è la televisione? Dov’è la coscienza? E la legge e i tribunali, dove sono?», si chiede Felicia di fronte a un altro sopruso.


La legge, viene da rispondere, c’è ed è implacabile. Ma non è una legge giusta né equa. A darne la misura sono le battaglie, quasi sempre perse, di Langer di fronte ai giudici militari israeliani, altra aberrazione del diritto: civili processati da un esercito che è al tempo stesso inquirente, giudice ed esecutore.
Un enorme processo che con le sue contraddizioni intrinseche e le sue montature legali farebbe impallidire le distopie di kafkiana memoria. È un processo che si auto-riproduce nella costante e sistematica violazione del diritto internazionale e delle risoluzioni delle Nazioni Unite. Non senza fantasia.
RILEGGERE OGGI IL LIBRO di Langer, pagine piene della frustrazione personale – professionale e umana – ma anche della necessità dell’insistere, è più impellente di quanto non lo fosse nei primi anni 70. Perché la storia non è cambiata, la via crucis palestinese nel sistema giudiziario israeliano resta la stessa, incancrenita intorno a una legislazione feroce e diseguale. E perché, in quelle pagine, sta la limpida spiegazione dell’oggi, la predizione di quello che sarebbero diventati i Territori occupati se privati a lungo di un minimo di giustizia: luoghi in cui a gestire la vita quotidiana, il naturale sviluppo delle comunità, l’attività giornalistica e l’impegno politico è la legge del più forte. Che zittisce, assedia, censura prima le idee e poi l’identità.

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