giovedì 4 gennaio 2024

LA MIA INTERVISTA SUL SIONISMO E IL FUTURO DI ISRAELE AL PERIODICO "ITALICUM"




Intervista a cura di Luigi Tedeschi

1) Il sostegno illimitato dell’Occidente a Israele ha motivazioni sia geopolitiche che ideologico – culturali.

Infatti Israele è considerata l’unica democrazia del Medio Oriente. Non è però una palese contraddizione

definire lo stato ebraico una democrazia occidentale per quanto riguarda il rispetto dei diritti dell’uomo,

dell’eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, delle libertà individuali, della laicità dello stato, che sono i

valori fondamentali di uno stato democratico? Anzi, l’attuale deriva etnico – religiosa dello stato ebraico,

non ha de facto legittimato lo stesso radicalismo islamico e trasformato questo conflitto in una moderna

guerra santa?

 

 DS – Israele è una entità artificiale in Medioriente voluta dalla Gran Bretagna dopo la dissoluzione dell’Impero ottomano. Un classico disegno coloniale che ha avuto come padrini Lord Balfour e la famiglia Rotschild: Balfour massone e i Rotschild ebrei sionisti. Agli inizi del ‘900 c’erano in Palestina poche decine di migliaia di ebrei che convivevano perfettamente con gli arabi e coi cristiani. Negli altri paesi arabi le comunità ebraiche erano in rapporti di armonia e di pacifica convivenza coi loro vicini. Tutto cambia con la diffusione del sionismo, una teoria politica fondata sui miti biblici e sulla predicazione di una presunta superiorità degli ebrei su tutte le altre nazioni descritte come subumane, simili alle bestie come affermano tuttora molti rabbini senza vergognarsi. Dopo la Dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917, favorevole alla costituzione di un focolare ebraico in Palestina, fu istituita l’Agenzia Ebraica col compito di comprare terre e fondare le prime colonie che si avvalevano di mano d’opera indigena. In quel tempo si diffuse ad arte lo slogan: “Una terra senza popolo per un popolo senza terra”. Un mistico ebreo russo, si chiamava Ahad Aham, fece un viaggio in Palestina e scoprì che era tutta abitata e tutta coltivata. Vide coi propri occhi che gli ebrei nei Kibbutz trattavano gli arabi come animali da soma e li picchiavano. Tutto questo è documentato nel mio libro IL TERRORISMO IMPUNITO e mai contestato. Miti, menzogne, inganni e propaganda furono i mezzi coi quali i sionisti, PRIMA DELLE LEGGI RAZZIALI DI HITLER E MUSSOLINI, fondarono la loro pretesa che la Palestina fosse il luogo ancestrale della loro patria perduta e la terra che un dio sconosciuto aveva promesso solo a loro. Il terrorismo e la violenza contro gli arabi furono la logica conseguenza di un progetto di pulizia etnica che i capi del sionismo non si vergognavano di rivelare e che gli inglesi avevano assecondato. Questa premessa è necessaria per capire che alla base del sionismo vi è un approccio razzistico che si coniuga col razzismo dell’Occidente colonialista e imperialista. Questa è la ragione per cui l’Occidente “si riconosce” nel regime israeliano, è una sua parte, sembra dire: quelli siamo NOI e gli arabi sono LORO, esseri inferiori diversi da NOI.  

Israele è una democrazia? Parole ripetute a vanvera ad uso e consumo della propaganda. Israele non ha una costituzione e non ha confini perché ruba la terra ai palestinesi e ai paesi confinanti. Oltre cinque milioni di nativi sono trattati come schiavi e subumani, senza diritti e alla completa mercé dei colonizzatori che commettono su di loro tutti gli abusi più spietati. Le teste pensanti nelle università israeliane hanno, giustamente, parlato di ETNOCRAZIA. La recente legge che definisce lo stato di Israele come lo stato dei soli ebrei conferma questa definizione. Stato laico? No, confessionale. Uguaglianza davanti alla legge? Per gli ebrei sì, per i palestinesi no; in tribunale perdono tutte le cause al 99,99%. Perché? I giudici sono tutti ebrei sionisti. I partiti religiosi e i rabbini più fanatici e messianici hanno fatto il resto: giudaizzare la Palestina, rimuovere le chiese cristiane e le moschee. I rapporti, infatti, con la chiesa di Roma sono tesi e tuttora prevale in Vaticano una eccessiva prudenza per non compromettere il dialogo interreligioso.

Il radicalismo islamico? E’ la risposta simmetrica al radicalismo giudaico. Non per caso la recente azione militare di Hamas si chiama “Ciclone Al Aqsa”, la moschea terzo luogo santo dell’Islam che Israele vuole abbattere.



 

2) La fondazione di Israele si è realizzata con l’occupazione coloniale della Palestina. Le guerre israeliane si

differenziano però da quelle delle potenze coloniali dei secoli scorsi. Israele infatti non mira solo

all’invasione dei territori, ma alla pulizia etnica e/o alla deportazione della popolazione palestinese. Le

guerre anticoloniali del ‘900, nonostante la rilevante sproporzione delle perdite riportate degli oppressi

rispetto a quelle delle potenze coloniali occupanti (vedi Algeria e Vietnam), si sono concluse sempre con la

sconfitta dei colonizzatori. Aggiungasi poi che raramente le guerre coloniali si sono concluse con una

sconfitta militare dell’occupante. Il colonialismo occidentale, e con esso l’eurocentrismo, sono tramontati

quali fenomeni ormai anacronistici sia dal punto di vista storico che geopolitico. E’ prevedibile la

riproposizione di un simile epilogo nella guerra dei 70 anni israelo – palestinese, quale conflitto scaturito

dalla politica neocolonialista dell’Occidente?

 

DS – Il colonialismo sionista ha una natura diversa. Quello dei paesi occidentali aveva un percorso verticale, dall’alto. Provo a spiegarlo: la Francia è in concorrenza col colonialismo inglese, occupa l’Indocina e la sfrutta a vantaggio della borghesia interna. I colonialisti europei non mirano a deportare i nativi perché hanno bisogno della loro mano d’opera schiavizzata. Nel 1954, a Dien Bien Phu, i vietnamiti colonizzati sotto la guida del generale Giap sconfiggono i francesi. Domanda: che relazione, che legame avevano i francesi col Vietnam e l’Indocina più in generale? Nessuno. Erano gli alieni. Gli uomini venuti dal mare come i nativi chiamarono Cristoforo Colombo e la sua ciurma. In Palestina, invece, la colonizzazione è orizzontale, più subdola, più scaltra. C’è già una comunità ebraica, l’Agenzia Ebraica compra lotti di terra per costruire i suoi Kibbutz dai proprietari ricchi e da quelli che avevano avuto magri raccolti. Il progetto era una colonizzazione di insediamento e Ben Gurion, il padre fondatore di Israele, lo disse in modo chiaro nel 1937, prima della persecuzione nazista: “Noi dobbiamo espellere gli arabi e prenderci i loro posti.” L’enfasi sui testi biblici, alcune pietre di epoca erodiana, le rovine di Masada e la mitologia del tempio di Salomone furono solo pretesti propagandistici, che durano tuttora, per giustificare un “diritto” inesistente al ritorno accompagnato dalla leggenda ignobile della “Terra Promessa” da dio e dalla favola del popolo ebraico come “popolo eletto”. Eletto da chi? Da nessuno.

Il colonialismo classico aveva come scopo lo sfruttamento di risorse e la schiavizzazione dei nativi, era “l’imperialismo fase suprema del capitalismo”, come disse Lenin; il sionismo, invece, ha perseguito subito un insediamento etnico-religioso eseguibile fino in fondo con la sostituzione di un popolo con un altro.

 

3) Israele è una creazione dell’ideologia sionista, quale dottrina etnico – religiosa che presiede alla sua

struttura politico – culturale. Oggi Israele è dilaniata da conflitti interni tra fazioni laiche ed estremiste

religiose, che potrebbero stravolgere la sua stessa identità. Tuttavia il sionismo permane quale ideologia

unificante, quasi incontrastata nella politica israeliana. Il sionismo infatti incarna i valori della superiorità

etnico – religiosa del popolo ebraico. Pertanto, un futuribile processo di pace, potrebbe essere reso

possibile solo con la imprescindibile rimozione della ideologia sionista? E’ possibile ipotizzare in futuro una

Israele non sionista, dato che tale ideologia è parte integrante del suo DNA politico e identitario? Oppure,

venuto meno il mito della sua invincibilità, messa con le spalle al muro, Israele diverrebbe un paese

normale?

 

DS – C’era in Israele un uomo politico, un coraggioso intellettuale, che si chiamava Uri Avneri. Oggi non è più tra noi. Negli anni ’70, dopo la guerra del Kippur, scrisse un libro pubblicato in Italia da Laterza: ISRAELE SENZA SIONISTI. Aveva intuito che il sionismo è il cancro di Israele. Nel 1945, dopo la fine della guerra, i sionisti erano una minoranza. La grande maggioranza degli ebrei era favorevole alla assimilazione nei paesi di emigrazione o di residenza. Siccome molti ebrei erano ancora ospitati nei campi di concentramento, ripuliti e resi più confortevoli, in attesa di essere inviati nei paesi di destinazione, Ben Gurion mandò dei propri emissari per convincere gli ebrei antisionisti a venire in Israele per incrementare il loro numero ancora molto inferiore rispetto a quello dei palestinesi. Alcuni si convinsero, altri no. Con la proclamazione dello stato di Israele, l’immigrazione ebraica dall’Europa e dagli Stati Uniti aumentò. Le vittorie militari dei sionisti contro gli arabi furono possibili grazie alle armi occidentali, agli aerei forniti dalla Francia e da una forte motivazione identitaria degli ebrei. L’Unione Sovietica di Stalin era schierata con Israele e dalla Cecoslovacchia arrivavano efficienti armi leggere. Gli arabi, divisi e male armati, dovettero soccombere. Immaginare una convivenza tra sionisti e palestinesi è impossibile. Il sionismo è razzismo, suprematismo. Le divisioni all’interno della società israeliana sono molte. Un proverbio ebraico dice: due ebrei che discutono, tre opinioni diverse. Gli antisionisti sono un settore minoritario fatto di pochi rabbini ortodossi e di laici, intellettuali, umanisti cosmopoliti, persone di grande levatura morale e culturale. Forse ha ragione Gideon Levy quando dice che qualcosa cambierà quando gli israeliani capiranno che vivere in quelle condizioni permanenti di violenza, di guerra civile, con tutti i costi connessi, è insopportabile. Quindi, o se ne andranno, come hanno già fatto molti, o creeranno un movimento finalizzato alla convivenza pacifica, un obiettivo che mi sembra abbastanza remoto.

 

4) Nel suo libro, uno dei temi più rilevanti è quello della unicità etnico – religiosa di Israele. Tuttavia, la

fondazione e l’ascesa a potenza mediorientale dello stato ebraico non sono eventi unici nella storia. Gli

Stati Uniti, al pari e prima di Israele, sono stati fondati su valori teologici veterotestamentarii, hanno

conquistato il territorio nordamericano mediante la pulizia etnica dei nativi, condividono con Israele il mito

della Terra promessa, la società americana ha dalle sue origini una struttura razzista ed una cultura

identitaria ispirata ad un imperialismo universalista, che afferma la superiorità morale americana nel

mondo e legittima il primato mondiale degli USA in nome del “destino manifesto”. Del resto, non esiste

oggi una perfetta simbiosi sia teologica che politica tra ebrei israeliani e cristiani evangelici americani?

Israele, non è dunque un microcosmo inserito in un macrocosmo americanocentrico ideologicamente

strutturato su una dottrina veterotestamentaria ed economicamente dominato da un sistema capitalista di

origine biblico – calvinista impostisi a livello globale?

 

DS – La risposta è già presente nella domanda. Rispondo: sì, Israele e Stati Uniti hanno fondato il successo della loro colonizzazione grazie a una pretestuosa e mitica ispirazione messianica. I Padri Pellegrini arrivarono nel Nuovo Mondo, il 16 settembre del 1620, con la Bibbia in una mano e col moschetto nell’altra. La storia dei Padri Pellegrini è parte della mitologia statunitense, che ha elevato i coloni anglosassoni a protagonisti del “destino manifesto” di dominio nel mondo, quello stupido eccezionalismo americano sbandierato da Obama a cui Vladimir Putin rispose per le rime. La conseguenza di questo suprematismo religioso fu lo sterminio dei nativi, gli indiani. Gli israeliani stanno facendo lo stesso in combutta coi sionisti cristiani che negli Stati Uniti sono circa 50 milioni!!! Cosa vogliono costoro? Leggono l’Apocalisse di Giovanni dove si dice che, quando tutto il popolo ebraico sarà in Israele, arriverà il Messia. Miti, leggende, idiozie, credenze fanatiche che stanno lastricando di sangue il mondo contemporaneo. Sull’ultima parte della domanda osservo che mi riesce difficile rintracciare un capitalismo “biblico-calvinista” come fu magistralmente analizzato da Max Weber; vedo, invece, che Israele è perfettamente omogeneo al capitalismo iperliberista, massone, pagano e monopolista.

 

5) La società israeliana ha una struttura gerarchica di natura etnico – religiosa che implica non solo

l’emarginazione nella condizione di apartheid della popolazione araba, ma anche varie differenziazioni tra

gli ebrei, a seconda della loro appartenenza ai diversi gruppi di origine. Israele non è pertanto pervasa da

una deriva mono – etnica ultraortodossa, che potrebbe fatalmente condurre ad un ordinamento castale

della società? Tale degenerazione non potrebbe generare una conseguente frammentazione della società e

determinare una conflittualità interna insanabile, che avrebbe come esito finale l’implosione interna di

Israele?

 

DS – Nel mio libro, sia il poeta Amnon Shmosh che lo scrittore Assaf Gavron si pongono il problema dell’identità. Col suo libro COME HO SMESSO DI ESSERE EBREO, Shlomo Sand ci diede una spiegazione preziosa del carattere caduco, residuale del suo essere ebreo. Due registi statunitensi ebrei, i fratelli Cohen, realizzarono un film straordinario, A serious man, sulla identità ebraica. Dispersi in tutte le latitudini geografiche, solo la religione e una complessa tradizione culturale e linguistica li hanno tenuti insieme in una forma di tribalismo. La lingua hiddish è stata l’invenzione geniale per marcare la differenza tra NOI ebrei e LORO, i gentili, i goym. Per esempio, tutta l’opera di Isac Singer è scritta in hiddish ed è difficile trovare dei non ebrei che conoscano questa lingua. L’assimilazione con le varie culture nei paesi in cui gli ebrei hanno formato delle comunità ha influito nella formazione delle differenze religiose e culturali. Nei paesi arabi gli ebrei si chiamano mitzrahim; quelli che convertirono al giudaismo il re kazaro, e poi si dispersero nell’est Europa fino alla valle del Reno, si chiamano askenaziti; quelli che si stabilirono in Spagna si chiamano sefarditi; gli ebrei dell’Etiopia, discriminati in Israele, si chiamano falascià. Ci fu anche una regina ebrea, Dihya al-Kahina, che regnò sui berberi.  La confluenza in Israele di ebrei provenienti da paesi ospitanti molto diversi ha fatto emergere le differenze di origine. I sefarditi sono considerati i “proletari” e sono in conflitto cogli askenaziti, l’aristocrazia ebraica, che essi chiamano “askenazisti”, entrambi sono razzisti verso i falascià etiopi che sono di pelle scura. Il mio dialogo col rabbino nel mio libro mostra una frammentazione di correnti religiose nel giudaismo da far venire il capogiro. Si differenziano e sono perseguitati i rabbini di Neturei Karta, parole aramaiche che significano I GUARDIANI DELLA CITTA’; questi rabbini ortodossi sono anti sionisti, subiscono vessazioni e violenze dai sionisti e propugnano “lo smantellamento pacifico dello stato di Israele” che essi considerano blasfemo e in totale contrasto con la Torah, il loro vangelo. Vi sono gli ebrei estremisti, messianici e fanatici, teorici del terrorismo e del “versamento del sangue non ebraico”, i seguaci del rabbino Kahane, per intenderci, che oggi hanno molti seguaci anche nel governo israeliano. Esiste infine un segmento di società laica, emancipata, umanistica che non si riconosce in questo Israele, ma è minoritaria. Una implosione interna potrà avvenire solo alle seguenti condizioni: 1) stato permanente di conflitto armato interno ed esterno; 2) isolamento internazionale rafforzato da una campagna di sanzioni come il BDS (boicottaggio, disinvestimenti e sanzioni); 3) dichiarazione di organismi internazionali che Israele è uno stato criminale, razzista e genocidario; 4) deferimento alla Corte Pena Internazionale di Netanyhau e di altri dirigenti sionisti per crimini contro l’umanità. Quando l’esistenza degli israeliani diventerà intollerabile o ci sarà un sommovimento interno o molti israeliani dovranno emigrare per cercare una vita migliore.

 

6) Il conflitto israelo – palestinese si inserisce nell’ambito della Guerra Grande, nel contesto cioè dei

conflitti recentemente sorti nelle varie parti del mondo e quindi nell’attuale processo di ridefinizione

dell’ordine geopolitico mondiale. Il primato globale americano è ormai in una crisi irreversibile. L’attacco di

Hamas ha avuto la funzione di riproporre la causa palestinese, che sembrava ormai essere stata rimossa

dall’espansionismo israeliano, nel contesto geopolitico mondiale. La causa palestinese contribuirà a

compattare il fronte dei paesi e dei popoli ostili al dominio occidentale. Così si esprime a tal riguardo lo

storico israeliano Ilan Pappé in un’intervista rilasciata al quotidiano Il Manifesto: “Questa Palestina globale

deve sapersi opporre all’Israele globale, che invece è fatto di governi occidentali e industria militare. Come si fa? Collegando in una rete le lotte alle ingiustizie in giro per il mondo. Qui in Italia significa combattere il

razzismo.” Resosi improponibile ogni progetto di pacificazione dell’area che preveda “due popoli – due

stati” e tanto meno quello di “uno stato – due popoli”, la questione palestinese non potrà essere risolta

solo nella prospettiva di un nuovo ordine geopolitico mondiale multilaterale? Certo, i tempi e le modalità

sono imprevedibili, come del resto lo è la storia stessa.

 

DS – Ilan Pappé, che conosco personalmente, ha usato una espressione felice: LA PALESTINA GLOBALE. Da ragazzo ho partecipato a manifestazioni contro la guerra in Vietnam e ricordo una frase di Ho Chi Mihn: URLINO TUTTE LE INGIUSTIZIE. Oggi il genocidio a Gaza deve essere chiamato col suo vero nome: GENOCIDIO ISRAELO-STATUNITENSE, Israele massacra e uccide con le bombe che gli fornisce il governo di Biden. La Palestina rappresenta l’acme delle ingiustizie dell’Occidente contro il sud del mondo povero e umiliato. Essa è il simbolo della necessità storica di un rovesciamento dei rapporti di forza: l’Occidente globalista deve essere messo con le spalle al muro e cedere alla visione nuova di un mondo multipolare fondato sulla cooperazione paritaria, sulla pari dignità, sul rispetto di tutte le culture, sull’applicazione vera del diritto internazionale, su una riforma radicale dell’ONU e sul sostegno economico e tecnico ai paesi poveri. Faccio un esempio: il Burkina Faso deve avere la stessa dignità del Canada o dell’Australia. La Russia sta inviando migliaia di tonnellate di grano gratuitamente ad alcuni paesi africani. L’Occidente, invece, non ha smesso la sua vocazione per il neocolonialismo ovvero il vecchio colonialismo eseguito con altri mezzi indiretti. La Cina e la Russia conquistano prestigio e alleanze nel sud del mondo nonostante l’inutile lavoro di surplace che la signora Nuland e il Segretario di Stato USA Antony Blinken tentano pateticamente di fare prevenendo l’attività diplomatica di Vladimir Putin e di Xi Jing Ping. Il mondo unipolare è alla fine e la Palestina rappresenta l’ultima trincea: se si verifica la deportazione dei palestinesi di Gaza e la vittoria dei sionisti allora per i decenni a venire scorreranno fiumi di sangue. Il Congresso e il Senato USA hanno elaborato un piano di deportazione dei palestinesi: 1.000.000 in Egitto, 500.000 in Turchia, 250.000 in Yemen e 250.000 in Iraq. Hanno calcolato anche i compensi da corrispondere ai rispettivi governi per i costi di accoglienza. Senza la sconfitta di Israele non ci sarà mai uno stato palestinese. Antony Blinken ha incontrato il presidente palestinese Abu Mazen e gli ha promesso che lo stato palestinese si farà. Se sarà così, sapete cosa sarà? La Repubblica di San Marino o il Principato di Andorra.

 

Diego Siragusa

 

 

 

 

 


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