giovedì 4 dicembre 2014

Nuovi senzatetto a Gerusalemme Est







Nuovi senzatetto a Gerusalemme Est

Le demolizioni punitive erano cadute in disuso dopo la Seconda Intifada, ma le autorità israeliane le hanno rimesse in atto dopo una recente serie di violenze a Gerusalemme


Bethan Staton 

da Middle East Eye

Giovedì 20 novembre 2014


Gerusalemme est - Nel cuore di Silwan, un quartiere che si trova nei pressi della Città Vecchia, la
famiglia di Abdel Rahman al-Shaludi sta cercando casa. Mercoledì [19 novembre] mattina presto il loro appartamento - una casa con cinque bambini e i loro familiari - è stato demolito dalle autorità israeliane.

Si è trattato di una demolizione punitiva: alla fine di ottobre Abdel Rahman ha lanciato la sua macchina contro un'affollata fermata del tram di Gerusalemme, uccidendo Chaya Zissel Braun, di tre mesi, e Karen Mosquera, di 22 anni, una studentessa ecuadoriana. Il ventunenne Shaludi è stato ucciso dalla polizia mentre stava fuggendo dal luogo [dell'investimento].

I parenti hanno raccontato a Middle East Eye che tutti quelli che vivevano nell'edificio sono stati evacuati durante la notte, poi tenuti ad aspettare in strada fino alle prime ore del mattino quando la
casa è stata distrutta con la dinamite. Hanno detto che i risparmi -circa 80.000 shekel [circa 17000€]

-del loro parente Tamer al-Shaludi sono spariti dalla casa durante la demolizione, e sospettano che
li abbiano presi i soldati. Al momento la famiglia di Abdel Rahman sta ancora cercando una casa in
affitto.

"Lasceremo tutto in rovina, come ora, perché sappiamo per esperienza che i soldati torneranno per
controllare che la casa sia ancora in macerie," [dice] Abdul al-Shaloudi, un cugino di Abdel Rahman. "E' terribile. Non solo perdi tuo figlio, ma poi quelli arrivano e ti puniscono per qualcosa che non hai fatto."

La distruzione della casa di al-Shaludi è una delle molte demolizioni punitive che avranno luogo a
Gerusalemme est nelle prossime settimane. Un ordine di demolizione è già stato deciso per le case
di Ghassan e Oday Abu Jamal, che hanno ucciso cinque persone quando hanno attaccato una
sinagoga con coltelli e machete prima di essere uccisi dalla polizia martedì [18 novembre]. In seguito
al massacro nella sinagoga, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto che verranno
accelerate le demolizioni delle case di altri aggressori.

Una vecchia pratica, nuovamente attuata

La pratica non è nuova. Secondo l'organizzazione israeliana per i diritti umani B'Tselem, Israele ha
demolito 664 case palestinesi tra l'ottobre 2001 e il gennaio 2005 come parte di misure punitive portate avanti durante la Seconda Intifada. Da allora questa pratica è caduta in disuso. Ma dopo il rapimento e l'uccisione dei tre coloni adolescenti quest'estate, è stata ripristinata. Fino a quest'anno si stima che circa 26 persone, compresi 15 minorenni, siano rimasti senza casa a causa di queste demolizioni. Demolendo case in questo modo, le autorità dicono di mettere in atto una politica di deterrenza, sostenendo che la responsabilità di conseguenze così pesanti per i propri cari scoraggerà potenziali terroristi. "Appena dai un biglietto a un automobilista, egli infrange la legge e deve pagare una multa, e cambia il suo modo di comportarsi. Mi creda, che le piaccia o no, è penoso e fa male," ha detto il portavoce della polizia Micky Rosenfeld a MEE [Middle East Eye]. "Tu paghi una multa e ci pensi due volte se infrangere o no la legge. Questa è la regola ovunque. Questo è il sistema della deterrenza.

Ci sono attacchi molto gravi e noi dobbiamo fare tutto quello che possiamo per prevenire ulteriori

aggressioni." B'Tselem, con molti altri gruppi israeliani per i diritti umani, condanna severamente le politiche di distruzione delle case, come spiega a MEE la portavoce Sarit Michaeli: "In base alle nostre analisi, ed ogni analisi ragionevole, questa è una punizione collettiva," dice. "Questo è il punto centrale della questione: anche se fosse solo per scoraggiare la gente [dal commettere questo tipo di atti], si tratterebbe comunque di una punizione collettiva. E questo è illegale sia per le leggi internazionali che per quelle israeliane. Tutto il sistema sociale e legale è basato sul principio che le persone dovrebbero essere punite per le loro azioni e non per le azioni di altri. E questo è l'esatto contrario."

A Silwan, Abdul al-Shaloudi - che giovedì ha dovuto subire la demolizione della casa dei suoi parenti - ha stroncato l'argomento della deterrenza. "Cercheranno sempre di punire la gente intorno a te, perché pensano che le persone che meditano di fare quelle cose ci penseranno due volte se sanno che le loro famiglie soffriranno e che la loro casa sarà distrutta. " dice. "Ma so come la pensiamo noi, e questo tipo di azioni rende la gente ancora più arrabbiata, portandola ad odiare ancora di più gli israeliani e con ancora più voglia di fare qualcosa contro di loro. E' incredibile quanto siano stupidi, bloccando le strade, mettendo in prigione la gente, rendendo la vita sempre più miserevole."

Leggi più rigide

Demolire le case delle comunità non è l'unica risposta ai recenti attacchi che ha colpito la comunità
palestinese nel suo complesso. Dopo che Abdel Rahman al-Shaloudi ha lanciato la sua macchina
contro una fermata del tram ad ottobre, il sindaco di Gerusalemme Nir Barkat ha ordinato ai dirigenti
del dipartimento municipale [di polizia] di essere più rigidi contro violazioni come infrazioni stradali o immobili e commerci senza licenza, esclusivamente nei quartieri di Gerusalemme est. La ragione di queste misure è stata chiaramente esposta: per "obbligare l'opinione pubblica palestinese ad agire
contro i giovani palestinesi che si stanno scontrando quasi quotidianamente con la polizia."
In quartieri come Abu Tor e Issawiya l'impatto di queste misure è stato fortemente - e sempre più -
sentito. Sono stati fatti dei posti di blocco, la polizia appariva ovunque, e i residenti hanno raccontato
che gli automobilisti che entravano ed uscivano dal quartiere sono stati accuratamente controllati - per il pagamento delle tasse, del MOT, dei documenti di identificazione - e severamente puniti per infrazioni minime. I giovani, che hanno generalmente più probabilità di essere arrestati dalle autorità israeliane, sostengono che la pesante presenza militare e della polizia è stata particolarmente stressante. "Strade bloccate vuol dire che gli autobus dovevano fermarsi prima di raggiungere il villaggio e tutti dovevano camminare per 200 metri fino a lì," ha detto a MEE Mohammed Abu Hummus, un famoso dirigente della resistenza a Issawiya. " Ciò naturalmente rende le cose difficili ai bambini ed agli anziani."

E le misure di controllo delle proteste, come gas lacrimogeni e acqua puzzolente, che sono state usate negli scontri, sono state impiegate anche lontano dai punti caldi dei disordini, e spruzzati anche nelle
case e nelle scuole. A Issawiya un residente ha raccontato che le pesanti persiane di ognuna delle sue
finestre sono state appena messe per proteggersi contro i raid notturni con acqua [puzzolente] e gas
che hanno tenuto svegli gli abitanti per settimane.
"La gente si sente come se fosse stata punita collettivamente, si sente come se si trattasse di una
punizione diretta e una vendetta e che questo è collegato con la chiusura della moschea di Al-Aqsa,"
continua Abu Hummus. " Sembra collegata ai lanci di pietre, ma è una punizione collettiva e rende la
vita di ognuno più difficile."

"Tu semplicemente non vai"

Giovedì, Abu Hummus e alcuni volontari hanno raccolto granate lacrimogene per creare un'istallazione artistica. Dopo mezz'ora circa 100 proiettili vuoti sono stati raccolti, anche se la maggior parte sono stati tenuti per vendere le parti metalliche come rottami. A Silwan Abdul Shaloudi ha anche notato gli effetti della diffusa repressione e di una intensificata presenza della polizia. "E' ovunque, "ha detto a MEE. "Ci sono un sacco di soldati, e ci sono posti di blocco ovunque. Se vuoi andare a prendere qualcosa al supermercato, semplicemente non ci vai, neanche di giorno."

Mercoledì, dice Abdul, uno dei suoi dipendenti è stato picchiato da un soldato. "Gli ha detto che era la resa dei conti. Vogliono vendicarsi su tutti noi palestinesi," ha detto. E' una sensazione condivisa da molti palestinesi a Gerusalemme Est, e un'imbarazzante considerazione per molti israeliani. Anche se si verifica in tutti i quartieri palestinesi, la sensazione di punizione collettiva è ancora percepita con disgusto nelle sue più palesi manifestazioni. Quando mercoledì sera il sindaco di Askelon Itamar Shimoni ha annunciato un’espulsione parziale contro i lavoratori arabi, questa decisione è stata condannata dai politici di destra e di sinistra, benché Itamar abbia continuato a difenderla.

Anche funzionari sia dello Shin Bet [agenzia di intelligence interna israeliana. N.d.Tr.] che dell'esercito israeliano hanno condannato le demolizioni punitive di case ed hanno persino insinuato che queste azioni siano controproducenti. Molti sostengono che strategie simili alle punizioni collettive sono politiche piuttosto che strategiche: un tentativo da parte di funzionari pubblici di far vedere che stanno facendo qualcosa contro il caos.

"Non c'è bisogno di essere un difensore dei diritti umani per sapere che se sei stato spruzzato con
liquido puzzolente perché un giovane ha fatto qualcosa nel tuo quartiere con cui tu puoi essere o meno in disaccordo, questa non è una cosa che ti rende molto contento," dice Sarit Michaeli, di B'Tselem.
"Ma noi pensiamo che non si tratti di sapere se questo serve o no. La questione è se questo è
eticamente e moralmente accettabile."

(Traduzione di Amedeo Rossi)

lunedì 1 dicembre 2014

SEMPLICEMENTE APARTHEID - di Gideon Levy





SEMPLICEMENTE APARTHEID 
Quel giorno non potremo dire 'non sapevamo'

GIDEON LEVY, Lucca 28 novembre 2014

Una cosa va detta subito e senza esitazione: quello che Israele, il mio Paese, vuole fare è accaparrarsi più terra possibile. E questa non è una questione complessa, come spesso si dice. E' molto semplice: dal '48 gli ebrei colonizzano la terra palestinese e le loro politiche non sono cambiate. E questo ha un nome: colonialismo. Oggi, poi, dobbiamo parlare chiaramente di un vero regime di apartheid”. Già dalle prime parole che il grande giornalista israeliano GIDEON LEVY ha pronunciato di fronte ad una sala gremita, sabato 29 novembre a Lucca, si comprende la portata politica di ciò che ha rappresentato il suo contributo alla GIORNATA ONU 2014.
Con il mio lavoro voglio documentare tutto perchè un giorno, quando tutto sarà finito, gli israeliani non possano dire 'non sapevamo'. Sono nato e vissuto a Tel Aviv sentendomi una vittima e non certo un occupante e ho pensato questo fino agli anni '80, quando ho cominciato a lavorare per Haarez, che mi ha inviato nei Territori Occupati. Solo lì ho cominciato a vedere e a capire. Come chiamereste un regime in cui uno dei due popoli gode di tutti i diritti mentre l'altro non ha nulla? Io lo chiamo apartheid”.


La voce di questo coraggioso testimone ha fatto diventare, in questo Anno Internazionale per la Palestina, internazionalmente rilevante l'annuale Convegno con cui Pax Christi celebra nella Giornata Onu per i diritti del popolo palestinese.

Ma già incontrando gli studenti delle scuole, al mattino, aveva scosso l'uditorio: “Da israeliano devo tragicamente ammettere che per gli israeliani un palestinese non sarà mai un essere umano uguale a loro. Sembra eccessivo ma è esattamente questo il primo grande confine tra i due popoli: un confine culturale, sociale, psicologico. Anche gli israeliani più aperti sotto sotto pensano ai palestinesi come ad esseri inferiori. L'israeliano vive in pace con se stesso perchè semplicemente non ritiene che i palestinesi abbiano i suoi stessi diritti”.
La Giornata ONU di Lucca ha registrato una grande partecipazione di persone da ogni parte d'Italia e dal Convegno si leverà nelle prossime settimane la precisa richiesta al Parlamento italiano di seguire i sempre più numerosi Paesi europei che stanno riconoscendo lo Stato di Palestina. D'altra parte Gideon Levy ha rilevato che “la comunità internazionale sa benissimo cosa dovrebbe fare. Con il Sudafrica dell'apartheid l'ha fatto. Ed ora le differenze in Palestina sono minime".
Il problema -ha incalzato Levy- è che, pur non essendoci una censura vera e propria in Israele, sono i media stessi che si autocensurano. Il che è anche peggio, a pensarci. Fanno un lavaggio del cervello incredibile agli israeliani, demonizzando e disumanizzando i palestinesi. Cercano di nascondere sempre le atrocità commesse dall'esercito. Israele nega tutto, vivendo in una continua menzogna. Il linguaggio che usiamo stravolge la realtà. Così, per esempio, in Israele si parla distinguendo coloni moderati o estremisti, gli avamposti illegali e le colonie legali, ma secondo il diritto internazionali non esistono colonie legali. Tutte sono illegali.
Negli anni immediatamente successivi all'occupazione, gli stessi Territori Occupati non venivano definiti così e chi usava questa espressione era definito traditore. Li chiamavano piuttosto 'liberati'. Insomma, dipende da come Israele interpreta ciò che accade: quando un blindato entra in un campo profughi spargendo terrore, per noi è solo il bambino che tira la pietra a violare la legge. Quando Abbas chiede aiuto all'Onu, è lui ad essere considerato violatore dello status quo. Israele invece può fare e fa sempre ciò che vuole. Quando dei palestinesi uccidono un colono con un coltello sono terroristi ma quando un aereo militare bombarda Gaza, è autodifesa. Chiunque è a favore dell'occupazione militare vuole il bene di Israele e chiunque si appella al diritto internazionale è antisemita. Quando un palestinese di 6 anni viene ucciso dai soldati israeliani è definito 'un giovane', 'un adolescente', o semplicemente 'un palestinese'; quando viene ucciso un 18enne israeliano è 'nostro figlio'”.
La Newsletter BoccheScucite e l'omonimo sito www.bocchescucite.org , pubblicheranno presto tutti gli interventi della Giornata di Lucca, proprio a partire dalla fortissima denuncia di questa “bocca scucita” israeliana che ha ammesso quanto il suo lavoro sia sempre più a rischio in Israele:
Durante l'operazione dell'esercito a Gaza, quest'estate -ha confidato Levy- 3000 lettori hanno disdetto l'abbonamento al quotidiano Haarez a causa di un mio articolo. Per fortuna il mio giornale non scende a compromessi, e va avanti. D'altra parte, se a Gaza quest'estate sono state uccise oltre 2000 persone palestinesi in nome della sicurezza israeliana io mi chiedo semplicemente: ma chi pensa alla sicurezza dei palestinesi, che si trovano molto più a rischio degli israeliani?