PALESTINA MON AMOUR



























Amos Oz: " L'occupazione fa male a Israele. Fermiamo la violenza per il nostro futuro"


Amos Oz


da "la Repubblica" - 27/12/2015

L’occupazione quest’anno compie già 49 anni. Sono certo che debba finire al più presto per il futuro dello Stato di Israele, un futuro a cui dedico il mio impegno profondo. In considerazione delle politiche sempre più estreme del governo israeliano, chiaramente intenzionato a controllare i territori occupati espropriandoli alla popolazione locale palestinese, ho appena deciso di non partecipare più ad alcuna iniziativa in mio onore delle ambasciate israeliane del mondo. Non è stata una decisione facile bensì molto dolorosa. Ma l’attuale oppressione e le espropriazioni nei territori occupati, gli incitamenti contro gli oppositori delle politiche del governo, e la tensione legislativa per ridurre la libertà di espressione e minare il potere giudiziario — mi hanno spinto nel loro insieme verso questa decisione. Da anni faccio parte del B’Tselem’s Public Council. Rinuncerei volentieri a questo onore se l’occupazione fosse un ricordo del passato. Ma finché non sarà tale — come sarà — sono fiero del lavoro coraggioso svolto da B’Tselem: dai ricercatori sul campo a Gaza e nella Sponda occidentale allo staff della sede di Gerusalemme e ai suoi volontari. B’Tselem non solo documenta in modo attendibile e meticoloso le violazioni dei diritti umani nei territori occupati, ma offre anche uno specchio alla politica di Israele, rivelando la sua dubbia maschera di legalità con cui da 50 anni Israele prevale sui palestinesi, opprimendoli e confiscando la loro terra. Il 2014 è stato uno degli anni più insanguinati per Israele e la Palestina dal 1967 a questa parte. Purtroppo anche il 2015 è stato segnato da numerose settimane di violenza. Io contesto ogni forma di violenza contro persone innocenti. Ma rifiuto anche il tentativo di far passare i recenti eventi esclusivamente come istigazioni o manifestazioni “anti-semitiche”, sottovalutando il regime di occupazione con le sue annose violenze quotidiane contro milioni di palestinesi privati dei loro diritti. Queste sono alcune delle ragioni per cui scelgo di far parte del B’Tselem’s Public Council e di sostenere questa organizzazione. Ed è anche il motivo per cui vi scrivo, per chiedervi di unirvi a me nel rendere più forte B’Tselem dimostrando chiaramente il vostro sostegno a favore dei diritti umani e contro l’occupazione. Solo la sua fine può portare a un futuro gravido di giustizia, libertà e dignità per chi vive qui. B’Tselem — la principale organizzazione israeliana per i diritti umani, che vede l’occupazione per quello che è, la documenta, ne spiega le implicazioni e vi si oppone fermamente.




(Gideon Levy)


 (Gadha Karmi)

di Giorgio Stern


Sabato 28 novembre Trieste ha goduto di un’occasione unica.


Il Convegno “Palestina fra diritti negati e prospettive future” ha messo seduti allo stesso tavolo, Ghada Karmi, medico e scrittrice palestinese residente a Londra, Gideon Levy giornalista ebreo israeliano dell’importante quotidiano di Tel Aviv Haaretz, e Wasim  Dahmash, palestinese, da tempo  docente di letteratura araba in Italia.
Presidente dei lavori il professor Fulvio Salimbeni, docente di Storia contemporanea all’Università di Udine, la quale ha riconosciuto i crediti formativi CFU ai propri studenti presenti al Convegno.
Alla Tavola rotonda, svoltasi nel pomeriggio, ai relatori del mattino si sono uniti Stephanie Westbrook, attivista per i diritti umani dell’organizzazione B.D.S., statunitense;  Fausto Gianelli, coordinatore giuristi democratici di Modena; Widad Tamimi, scrittrice, residente a Lubiana, specializzata in scienze internazionali a Londra, coordinatrice della sessione pomeridiana dei lavori.
Che il nodo irrisolto Palestina Israele sia al centro di ogni vicenda del Vicino Oriente è cosa arcinota e non da oggi, ed è stata proprio la città di Trieste ad ospitare per la prima volta un incontro di tale significato e portata. 
L’ospitalità della sala del Museo Revoltella, offerta dal Comune di Trieste, e l’organizzazione del Convegno della quale si è fatta carico l’Associazione promotrice “Salaam Ragazzi dell’Olivo Comitato di Trieste”, hanno permesso al pubblico che gremiva la sala di seguire, anche grazie al sistema di traduzione  simultanea, ogni intervento ed ogni passaggio di un dibattito che è stato interamente percepito nonostante la complessità dei temi affrontati e discussi.
Il folto pubblico, assieme a giornalisti della carta stampata e della televisione, che per oltre sei ore, seguendo attentamente, partecipando con domande e commenti, ha reso testimonianza del successo di quello che è stato un vero e proprio evento per la città.
Avremo modo successivamente di entrare nel merito dei contenuti del dibattito che per loro importanza meritano uno spazio a parte.
Al momento è necessario rilevare quanto accaduto a margine del Convegno. prima e dopo lo svolgimenti dello stesso.
Nei giorni immediatamente precedenti l’evento si era saputo che un rappresentante di una comunità ebraica aveva cercato di far approvare mozioni volte ad impedirlo. La cosa non aveva sortito alcun effetto e sembrava finita lì. 
Invece il 25 novembre, a tre giorni dall’apertura del  Convegno, l’Ass.ne Salaam Ragazzi dell’Olivo, co-organizzatrice assieme al Comune di Trieste dell’iniziativa,  riceveva dall’Amministrazione comunale la seguente comunicazione
Gentile Presidente,
con riferimento al convegno in oggetto, in programma sabato 28 novembre all'Auditorium del Museo Revoltella, a seguito della segnalazione da parte dell'Ambasciatore d'Israele della presenza tra i relatori di rappresentanti di gruppi considerati vicini ad alcune organizzazioni terroriste, sono a comunicarLe che l'Amministrazione non intende più partecipare all'evento e ad invitarLa d'ora in poi a non spendere il logo del Comune di Trieste nelle comunicazioni e negli atti inerenti quest'iniziativa. Ciò al fine di non coinvolgere l'Ente in situazioni che possono apparire o risultare contrarie al processo di pace.
Cordialmente.
Fabiana Martini
Incredibilmente i Rappresentanti dell’Amministrazione Comunale invece di rimandare al mittente la smaccata intromissione dell’Ambasciatore israeliano nelle faccende interne italiane, assumevano come propria una “segnalazione”  i cui contenuti sono a dir poco inverosimili, insultanti e preoccupanti.
Se l’Ambasciatore di Israele a Roma ha davvero scritto queste cose egli ignora che i soli a poter formulare accuse sulle attività dei cittadini italiani o altri eventualmente residenti, o cittadini di altri Paesi presenti sul suolo nazionale, sono la Magistratura della Repubblica e le Forze dell’Ordine di questo Paese.
Tuttavia ammesso, e non concesso, che l’Ambasciatore israeliano abbia fatto ciò che ha fatto, la cosa avrebbe dovuto riguardare solo lui.
L’aspetto incredibile della faccenda sta nel comportamento dell’Amministrazione cittadina la quale asseritamente ha fatto proprie le disposizioni ricevute del Rappresentante di uno Stato estero e le ha messe in pratica.
Entrando nel merito, la  lettera del Comune cita la presenza tra i relatori di rappresentanti di gruppi considerati vicini ad alcune organizzazioni terroriste.  
Accusa pesantissima e con estrema leggerezza messa nero su bianco senza il sostegno del benché minimo indizio.
Un’accusa lanciata all’ultimo momento nonostante   l’Amministrazione Comunale conoscesse da mesi la composizione del Convegno,  le biografie di tutti i relatori essendo state da tempo consegnate al Comune che aveva provveduto a stampare i pieghevoli.
L’informazione diffusa in città, e nel resto d’Italia, era stata quanto mai capillare e da tempo si riscontrava sensibile l’aspettativa per l’evento. 
La Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali di Trieste, DIGOS, settimane prima aveva ricevuto tutte le necessarie informazioni direttamente e personalmente dall’Associazione promotrice.
Nonostante ciò, NESSUNO si era accorto del grave pericolo che la città correva. Ci voleva l’Ambasciatore di Tel Aviv ed un’improvvida Amministrazione perché la città, svegliatasi di soprassalto un paio di giorni prima, corresse ridicolmente ai ripari?
Aspetto rilevante della questione sta nella conoscenza del testo originale dell’incriminata lettera ricevuta da un Paese straniero che si prefigura come un atto grave d’ingerenza negli affari interni italiani.
L’Associazione Salaam Ragazzi dell’Olivo intende chiedere di disporre ufficialmente del testo della lettera dell’Ambasciatore di Tel Aviv prima di porre in atto tutte le azioni volte a tutelare la reputazione degli ospiti invitati, la propria quale responsabile del Convegno, assieme alla tutela della sovranità  e indipendenza nazionale.
Seguiremo la vicenda con attenzione e ne daremo conto non appena ulteriori sviluppi si succederanno.






di Alan Hart

 18 gennaio 2016


Da diversi anni mi sono chiesto, a volte su piattaforme pubbliche e per iscritto, se la Palestina è una causa persa. Sono giunto alla conclusione che come stanno le cose è e rimarrà così a meno che i palestinesi, quelli occupati e oppressi e quelli della diaspora, uniscano la loro azione politica, al fine di dare alla loro causa nuova vita con qualche reale speranza di giustizia finalmente.
Risultati immagini per alan hartA mio avviso, l'indicatore più significativo del fallimento politico e dell’irrilevanza della dirigenza messa in campo dall'Autorità Palestinese (PA) è stata la recente dichiarazione del suo presidente, Mahmoud Abbas, che tocca alla comunità internazionale giungere ad una pacifica risoluzione del conflitto.
La realtà che Abbas sceglie di ignorare è che come stanno le cose non vi è assolutamente alcun motivo per credere che le potenze occidentali guidate dagli americani (o qualsiasi altro) potranno mai fare uso della loro influenza per cercare di indurre Israele a porre fine al suo disprezzo del diritto internazionale e al diniego di giustizia per i Palestinesi.
I governi occidentali (e altri) e i loro diplomatici continuano a perorare a parole la soluzione a due stati, ma sanno che è morta, uccisa dalla colonizzazione israeliana in corso della Cisgiordania occupata, che, come ho già detto, è un processo meglio descritto come pulizia etnica lentamente e di nascosto. (Sanno anche che l'attuazione di una soluzione a due stati provocherebbe una guerra civile ebraica e - come Shimon Peres mi disse nel 1980 – nessun gruppo dirigente israeliano avrà mai intenzione di farlo).
Non vi è inoltre alcuna ragione di credere che i regimi arabi profondamente divisi, corrotti, autoritari e repressivi potranno mai fare uso del potere che hanno per spingere gli Stati Uniti e le altre Potenze occidentali a fare tutto ciò che è necessario obbligare Israele a prendere sul serio la pace a condizioni che i palestinesi potrebbero accettare. (Una verità della storia è che, quando Israele chiuse la questione Palestina con la sua vittoria sul campo di battaglia nel 1948, i regimi arabi, a porte chiuse, condivisero la stessa speranza indicibile del sionismo e di tutte le grandi potenze - che la questione sarebbe rimasta chiusa. In altre parole, i regimi arabi speravano  chi Palestinesi avrebbero accettato la loro sorte come agnello sacrificale sull'altare della convenienza politica. Se non ci fosse stato Yasser Arafat a sorvegliare la riaccensione del fuoco della resistenza palestinese di fronte al fatto compiuto del sionismo, la questione poteva benissimo essere rimasta chiusa per sempre).
Nella mia analisi, le realtà sopra riassunte invitano a una sola conclusione. Solo i Palestinesi possono cambiare le dinamiche del conflitto in un modo che potrebbe generare una pressione reale per l'azione da parte dei governi della comunità internazionale.
Quali azioni? Intimare a Israele che se non finisce il suo disprezzo del diritto internazionale e la negazione della giustizia per i palestinesi, sarà isolato e sanzionato. (Si Io lo so, i governi non seguiranno questa strada se non sono spinti dall'opinione pubblica, ma cambiando le dinamiche del conflitto si potrebbe fornire la comprensione necessaria per motivare un numero sempre maggiore di cittadini a fare pressione).
Cambiare la dinamica richiede per cominciare la dissoluzione dell’Autorità Palestinese e riconsegnare a Israele la responsabilità completa e piena dell'occupazione.
Questo implicherebbe una significativa sicurezza e altri oneri finanziari su Israele. La sua risposta sarebbe indubbiamente una repressione più brutale di tutti i tipi, ma questo potrebbe essere a beneficio dei palestinesi, perché il vero volto del sionismo sarebbe esposto, completamente nudo da vedere, come mai prima d'ora per tutto il mondo. E questo a sua volta potrebbe portare a una montante pressione pubblica sulle potenze occidentali guidate dagli americani, forse ad un certo punto una pressione sufficiente per indurli a dire a Israele, " troppo è troppo", e metterlo sull'avviso che sarà isolato e sanzionato, se non finisce il suo disprezzo del diritto internazionale e il diniego di giustizia per i Palestinesi.
Lo scioglimento dell’Autorità Palestinese potrebbe aprire la porta a ricostruire le istituzioni del movimento nazionale palestinese, sulla base dell’unità che, per definizione, significherebbe la fine della divisione per fazioni e del tribalismo politico. A livello superiore, e per consentire ai palestinesi di determinare la politica e parlare al potere con una sola voce credibile, questo a mio avviso, sarebbe necessario portare il Consiglio Nazionale Palestinese (PNC) a nuova vita rinfrescato e rinvigorito da elezioni in ogni paese in cui vivono i palestinesi.
Anche se ci sono abbastanza palestinesi nella diaspora che sarebbero disposti a impegnarsi per realizzarle, le elezioni nuove e rinvigorimento del PNC richiederebbero tempo.
Così, dopo lo scioglimento della A.P. e la consegna a Israele della responsabilità completa e piena dell’occupazione, quale sarebbe la strategia di resistenza più efficace da adottare per gli occupati e oppressi palestinesi?
La loro incredibile costanza, quasi sovrumana, di rimanere al loro posto è la prova che la politica del sionismo di rendere la loro vita un inferno, nella speranza che se ne andranno a vivere altrove non è riuscita fino ad oggi ed è improbabile che possa mai avere successo. Ma questo non basta. La fermezza dei palestinesi occupati e oppressi ha bisogno di essere rafforzata da pacifiche e assolutamente dimostrazioni non violente, preferibilmente su base giornaliera, in tutto la Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza assediata, chiedendo la pace con la sicurezza e la parità di diritti politici, civili e umani di ogni genere per tutti. Questa sarebbe in effetti una campagna per uno stato per tutti.
Le dimostrazioni di resistenza dovrebbero essere tranquille, assolutamente non violente, perché un aumento della violenza palestinese farebbe il gioco di quegli ebrei israeliani, dirigenti e altri, che sarebbero favorevoli ad un pretesto per una fase finale di pulizia etnica.
In teoria i diritti politici, civili e umani uguali per tutti in uno stato porterebbero nel tempo fino al de-sionizzazione della Palestina; e non è irragionevole supporre che i capi di Israele non permetteranno che ciò accada.
In quella luce, e nonostante quello che ho scritto sopra, la domanda che dobbiamo porci è questa.
Anche se i palestinesi unificano il loro agire politico nel modo che ho suggerito, c'è qualche motivo per sperare davvero che ci possa essere in futuro una quantità accettabile di giustizia di cui essi possano godere?
A mio parere questa è una domanda a cui solo gli ebrei di Israele possono rispondere.
Se i palestinesi rimangono fermi e unificano il loro agire politico per mantenere la loro causa viva, porteranno al giorno in cui gli ebrei di Israele dovranno affrontare la questione del tipo di futuro che vogliono.
Vogliono vivere in un odioso stato di apartheid che deve ricorrere a sempre più brutali misure per mantenere il suo dominio sui palestinesi, con il reale pericolo che le misure sempre più brutali trasformeranno la marea globale di israelismo in antisemitismo, impostando la fase quasi prossima all’Olocausto II (il mio modo di riassumere un’altra grande ripetizione contro gli ebrei in tutto il mondo); oppure, vogliono la pace e la sicurezza in uno stato di diritti politici, civili e umani uguali per tutti - anche se ciò significherebbe la fine del sionismo come impresa coloniale? Se mettendo insieme il loro agire politico nel modo che ho suggerito i palestinesi possono indurre gli ebrei di Israele a fare questa scelta, ci sarà qualche speranza (forse non molto, ma un po') per una soluzione pacifica del conflitto.
Una volta ho detto, e credo che valga la pena ripeterlo, che non c'è e non c’è mai stata una questione Palestina. C'è solo un problema ebraico. E solo gli ebrei possono risolverlo. O no.



(Traduz. di Diego Siragusa)




The New York Times, 29.01.2016


di RICK GLADSTONE e STEVEN ERLANGER


NAZIONI UNITE - La Francia ha annunciato venerdì scorso che intende organizzare una conferenza internazionale volta a risolvere il conflitto israelo-palestinese, e che riconoscerà la Palestina come stato indipendente se questo sforzo dovesse fallire.
L'annuncio, fatto dal ministro degli Esteri Laurent Fabius a Parigi (nella foto), è stato accolto con favore dai leader palestinesi, che si dicono preoccupati che le loro rimostranze e rivendicazioni di uno stato pienamente indipendente siano state emarginate dalla guerra in Siria, la crisi dei migranti europea e le altre questioni connesse.
L'annuncio è stato invece criticato da funzionari israeliani, citati da organi di informazione del loro paese, i quali sostengono che Fabius ha essenzialmente formulato una minaccia con l'effetto di incoraggiare i palestinesi a non negoziare seriamente.
"La Francia si impegnerà nelle prossime settimane nella preparazione di una conferenza internazionale che riunisca le parti e i loro principali partner - americani, europei, arabi - mirata in particolare  a salvaguardare e realizzare la soluzione a due Stati", ha dichiarato Fabius. Nel caso di fallimento dello sforzo diplomatico, "Dobbiamo affrontare le nostre responsabilità, riconoscendo lo stato palestinese".
Israele è sempre più preoccupata dei passi intrapresi in Europa e altrove verso il riconoscimento di uno Stato palestinese senza un accordo di pace. Il riconoscimento ufficiale da parte del governo francese sarebbe il più significativo di quelli avvenuti finora.
Nel dicembre 2014 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione che riconosce uno stato palestinese in linea di principio. Nell'ottobre 2014, la Svezia è stato il primo membro dell'Unione Europea a riconoscere ufficialmente la Palestina come stato indipendente. L'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha incluso la Palestina come stato osservatore non membro nel 2012, dando la possibilità ai palestinesi di aderire ad organizzazioni internazionali quali la Corte penale internazionale.
Riyad H. Mansour, l'ambasciatore palestinese alle Nazioni Unite, ha detto venerdì che una conferenza internazionale è una delle diverse strategie in esame. "Non vogliamo che questo sia un anno in cui la gente nella nostra zona diventi ancora più depressa e più frustrata", ha dichiarato.
La proposta francese è stato annunciata proprio mentre stanno emergendo altri attriti tra Israele e i suoi più importanti alleati occidentali, aumentando l'isolamento di Israele sia riguardo la questione palestinese che riguardo l'avversione all'accordo nucleare recentemente concluso con l'Iran.
Negli Stati Uniti, alcuni gruppi pro-Israele hanno criticato la riemissione delle linee guida doganali secondo cui i prodotti realizzati nei territori palestinesi occupati da Israele non devono essere etichettati "made in Israel".
Queste linee guida erano state originariamente promulgate nel 1995 per rafforzare le esportazioni palestinesi. I funzionari americani affermano di averle ripubblicate questo mese in risposta ad alcune denunce di etichettatura non appropriata, e l'atto non aveva in alcun modo lo scopo di scoraggiare l'acquisto di prodotti israeliani.
Ma per i sostenitori di Israele la scelta di tempo non è parsa casuale, dato il recente progresso del movimento di boicottaggio internazionale che si propone di mettere pressione a Israele per porre fine all'occupazione. Nel mese di novembre, l'Unione europea ha implementato un regolamento secondo il quale le etichette devono specificare se i prodotti provenienti dalla Cisgiordania sono realizzati in insediamenti israeliani.
Omri Ceren, responsabile per la stampa e la strategia del "Progetto Israele" a Washington, un gruppo di pressione, ha dichiarato che la riemissione della normativa doganale nel clima attuale "sembra purtroppo qualcosa di molto simile a un bordata anti-israeliana."
Un altro motivo di frizione è venuto alla luce questo venerdì: alcuni documenti trapelati, attribuiti a Edward J. Snowden, l'ex consulente dell'intelligence americana, dimostrano che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno monitorato voli di droni segreti e comunicazioni dell'aviazione israeliana in un'operazione di hacking risalente al 1998.
Israele ha espresso il suo disappunto per le rivelazioni, pubblicate da The Intercept, una pubblicazione online associata a Glenn Greenwald - collaboratore di Snowden - e dalla rivista tedesca Der Spiegel.
Yuval Steinitz, ministro israeliano delle infrastrutture  e dell'energia nonché membro del gabinetto di sicurezza del primo ministro Benjamin Netanyahu, ha minimizzato l'episodio, dicendo comunque che ne saranno tratte lezioni.
"Non credo che questo sia il regno dei segreti più profondi, ma è certamente qualcosa che non dovrebbe accadere, ed è sgradevole,", ha detto alla radio dell'esercito di Israele. "Ora dobbiamo esaminare il problema e cambiare la crittografia, senza dubbio."
Steinitz ha detto che Israele non è sorpreso dalla pirateria informatica. "Sappiamo che gli americani spiano tutto il mondo, e anche noi, anche i loro amici", ha affermato.
"Tuttavia rimane una cosa spiacevole, anche perché, tra l'altro, noi da decenni non spiamo né raccogliamo informazioni di intelligence né piratiamo dati crittografati negli Stati Uniti".
Il quotidiano israeliano Yediot Ahronot afferma che la National Security Agency degli Stati Uniti e il suo omologo britannico, Government Communications Headquarters, che controllano le comunicazioni elettroniche e non solo, hanno decifrato comunicazioni israeliane durante missioni delle forze aeree su Gaza, Iran e Siria.
L'operazione di spionaggio, con il nome in codice "Anarchico", è stata eseguita da una base a Cipro ed era mirata anche ad altri paesi della regione, tra cui l'Egitto, l'Iran, la Siria e la Turchia, secondo The Intercept.

Rick Gladstone riferisce dalle Nazioni Unite, e Steven Erlanger da Gerusalemme.

Traduzione di Giacomo Graziani per l'Associazione di Amicizia Italo-Palestinese Onlus, Firenze






Miei cari cittadini, Mes Cher Citoyens,

Insieme con i più pensosi, sensibili e compassionevoli membri della società civile del mondo, deploro l'occupazione della Palestina e la sottomissione di tutti i suoi popoli non ebrei. Lo stato della discriminazione anti-palestinese di Israele a partire dal 1947/8 è inaccettabile.
Sono anti-razzista, anticolonialista, contro la guerra, contro l'oppressione e la discriminazione.
Noi, popoli del resto della società civile globale, ci siamo sempre tolti il cappello davanti a voi francesi, per la vostra  "Dichiarazione dei diritti dell’uomo" del 1789. C'è sempre stato, abbiamo creduto, nel vostro pulsante cuore collettivo, devoti come siete stati ai principi della Fraternità, Uguaglianza e Libertà, un attaccamento alla difesa degli oppressi in tutto il mondo,anche fuori di Francia!
Oggi ho letto con orrore che un tribunale della vostra terra ha dichiarato illegale una protesta pacifica da parte dei sostenitori del BDS contro le politiche del governo di Israele, che sono razziste, oppressive e discriminatorie, sostenendo che la protesta in sé è una discriminazione e infligge ammende sui pacifici manifestanti.
Questo è un giorno triste per la Francia e per la magistratura francese. Prendere una tale posizione contro il BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) che impiega gli stessi strumenti non violenti che sono stati utilizzati in India contro l'oppressione del dominio britannico a metà del 20° secolo, e dai manifestanti americani, sia bianchi che neri, nel sud degli Stati Uniti di Jim Crow, e anche da entrambi i manifestanti bianchi e neri di tutto il mondo nella lotta contro l'apartheid in Sud Africa, è una macchia sul buon nome della Repubblica Francese.

BDS, BOICOTTAGGIO DISINVESTIMENTO E SANZIONI, È, FINORA, IL SOLO PERCORSO EFFICACE VERSO LA POSSIBILITÀ DI PACE IN TERRA SANTA BASATO SUL BENESSERE DEI PALESTINESI E ISRAELIANI, CONDIVISIONE  DI LIBERTÀ, GIUSTIZIA E UGUAGLIANZA.

Perché la vostra magistratura si oppone? Una protesta pubblica nel vostro grande Paese dovrebbe chiedere un'inchiesta pubblica sulle basi giuridiche che consentono di muovere queste denunce contro i sostenitori del BDS. In ogni caso, su una questione personale, dovrei dichiarare il mio interesse. I sostenitori del BDS, che sono stati attaccati dal potere giudiziario, hanno il mio inequivocabile sostegno, rispetto e amore.
Ogni uomo o donna che rafforza le barricate a sostegno dei nostri fratelli oppressi e sorelle in Palestina e in Israele per questo è mio fratello e mia sorella.

Questo problema non è complicato, è una questione di giusto o sbagliato, si tratta dell'applicazione corretta o errata della legge. La legge dovrebbe servire gli oppressi non gli oppressori. Se la vostra legge tutela gli oppressori, i razzisti e chi discrimina, e punisce gli uomini e le donne di buon cuore che rafforzano le barricate della libertà, ovunque quelle barricate possano esistere nel nostro piccolo pianeta, allora la vostra legge è un’asinata.

Con amore e rispetto. Chers Citoyens (Cari cittadini)

Roger Waters

(Traduz: di Diego Siragusa)

sabato 14 giugno 2014

Israele ci può provare, ma non può ignorare l'occupazione 

di Gideon Levy



IDF soldiers arrest Palestinian man in Hebron. Saturday, June 14, 2014.












Il destino dei  tre studenti di yeshiva in Cisgiordania Giovedi scorso è ancora sconosciuto e desta preoccupazione,ma non importa se ,alla  fine,  tornano a casa in modo sicuro o no, Dio non voglia, se il responsabile risulta essere la jihad globale o una cellula  locale, il contesto  non può essere ignorato.
Forse l'operazione ha sorpreso visto le sofistificate agenzie di spionaggio in Israele, ma non avrebbe potuto essere una vera sorpresa per nessuno.
Coloro che si rifiutano ostinatamente di liberare prigionieri palestinesi, alcuni dei quali sono in carcere  prima della firma degli accordi di Oslo  e ad  alcuni dei quali Israele ha promesso la  liberazione ; coloro che si rifiutano di liberare i  detenuti senza processo per anni; coloroche ignorano lo sciopero della fame di 125 detenuti "amministrativi", alcuni dei quali stanno morendo negli ospedali; coloro che intendono nutrirli   con la forza,  coloro che prevedono di approvare leggi radicali per vietare la loro liberazione, queste persone non posssono pretendere di essere sorpresi o scioccati dai rapimenti.Li ha organizzati per loro in anticipo.
Israele, così preoccupata per il benessere di ognuno dei suoi cittadini, ma  che per anni  ha arrogantemente ignorato la preoccupazione palestinese per il benessere dei suoi prigionieri.
Israele detiene il copyright di preoccupazione per il suo popolo, come avviene per il culto degli eroi della lotta nazionale. Meir Har-Zion [uno dei membri fondatori dell'Unità 101, che nel 1953 ha condotto un raid di rappresaglia contro una tribù beduina dopo l'uccisione  di sua sorella, mentre stava facendo un viaggio illegale per Petra] è un eroe nazionale; Ahmad Sa'adat [il segretario generale del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina] è un assassino .
Gilad Shalit è stato tutto nostro, ma il destino di Walid Daka,detenuto  in Israele per più di 30 anni, per il reato di appartenenza a una cellula militante che ha ucciso un soldato israeliano - senza una sola licenza o visita coniugale, è di nessun interesse  qui.
Nessuno qui si preoccupa delle migliaia di prigionieri palestinesi. La scorsa settimana gli israeliani erano molto più interessati a Meir Sheetrit che ai 125 scioperanti della fame che stanno  lentamente morendo di fame da 53 giorni. 
Tra le migliaia di prigionieri palestinesi  ci  sono alcuni assassini , ma anche molti prigionieri politici e tutti loro sono visti come eroi della lotta nazionale palestinese.E 'lo stesso in ogni lotta nazionale. Alle loro spalle si erge una società intera che non è meno preoccupata per il loro destino degli israeliani  che si preoccupano   del  destino   dei propri cari. 
Uccidendo il processo di pace, Israele ha chiuso le porte delle sue prigioni  e il messaggio di Israele ai palestinesi è stato tagliente: i vostri figli saranno liberati   solo  attraverso un'operazione violenta. Giovedi 'sera  ne sono state tratte le conclusioni,ma il contesto dei rapimenti si estende ben oltre il  rilascio dei  prigionieri. 
Il sipario è sceso sul processo di pace , per quanto avrebbe potuto essere infrottuoso questo processo è venuto a meno  e così  l'ultima speranza per la liberazione nazionale palestinese attraverso negoziati. La vita in Israele e gli insediamenti in Cisgiordania sono tornati  in pista, una vita di libertà e di realizzazione, reality show e circhi, completamente avulsa  dall'occupazione. 
Lo stesso non si può dire per i palestinesi: non hanno niente di tutto questo  e per loro ogni ritardo in una soluzione del conflitto accresce  la loro sofferenza, l'umiliazione e le tribolazioni. Chiunque pensi che i palestinesi  potrebbero sedersi in silenzio e aspettare fino a quando Israele si degnerà di cambiare la sua melodia ogoverno è un illuso .Chiunque pensava che i coloni avrebbero continuato a vivere in sicurezza nel territorio,ha subito una grave delusione: il rapimento di Giovedi è solo un campanello d'allarme, un assaggio di ciò che potrebbe   accadere  domani. 
L'unico modo ancora aperta per i palestinesi per ricordare agli israeliani della loro esistenza e della loro situazione è la via della lotta violenta. Tutti gli altri percorsi sono stati bloccati. Se la Striscia di Gaza non spara razzi Qassam contro Israele, la Striscia di Gaza non esiste,se in Cisgiordania gli studenti yeshiva non vengono rapiti, la Cisgiordania scompare dalla coscienza di Israele. 
Rapimenti o omicidi sono finalizzate a pungere il compiacimento intollerabile di Israele  e come tali non dovrebbero sorprendere nessuno. Negli ultimi mesi, questa compiacenza ha raggiunto nuove vette inconcepibili. 
Basta guardare le sciocchezze che hanno  catturato l'attenzione di Israele : Benjamin Ben-Eliezer e il bacio di Ahi e Anna nella versione israeliana di "Grande Fratello". 
Questa è la natura fastidioso dell'occupazione.  Ci insegue anche se nascondiamo la testa ancora di più nella sabbia.

Gideon Levy : Israelis can try, but they can't ignore the occupation

di Gideon Levy

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Sintesi personale

I palestinesi non hanno vinto (e presumibilmente non vinceranno), ma Israele ha perso ancora una volta. I resti della sua umanità vengono cancellati con una velocità spaventosa e senza precedenti. Orrori vengono perpetrati nei territori occupati con frequenza e a livello mai visti prima. e giustificati in nome dei coltelli e delle pugnalate da parte del pubblico israeliano Il comportamento dei suoi soldati e agenti di polizia è sempre mediato dai media israeliani che sfocano e nascondono il più possibile,ma i siti di social media mostrano le immagini, orrore dopo orrore:. Un senso di nausea mista a rabbia ti travolge.

Questo è accaduto questo fine settimana (a parte gli accoltellamenti, che hanno provocato lesioni agli Israeliani): un  infante di otto mesipalestinese è morto, presumibilmente per le inalzazioni di gas lacrimogeni a Beit Fajjar, a sud di Betlemme. Lanceremo gas lacrimogeni  fino a quando non morirete. Bambini, adulti, anziani, tutti. – Non lasceremo nemmeno uno di voi», ha abbaiato un agente di polizia di frontiera dalla sua jeep blindata nel campo profughi di Al-Aida, a nome di tutti gli israeliani.

Una jeep della polizia di frontiera  ha deliberatamente  investito un palestinese che stava tirando pietre nei pressi di Beit El.Quello che è successo dopo è difficile da guardare:  le truppe della Polizia di Frontiera lo prendono a calci e sgarbatamente respingono le squadre di soccorso palestinesi.

Un altro ufficiale di polizia di frontiera, in un luogo diverso, colpisce una maschera antigas indossata  da un giornalista che ha osato scattare foto. Da qualche altra parte  spray al pepe viene direttamente  spruzzato in faccia  a un fotografo che cade con il volto contorto dal dolore.

Ahmed Manasra, di 13 anni  che avrebbe accoltellato due israeliani, ferendoli seriamente, è stato portato in tribunale in manette. Egli èaccusato di tentato omicidio, ma i pubblici ministeri cercheranno di prolungare il dibattito  fino a quando  compirà  14 anni. Poi dovrà affrontare decenni di carcere se condannato. Il procuratore ha promesso di perseguire i “terroristi” di “tutte le età”.

Israele gentilmente si è degnato di restituire i corpi dei sette palestinesi dopo un ritardo nauseante che ha portato a esplosioni di rabbia nei territori. I corpi degli assalitori, colpiti a morte, vengono rimossi da soldati e agenti di polizia in pubblico, le immagini dei loro corpi nudi condivisi sui social media. La brama di demolire le case dei terroristi  in modo rapido e in grandi quantità, non può essere soddisfatta. Un civile, Mashiah Ben Ami, si vanta di aver sparato  non meno di 15 proiettili contro un palestinese che ha cercato di pugnalarlo e gli ha strappato la camicia.

Il dibattito su una politica shoot-to-kill, usando proiettili veri, verso ogni persona che accoltella o brandisce un coltello, a prescindere dalla pericolosità, non è nemmeno iniziata in Israele. E non ci sarà mai. Oltre 70 palestinesi sono stati uccisi in questo modo fin dall’inizio della rivolta.

E’ tumultuosa  questa rivolta ed è la cosa più prevedibile che sia mai successo qui. Essa non può essere soppressa attraverso l’uso della forza e  i soldati e poliziotti che affrontano la folla inferocita  possono solo essere compatiti.

Ma quando questa onda diminuirà, fino alla prossima volta, saremo lasciati con il vero e proprio disastro: guardate i soldati, e in particolare la Polizia di Frontiera, osservate il loro comportamento barbaro verso chiunque è sul loro cammino e capirete che cosa ci attende e quale carattere il paese avrà, se già non ce l’ha.

Coloro che prendono a calci un palestinese,  che minacciano uccisione di massa di gas e assaltano equipe mediche e giornalisti, sapendo non solo di non essere puniti, ma che saranno lodati – sono i cittadini  persi per la democrazia. Sono kalgasim, come si dice in ebraico (“invasori viziosi”). E coloro che li coprono, che guardano avanti con l’apatia e l’indifferenza, questi sono i loro partner.Partner a pieno titolo.

Gideon Levy : Israelis Who Are Lost to Democracy

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Gideon Levy: la democrazia perduta di Israele

Israelis Who Are Lost to Democracy

Israel is perpetrating horrors in the territories at a frequency and degree never seen before. Not that most Israelis seem to care.

The Palestinians did not win (and presumably never will win), but Israel lost once again. The remnants of its humanity are being erased with frightening and unprecedented speed. Horrors are being perpetrated in the occupied territories at a frequency and degree never seen before.
The stones or stabbings that could justify such crimes have not yet been created – and are greeted with a shrug of the shoulder by the Israeli public. Its exposure to the behavior of its soldiers and police officers is always mediated by the Israeli media, which can be counted upon to blur, polish and hide as much as possible. But social media sites spit out the images, horror after horror. One glance and you are embarrassed; one more and a sense of nausea mixed with anger overwhelms you.
What didn’t happen this weekend (apart from the stabbings, which resulted in minor Israeli injuries): An 8-month-old Palestinian baby died, allegedly from inhaling tear gas at Beit Fajjar, south of Bethlehem. “We’ll fire tear gas at you until you die. Children, adults, old people, everyone, everything – we won’t leave a single one of you,” barked a Border Police officer into the speaker of his armored jeep in the Al-Aida refugee camp, in the name of all Israelis.

A different Border Police jeep deliberately ran over a Palestinian who was throwing stones near Beit El. What happened next is difficult to watch: The badly injured Palestinian lies on the ground, Border Police troops kick him and rudely repel the Palestinian rescue teams before they can treat him.
Another Border Police officer, in a different place, hits a gas mask-wearing journalist who dared to take pictures. Somewhere else, pepper spray is spritzed directly into the face of a photographer, who falls down, his face contorted in pain.
Ahmed Manasra, the 13-year-old boy who allegedly stabbed two Israelis, wounding them seriously, was brought to a remand hearing in handcuffs. He is being charged with attempted murder, but prosecutors will try to drag out the proceedings for more than two months, until he turns 14. Then he will face decades in prison if convicted – and that is all but guaranteed. The demure prosecutor has promised to pursue “terrorists” of “any age.”

Israel graciously deigned to return the bodies of seven Palestinians after a sickening delay that led to outbursts of rage in the territories. The bodies of assailants who were shot to death are stripped by soldiers and police officers in public, the images of their naked bodies shared on social media. The lust for demolishing the homes of terrorists – quickly and in large quantity – cannot be satisfied. A civilian, Mashiah Ben Ami, boasts that he fired no fewer than 15 bullets at a Palestinian who tried to stab him and tore his shirt.
The debate over a shoot-to-kill policy, using live bullets, toward any person who stabs or wields a knife, regardless of dangerousness, has not even begun in Israel. It never will. Over 70 Palestinians have been killed in this manner since the beginning of the uprising.
It is tumultuous, this uprising, and it’s the most predictable thing that ever happened here. It cannot be suppressed through the use of force, and the soldiers and policemen who face the raging crowd and try to do so can only be pitied.
But when this wave diminishes, on hiatus until the next one, we will be left with the real disaster: Look at the soldiers, and especially the Border Police, observe their storm trooper-like barbaric behavior toward anyone in their path, and you’ll understand what awaits us and what character the country will have, if it doesn’t already have it.
Those who maliciously run over a teenager and then viciously kick him; who threaten mass killing with gas and assault medical teams and journalists – knowing they won’t be punished and will only be praised – are citizens who are lost to democracy. They are kalgasim, as we say in Hebrew (“vicious invaders”). And those who cover for them, who look on with apathy and indifference – these are their partners. Full partners.

Gideon Levy
Haaretz Correspondent

Intervista al regista di “Rabin, the last day” nel giorno del 20esimo anniversario dell’assassinio del premier laburista: «Un artista deve usare il proprio talento per spingere gli altri a pensare, a riflettere su Israele».
- See more at: http://nena-news.it/amos-gitai-la-destra-israeliana-non-ha-opposizione/#sthash.iW3tcnuv.dpuf





Abbiamo lasciato Israele
Il più conosciuto scrittore palestinese di Israele si è trasferito nel Midwest di Ruth Margalit Un secolo fa, sul monte Scopus, a Gerusalemme, Albert Einstein tenne la prima lezione nella futura Hebrew University, una lectio magistralis di novanta minuti. Nel giugno del 2014, Sayed Kashua, un romanziere, giornalista, autore televisivo, e forse il rappresentante più visibile della vita palestinese in Israele era lì per fare il discorso di commiato ai neo laureati. Il suo soggetto era la vita tra le lingue, un terreno familiare per un autore che si identifica come palestinese, ma scrive solo in ebraico. Anche se ha avuto soltanto quindici minuti a disposizione, l'invito era senza precedenti; la prima volta che l'università aveva aperta la porta ad un arabo a parlare ai laureati. Kashua, che è sui quaranta anni, è cresciuto a Tira, un villaggio arabo nel centro di Israele, in una famiglia di agricoltori di frutta che avevano vissuto nella stessa casa fin dai tempi del mandato britannico. Negli ultimi dieci anni, è diventato uno scrittore la cui colonna sul giornale Haaretz, "la gente appende sul loro frigo", come aveva detto un collega. Egli è una celebrità, non solo nella sinistra ma, come una dirigente televisiva mi ha detto, anche tra i "tassisti e sostenitori di Beitar", una squadra di calcio di Gerusalemme i cui fan di destra sono noti per cantare "Odio tutti gli arabi . Ha deciso di lasciare per sempre Israele."Volevo una vita tranquilla per i mie figli. Ma non si può crescere dei figli in Israele su valori di piena uguaglianza. Bambini arabi, voglio dire. Bambini ebrei forse si”. Ruth Margalit, ebrea US-americana ha fatto lo stesso http://www.newyorker.com/magazine/2015/09/28/the-mail-from-the-september-28-2015-issue paula wagner, albany, california Ruth Margalit sul perché Sayed Kashua ha scelto di lasciare: ho molto ammirato il coraggio di "Arab Labor" per la satira sugli stereotipi ebrei- arabi, e su “destra e sinistra”, ma non poteva più fare dell'umorismo". Io mi sono trasferita in Israele da giovane donna idealista, e i miei figli sono nati a Gerusalemme, subito dopo che sia iniziata l'occupazione. Non ho mai sofferta la discriminazione come Kashua , ma i miei motivi per lasciare Israele sono simili al suo: avrei potuto non vedere la disuguaglianza evidente per un po ', ma non ho potuto mentire ai miei figli. Lasciando Israele è stata la decisione più difficile della mia vita. Né l’esilio volontario di Kashua né il mio toglie il nostro profondo desiderio per una terra più pacifica ed equa per tutti i figli di Israele, indipendentemente dal loro background o appartenenza religiosa o culturale. traduzione di Leonhard Schaefer


Fu lontano dalla visione di uno Stato Palestinese indipendente e vicino a una visione di autonomia della Cisgiordania
di Zvi Schuldiner
Reuters, 04.11.2015
A vent’anni dall’assassinio dell’allora primo ministro Israeliano Yitzhak Rabin, le commemorazioni si pongono in antitesi — drammaticamente — rispetto agli accadimenti nelle ultime settimane in Israele.
In questi giorni Rabin è un mito. Ma molto lontano dalla realtà. È fonte di amarezza il fatto che molte persone si siano recate alla cerimonia princiPale a Tel Aviv non tanto per commemorare quanto nell’illusione che rinnovare il mito contribuisca a far penetrare una tenue speranza nello spirito di chi vede in questi giorni un capitolo nero, suscettibile di condurre a un finale tragico.
Il governo di Netanyahu è incapace di rispondere ai fatti delle ultime settimane. Gli attacchi Palestinesi hanno creato un panico generale ingiustificato alimentando la politica della paura. Come abbiamo già segnalato sul Manifesto, la reazione governativa si limita a immaginare soluzioni di forza senza alcuna reale alternativa politica.
L’estrema destra ha gettato altra benzina sul fuoco e l’incendio si è generalizzato: ogni Palestinese Israeliano o di Gerusalemme o dei territori occupati è diventato un possibile attentatore. Di conseguenza, ogni Palestinese è un possibile obiettivo delle «forze di sicurezza» e delle orde fasciste che crescono ogni giorno che passa. Qualunque Palestinese voglia prendere un autobus o recarsi al lavoro deve aver paura di essere attaccato o quantomeno sospettato. Così, può aspettarsi nella migliore delle ipotesi botte da orbi, e nella peggiore, di essere ferito o ucciso. Anche un Israeliano ebreo è stato ucciso per sospetto…«Stiano all’erta tutti i soldati, i poliziotti, i cittadini», ripetono i nostri saggi ministri; e così gli isterici che ascoltano, per paura o per fare gli eroi si mettono a sparare contro innocenti, e ad arrestare ogni cittadino Palestinese come persona sospetta.
Quando il primo ministro Netanyahu scagiona Hitler dalla responsabilità di aver concepito e messo in opera l’eliminazione degli ebrei, gettando la colpa sul Muftì dell’epoca, è evidente che non lo fa per ignoranza. Il suo messaggio agli Israeliani è chiaro e semplice: tutti gli arabi e i musulmani sono nazisti, assassini potenziali. Perciò con loro è impossibile trattare.
L’incendio si allarga e l’opposizione non dà prova di avere forza reale né fa udire una voce chiara e diversa.
Davanti alla disperazione di tanti, è evidente che far resuscitare il mito di Rabin è una necessità a livello politico pubblico e a livello psicologico individuale. Rabin fu il grande generale della vittoria del 1967. Poco dopo, ritiratosi dall’esercito, fu ambasciatore negli Stati uniti, mostrando una grande ammirazione per Henry Kissinger — e non è necessario qui soffermarsi sulla natura criminale dell’operato politico di quest’ultimo.
La guerra del 1973 fu dura e richiese un grande prezzo in termini di soldati isralieliani uccisi, rendendo evidente che la leadership dei vecchi laburisti se ne doveva andare. Rabin, il brillante generale che doveva cambiare l’immagine di una leadership screditata, diventa primo ministro per la prima volta nel 1974. Sono gli ultimi giorni di potere di una socialdemocrazia svilita; è un periodo pieno di casi di corruzione. Nel 1977 Rabin si dimette e i laburisti perdono le elezioni. Il generale è un buon amico di altri generali. Alcuni sono alquanto problematici, come quelli della dittatura argentina, altri sono come Ariel Sharon, il ministro della difesa che nel giugno 1982 dà avvio alla guerra del Libano e si avvale dei consigli di Rabin, veterano di una guerra vittoriosa.
Nel 1984, il Likud e il Partito laburista si vedono obbligati a formare un governo di coalizione, con Peres come primo ministro per due anni. A Peres succede Shamir del Likud, ma il posto di ministro della difesa viene assicurato a Rabin per i quattro anni di durata della coalizione.
È il Rabin della repressione della prima Intifada, dell’ordine di «spaccare le ossa ai manifestanti», della chiusura delle scuole per oltre un anno.
Rabin era parso poi arrivare a concepire un futuro nel quale Israele non esercitasse un predominio diretto sui Palestinesi. Al tempo stesso fu sempre lontano dalla visione di uno Stato Palestinese indipendente e molto vicino a una visione di autonomia, o di territori Palestinesi sotto il controllo della Giordania.
Alla firma degli accordi di Oslo, le mosse del governo Israeliano non erano abbastanza chiare da far pensare che Israele volesse una pace duratura. Rabin non sembrava disposto ad adottare la formula dei due Stati per due popoli.
Le tante contraddizioni del processo di pace saltavano agli occhi.
Oslo sembrava una promessa di un futuro migliore, ma al tempo stesso il processo con tutta evidenza non appariva molto favorevole a una vera pace. La durezza dell’occupazione e le confische delle terre Palestinesi proseguivano.
Rabin non sembrava disposto ad affrontare con decisioni anche drammatiche la difficile realtà dell’occupazione. Nel febbraio 1994, quando Baruch Goldstein, un criminale estremista, medico nella colonia di Kiriat Arba, vicino a Hebron, entrò nella tomba del patriarca a Hebron assassinando ventinove Palestinesi, la repressione dell’esercito arrivò a uccidere oltre dieci Palestinesi che protestavano contro il massacro, e Rabin negò l’espulsione dalla città di Hebron di cinquecento coloni Israeliani che da tempo fomentavano l’odio con continue provocazioni.
Quale sarebbe la famosa eredità di Rabin di cui tanti si riempiono la bocca? È molto difficile saperlo, dal momento che lo stesso Rabin non si espresse mai chiaramente a favore della formula dei due Stati, né sostenne mai la creazione di uno Stato Palestinese.
In effetti, se in occasione del comizio al quale partecipava il giorno del suo assassinio, egli sembrava sbilanciato in favore di un progetto di pace, non era tuttavia chiaro il prezzo che fosse disposto a pagare in termini di territorio, né la formula reale che intendesse applicare.
La morte violenta lo trasformò in un martire al servizio della pace.
Negli anni successivi, fu quasi dimenticato. Uno studente con il quale ho parlato negli ultimi giorni,  non sapeva quali incarichi e quale storia avesse avuto Rabin, e quale fosse il reale significato del suo assassinio, decretato dagli estremisti di destra nel corso di una campagna crudele — nella quale si fece notare anche l’attuale premier Netanyahu.
L’«eredità» non è chiara, e oggi davanti alla mancanza di una vera leadership alternativa, tocca all’ex presidente Bill Clinton (!) parlare nella cerimonia centrale di commemorazione, con una sinistra e un mondo pacifista profondamente debilitati, e mentre in molti si chiedono se il processo non stia arrivando a esiti tragici.
Vent’anni dopo, la mera possibilità dell’eredità di Oslo sembra in grado di ispirare un po’ di ottimismo, in questo periodo nerissimo della storia di Israele. Non è solo la questione della pace: la strada che porta a un possibile trionfo del fascismo, con un’alleanza tra fondamentalisti e nazionalisti, mette in pericolo le componenti della società Israeliana e allontana in modo drammatico le possibilità di intraprendere un cammino pacificatore che ponga fin al conflitto Israelo-Palestinese.



Etichette sui prodotti dei coloni, Israele si scaglia 
contro la mossa Ue
La nuova politica dell’Unione europea secondo cui i supermercati europei etichetteranno i prodotti provenienti dagli insediamenti in territorio palestinese entrerà in vigore l’11 novembre, ma secondo il governo israeliano sarà un premio al terrorismo
di Redazione Online (Afp)
La Ue sembra aver rotto gli indugi ed è pronta a varare le linee guida sull’etichettatura dei prodotti degli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Secondo quanto anticipato da fonti israeliane ad Haaretz, le regole - più volte annunciate e contrastate con grande forza dal governo di Gerusalemme - saranno pubblicate da Bruxelles mercoledì 11 novembre. Israele ha replicato alla notizia in maniera dura: la pubblicazione delle linee guida, hanno commentato fonti diplomatiche, «incoraggia l’atmosfera di boicottaggio nei confronti di Israele», oltre a essere «in questo momento un bonus per la violenza palestinese e per il rifiuto a negoziare».
Una mossa quella dell’Ue - di cui al momento si ignorano i dettagli - che rischia di inasprire le relazioni tra l’Europa e Israele. Il viceministro degli Esteri Israeliana Tizpi Hotovely ha preannunciato per martedì alla vigilia della sua trasferta a Madrid, una conferenza stampa sulla vicenda. Al suo fianco, tra gli altri, Yossi Dagan, capo del Consiglio della Samaria, come Israele chiama una parte della Cisgiordania. La notizia giunge mentre Israele anche lunedì ha visto due nuovi attentati palestinesi, con quattro israeliani accoltellati: tre a Rishon Le-Zion, piccolo centro non distante da Tel Aviv, e uno a Netanya, città a nord sulla costa. Preceduti questa mattina da un tentato accoltellamento di un soldato israeliano al check point di Jalama, nei pressi di Jenin, in Cisgiordania. Una situazione che da settimane attanaglia il paese e che - secondo alcuni analisti - non sembra destinata a spegnersi rapidamente.
La dura replica di Israele
La decisione è stata presa dalla Commissione europea mesi fa, in una politica destinata a proteggere la soluzione a due Stati in Medioriente, di fronte alla colonizzazione israeliana del territorio destinato al futuro Stato palestinese. Secondo Israele, le nuove misure «non contribuiranno al processo di pace». Ma «al contrario, le disposizioni europee in questo momento sono un premio al terrorismo e al rifiuto palestinese» di dare il via a negoziati, hanno affermato le fonti.
2 novembre 2015



di Diego Siragusa

12/11/2015

Era da prevedere. Quando gli ebrei sionisti raggiungono un livello di violenza e di bestialità  che genera collera e riprovazione in tutto il mondo, allora devono trovare il modo per riguadagnare la reputazione perduta e il consenso dell'opinione pubblica. I giornalisti che essi controllano sono solerti nell'inventare le nuove parole d'ordine che si prestano ad essere ripetute da schiere di pappagalli e amplificate da idioti stipendiati che occupano gli studi televisivi  e radiofonici del servizio pubblico. Oggi tocca alla nuova parola d'ordine: L'INTIFADA DEI COLTELLI iniziata dai palestinesi. Si comincia descrivendo Israele come abitata da pacifici ebrei che devono difendersi tutti i giorni da ragazzi e ragazze che li aspettano alle fermate degli autobus e si scagliano contro di loro coi coltelli da cucina o, in qualche caso, con le proprie automobili. Dai primi giorni di ottobre ad oggi sono circa 80 i palestinesi uccisi, molti giovanissimi, alcuni minorenni e altri bambini. Pochi giorni fa una bambina di otto anni è stata uccisa da un soldato israeliano con una pallottola al cuore e una nonna di 72 anni è stata crivellata di pallottole mentre andava a fare benzina con la sua automobile. Una bambina di otto anni e una nonna di 72 sono una minaccia per lo stato di Israele, potenza nucleare, e per il suo esercito che risulta il quarto più potente al mondo? Proprio ieri alcuni sicari dello Shin Bet, il servizio segreto interno, travestiti da palestinesi sono entrati sotto copertura alle 3,00 di notte, fingendo di dover portare una donna incinta. Il raid nell'unità di chirurgia dell'all'Ahli Hospital di Al Khalil. Il bersaglio, Azzam Ezzat al-Shalaldeh, 20 anni, ricoverato in gravi condizioni dal mese scorso per una ferita d'arma da fuoco, da interrogare o arrestare. Hanno ammanettato il fratello Bilal al letto, mentre il cugino Abdulla si trovava in bagno. Uscito dal bagno gli hanno sparato un proiettile dietro l'orecchio, un altro al petto e due alla mani. Cinque colpi ed Abdulla al-Shalaldeh, 28 anni, è morto sul colpo. 

Ieri sera il TG1 ha dato la notizia con commenti vergognosi e molto al di sotto della gravità dell'episodio sul quale è già calato il silenzio. 
Stamane i notiziari italiani dominanti, al servizio dei sionisti, hanno suonato le campane per una aggressione avvenuta a Milano contro l'ebreo Nathan Graff, genero di uno dei rabbini della comunità locale. E' stato ferito con un coltello al volto, un taglio di circa sette cm. suturato con alcuni punti. Le condizioni del ferito non sono gravi. In Israele tutti i notiziari hanno aperto le loro edizioni con questa notizia enfatizzata e drammatizzata come solo i sionisti sanno fare. In Italia, i vari responsabili delle comunità ebraico-sioniste hanno rilasciato dichiarazioni improntate al vittimismo e strappandosi le vesti per queste campagne di odio, antisemitismo e così via sproloquiando il loro orrendo armamentario verbale, razzista e criminale. IPOCRITI ELEVATI AL QUADRATO! Mentre scrivo non so se vi siano stati commenti politici, ma posso giurare che arriveranno presto per recitare il copione solito del doppio comportamento: macellare i palestinesi e rendere la loro vita impossibile non fa notizia, ma un graffio ad un ebreo scatena reazioni apocalittiche!!!
Esaminiamo il fatto. Non si sa chi è stato. Qualcuno dell'ISIS? Non credo; sappiamo che Israele, assieme agli USA, sostiene e arma l'ISIS per distruggere la Siria. Qualche palestinese emigrato o un simpatizzante arabo indignato per la ferocia sionista e per la sua impunità? E' possibile. Gad Lerner si è affrettato a chiedere alla comunità islamica una condanna del ferimento di Graff, condanna arrivata puntualmente. Ma Gad Lerner ha chiesto qualche volta alla comunità ebraica milanese la condanna del terrorismo e del razzismo israeliani? E se l'ha chiesta, scommettiamo che gli ebrei di Milano se ne sono infischiati? In conclusione. Il fatto in se, ovvero il ferimento di un cittadino da parte di un altro solo perché fa parte di una comunità a lui avversa, è esecrabile. Ma il discorso da fare è un altro: è vero che la condotta criminale di Israele e il sostegno attivo che essa riscuote dalle comunità sioniste di tutto il mondo sono all'origine di un odio e di un bisogno di vendetta che non può più essere represso? Su questo bisogna riflettere: sulla violenza senza fine e foriera di catastrofi imminenti se la questione palestinese non avrà una soluzione giusta e stabile. Campagne di odio! urlano i sionisti. I veri responsabili, in modo totale, sono proprio loro. E allora valga riportare le parole di una grande giornalista israeliana che da anni si batte per mostrare la verità degli effetti criminali della occupazione crudele e spietata della Palestina da parte di Israele, Amira Hass: "I giovani palestinesi non vanno a uccidere gli ebrei perché sono ebrei, ma perché noi siamo gli occupanti, i loro torturatori e carcerieri, i ladri della loro terra e della loro acqua, quelli che li esiliano, i demolitori delle loro case, quelli che bloccano i loro orizzonti. I giovani palestinesi, desiderosi di vendetta e disperati, vogliono perdere le loro vite causando grande dolore alle loro famiglie, perché il nemico che essi hanno davanti dimostra tutti i giorni che la sua malvagità non ha limiti". Questa è l'unica e indiscutibile verità. 





Israele-ESL (Esercito Siriano Libero), la stessa guerra

Un capo ribelle siriano si compiace di vedere il proprio paese bombardato dal nemico israeliano.
Di Bahar Kimyongur,5 maggio 2013

Questa domenica , un leader dell’opposizione siriana identificato per Hassan Rastanoui è apparso in diretta da Homs sul secondo canale tv israeliano.
Era l'ospite a sorpresa del giornalista israeliano Yaari Ehud.
Rastanoui è stato presentato sul sito internet del canale tv israeliano come un leader della rivolta siriana( http://www.mako.co.il/news-world/arab/ )
Nel rispondere ad una domanda del giornalista relativa ai bombardamenti effettuati negli ultimi giorni dall'aviazione israeliana a Damasco, H.Rastanoui ha espresso la propria soddisfazione e gratitudine.
Secondo lui i bombardamenti dell'aviazione israeliana erano mirati a colpire carichi di armi appartenenti all'esercito arabo siriano ma anche alle milizie di Hezbollah e alla Guardia Repubblicana Iraniana, da lui individuata come “il più grave pericolo terrorista”.
Questo nuovo attacco del nemico israeliano, afferma Rastanoui, “riempie il cuore del popolo e dei rivoluzionari siriani”.
La complicità fra ribellione siriana e esercito israeliano non è certo uno scoop.
L'anno scorso, lo stesso canale tv israeliano aveva intervistato lo sceicco Abdallah Tamimi, un leader salafita originario di Homs, amico di Israele.
Usurpando l'identità sunnita e insultando milioni di siriani sunniti patrioti, Tamimi dichiarava che” per i cittadini siriani sunniti, Israele non è, e non è mai stato il loro vero nemico....noi, i sunniti,siamo dalla stessa parte di Israele
D'altra parte numerosi combattenti dell'ESL sono ospitati e curati dall'esercito
Israeliano (AFP, 16 febbraio 2013 e M.Henry, le Figaro, 29 marzo 2013).
Essi ricevono armi israeliane (http://www.youtube.com/watch?r=ggznlLHB-44), ospitano giornalisti e agenti israeliani nei loro ranghi(http://www.france 24.com /fr/20121220-syrie-israel-armee-syrienne-libre-itai-anghel-amir-tibone-television-israellienne-idlib-khirbet-joz), informano i servizi segreti israeliani sulla localizzazione delle rampe di lancio dei missili balistici siriani e dei
depositi di armi e promettono che la Siria “libera” normalizzerà le relazioni con Israele.

Malgrado l'abbondanza delle prove sulle collusioni fra Israele e i ribelli siriani, nei media globali allineati ma anche in certi ambienti sedicenti alternativi e pro-palestinesi si trova ancora qualche “cospirazionista” frustrato che difende la tesi secondo la quale Siria e Israele sarebbero paesi amici, argomentando che dalla guerra di “Tichrine”( definita con il suo termine ebraico Yom Kippur nei media occidentali), Damasco ha rinforzato la frontiera che la separa da Israele invece delle linee di difesa nel Golan.
Questa teoria è così assurda tanto quella di sospettare una qualche complicità fra USA e Cuba in quanto l'Avana non ha ancora riconquistato la baia di Guantanamo, un territorio cubano sotto occupazione militare USA dal 1898!
Con buona pace di questi specialisti in polveroni mediatici, la mancata sottomissione del governo di Damasco a Israele e ai suoi alleati waabiti, il sostegno politico e militare che garantisce alla resistenza libanese e palestinese, la sua alleanza strategica con l'Iran, queste sono le ragioni obiettive che spingono USA, Europa e Israele a prolungare il più possibile la guerra contro la Siria.
Alla vigilia della guerra contro l'Iran , la missione compiuta dagli jihadisti siriani aiuta Israele così come le azioni di guerra compiute da Israele contro il governo siriano sono “ pane benedetto” per i jihadisti siriani.
Questo è il parere di un capo dei ribelli.        Da  Investig 'Action

Traduzione di Fabrizio G. per civg.it

DAL SITO : L'INTERFERENZA

Israele a mano armata











































Il barbaro assassinio del piccolo Alì – il bimbo palestinese bruciato vivo da un colono israeliano – non è un episodio isolato ma, al contrario, il punto d’arrivo di una politica di estrema destra basata sull’esaltazione della violenza, la protezione della malavita organizzata ed il ripudio della democrazia.
Quasi in contemporanea al terrorismo sionista in Cisgiordania veniamo a sapere che un ebreo ortodosso – un tal Yishai Schlissel, di 40 anni – accoltella sei persone al Gay Pride di Tel Aviv. Un gesto isolato ? Assolutamente no, infatti questo balordo aveva compiuto lo stesso crimine nel 2005 ferendo tre persone alla medesima manifestazione. L’imbarazzo delle autorità israeliane, le stesse che avevano usato la difesa dei diritti degli omosessuali come protesi ideologica da contrapporre al proprio razzismo antiarabo ( e non solo ), è evidente: il sito web 0404 si limita ad ammettere che questo assassino era “già noto” alla polizia.
Come si può fomentare il razzismo antiarabo e poi nascondersi dietro la difesa degli omosessuali? Il giornalista israeliano Gideon Levy commenta correttamente questa ipocrisia: ‘’Non è semplicemente possibile fare il tifo per il comandante della brigata che spara ad un adolescente, e poi essere scioccati dai coloni che danno una famiglia alle fiamme; sostenere i diritti dei gay, e tenere una conferenza nella fondazione in Ariel; essere illuminati, e poi assecondare la destra e cercare di collaborare con essa’’ 1. Il male – dice Levy – non conosce limiti; inizia in un posto e rapidamente si diffonde in tutte le direzioni.
I laburisti – ad esempio – mantennero in piedi i Tribunali rabbinici dando poi alla destra neoliberista la possibilità di instaurare uno Stato teocratico e totalitario. Israele, oggi, non può essere considerato un paese democratico.
L’assenza di democrazia è solo uno dei tanti aspetti che connotano quello che pretende di essere chiamato – con un fondamento decisamente razzista – Stato ebraico. In Israele la delinquenza e la malavita organizzata hanno carta bianca.
Israele: il regno delle cosche mafiose
L’ambasciatore americano James Cunningham (quindi una fonte non imputabile di antimperialismo radicale) nel 2009 scrisse un documento intitolato “Israele, una terra promessa della criminalità organizzata”. Secondo Cunningham la mafia ‘’ha radici di lunga data in Israele, ma negli ultimi anni si è notevolmente potenziata.” 2
Cunningham spiega che si tratta di un’ organizzazione spietata e senza scrupoli. I gruppi criminali israeliani “hanno dimostrato la loro capacità e volontà di scontrarsi tra loro senza alcun riguardo per eventuali vittime innocenti’’. Cunningham ritiene che la polizia e le autorità israeliane ‘’non sono in grado di agire in modo efficace’’. Mi domando: come potrebbero agire in modo efficace quando il boss mafioso Yaakov Alperov era intimo amico di Ariel Sharon e di suo figlio?
Il documento è interessante perché vengono indicati i clan più pericolosi che ormai fanno il bello e cattivo tempo in Israele:
“Cinque o sei clan dominano in Israele : Abergil, Abutbul, Alperon, e Rosenstein . Arresti e omicidi hanno creato un vuoto di potere al vertice. Nuovi clan come : Mulner, Shirazi, Cohen e Domrani si sono mossi rapidamente per colmare il divari”o.
Questi criminali sono in possesso di più passaporti e possono circolare liberamente in Europa. Altri – ammette lo stesso ambasciatore – dispongono dell’ esenzione del visto per gli Stati Uniti. Una organizzazione malavitosa forte, senza scrupoli e in grado di infiltrarsi nelle istituzioni pubbliche. Chi comanda in Israele: Netanyahu o i seguaci del boss sionista Mayer Lansky? E se Netanyahu stesso fosse una loro pedina? Di certo il malaffare nello Stato ebraico è endemico.
IL regime sionista gestisce una delle “più sporche ed immorali economie del mondo” (parole dell’ebreo antisionista Gilad Atzmon). Sempre Atzmon afferma:”L’ economia israeliana è in fortissima espansione perché truffatori del calibro di Bernie Madoff riciclano il proprio denaro tramite i Sionisti e le istituzioni israeliane da decenni”. 3
Andiamo di male in peggio, ultimamente Wikileaks ha rivelato che ‘’fonti nella polizia (israeliana) ritengono che la malavita organizzata russa (Mafia russa), abbia riciclato fino a 10 miliardi di dollari americani tramite le holding israeliane” 4. Circa 18 famiglie controllano il 60 % dell’equity value di tutte le compagnie del territorio.
Tutto questo non basta, Israele ha un altro triste primato: lo sfruttamento della prostituzione.
Israele: regno della prostitutuzione
Rebecca Hughes * ha rilevato che “in Israele ci sono migliaia di individui che si prostituiscono, molti dei quali bambini’. Ed ancora: ‘Sebbene il lenocinio sia illegale in Israele, il 90% di queste donne e bambini sono proprietà altrui e subiscono violenze per mano dei loro papponi o dei loro clienti”.
Forse le leggi contro il lenocinio non sono applicate in modo efficace: possibile che sia solo questo o dietro c’è ben altro?
Sicuramente la tratta degli esseri umani è un bell’affare per l’economia del regime di Tel Aviv: dalle 1000 alle 3000 donne vengono vendute annualmente. I volontari del Center to Help Foreign Workers, e del Clinic for the Fight Against Women Trafficking hanno documentato come la maggior parte di loro siano state portate in Israele attraverso l’inganno.
N. sostiene che il suo pappone usava le donne come merce di scambio. “Se voleva verdure al supermercato avrebbe “dato” una delle sue donne ad un dipendente in cambio delle verdure. Ci barattava con il cibo, i gioielli e altre cose”.
Y., proveniente dalla Moldavia, sostiene che veniva costretta alle pratiche sado-maso. “I clienti ci picchiavano. Avevano strumenti speciali. Mi facevano gocciolare cera bollente su tutto il corpo e mi costringevano a fare cose dolorose e degradanti. Naturalmente, ne godevano: pagavano un extra per questo”.
N., proveniente dall’Ucraina – lavorava sulla Peretz Street a Tel Aviv – spiega perché le donne non scappano. “Tutte noi sognavamo di scappare, ma loro sono riusciti anche a rubarci questo sogno dopo che una se n’era andata. Una settimana dopo che era scomparsa, la casa della sua famiglia in Moldavia è stata attaccata con bombe incendiarie.

Ella sostiene che veniva dato loro un giorno libero al mese: il primo giorno del loro periodo. “Il primo giorno potevamo staccare. Il resto del tempo avevo il mio periodo. Dovevo usare un diaframma per impedire le emorragie. Ma dovevo continuare a prendere clienti”.
Fonte: http://andreacarancini.blogspot.it/2013/05/israele-linferno-dello-schiavismo.html
Testo originale: http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-3060127,00.html
Che altro dire ? L’ennesimo sproloquio sulla ‘’democrazia’’ israeliana lo leggerete sicuramente nel prossimo articoletto di Roberto Saviano ma è importante sapere che la realtà è ben altra.

* Rebecca Hughes è la vice-coordinatrice dei progetti della task force di ATZUM contro il traffico di esseri umani, un ente che vuole coinvolgere l’opinione pubblica e le agenzie governative in modo che affrontino e sradichino il moderno schiavismo in Israele
http://contropiano.org/articoli/item/32194
http://frammentivocalimo.blogspot.it/2010/12/israele-la-mafia-israeliana-preoccupa.html
http://www.globes.co.il/en/article-1000605267
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=7951

Il rabbino Ahron Cohen: “Occorre giungere alla dissoluzione dello Stato di Israele”

Intervista di Mohamed El-Ghazi, Algerie Patriotique, 19 ottobre 2015

Algèrie Patriotique: Assistiamo negli ultimi giorni ad una ripresa delle ostilità contro la popolazione della Cisgiordania: Più di una ventina di morti e diversi feriti. Il numero è destinato a crescere. Quale la sua reazione a tutto questo?
Rabbino Ahron Cohen: Noi restiamo orripilati di fronte a questo spargimento di sangue per ogni dove. L’unica vera soluzione per porre termine a tutto questo sarebbe un accordo per la dissoluzione pacifica e totale dello Stato illegittimo conosciuto col nome di “Israele” e la sua sostituzione con un governo che sia accettabile per i Palestinesi. Al momento questo è solo un sogno. E tuttavia, più l’idea circolerà in seno alla comunità internazionale, prima finirà con l’essere considerata come la sola strada da seguire.
AP: Mahmoud Abbas ha minacciato di rompere gli accordi di Oslo davanti all’Assemblea Generale dell’ONU, dopo che la bandiera palestinese è stata issata per la prima volta sul frontone dell’organizzazione. Cosa succederebbe se l’Autorità palestinese desse seguito alle sue minacce?
 RAC: Non possiamo prevedere nulla. Ma io spero che questo sia un passo ulteriore verso la dissoluzione dello Stato di Israele, come ho già detto prima.
AP: Il suo movimento è conosciuto per la sua posizione di radicale opposizione all’esistenza dello Stato di Israele. Perché pensate questo?
RAC: In poche parole, dal punto di vista della legge religiosa ebraica, uno “Stato” contraddice la nostra fede in ragione della condanna del popolo ebraico all’esilio e all’impossibilità di avere un proprio Stato. Crearlo è stata una ribellione contro la volontà dell’Onnipotente. Da un punto di vista umanitario, noi ci opponiamo con tutte le forze all’atto di colonizzazione di un paese che ha già un suo popolo e al fatto di privare questo popolo della libertà, delle sue risorse e del suo habitat.
AP: Il conflitto israelo-palestinese ha fatto colare tanto sangue, e anche tanto inchiostro e saliva… ma senza approdare ad una ipotesi di soluzione. Che cosa secondo lei potrebbe porre termine al conflitto?
 RAC: Credo di avere già risposto a questa domanda. Posso solo aggiungere che il sionismo è stato agli esordi totalmente respinto dalla maggioranza del popolo ebraico, da laici e capi religiosi. Purtroppo il successo della spettacolare propaganda dei sionisti è riuscita a rovesciare la situazione.
AP: Quali iniziative intendete intraprendere per favorire una migliore comprensione tra i due popoli, palestinese e israeliano?
RAC: Occorre diffondere il messaggio del nostro movimento, Neturei Karta (*), secondo cui il giudaismo e il sionismo nazionalista laico sono due concetti incompatibili.
                                                                                 
Una manifestazione di Neturei  Karta per la liberazione della Palestina

AP: Le vostre iniziative hanno finora avuto sufficiente eco?
RAC: Poco eco, ma efficace, e sempre più diffuso.
AP: Vi sono manifestazioni in tutto il mondo di cittadini di confessione ebraica che si svolgono senza che i media dominanti ne parlino. Come spiega questo black out?
RAC: A causa dell’incredibile peso e dell’influenza esercitata dalla lobbie sionista che diffonde l’idea falsa che antisionismo equivalga ad antisemitismo, al fine di soffocare ogni voce dissonante…
AP: Perché si punta il dito contro la comunità mussulmana ogni qualvolta vengono commesse delle azioni antisioniste in Francia o altrove?
RAC: Ancora una volta, ciò si deve alla propaganda sionista e alla sua influenza

(*) I guardiani della città. Neturei Karta è formata da un gruppo di ebrei haredim ultra ortodossi, radicalmente antisionisti, che auspicano lo smantellamento dello Stato di Israele
Da Ossin






Una testimonianza toccante di un palestinese sulla barbarie

fascista delle forze di occupazione sioniste che conducono la 

pulizia etnica!

Majed Bamya


Io non voglio parlare. Troppo doloroso, troppo difficile, o forse perché le parole sembrano insignificanti di fronte a una tale realtà. Ma l'esecuzione sommaria di un palestinese in un ospedale mi ha spinto a riferire quello che ho visto con i miei occhi ieri.
Ho partecipato alla marcia per commemorare il martire del nostro simbolo, Yasser Arafat, alla sua tomba, fino alla base militare e all'insediamento di Beit El a Ramallah. Protestiamo contro questa occupazione coloniale e i suoi crimini.
Ciò che viene comunemente chiamato “gli scontri”, sono scoppiati. Ma definiamo gli scontri. Giovani muniti di pietre contro le jeep militari blindate, torri, mura, e un arsenale militare. Qui passa la storia che nessuno vi racconta, quella della rivolta di una generazione che viene uccisa impunemente. Nessun soldato o colono israeliano è stato ucciso in queste manifestazioni, mentre la stragrande maggioranza degli 80 martiri palestinesi, dopo un mese, sono stati assassinati perché vi partecipavano. Focalizzando l'attenzione sugli attacchi coi coltelli, la fonte della escalation e non una delle sue conseguenze, Israele sta cercando di impersonare la vittima e farci sembrare gli aggressori, e si è concesso il diritto di commettere esecuzioni sommarie giustificandosi col pretesto di doversi difendere senza portare alcuna prova o spiegazione.
Eravamo in procinto di discutere la situazione e dei giovani senza fiato ci hanno attorniato. I soldati erano fuori portata, e abbiamo guardato in cima alla collina mentre si posizionavano in formazione di battaglia.
Ci siamo chiesti: quando inizierà lo scoppio di gas lacrimogeni, che nei giorni scorsi hanno ucciso almeno due persone e come adattarci al vento per minimizzare le conseguenze.
Di fronte a me, a meno di un metro, un giovane mette la mano al collo, per me il tempo si è sospeso durante questo secondo infinito, so quello che sta accadendo ... lui crolla. Macchie di sangue appaiono sul collo. I giovani urlano, chiamano l'ambulanza. Un giovane grida alla folla "cecchini, cecchini, al coperto." Panico tra la folla. Si parla di altri giovani che crollano senza che si senta un solo colpo di pallottola. Tutti corrono per schivare questi proiettili silenziosi e invisibili. Davanti a noi appare un uomo insanguinato e con la mano deformata, come un puzzle impossibile da ricomporre, chiede un'ambulanza. Dei giovani sfidano i proiettili per portarlo all'ambulanza. I feriti si succedono e non vi è alcuna ambulanza disponibile.
Siamo a centinaia di metri dai soldati e ancora i proiettili piovevano assordanti. Ci allontaniamo e i soldati si avvicinano. Un giovane grida alla gente di mettersi al riparo dietro le auto, ma nulla da fare i feriti continuano a cadere. Abbiamo deciso di nasconderci dietro un edificio. Mentre cominciamo a correre, un giovane due metri dietro di me crolla: un proiettile lo ha colpito alla schiena. I soldati ripiegano. Si tratta di una punizione collettiva, il terrorismo reso possibile dalla totale impunità. Il giovane è a terra. Altri giovani stanno a guardare. Non possono lasciarlo. Ancora una volta il loro coraggio sfida la logica e vanno a metterlo al riparo, ma non c'è un'ambulanza. Una macchina passa di lì, la gente implorail conducente di portare i feriti all’ospedale, anche se questo significa che sarà privato dei primi soccorsi che avrebbe ricevuto in un'ambulanza. L'uomo accetta. Ora siamo nel rifugio. Tutto quello che ho appena descritto ha avuto luogo in 10 minuti. Questi giovani palestinesi non sanno che i mezzi di comunicazione li presenteranno come la minaccia e quelli che sparano a vista sul lato opposto della collina, come gli unici in grado di pretendere la sicurezza che li autorizza ad uccidere. Nella migliore delle ipotesi, nessuno parlerà di queste dimostrazioni, dei nostri feriti e dei nostri morti. Nel peggiore dei casi, si dirà che se la sono cercata. I media palestinesi hanno trasmesso la notizia. 20 persone sono state ferite da arma da fuoco durante la manifestazione. Ma a mia conoscenza nessun dei media internazionali era lì.
Sono animato da una terribile rabbia. Le immagini di questi corpi sanguinanti non sono le prime che vedo, né le ultime, ma qualcosa in questa casualità dei proiettili che penetrano nella nostra carne e nei nostri sogni, senza preoccuparsi dei nostri nomi o della nostra storia e ancor meno della giustizia e dei diritti, mi fa ribellare. Il cecchino sa che non dovrà rispondere delle sue azioni. Un amico mi si avvicina, cercando di placarmi, ma non ci riesce. La stagione di caccia è aperta e la caccia non conosce regole.
Siamo abbandonati al nostro destino. Qualunque cosa facciamo, saremo condannati, siamo responsabili del nostro martirio, e di questa occupazione e si pretende da noi di garantire la sicurezza dell'occupante che semina insicurezza e morte nella nostra terra. Guardo questi giovani e questi bambini che non siamo in grado di proteggere. Guardo quei soldati che si sono impossessati delle nostre colline per privarci dell'orizzonte. Io rifiuterò loro quello che cercano, che la rabbia si trasformi in odio cieco e domerò la mia rabbia in modo che diventi determinazione, anche se fanno di tutto per rendere questo impossibile. La nostra forza è di trovare in questa collera non la follia passeggera dell’odio ma i percorsi della volontà che portano alla speranza.

Più di 80 palestinesi uccisi in un mese, e più di 2000 palestinesi feriti dalle pallottole, la maggior parte non ha raggiunto i 18 anni. Sono nati con l'occupazione e l'oppressione e la negazione dei loro diritti, come i loro genitori e nonni. Essi si chiedono se i loro figli potranno conoscere la stessa tragedia e se un giorno vivranno liberi come gli altri popoli del mondo. So la risposta a questa domanda, è scritta a caratteri indelebili nelle mie vene e in ogni strato della mia anima: saremo liberi. Ma in questo preciso momento, di fuoco e di sangue, non so distinguere la strada che porta a quell'orizzonte.

(Traduzione di Diego Siragusa)

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version française pour les amis étrangers


Un poignant témoignage d'un palestinien sur la barbarie fasciste des forces d'occupation sioniste qui procède à un nettoyage ethnique !


Majed Bamya



Je ne voulais pas en parler. Trop pénible, trop difficile, ou peut etre parce que les mots semblent insignifiants face a une telle réalité. Mais l'execution sommaire d'un palestinien dans un hopital m'a decidé a rapporter ce que j'ai vu de mes propres yeux hier.
J'ai participé a la marche pour commémorer le martyr de notre symbole Yasser Arafat de sa tombe jusqu'a la base militaire et la colonie de Beit El a Ramallah. Nous protestions contre cette occupation coloniale et ses crimes.
Ce qu'on appelle communément les heurts ont eclaté. Mais définissons les heurts. Des jeunes munis de pierres contre des jeeps militaires blindes, des tours, des murs, et un arsenal militaire. Ici se passe l'histoire que personne ne vous raconte, celle du soulevement d'une génération qu'on assassine impunément. Aucun soldat ou colon israelien n'a été tué dans ces manifestations, alors que l'immense majorité des 80 martyrs palestiniens depuis un mois ont été assassinés en y participant. En focalisant l'attention sur les attaques aux couteaux, et en en faisant la source de l'escalade et non une de ses conséquences, Israel essaye de se faire passer pour la victime et de nous faire passer pour les agresseurs, et s'est octroyé le droit de commettre des éxécutions sommaires en se contentant de prétexter des attaques sans devoir amener aucune preuve ou se justifier.
Nous étions entrain de discuter de la situation et des jeunes essouflés nous entouraient. Les soldats étaient hors de portée, et nous regardaient du haut de la colline, tout en se positionnant en formation de combat.
Nous nous demandions quand est ce que commencerait la salve de bombes lacrymogenes qui durant les derniers jours ont provoqué la mort de deux personnes au moins et comment s'adapter au vent pour en minimiser la portée.
Face à moi, à moins d'un mètre, un jeune homme porte la main a son cou, pour moi le temps est suspendu durant cette infinie seconde, je sais ce qui suivra... il s'écroule. Des taches de sang apparaissent sur son col. Les jeunes crient, appellent l'ambulance. Un jeune homme crie a la foule "des snipers, des snipers a couvert". Panique dans la foule, on évoque d'autres jeunes qui s'ecroulent sans qu'un seul bruit de balle se fasse entendre. Tout le monde court pour esquiver ces balles silencieuses et invisibles. Devant nous apparait un homme a la main deformé et ensanglanté, comme un puzzle impossible a assembler de nouveau, il demande une ambulance. Des jeunes bravent les balles pour l'amener a l'ambulance. Les blessés se succèdent et il n'y a plus d'ambulances disponibles.
Nous sommes à des centaines de metres des soldats et pourtant les balles réelles pleuvent desormais assourdissantes. Nous nous éloignons et les soldats se rapprochent. Un jeune appelle les gens à se mettre à couvert derriere les voitures, mais rien n'y fait des blessés continuent à tomber. On décide alors de se réfugier derrière un batiment. Alors que nous entreprenons cette course, un jeune à deux mètres derriere moi s'écroule, une balle l'a atteint dans le dos. Les soldats s'acharnent. C'est une punition collective, un terrorisme rendu possible par une totale impunité. Le jeune est à terre. Les autres jeunes se regardent. Ils ne peuvent le laisser. De nouveau leur courage défie toute logique et ils vont le porter et le mettre a l'abri, mais il n'y a plus d'ambulance. Une voiture passe par là, des gens supplient le conducteur d'amener le blessé à l'hopital, meme si cela signifie qu'il sera privé des premiers soins auquel il aurait pu s'attendre dans une ambulance. L'homme accepte.
Nous sommes désormais a l'abri. Tout ce que je viens de décrire a eu lieu en 10 minutes. Ces jeunes palestiniens ne savent pas que dans de nombreux médias ils passeront pour la menace et ceux qui tirent à vue de l'autre côté de la colline comme les seuls à pouvoir prétendre à la securité qui les autorise au meurtre. Au mieux, personne n'en parlera de ces manifs, de nos blessés et de nos morts. Au pire, on dira qu'on l'a bien chercher. Les médias palestiniens ont relayé l'information. 20 personnes ont été blessés par balles lors de cette manifestation. Mais à ma connaissance aucun media international n'en fera état.
Je suis animé d'une colère terrible. Les images de ces corps en sang ne sont pas les premiers que je vois, ni les derniers, mais quelque chose dans cette désinvolture des balles qui viennent se loger dans notre chair et nos rêves sans se soucier de nos prénoms ou notre histoire et encore moins de justice et de droits me révolte. Le sniper sait qu'il n'aura pas à répondre de ses actes. Un ami s'approche de moi, tente de m'apaiser, mais rien n'y fait. La saison de chasse est ouverte et cette chasse ne connait aucune réglementation.
Nous sommes abandonnés à notre sort. Quoi que nous fassions, nous serons condamnés, nous sommes responsables de notre propre martyr, et de cette occupation et on exige de nous d'assurer la securité de l'occupant qui sème l'insecurite et la mort sur notre terre. Je regarde ces jeunes et ces enfants que nous sommes incapables de proteger. Je regarde ces soldats qui se sont accaparés nos collines pour nous priver de l'horizon. Je leur refuserai ce qu'ils cherchent, que cette colère se transforme en haine aveugle et j'apprivoiserai ma rage pour qu'elle devienne détermination, même s'ils font tout pour rendre cette tâche impossible. Notre force est de trouver dans cette rage non l'égarement de la haine mais les sentiers de la volonté qui mènent à l'espérance.

Plus de 80 Palestiniens tués en un mois, et plus de 2000 palestiniens blessés par balles, la plupart n'ont pas atteint leurs 18 ans. Ils sont nés avec l'occupation et l'oppression et le déni de leurs droits, comme leurs parents et leurs grands parents. Ils sont à se demander si leurs propres enfants connaitront la meme tragedie et si un jour ils vivront libres comme les autres peuples du monde. Je connais la réponse à cette question, elle est inscrite en lettres indelibiles dans mes veines et dans chaque couche de mon âme, nous serons libres. Mais a cet instant précis, de feu et de sang, je ne parviens pas a distinguer la route qui mène a cette horizon.

I bambini palestinesi valgono meno di quelli israeliani



Articolo pubblicato il 02/07/2014 alle ore 08:59

in "La Nuova Provincia di Biella"
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  • Una lettera di Diego Siragusa
Diego Siragusazoom
Diego Siragusa
Gentile Direttore, alcuni amici mi hanno chiesto un commento sull'uccisione dei tre ragazzi israeliani. Questa è la mia riflessione.
E' casuale che nessuno si sia interessato ai 12 palestinesi innocenti uccisi in questi giorni dai soldati israeliani? Tra di essi tre bambini? Non sono anch'essi esseri umani? Questa è la prova del razzismo che lo stato di Israele e tutti i suoi manutengoli sanno instillare nell'opinione pubblica. Oggi si tratta di giocare sulle emozioni suscitate dai giornali e dai mezzi visivi di comunicazione controllati dai sionisti. Delle centinaia e migliaia di palestinesi uccisi non si parla.... tranne per dire che si fa bene ad ucciderli.
Non escludo che siano stati gli stessi israeliani tramite il Mossad ad orchestrare questo delitto in un momento cruciale. I colloqui di pace sono falliti per colpa di Israele. Negli USA aumenta la rabbia contro Israele e aumentano gli ebrei antisionisti, come il gruppo che si chiama JSTREET. L'Autorità Nazionale Palestinese concorda con Hamas un governo di Unità nazionale che ha prestato giuramento nei giorni scorsi per avviare nuove elezioni generali nei Territori occupati. Alcuni paesi dell'Unione Europea, tra essi l'Italia, hanno avvertito di non fare investimenti negli insediamenti israeliani in quanto illegali secondo il diritto internazionale. Aumentano le condanne contro Israele in tutte le sedi internazionali per la sua protervia a calpestare tutte le risoluzioni dell'ONU e i diritti umani fondamentali.
Non dimentichiamo che i tre ragazzi erano in una colonia illegalmente occupata e facevano parte di quei gruppi di estremisti ebrei favorevoli alla espulsione spietata dei palestinesi. Sono gli stessi che ogni giorno, protetti dai soldati, rendono la vita impossibile ai palestinesi. Occorreva, a questo punto, un pretesto, una provocazione per riguadagnare la simpatia dell'opinione pubblica e azzerare ogni processo di pace favorendo l'estensione degli insediamenti e mettere la comunità internazionale davanti al fatto compiuto. Domanda: cui prodest? A Israele naturalmente!! Altra domanda: chi sono gli autori di questo delitto? Nessuno lo sa ufficialmente ma Israele, a priori, accusa Hamas senza alcuna prova non avendo il coraggio di accusare il gruppo di Abu Mazen. In quale paese, fondato sul diritto, sii procede a punizioni collettive senza avere la certezza dell'autore di un delitto?
In questi giorni gli israeliani hanno ucciso 10 palestinesi e ne hanno arrestato quasi 500, sono entrati nella case e le hanno devastate, con le ruspe hanno demolito abitazioni, hanno tolto l'acqua e l'elettricità, terrorizzato le donne e i bambini. Una donna anziana è morta di infarto e pochi giorni fa è stata sepolta. Di questo la stampa non parla. DUE PESI E DUE MISURE. Ho letto i commenti del papa e della ministra degli Esteri Mogherini: non una parola sui palestinesi uccisi. Non una parola sul sequestro di un intero popolo che dura da 66 anni. Ipocriti!!! Nel libro VIVERE CON LA SPADA di Livia Rokach, che ho tradotto per i lettori italiani, vi sono le prove che il metodo delle provocazioni e delle rappresaglie fu teorizzato da Moshe Dayan e da Ben Gurion già subito dopo la proclamazione dello stato d'Israele. Il libro si fonda sui diari di Moshe Sharett, il numero due del sionismo mondiale e Primo Ministro israeliano il quale affidò ai suoi diari l'orrore per i crimini commessi dagli ebrei sionisti contro i palestinesi. Ecco perché gli ebrei di Milano hanno tentato di impedirmi di presentare il libro.
Esaminiamo l'altra ipotesi: sono stati dei palestinesi a rapirli ed ucciderli. L'ingiustizia che stanno subendo i palestinesi e le loro frustrazioni sono arrivate ad un tale punto che giustificano azioni come queste; azioni di autodifesa, di resistenza. Quando da Gaza sparano dei razzi è perché gli israeliani arbitrariamente hanno bombardato, usando spesso armi proibite, ma per l'occupante la vittima non deve reagire, deve subire altrimenti è un "terrorista". Ci sono centinaia di bambini, di minorenni nelle carceri israeliane e SAVE THE CHILDREN ha denunciato questi orrori nell'indifferenza generale. E ora si piange su tre giovani misteriosamente assassinati? Chi è il colpevole? Non dò io la risposta ma lascio parlare la figlia di un generale israeliano che mi ha scritto ieri sera angosciata, una donna coraggiosa che lotta per i diritti umani e subisce attacchi ed oltraggi in quanto ebrea vicina ai palestinesi: " Who is guilty? The blame for the murder of the three Jewish boys and for the murder of endless Palestinian children should be placed where it belongs: on the hands of the ISraeli racist regime of occupation, apartheid and sociocide." (Chi è colpevole? La responsabilità per l'assassinio dei tre giovani ebrei e per l'assassinio senza fine dei bambini palestinesi dovrebbe essere messa nel posto giusto: nelle mani del regime razzista israeliano di occupazione, di apartheid e di sociocidio".
Diego Siragusa






VIDEO SUL CONFLITTO ISRAELO-PALESTINESE

we killed Jesus
 http://www.youtube.com/watch?v=6Ek5G6337yU

La verità sul massacro di Gaza
http://www.youtube.com/watch?v=BnfteCNdBMk

Reportage da Gaza: la guerra dei bambini
http://www.youtube.com/watch?v=1MsqS7p7vk0

Raid aerei israeliani a Gaza
http://www.youtube.com/watch?v=OwWB5OYihqY


UNA POESIA DELLO SCRITTORE PREMIO NOBEL GUENTER GRASS, CON LA QUALE DENUNCIA ISRAELE DI ESSERE UNA MINACCIA PER LA PACE MONDIALE A CAUSA DEL SUO ARSENALE ATOMICO NON CONTROLLATO E PER IL SUO PRETESO DIRITTO DI COLPIRE L'IRAN, HA SCATENATO L'ISTERIA DEI SIONISTI E DEI LORO ALLEATI CHE NON TOLLERANO ALCUNA CRITICA AL TERRORISMO SACRO DELLO STATO D'ISRAELE

Was gesagt werden muss
( Das Gedicht von Günter Grass )

Warum schweige ich, verschweige zu lange,
was offensichtlich ist und in Planspielen
geübt wurde, an deren Ende als Überlebende
wir allenfalls Fußnoten sind.
Es ist das behauptete Recht auf den Erstschlag,
der das von einem Maulhelden unterjochte
und zum organisierten Jubel gelenkte
iranische Volk auslöschen könnte,
weil in dessen Machtbereich der Bau
einer Atombombe vermutet wird.

Doch warum untersage ich mir,
jenes andere Land beim Namen zu nennen,
in dem seit Jahren - wenn auch geheimgehalten -
ein wachsend nukleares Potential verfügbar
aber außer Kontrolle, weil keiner Prüfung
zugänglich ist?

Das allgemeine Verschweigen dieses Tatbestandes,
dem sich mein Schweigen untergeordnet hat,
empfinde ich als belastende Lüge
und Zwang, der Strafe in Aussicht stellt,
sobald er mißachtet wird;
das Verdikt "Antisemitismus" ist geläufig.

Jetzt aber, weil aus meinem Land,
das von ureigenen Verbrechen,
die ohne Vergleich sind,
Mal um Mal eingeholt und zur Rede gestellt wird,
wiederum und rein geschäftsmäßig, wenn auch
mit flinker Lippe als Wiedergutmachung deklariert,
ein weiteres U-Boot nach Israel
geliefert werden soll, dessen Spezialität
darin besteht, allesvernichtende Sprengköpfe
dorthin lenken zu können, wo die Existenz
einer einzigen Atombombe unbewiesen ist,
doch als Befürchtung von Beweiskraft sein will,
sage ich, was gesagt werden muß.

Warum aber schwieg ich bislang?
Weil ich meinte, meine Herkunft,
die von nie zu tilgendem Makel behaftet ist,
verbiete, diese Tatsache als ausgesprochene Wahrheit
dem Land Israel, dem ich verbunden bin
und bleiben will, zuzumuten.

Warum sage ich jetzt erst,
gealtert und mit letzter Tinte:
Die Atommacht Israel gefährdet
den ohnehin brüchigen Weltfrieden?
Weil gesagt werden muß,
was schon morgen zu spät sein könnte;
auch weil wir - als Deutsche belastet genug -
Zulieferer eines Verbrechens werden könnten,
das voraussehbar ist, weshalb unsere Mitschuld
durch keine der üblichen Ausreden
zu tilgen wäre.

Und zugegeben: ich schweige nicht mehr,
weil ich der Heuchelei des Westens
überdrüssig bin; zudem ist zu hoffen,
es mögen sich viele vom Schweigen befreien,
den Verursacher der erkennbaren Gefahr
zum Verzicht auf Gewalt auffordern und
gleichfalls darauf bestehen,
daß eine unbehinderte und permanente Kontrolle
des israelischen atomaren Potentials
und der iranischen Atomanlagen
durch eine internationale Instanz
von den Regierungen beider Länder zugelassen wird.

Nur so ist allen, den Israelis und Palästinensern,
mehr noch, allen Menschen, die in dieser
vom Wahn okkupierten Region
dicht bei dicht verfeindet leben
und letztlich auch uns zu helfen.


Che cosa deve essere detto
(Poesia di Günter Grass)



Perché taccio, nascondo troppo a lungo
Ciò che è evidente e nelle esercitazioni
era simulato, nelle quali alla fine noi,
 come sopravvissuti
al massimo siamo note a pié di pagina.

Si tratta del vantato diritto al primo colpo,
che da un fanfarone soggiogato
e tra acclamazioni organizzate
potrebbe estinguere il popolo iraniano.
perché nella sua sfera di influenza si sospetta
che i suoi capi stiano costruendo una bomba atomica.

Ma perché mi vieto
Di chiamare per nome quell’altro paese
dove per anni – certo tenuto in gran segreto,
è cresciuto un potenziale nucleare disponibile,
ma fuori controllo, perché nessun controllo
è permesso?

Il silenzio generale su questo reato,
al quale si è sottomesso anche il mio silenzio,
io lo considero una pesante menzogna,
una coercizione, una punizione in vista,
non appena si prende in considerazione;
il verdetto di "Antisemitismo" è abituale.

Ma ora, perché il mio paese,
colpevole di crimini immensi,
per i quali dovrà rendere conto ancora e ancora,
il mio paese dunque in un gesto solo commerciale,
qualcuno dice di riparazione,
sta consegnando un altro sottomarino a Israele,
un congegno capace di lanciare
delle ogive con testate  nucleari
che possono distruggere ogni forma di vita
là dove l’esistenza di una sola bomba nucleare  non è stata provata
ma dove il sospetto significa prova.
Io dico ciò che deve essere detto.

Ma perché ho taciuto così a lungo?
Perché credevo che le mie origini,
macchiate da una colpa imperdonabile,
m’impedivano di dire questa verità,
di osare di rinfacciare questo fatto a Israele,
un paese di cui sono e voglio restare amico.

Perché lo dico solo ora,
invecchiato e con l’ultima stilografica,
che la potenza nucleare di Israele minaccia
la pace nel mondo già così fragile?
Perché si deve dire ora
Ciò che potrebbe essere domani troppo tardi;
e perché noi – tedeschi -  col peso del nostro passato, potremo diventare complici d’un crimine,
prevedibile e quindi impossibile da giustificare
con le scuse abituali

Per questo io non taccio più
perché sono stanco dell'ipocrisia dell'Occidente.
Spero che saranno tanti quelli
Che vogliono liberarsi delle catene del silenzio
Per chiamare l’autore di una minaccia evidente
A rinunciare alla violenza esigendo un controllo
Permanente e senza limiti
Del potenziale atomico israeliano
E delle installazioni nucleari iraniane
Tramite una istanza internazionale
Accettata dai due governi.
Solo così potremo aiutare gli israeliani e i palestinesi, meglio ancora, tutti i popoli,
nemici che vivono fianco a fianco
in questa regione occupata dall’illusione
e infine aiutare anche noi stessi.
(Traduzione di Diego Siragusa)