sabato 23 luglio 2016

MINORANZA DEL PD: Intervento introduttivo di Miguel Gotor al Seminario di giovedì 21 luglio







22
July
2016

Intervento introduttivo di Miguel Gotor al Seminario di giovedì 21 luglio

Cari amici, cari compagni,
vi ringrazio per essere intervenuti così numerosi a questo seminario nonostante la calura e il pomeriggio lavorativo. I deputati della Camera sono assenti perché impegnati nelle votazioni, ma ci raggiungeranno non appena avranno finito.
L’esigenza di questo appuntamento scaturisce dalla volontà di proseguire un percorso di formazione e di riflessione che sia sottratto ai tempi brevi e al perenne «presentismo» dell’attività politica quotidiana. Avvertiamo l’esigenza di momenti di approfondimento come questi per collocare la nostra azione di parlamentari e di dirigenti politici, a Roma come nei territori, dentro un orizzonte più largo e più profondo.
Abbiamo l’obiettivo di continuare ad arare un terreno aspro e troppo spesso inaridito, quello dei rapporti tra cultura e politica, anche per preparare la prossima campagna congressuale. Vorremmo così riuscire a presentarci a quell’appuntamento con una piattaforma solida e moderna su due temi fondamentali, oggetto di questo seminario: il primo riguarda le forme dei partiti politici oltre la crisi della rappresentanza e le modalità con cui si organizza e si auto-organizza il civismo. Il secondo concerne il nodo di uno sviluppo economico ancora insufficiente e con un divario interno eccessivo, che ci induce a riflettere in particolare sul Mezzogiorno e sulle modalità con cui allargare la base produttiva del Paese.
La scelta di tenere insieme questione istituzionale e questione sociale, la vita dei partiti e l’articolarsi delle forme della società civile con la dimensione economica corrisponde a una visione d’insieme precisa: questi due ambiti, anche nel dibattito pubblico, sono troppo spesso separati e considerati slegati l’uno dall’altro. Un errore, direi un vizio di carattere tutto «istituzionalista» o tutto «economicista» che non considera a sufficienza come la qualità della democrazia di un Paese dipende invece dall’interdipendenza tra queste due dimensioni. La chiusura di una parte – ad esempio delle forme di accesso alla politica – corrisponde il più delle volte a una perdita di dinamicità dell’altra – si pensi al ruolo e alla funzione dei corpi intermedi.
Procedo per titoli e segnalo soltanto due questioni per poi lasciare lo spazio che meritano ai relatori invitati.
Il primo tema riguarda il partito, il suo stato di salute oggi, ma al tempo stesso la consapevolezza della sfida di «fare un partito» nei tempi nuovi, dentro le sfide di oggi, senza smarrire il filo di questo cimento che, mi perdonerete l’enfasi, definirei storico. Non dobbiamo dimenticarci che uno dei principali obiettivi politici del Partito democratico è proprio quella di ricostruire in Italia la funzione del partito politico, i fini costituzionali della politica e della rappresentanza, aggiornandoli ai tempi della modernità e alle grandi novità tecnologiche in ambito comunicativo che costituiscono una straordinaria opportunità.
Dentro questo disegno bisogna riprendere un rapporto costitutivo con gli uomini e le donne di cultura in una fase della vita del sistema democratico in cui il loro ruolo è sempre più appannato: i partiti sono stati sostituiti dalle fondazioni, ma questo prolificare delle fondazioni non è altro che uno dei sintomi delle crisi dei partiti, un rilevatore che chi segnala quanto lavoro bisogna fare.
Il Pd, non ci stancheremo mai di ripeterlo, è una forza politica ancora giovane, che per la prima volta nella sua storia si trova al governo del Paese grazie al risultato delle elezioni politiche del 2013.
Il Pd è nato e ha senso soltanto se riesce a essere una grande forza riformista di centrosinistra e tale deve rimanere: i segretari passano, ma il progetto resta perché è dentro la storia di questo Paese, con radici che precedono l’Ulivo, che risalgono ai primi anni Sessanta del Novecento. La sua missione è quella di tenere insieme forze civiche di matrice liberale, l’esperienza della cultura cattolica democratica e l’impegno di una sinistra radicale, ma non massimalista, che voglia affrontare la sfida del governo. Il suo compito politico quello di organizzare con generosità questo difficile campo, che è stato sempre complicato.
Secondo noi oggi c’è un grande problema che riguarda l’identità del partito e la sua prospettiva. Lo denunciamo da tempo e non abbiamo aspettato i negativi risultati elettorali di queste amministrative per sostenerlo. L’esperienza di un governo di emergenza che ha costretto a un’alleanza innaturale con la destra si è progressivamente trasformata in un progetto politico che traguarda questa legislatura e vede il Pd ambire a diventare il fulcro di un nuovo equilibrio neo-centrista e neo-moderato all’insegna del consociativismo e del trasformismo. Volere allargare il proprio campo non può significare invadere quello degli avversari rinunciando al valore fondante di una democrazia dell’alternanza, di cui questo Paese continua ad avere bisogno perché una democrazia per avanzare deve poter camminare su due gambe.
Noi abbiamo convinzioni profonde e idee chiare che vogliamo difendere e promuovere nella nostra comunità: il Pd deve restare un partito di centrosinistra. Siamo altresì convinti che, se non può esistere in Italia un centrosinistra senza il Pd, oggi è sempre più evidente che non tutte le esperienze, le energie e le potenzialità di quel campo politico, culturale e valoriale possono essere contenute nel nostro partito. Per questo motivo è decisiva una riflessione e un’attenzione su tutto ciò che di civico e di associativo che profumi di sinistra e di Ulivo si muove al di fuori del Pd. Noi non dobbiamo disperdere questa attenzione e anzi abbiamo il dovere di provare a trasformarla in dialogo e confronto politico costante, come ci proponiamo di fare con un’apposita iniziativa in autunno.
Oggi ci chiediamo: dove va questo partito? Qual è il suo orizzonte strategico? Sono domande di fondo che si fanno tanti nostri iscritti ed elettori sempre più inquieti e smarriti, molti dei quali stanno scegliendo la strada dell’astensionismo e quella della disaffezione, oppure si auto-organizzano in associazioni e movimenti civici che dimostrano come sia ben presente un bisogno di partecipazione, o iniziano a guardare con favore ad altre offerte politiche, penso soprattutto al Movimento 5 stelle.
Riteniamo che invece di voltare la testa dall’altra parte facendo finta di nulla o mostrando un ottimismo di facciata che troppo spesso profuma di «arrogance», sia necessario rispondere a queste domande, ascoltando gli iscritti e gli elettori democratici, senza paura.
Bisogna anzitutto rilanciare in termini credibili l’idea del Pd come partito di iscritti e di elettori, in cui siano garantiti, ai primi, un ruolo decisionale effettivo non soltanto nella scelta degli organi dirigenti, ma anzitutto nella definizione di grandi e dirimenti questioni politiche e, ai secondi, forme di coinvolgimento che non si limitino alla partecipazione alle primarie. Bisogna utilizzare le consultazioni referendarie su temi specifici o su grandi questioni di indirizzo previste dallo statuto del Pd. Non è possibile, ad esempio, lasciare agli iscritti e agli elettori la facoltà di scegliere il nostro candidato alla presidenza del consiglio, ma non la possibilità di esprimersi su nodi fondamentali come la riforma del mercato del lavoro oppure della scuola, o il dibattito sulle unioni civili e il fine vita, soprattutto quando su decisioni di tale rilievo si modificano gli impegni assunti con i cittadini al momento delle elezioni.
In secondo luogo, le primarie sono un tratto indentitario del Pd e uno strumento da difendere, anche da un uso improprio che ne viene fatto che esalta la degenerazione correntizia e la proliferazione di comitati elettorali permanenti. Salvaguardare lo strumento delle primarie significa impegnarsi a regolamentarlo con la definizione di regole certe e l’istituzione, ormai ineludibile, di un albo degli elettori costantemente aggiornato che possa diventare lo strumento per mettere effettivamente in pratica, anche grazie all’ausilio delle nuove tecnologie, una democrazia più partecipativa, diffusa e consapevole.
Il partito, infine, non può limitarsi a essere uno strumento di sostegno dell’attività del governo. Infatti, se si trasforma in un’appendice dell’esecutivo la sua vita deperisce inevitabilmente a livello nazionale e locale con un processo di verticalizzazione organizzato secondo linee di comando e di conformismo e non di partecipazione e di autonomia. Per questo motivo occorre che l’esperienza di governo e l’iniziativa del partito siano coordinati ma non si sovrappongano, ostruendo il dibattito quotidiano e la vita democratica interna.
Anche per questa ragione, secondo noi, occorre separare la funzione di premier dall’incarico di segretario. Il buon senso e l’esperienza di questi due anni suggeriscono che l’esercizio della leadership da parte del presidente del Consiglio non debba esaurire la funzione del partito, il quale è bene che, a ogni livello, viva di una propria elaborazione autonoma, in grado anche arricchire l’azione di governo. Spesso sentiamo rievocare la questione morale di Berlinguer in termini impropri: l’autentica e più scomoda radice della sua riflessione era proprio questa. Per evitare la degenerazione del sistema politico e della qualità della democrazia bisogna fare in modo che i partiti facciano i partiti e le istituzioni le istituzioni senza indebite sovrapposizioni che ledono la missione di entrambi: tra i partiti, che necessariamente rappresentano una parte, e le istituzioni, dove gli uomini impegnati al loro interno hanno l’obbligo di rappresentare tutti i cittadini, deve esistere un’intercapedine civica, uno scambio continuo sia a livello territoriale sia a livello centrale: un’autonomia e una dialettica che fanno respirare con due polmoni la democrazia, lasciando lo spazio dovuto ai corpi intermedi. Questa è la questione morale di Belinguer, non un generico quanto ovvio richiamo all’onestà dei politici che non devono rubare, una banalizzazione che rischia di avere degli esiti qualunquistici perché se tutti rubano nessuno ruba e sono i ladri a trarne vantaggio.
L’alternativa che ha di fronte il Pd oggi è quella di continuare a essere un semplice «spazio politico» variamente frequentato nel periodo di tempo che intercorre tra un’elezione primaria e un’altra o che perdura il vantaggio di frequentarlo, oppure diventare un soggetto politico che ricostruisce un nesso tra partecipazione e decisione, governabilità e rappresentanza: la vera sfida del nostro tempo.
Dentro questa lettura complessiva va inserito il nostro impegno per la legge elettorale e le riforme costituzionali, a partire dal presupposto che una sinistra che non si pone il problema della qualità della partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica rischia di diventare un’altra cosa con una rapidità sorprendente. Se non si ha il coraggio di indicare la direzione e la qualità del cambiamento che si propone è facile «cambiare verso» alla sinistra: l’unico problema però è che poi ci si ritrova a destra, senza neppure accorgersene, con la destra che ci fa fare le sue politiche per poi riorganizzarsi e riprendersi lo scettro del comando.
Al contrario è utile partire dal presupposto, a mio parere strutturale nella storia italiana, che la rappresentanza sociale della destra è più ampia e radicata della sua forza parlamentare e dunque il centrosinistra per vincere si trova davanti sempre allo stesso bivio: è costretto a disarticolare quel fronte di destra separando i conservatori dai moderati, ma nel compiere questa operazione deve continuare a mobilitare tutta la sua sinistra.
Insomma, esattamente il contrario di quello che stiamo facendo oggi come le amministrative peraltro hanno confermato: facciamo accordi di ceto politico con la destra in nome del trasformismo e consegniamo al non voto o al voto verso il movimento 5 stelle milioni di elettori di centrosinistra del Pd e non solo. Anche per questa ragione si sta rivelando un errore gravissimo non dare cittadinanza alle ragioni del no costituzionale dentro il Pd: si tratta di centinaia di migliaia di nostri tradizionali elettori che invece di essere inclusi e, in ogni caso, sentirsi rappresentati dal Pd come grande partito democratico e pluralista, vengono schiaffeggiati e messi alla porta con una miopia politica i cui effetti non tarderanno ad arrivare, se non al momento del prossimo voto referendario, in occasione delle successive politiche.
Per quanto riguarda il nodo dello sviluppo economico, il dato di fondo è il restringimento della base produttiva italiana che è avvenuto più rapidamente e con una minore capacità di reazione di altri Paesi europei, secondo la formula di una crescita senza ripresa. Certo, pesano tare antiche di organizzazione del capitalismo nostrano con piccole e medie imprese che un tempo sono state la fortuna competitiva e anche l’originalità dell’Italia, ma oggi non riescono più a stare al passo con i processi di globalizzazione e di delocalizzazione del lavoro. Abbiamo punte avanzate di eccellenza che, quando competono, sono in grado di farlo a livello mondiale, ma la base della piramide, quella che costituisce la spina dorsale di un apparato produttivo solido, è in notevole affanno e cresce di meno – a parità di condizioni di uscita dalla più lunga crisi economica del dopoguerra – rispetto ad altri Paesi europei. Ce lo diranno meglio i nostri interlocutori di oggi, ma l’impressione è che stiamo scontando anche errori di politica economica del governo: penso alla politica dei bonus settoriali a pioggia e a fini elettorali, i quali hanno spostato ingenti risorse che avrebbero potuto essere impiegate nel taglio delle tasse sul lavoro e che sono stati elargiti a poveri e a ricchi indifferentemente (quindi anche a chi non ne aveva bisogno), tradendo quegli elementari principi e valori di una sinistra riformista; mi riferisco al finanziamento del taglio dell’Imu sulla prima casa senza fare distinzioni tra un attico di lusso al centro di una grande metropoli e una casetta in periferia figlia dei risparmi di una vita.
Senza sottovalutare il ritardo nella politica degli investimenti pubblici e privati che sono il vero volano di una possibile ripartenza per l’Italia, nella convinzione che sarebbe stato sufficiente incidere, di poco, sui consumi e compiere generiche professioni di ottimismo. Sotto questo profilo il nodo da sciogliere non è tanto quello di un ormai usurato tiro alla fune con l’Europa sui percentuali di flessibilità da conquistare, facendo finta che il debito pubblico non continui a pesare sui nostri figli come un macigno, ma una maggiore determinazione nel chiedere, e soprattutto nel praticare. una politica di investimenti produttivi, anche a rischio di infrazione, scorporata dai vincoli europei.
Di tutto questo e ancora di più ragioneremo con i nostri interlocutori che, come sul dirsi, non hanno bisogno di presentazioni. Purtroppo Nadia Urbinati non potrà essere tra noi per un grave quanto improvviso problema famigliare, ma abbiamo chiesto a Salvatore Biasco di sostituirla, il quale con la consueta generosità ha accettato e si soffermerà proprio sul problema del debito pubblico e sulle strade da percorrere per affrontarlo senza rinunciare alla crescita. Interverranno anche Pietro Ignazi sul tema «A cosa serve un partito» e Gianfranco Viesti e Carlo Trigilia con due relazioni dedicate, rispettivamente, ai «Motori della crescita: investimenti pubblici, imprese e istruzione» e «Risorse locali e sviluppo: ripensare le politiche per il Mezzogiorno». Se avremo tempo e soprattutto risorse vorremmo ricavare una pubblicazione da questo incontro. A questo proposito Mario Dogliani, che non potrà essere qui con noi, si è reso disponibile a inviare un contributo e di questo lo ringraziamo. Auguri di buon lavoro.

Miguel Gotor

BOTTA E RISPOSTA TRA GRAMELLINI E SABIKA SHA POVIA






Caro musulmano i tuoi 
fratelli adesso siamo noi

16/07/2016

MASSIMO GRAMELLINI
Caro musulmano non integralista che vivi in Occidente, esci fuori. Lo so che esisti, ti ho conosciuto. In privato mi hai confidato tante volte il tuo sgomento per l’eresia wahabita che ha deformato il Corano, trasformando il suicidio in un atto eroico, e la tua rabbia verso la corte saudita che si atteggia a nostra alleata e invece finanzia quell’eresia dai tempi di Bin Laden. Il piano degli aspiranti califfi è piuttosto chiaro: utilizzano ragazzotti viziati come gli stragisti del Bataclan e relitti umani come il camionista che ha seminato la morte sulla promenade di Nizza per alimentare la paura e l’odio verso l’Islam, così da portare i razzisti al potere in Occidente e creare le condizioni per innescare una guerra di civiltà. È la trama dei fanatici di ogni epoca, la conosciamo bene. Negli Anni Settanta del secolo scorso il terrorismo di sinistra insanguinò le nostre strade con altri metodi (bersagli simbolici e non indiscriminati) ma identici obiettivi: scatenare la rivoluzione. Fallì quando l’operaio comunista che credeva suo alleato gli fece il vuoto intorno. E l’operaio gli si rivoltò contro perché aveva qualcosa da perdere: una casa, uno stipendio, un pallido benessere. Nessuno, credimi, fa la rivoluzione se ha qualcosa da perdere. Il simbolo di quel cambio di stagione fu il sindacalista Guido Rossa, che pagò con la vita la rottura dell’omertà in fabbrica.  

Oggi Guido Rossa sei tu. Ti auguro lunga vita, ma è da te che ci aspettiamo il gesto che può cambiare la trama di questa storia. I farabutti che sgozzano in nome dell’Islam non vengono dal deserto: sono cresciuti in Occidente e quasi sempre ci sono anche nati. Frequentano i tuoi negozi e le tue moschee, parlano la tua lingua, credono (a modo loro) nella tua religione. Hanno figli che vanno a scuola con i tuoi, mogli che chiacchierano con la tua. Per troppo tempo li hai guardati come dei fratelli che sbagliavano, ma che non andavano traditi. Non condividevi i loro comportamenti, ma non te la sentivi di denunciarli: in qualche caso per paura, ma più spesso per una forma perversa di solidarietà religiosa e razziale. 

Adesso però il gioco si è fatto troppo duro e non puoi più restare sull’uscio a osservarlo. Adesso anche tu, come l’operaio comunista di quarant’anni fa, hai qualcosa da perdere. Bene o male l’Occidente ti ha accolto, offrendoti la possibilità di una vita più dignitosa di quella che ti era consentita nella terra da cui sei scappato. Ora sei uno di noi. Tuo fratello non è più il camionista di Nizza, ma il bambino che le sue ruote hanno stritolato sul selciato. Non puoi continuare a negare l’evidenza o a girarti dall’altra parte. Hai oltrepassato quel confine sottile che separa il menefreghismo dalla complicità.  

Facciamo un patto. Noi cercheremo di tenere i nostri razzisti lontani dal governo e di migliorare il livello della sicurezza, anche se è impossibile proteggere ermeticamente ogni assembramento umano. Tu però devi passare all’azione. Devi prendere le distanze dagli invasati che si sentono invasori e dagli imam che li fomentano. Denunciarli, sbugiardarli, controbattere punto su punto le loro idee distorte. Pretendendo, tanto per cominciare, che nella tua moschea si parli la lingua che a scuola parlano i tuoi figli: francese in Francia, italiano in Italia. Senza di te perderemmo la partita. Ma vorrei ti fosse chiaro che fra gli sconfitti ci saresti anche tu.

martedì 19 luglio 2016

Siria: Kerry sostiene una più stretta cooperazione con Mosca





Il Segretario di Stato americano John Kerry venerdì  ha auspicato una maggiore cooperazione tra americani e russi per porre fine al "flagello del terrorismo" in Siria dopo i colloqui notturni con Putin dove l'idea di cooperazione militare diretta non è stata discussa dal Cremlino.
Arrivati ​​giovedì a Mosca, solo dopo aver partecipato alle celebrazioni del 14 luglio a Parigi, il funzionario degli Stati Uniti ha incontrato Putin fino a tardi, mentre a Nizza aumentava il bilancio dell'attentato che ha ucciso almeno 84 persone.

Secondo il Washington Post, Kerry era venuto con l'idea di offrire a Mosca la direzione di un centro di comando congiunto in Giordania per coordinare gli attacchi aerei contro l'organizzazione jihadista Stato islamico e Al-Nosra, ramo siriano di al Qaeda.
L'iniziativa - che, se realizzata sarebbe stata un importante punto di svolta nella guerra in Siria - a quanto pare non ha trovato il favore di Putin. "Il tema della cooperazione militare diretta nella lotta contro il terrorismo non è stato discusso" venerdì mattina ha detto il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov.
Lo scambio di informazioni in questo settore "continua, ma purtroppo non abbiamo fatto passi in avanti versi la cooperazione reale per migliorare l'efficacia degli sforzi nella lotta contro il terrorismo in Siria", ha aggiunto.
Venerdì mattina, l'incontro tra John Kerry e Sergei Lavrov ha avuto inizio con un minuto di silenzio in memoria delle vittime di Nizza. E dopo ciò che equivale alla fine di irricevibilità di Mosca, John Kerry ha detto che la tragedia di Nizza ha illustrato ancora una volta la necessità di collaborare più strettamente in Siria.
"Non c'è un incubatore per questi terroristi più grande che in Siria", ha detto Kerry. "E noi e voi siamo nella posizione invidiabile fi poter effettivamente fare qualcosa contro questo", ha detto il suo omologo russo, sottolineando che il mondo sta aspettando i russi e gli americani per "porre fine a questo flagello terrorista. "
Lavrov, da parte sua ha giudicato  "utile" il dialogo avvenuto nella notte tra Putin e Kerry. "Per quanto riguarda la Siria (l'incontro) ha evidenziato la necessità di intensificare il nostro lavoro sulla risoluzione della crisi e il nostro impegno nella lotta contro il terrorismo", ha detto.
Russi e americani  cercano di intendersi mentre sanguinosi combattimenti e bombardamenti continuano, nonostante il cessate il fuoco stabilito alla fine di febbraio sotto l'egida della Russia e degli Stati Uniti. L'ultima tregua temporanea annunciata dall'esercito siriano è scaduto venerdì senza essere stata rispettata sia dal regime che dai ribelli.
In cambio di questo progetto di cooperazione, il Washington Post ha scritto che Mosca sta limitando gli attacchi aerei contro obiettivi selezionati con gli Stati Uniti e che il regime siriano deve smettere di bombardare i ribelli moderati.
Allo stato attuale, i jihadisti dell'esercito islamico e Al Qaeda sono esclusi dal cessate il fuoco concordato nel mese di febbraio tra l'esercito e gli avversari moderati, e sono il bersaglio dei bombardamento della Russia o della coalizione guidata dagli Stati Uniti.
Ma Washington accusa Mosca di prendere di mira durante questi raid aerei anche i ribelli moderati che si oppongono al presidente Assad, cosa che la Russia nega.
Kerry aveva sperato di ottenere "in progresso reale misurabile" all'inizio del su incontro giovedì sera, mentre Vladimir Putin ha ricordato l'aspirazione dei due paesi "non solo a collaborare", "ma ad ottenere risultati".  (Dalle agenzie di stampa)

(Trad. dal francese di Diego Siragusa)

domenica 17 luglio 2016

Un villaggio palestinese sotto assedio: nessuno può uscire, nemmeno un bambino con paralisi cerebrale


(Suzanne Tarawa con il figlio, Mahmoud, al posto di blocco di Sa'ir)

Un villaggio palestinese sotto assedio: nessuno può uscire, nemmeno un bambino con paralisi cerebrale
Dopo che alcuni colpi sono stati sparati contro israeliani alla guida nei pressi di Sa'ir,  lo scorso fine settimana, l'esercito israeliano ha collocato 20.000 abitanti del villaggio della Cisgiordania sotto un blocco a tempo indeterminato.

Gideon Levy e Alex Levac




Il virus israelo-americano Stuxnet ha lanciato una guerra mondiale informatica?
Nessun incitamento per una città palestinese ad odiare Israele. La madre si avvicina il posto di blocco, a piedi, nel calore del giorno, portando Mahmud tra le braccia con evidente difficoltà. Non ha un passeggino. Mahmud non può stare in piedi; indossa i tutori. Ha tre anni e mezzo, è affetto da paralisi cerebrale, il risultato di un insufficiente apporto di ossigeno al cervello durante la nascita. Ancora una volta in questo giorno, come in quello precedente, i soldati delle Forze di Difesa israeliane li fermano e si rifiutano di consentire loro di lasciare il villaggio, Sa'ir, a nord est di Hebron - nonostante la vista della madre stanca e il suo ragazzo disabile con il suo corpo spezzato, che non è in grado sia di parlare sia di controllare i suoi movimenti.
Ma oggi, lunedì di questa settimana, il tenente Yaniv è in servizio al posto di blocco e lui, almeno, parla dolcemente e gentilmente alle centinaia di palestinesi che stanno cercando di entrare o uscire dalla città assediata,  - non abbaia contro di loro nel modo consueto al posto di blocco. Circa 20.000 persone sono state poste sotto assedio questa settimana, sulla scia dell’incidente di sabato, in cui i colpi sono stati sparati a una coppia israeliana con sei figli, che stavano guidando verso l'insediamento cisgiordano di Tekoa; il padre è stato ferito leggermente.
Negli ultimi giorni della settimana, lo sparatore non era stato preso, e l’assedio era ancora in vigore. Il sospetto che si fosse rifugiato a Sa'ir era sufficiente per imprigionare alcune decine di migliaia di persone. A nessuno è permesso di uscire, nemmeno a un bambino con paralisi cerebrale e alla madre per recarsi in una clinica in un villaggio vicino.
Nel tardo pomeriggio. Un sole cocente. Su entrambi i lati del posto di blocco improvvisato che ha trasformato questa città in una gigante gabbia ci sono lunghe file di automobili, i loro autisti arrabbiati e frustrati in piedi accanto a loro, impotenti. Di tanto in tanto si comincia a gridare; di tanto in tanto qualcuno cerca di blandire i soldati a lasciarli passare, ma senza alcun risultato, naturalmente. Questo posto di controllo è una miscela tipica di abbandono, mucchi di sporcizia e spazzatura, blocchi di cemento sparsi in modo casuale lungo la strada, strisce di chiodi, due soldati, un ufficiale e un contenitore d’acqua per l’esercito. Gli ordini sono fluidi - l'IDF non è altro se non un esercito dinamico - ed oggi l’entrata a Sa'ir è permessa, l'uscita è vietata. Ieri l’ingresso è stato consentito, ma solo a piedi; oggi anche i veicoli sono autorizzati a entrare. La chiusura è stata facilitato, ma l'uscita è assolutamente vietata, senza eccezioni. Il tenente Yaniv spiega a ogni autista e pedoni che arrivano al posto di controllo che se entrano non potranno poi uscire, non si sa per quanto tempo.
"Hotel California" degli Eagles viene in mente: "Si può controllare a piacimento, / ma non si può mai uscire."

Alcuni di quelli che volevano entrare in macchina ci ripensano, girano e se ne vanno, altri tentano la fortuna  e passano in città - semirimorchi diretti alle cave di Sa'ir, camion che trasportano rifornimenti, taxi collettivi e auto private i cui conducenti devono arrendersi davanti a ordini draconiani. Sull'altro lato del punto di controllo tutti i veicoli vengono respinti, così pure i pedoni. Le famiglie, gli anziani, i bambini. Bloccati.

(Traduzione di Diego Siragusa)

TERRORISMO: LA CODARDIA DEI GIORNALISTI


mercoledì 13 luglio 2016

ANCHE I SIONISTI "PROGRESSISTI" ATTACCANO IL GOVERNO DI ESTREMA DESTRA ISRAELIANO




Legge israeliana sulle ONG, un attacco cinico e ipocrita

per i diritti umani. Per ulteriori informazioni contattare:

Gideon Aronoff C.E.O Ameinu gideon@ameinu.net

New York (12 luglio 2016) - Ameinu, la più grande un'organizzazione sionista progressiva del Nord America, ha rilasciato oggi la seguente dichiarazione.
"Ieri è stato un giorno di vergogna per la Knesset quando ha approvato una legge che stigmatizza le organizzazioni per i diritti umani, mentre ipocritamente afferma che la legge è stata progettata per promuovere la trasparenza. Ameinu condanna questo tentativo cinico di congelare le attività della società civile israeliana progressiva come un attacco palese alla democrazia israeliana che ulteriormente erode i diritti dei cittadini israeliani ", ha dichiarato il presidente Ameinu Kenneth Bob.
Mentre tutte le organizzazioni non governative israeliane (ONG) hanno già il compito di rivelare le proprie fonti di finanziamento, i nuovi requisiti si aggiungono unicamente a quelle che ricevono più di metà del loro finanziamento da governi stranieri e da entità affiliate - 27 organizzazioni 25 dei quali sono di sinistra e lavoano sui diritti umani o sui problemi palestinesi. Non toccate da questa legge sono le numerose organizzazioni estremiste israeliane come i gruppi che supportano gli insediamenti in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, rafforzano l'occupazione, promuovono il razzismo e minare le speranze per una soluzione dei due stati. Queste organizzazioni pericolose ricevono milioni da individui stranieri, tra cui importanti filantropi ebrei americani.
"Mentre le ONG israeliane ricevono sostegno finanziario da una vasta gamma di governi, fondazioni e individui di tutto il mondo, l'attuale governo di estrema destra vuole controllare politicamente coloro che cercano di promuovere la democrazia, i diritti umani e i giusti rapporti tra israeliani e palestinesi e discrimina i singoli e questi gruppi come minacce alla società israeliana minando il loro lavoro di vitale importanza. Ameinu si trova in solidarietà con i nostri amici e colleghi nel movimento per la giustizia sociale di Israele e sono impegnati a costruire il sostegno per loro nella comunità ebraica e con tutti coloro che cercano un giusto e pacifico futuro più sicuro, per Israele ", ha detto il CEO Ameinu Gideon Aronoff.