mercoledì 30 novembre 2016

L’attacco alla Costituzione è il ritorno al passato. Una lettera di Aldo Tortorella




di Aldo Tortorella

24 novembre 2016

Care compagne e cari compagni, un malanno invernale, complice l’età, mi impedisce di essere oggi con voi come avrei desiderato per dirvi innanzitutto tutta la mia indignazione per il modo con cui si viene svolgendo questa campagna referendaria da parte di coloro che oggi hanno il governo del Paese.
Trovo scandaloso che i pubblici poteri siano impegnati ad alimentare con ogni mezzo compresi quelli meno leciti una campagna di disinformazione e di falsità. La televisione in ogni ora del giorno e della notte è occupata da questo presidente del consiglio il quale con tutti i problemi che ci sono non ha altro da fare che saltare da un programma all’altro o da un palco all’altro palco a far la sua propaganda e a propagandare se stesso. Più che un uomo di governo abbiamo un attore televisivo, oltre che uno studente bocciato dal suo professore di diritto costituzionale.
Dire che il maggiore problema della repubblica è la presunta lentezza legislativa dovuta al bicameralismo è una favola. In Italia si fanno anche troppe leggi e il guaio è che spesso sono leggi sbagliate. E molte leggi sbagliate sono state e vengono approvate anche troppo rapidamente come è accaduto e accade alle leggi governative definite decreti d’urgenza. Il primato spetta alla sciagurata legge Fornero sulle pensioni approvata in 16 giorni. Tutti i decreti-legge di questo governo sono passati in meno di 44 giorni. Il presidente del consiglio dunque mente sapendo di mentire quando dice che vuole questo stravolgimento della Costituzione per fare presto. Ha fatto anche troppo presto con molte misure dannose per i lavoratori e per il paese.
Sono le leggi di iniziativa parlamentare ad andare lentamente ma il motivo sta non nel bicameralismo ma nelle liti interne alle maggioranze. Un esempio: la legge anticorruzione d’iniziativa parlamentare ha impiegato 798 giorni per essere approvata e cioè due anni e due mesi e si capisce perché: non andava mai abbastanza bene a questo o a quel gruppo di maggioranza. Due anni e due mesi per annacquarla e sciacquarla fino a renderla la più innocua possibile.
La verità è che si vuole una Camera che conti eletta con sistema ultramaggioritario per dare più potere al governo di imporre la propria volontà sopra e contro la rappresentanza popolare. Questa contro riforma della Costituzione stabilisce che il governo ha la priorità su tutte le leggi del suo programma e non più solo sui decreti d’urgenza e ha il potere di fissare il tempo massimo di discussione, 70 giorni. Con questo sistema inaudito in qualsiasi regime liberal-democratico il governo diventerebbe il padrone della rappresentanza parlamentare a sua volta truccata. Già oggi la Camera è eletta con un sistema maggioritario, quello del porcellum, che ha dato la maggioranza assoluta alla coalizione di centro sinistra arrivata di poco avanti alla destra. E la nuova legge elettorale già in vigore è ancora peggio, anche se ora si sono accorti che può essere disastrosa.
Dopo avere giurato sulla sua bontà e averla imposta con tre voti di fiducia ora dicono di volerla cambiare, ma senza toccare il maggioritario. Per difendere la loro controriforma , dicono anche il Pci alla costituente era per una sola camera. Certo, ma con il parlamento “specchio del Paese” e cioè con la legge elettorale proporzionale. E poi il Pci accettò il bicameralismo perché intese che era una garanzia in più nel duro periodo che si veniva aprendo con la rottura dell’unità antifascista e con la guerra fredda iniziata proprio nel 1947, mentre si lavorava alla Costituzione. E comunque, secondo il Pci, il Senato doveva essere eletto dal popolo.
Dunque il presidente del consiglio imbroglia sapendo di imbrogliare quando dice che non ha toccato i poteri del presidente del consiglio. Non li ha toccati perché ha toccato e esaltato il potere del governo e dunque del capo partito che lo guiderà. Già oggi lui governa come espressione di una minoranza del 29 per cento dei voti contro le opposizione che rappresentano il doppio. E con la sua controriforma, domani, un capo partito che può essere un qualsiasi seguace nostrano di Trump o di Le Pen o qualche altro avventuriero può ancor più di lui spadroneggiare l’Italia.
Con le mani di un partito formalmente di centro sinistra si prepara la via al peggio, come successe negli anni 20 del ‘900 al Parlamento della Repubblica democratica di Weimar nata dal crollo dell’impero tedesco seguìto alla prima guerra mondiale. Essendoci molti disordini di piazza, il Parlamento democratico tedesco stabilì che in caso di stato d’eccezione le garanzie costituzionali potevano essere sospese. La coalizione nazista vinse le elezioni, decretò lo stato d’eccezione e iniziò la propria criminale avventura. Diceva un proverbio antico che Dio fa impazzire coloro che vuol perdere. In questo caso, però, la colpa non è di Dio, ma di chi dà ascolto a questi scriteriati saltimbanchi del potere per il potere o a quelli che usano i soldi per il potere e il potere per i soldi.
E non è meno scandaloso dire che si sopprime il Senato, quando non lo si sopprime affatto ma lo si ridicolizza trasformandolo in una Camera di consiglieri regionali e sindaci a tempo perso, in più gravandolo di compiti cosi confusi che i costituzionalisti prevedono forieri di guai. Si dice che così si vuole dar voce ai territori: ma nello stesso tempo si stabilisce che lo stato di guerra adesso sarà deciso dall’unica Camera , cioè da un partito minoritario e dal suo capo. Si vede che in caso di guerra i territori non devono aver niente da dire.
Si sparano cifre assurde di risparmi inesistenti, smentiti dalla ragioneria generale dello stato. Si conduce una campagna qualunquista contro quelli che non vogliono perdere le poltrone, ma io che vi scrivo adesso non ho alcuna poltrona da perdere o da conquistare. Ho solo avuto da conquistare qualche malanno aggirandomi per l’Italia a testimoniare contro questa bruttura, perché penso a chi la Costituzione l’ha conquistata e ci ha lasciato la vita o a chi ha speso tutta l’esistenza a difenderla e ora non può più farlo.
I guai dell’Italia non dipendono dalla Costituzione. Con questa Costituzione abbiamo ricostruito l’Italia garantendone, nel bene e nel male, lo sviluppo, abbiamo conquistato diritti sociali e civili. I guai dell’Italia dipendono piuttosto dal fatto che il programma costituzionale è stato sempre combattuto e in larga misura è rimasto inapplicato. Per cinquant’anni l’Italia è stata una democrazia dimezzata dalla convenzione imposta dall’estero per escludere il più forte partito d’opposizione dal governo, anche quando nessun governo si poteva fare senza i suoi voti. Ma l’obiettivo vero era un altro, era proprio quella Costituzione che fonda la Repubblica sul lavoro e va oltre la eguaglianza formale, pur indispensabile, impegnando lo Stato a rimuovere “gli ostacoli economici e sociali” che limitano di fatto libertà ed eguaglianza, e così statuendo il principio dell’uguaglianza sostanziale.
Di qui viene l’affermazione del lavoro non più come una merce, ma come un diritto da garantire, viene il criterio della retribuzione da adeguare in ogni caso ad una vita libera e dignitosa, viene la indicazione del compito sociale, cioè non egoistico, della stessa proprietà privata. Ecco lo scandalo: questa Costituzione esalta il lavoro e non il capitale. E ciò avvenne perché i costituenti, pur divisi da differenti visioni politiche, venivano in grande maggioranza dalla lotta antifascista e sapevano che il fascismo era stato una creatura incoraggiata, promossa e sostenuta innanzitutto dal capitale finanziario, industriale e agrario.
Fin dai primi anni questa Costituzione fu definita “una trappola” da parte delle forze più conservatrici. E la storia dei primi cinquant’anni di vita repubblicana è segnata, come in nessun altro paese occidentale, da una ininterrotta scia di eversione e di sangue per spiantare questa possibile nuova democrazia: dallo stragismo nero al terrorismo detto rosso che con l’assassinio di Moro compì il capolavoro di portare a compimento il proposito della destra con le mani di supposti rivoluzionari di sinistra. Con quel delitto cadeva il tentativo estremo di Berlinguer e di Moro di dare compiutezza alla democrazia italiana e iniziava il declino.
Ci raccontarono un quarto di secolo fa che il sistema elettorale maggioritario avrebbe dato stabilità, risolto problemi annosi, eliminato i piccoli partiti. Ma i fatti sono stati un ventennio di berlusconismo e l’aggravamento di tutti i problemi, dal debito alla disoccupazione. E mai ci sono stati tanti partiti in Parlamento e così pochi militanti fuori, mai c’è stato un tale trasformismo tra deputati e senatori. Ora c’è l’attacco finale alla Costituzione perché, dicono, offre troppe garanzie. E dicono che si smantella la seconda parte della costituzione ma si salvano i principi della prima parte. Ma questo è un discorso per allocchi.
La seconda parte della Costituzione è l’applicazione della prima. La sovranità popolare si restringe ancora di più con l’accentramento del potere, i principi sociali già calpestati diventano sempre più carta straccia. Ma ci dicono che anche la destra dice di votare no. Certo. E noi facemmo la lotta di liberazione antinazista e antifascista anche con i monarchici. La Costituzione è di tutti, non proprietà di partito. E si dovrebbe essere lieti che proprio quelli della destra che hanno sempre attaccato la Costituzione oggi sono costretti a difenderla perché ne riconoscono finalmente il valore anche per loro, ora che si sentono in minoranza. E c’è piuttosto da temere che dicano di votare no, ma pensino e facciano il contrario, seguendo i Verdini e gli Alfano.
All’origine della stretta autoritaria, voluta non solo in Italia dai ceti più retrivi, sta il fatto che non si riesce a uscire dalla crisi: dalla lunga crisi iniziata dopo gli anni settanta e da quella che rischiava di essere catastrofica iniziata nel 2007. La vittoria globale del capitalismo non ha portato a spegnere i suoi problemi, ma a complicarli.
La globalizzazione crea nuovi squilibri e nuovamente torna la tendenza, come dopo la crisi del 29, alle chiusure nazionaliste, allo sciovinismo, alle guerre. Allora fu la Germania a imboccare la via della razza eletta, adesso il razzismo, per ora a fini interni, ha vinto negli Usa. Alle porte dell’Italia, oltre il mare, c’è la guerra generata dalla ripresa di velleità egemoniche dei paesi nostri alleati nelle terre del petrolio. Centinaia di migliaia di morti, milioni di disperati e di profughi. Ecco il motivo della stretta istituzionale, ecco il pericolo.
Il mio cammino personale è al termine, e dunque non ho nulla da temere ma temo per questi giovani di oggi. Altro che lavoro come diritto, salario dignitoso, istruzione elevata. E il rischio, in tanta frustrazione, è la possibilità che vengano cacciati in nuove avventure. Ho negli occhi le manifestazioni giovanili per la guerra in Germania e in Italia nel 39 e nel 40, pagate poi con la catastrofe loro e di tutti. Le organizzavano i fascisti, ma trascinavano i molti. E non credo eccessivo l’allarme quando al fanatismo della setta dell’ISIS si risponde con il fanatismo antimusulmano nelle manifestazioni con Trump. O con il fanatismo antiimmigrati di certi ceffi nostrani o di quel paesino di una terra che fu rossa.
Sono solo i sintomi piccoli e grandi di una malattia che si aggrava. Mai come oggi è necessario il massimo di garanzie. Salvare la Costituzione è indispensabile, anche se non basta. Si dice che chi difende la Costituzione è un passatista. E lo dicono questi nuovisti che hanno combinato solo guai. L’attacco alla Costituzione è in realtà una volontà di ritorno al passato, quando chi comandava era sicuro di non essere disturbato. Oggi dire di no è il migliore modo di dire di sì all’avvenire, è l’unico modo di tenere aperta le porte alla speranza.”

GLI AVVOLTOI SULLA BARA DI FIDEL





di Gianni Fresu

da  Marx21.it


C’era da aspettarselo, la morte di Fidel Castro, l’uomo che ha osato sfidare, e persino sconfiggere, gli USA nel loro cortile di casa, ha scatenato la canea e lo spirito di rivalsa di quanti non gli hanno saputo tenere testa in vita.  Così assistiamo a strumentali letture all’ingrosso, anatemi e condanne scomposte perché di questo uomo non rimanga nemmeno un ricordo vagamente positivo. Poi ci sono quelli che, “da sinistra”, inevitabilmente colgono la palla al balzo per mostrare le incongruenze della rivoluzione cubana, parlando di tradimento e occasione mancata. Queste critiche vengono sia dalla sinistra più pura e radicale, sia da quella “moderna” e antiautoritaria, tuttavia, entrambe si servono quasi sempre delle stesse argomentazioni più classiche adoperate dei reazionari al cubo. Così, non me ne vogliano i primi e i secondi, ma uso lo stesso metro di ragionamento per tutti questi detrattori, nel tentativo di spiegare la mia posizione.

Anzitutto, ai tanti che non hanno perso occasione per parlare dei "diritti umani violati" e denunciare la povertà di Cuba, suggerirei di confrontare il suo standard di vita non con l'opulento Occidente, ma con le altre isole caraibiche a poche miglia nautiche di distanza.
Basta guardare lo stato di indigenza senza fondo di una realtà vicinissima, e teoricamente con le stesse risorse naturali, come Haiti (che nemmeno ha subito per più di cinquanta anni un durissimo embargo economico) per farsi un'idea minima della strumentalità di queste argomentazioni. Come ha giustamente sottolineato Raul Castro, rispondendo a muso duro alle idiozie di Obama, la prima grave violazione dei diritti umani consiste nel privare un popolo dell'assistenza sanitaria e delle condizioni essenziali di vita. Quando la regola è la miseria assoluta e la totale assenza di diritti sociali, l'esercizio delle cosiddette libertà individuali, sebbene solennemente proclamate, è una pura utopia che diventa realtà solo per una parte della società. Senza uguaglianza sostanziale l'uguaglianza formale resta purtroppo un ipocrita esercizio di scuola. Basta vedere la composizione sociale delle carceri negli USA per capirlo.




Sul piano della coerenza tra teoria e prassi, è bene ricordare che ogni rivoluzione, scontrandosi con la realtà concreta (con le azioni e reazioni previste o impreviste), finisce per creare un quadro nuovo sempre differente da quanto era stato precedentemente teorizzato e idealizzato. È inevitabile, così è stato per la rivoluzione francese (ciò nonostante continuiamo a considerala un fondamentale atto di liberazione universale), così è per tutte le rivoluzioni liberali che, al di là dei principi, hanno finito per istituzionalizzare forme di povertà sconfinata, esclusione e marginalizzazione sociale aberranti e inumane, non certo messe in conto dai vari Constant, Locke, Smith e Bentham. Esiste però una profonda differenza, sulla quale Domenico Losurdo più volte ha sollecitato attenzione, nei ragionamenti in merito: quando si dibatte dei teorici e dei protagonisti delle rivoluzioni socialiste inevitabilmente ci si concentra solo sulle contraddizioni dei processi reali da loro generati, mai sugli aspetti progressivi; quando facciamo riferimento invece ai teorici del pensiero liberale (“i classici”) parliamo dei valori universali di fratellanza e libertà individuale da loro teorizzati, mai della miseria, delle guerre di rapina e del dominio coloniale o della rigida divisione in classi, caratteristiche delle società liberali reali. Nel primo caso ci si sofferma solo sui limiti dei processi storici reali, nel secondo sulle petizioni di principio e le spinte ideali dei suoi pensatori. Già in questa inversione nei termini del ragionamento si nasconde una chiara vittoria egemonica del pensiero liberale sulla quale non si riflette mai abbastanza. In tal senso, credo, si spiega un giudizio storico generalizzato e consolidato: Kennedy è considerato il profeta della "nuova frontiera", non il protagonista della guerra in Vietnam, dello sbarco alla baia dei porci e dell'assenso-consenso a tutte le operazioni più spericolate e antidemocratiche della CIA; Castro è invece presentato come un oppressore, non come colui che ha lottato tutta la vita per la affermazione dei diritti sociali e l'autonomia del suo popolo dal dominio imperialista americano. Fino a quando non ci libereremo delle visioni ideologiche avversarie, facendoci veicolo inconsapevole di categorie e rappresentazioni funzionali a altre visioni del mondo, il destino della sinistra è di rimanere nel terreno melmoso della subalternità e inutilità storico-sociale di oggi.

LETTERA A PISAPIA DEI GIURISTI DEL "NO" MILANESE



Caro Pisapia,

nella tua intervista a la Repubblica del 18 novembre ti rivolgi non solo ai sostenitori del Si ma anche a quelli del No e tratti di questioni a carattere generale per le prospettive della sinistra che stanno a cuore anche a noi, convinti sostenitori del No. Affermi che “il Si e il No sono determinati non dal giudizio sulla legge di revisione costituzionale, ma dalla volontà di far cadere il governo”.
Non è certamente così per il nostro Comitato, non lo è per la Cgil, l'ANPI, l'ARCI e quelle Associazioni che da sempre sono impegnate sul terreno della democrazia costituzionale, non lo è per Lorenza Carlassare, Luigi Ferrajoli, Alessandro Pace, Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky e tutti quei costituzionalisti che ci sono stati maestri, anche tuoi maestri.
A tutti noi hanno insegnato a leggere l’ intreccio tra crisi sociale e crisi dai valori costituzionali. E questo riguarda la sinistra e il senso della politica.

Noi siamo sostenitori del No per una sola ragione: se vincerà il Si la nuova Costituzione non sarà più quella di prima, quella nata dalla Resistenza e dalla sconfitta del fascismo, che unì il paese in una comune volontà di rinascita e di riscatto. Il centro del potere passerà dal Parlamento, rappresentativo di tutti i cittadini, al governo, espressione della sola maggioranza (anzi, con le attuali leggi elettorali ipermaggioritarie, della minoranza più forte).

Tutto questo va sicuramente incontro ai desideri dei “poteri forti”, il gigante finanziario americano JPMorgan (una delle banche, ricordiamolo, all'origine della crisi, multata di 13 miliardi di dollari per avere invaso il mercato di titoli tossici), gli USA, l'UE, la Confindustria, che vorrebbero i governi pronti ad accogliere le esigenze del “mercato”, per imporre politiche di attacco allo stato sociale e ai diritti (il lavoro, la sanità, l’istruzione), tutelati dalla Costituzione.Non solo: domani al governo del paese potrebbero andare forze populiste che hanno nel loro DNA la discriminazione contro i “diversi” (immigrati, islamici, disabili, gay...), che vogliono erigere muri e che costruiscono il loro consenso sulla paura e sull'odio, avremmo posto nelle loro mani non solo tutti i maggiori poteri dell'esecutivo, ma anche la possibilità di ridurre le garanzie dei diritti fondamentali delle persone e delle minoranze.
Come non condividere la tua affermazione: “le forze della sinistra devono sentire il peso di una responsabilità storica come forse non mai nei tempi recenti”?  E ancora: “non vanno costruiti muri”.  Sacrosanto, anche a sinistra.
Ma come interpretare questa responsabilità storica? Nessuno di noi è indifferente a cosa potrà accadere sulla scena politica dopo il 4 di dicembre, ma, parafrasando Sergio Mattarella, che intervenendo alla Camera il 12 marzo 2005, a proposito della proposta di riforma della Costituzione presentata dalla destra diceva “Sapete anche voi che è fatta male, ma state barattando la Costituzione vigente del 1948 con qualche mese in più di vita per il governo Berlusconi”, riteniamo che una cosa è il destino di un anno di governo fino alle elezioni del 2018, altro è lasciare in eredità a noi e alle future generazioni, una Costituzione che realizza una concentrazione di potere inaudita con l'indebolimento di tutti gli strumenti di garanzia.

Dall’esito del referendum dipenderà dunque il futuro della nostra democrazia: la conservazione sul piano normativo del suo carattere parlamentare, oppure la legittimazione dell’attuale deriva anti-parlamentare; la riaffermazione della sovranità popolare, oppure la consegna del sistema politico alla sovranità anonima, invisibile e irresponsabile dei mercati; la legittimazione del governo dell’economia e della finanza, oppure la riaffermazione e il rilancio del progetto costituzionale e dei valori nei quali tutti crediamo, sebbene in tempi così difficili: eguaglianza, libertà solidarietà.

Caro Pisapia, siamo certi che coglierai il senso di questa nostra lettera. Noi, con ferma convinzione, riaffermiamo le ragioni per le quali difendiamo la Costituzione.
Anche noi vogliamo cambiare: in meglio.

Pierpaolo Pecchiari (Comitato per il NO, Milano)
Franco Calamida (CostituzioneBeniComuni)
Mario Agostinelli (Energia Felice)
Erica Rodari (Comitato Acqua Pubblica, Milano)
Marco Dal Toso (Giuristi democratici)
Luciano Belli Paci (gruppo dei 110 avvocati milanesi per il NO)

lunedì 28 novembre 2016

GABRIEL GARCIA MARQUEZ: IL FIDEL CASTRO CHE CONOSCO



Lo scrittore Gabriel Garcia Marquez, "Gabo", ha così descritto Fidel Castro con cui ha avuto innumerevoli incontri, confronti e talvolta aspre discussioni:
"La sua devozione per la parola. Il suo potere di seduzione. Cerca i problemi dove sono. Gli impeti dell’ispirazione sono propri del suo stile. I libri riflettono molto bene l’ampiezza dei suoi gusti. Smise di fumare per avere l’autorità morale per combattere il tabagismo. Gli piace preparare le ricette di cucina con una specie di fervore scientifico. Si mantiene in eccellenti condizioni fisiche con varie ore di ginnastica giornaliera e di nuoto, praticato frequentemente. Ha una pazienza invincibile. Una disciplina ferrea. La forza dell’immaginazione lo trascina negli imprevisti. E’ tanto importante imparare a lavorare come imparare a riposare.
Stanco di conversare, riposa conversando. Scrive bene e gli piace farlo.
Il maggiore stimolo della sua vita è l’emozione per il rischio. La tribuna di improvvisatore sembra essere il suo mezzo ecologico perfetto.
Incomincia sempre con voce quasi inaudibile, con una direzione incerta, ma approfitta di qualsiasi bagliore per continuare a guadagnare terreno, palmo a palmo, fino a che dà una specie di graffiata e si impadronisce dell’udienza. È l’ispirazione: lo stato di grazia irresistibile ed abbagliante che possono negare solo quelli che non hanno avuto la gloria di viverlo. È l’antidogmatico per eccellenza.
José Martí è il suo autore preferito e ha avuto il talento di incorporare la sua ideologia nel torrente sanguineo di una rivoluzione marxista. L’essenza del suo stesso pensiero potrebbe esistere nella certezza che fare un lavoro di massa è fondamentalmente occuparsi degli individui.
Questo potrebbe spiegare la sua fiducia assoluta nel contatto diretto.
Ha un idioma per ogni occasione ed un modo diverso di persuasione secondo i differenti interlocutori. Sa situarsi al livello di ognuno e  dispone di un’informazione vasta e molto varia che gli permette di muoversi con facilità in qualunque mezzo. Una cosa si sa con sicurezza: stia dove stia, come stia e con chi stia, Fidel Castro è lì per vincere.
Il suo atteggiamento davanti alla sconfitta, nonostante negli atti minimi della vita quotidiana, sembra ubbidire ad una logica privata: non l’ammette, e non ha un minuto di calma fino a quando non riesce ad invertire i termini e trasformarla in vittoria. Nessuno può essere più ossessivo di lui quando si è proposto arrivare a fondo di qualsiasi cosa. Non c’è un progetto colossale o minimo, nel quale non si impegni con una passione accanita. E specialmente se deve affrontare un’avversità. Non sembra mai come in questo momento di aspetto migliore, di umore migliore. Qualcuno che crede di conoscerlo bene gli disse: Le cose devono andare molto male, perché lei si vede molto risoluto.
Le reiterazioni sono uno dei suoi modi di lavorare. Per esempio: Il tema del debito esterno dell’America Latina, era apparso per la prima volta nelle sue conversazioni da circa due anni, ed aveva continuato ad evolvere, ramificandosi, approfondendosi. La prima cosa che disse, come una semplice conclusione aritmetica, era che il debito era impagabile.
Poi, apparvero le scoperte scaglionate: Le ripercussioni del debito nell’economia dei paesi, il suo impatto politico e sociale, la sua influenza decisiva nelle relazioni internazionali, la sua importanza provvidenziale per una politica unitaria dell’America Latina… fino ad ottenere una visione totalizzante, quella che espose in una riunione internazionale convocata ad effetto e che il tempo si è incaricato di dimostrare.
La sua più rara virtù di politico è quella facoltà di scorgere l’evoluzione di un fatto fino alle sue conseguenze remote …però questa facoltà non l’esercita come un’illuminazione, bensì come il risultato di un raziocinio arduo e tenace. Il suo aiutante supremo è la memoria e la usa fino all’esagerazione per sostenere i suoi discorsi o le sue chiacchierate private con raziocini soffocanti ed operazioni aritmetiche di una rapidità incredibile. 
Richiede l’aiuto di un’informazione incessante, ben masticata e digerita. Il suo compito di accumulazione informativa comincia da quando si sveglia. Fa colazione con non meno di 200 pagine di notizie del mondo intero. Durante il giorno gli fanno arrivare informazioni urgenti ovunque sia, calcola che ogni giorno deve leggere circa 50 documenti, a questo bisogna aggregare i dossier dei servizi ufficiali e dei suoi visitatori e tutto quanto possa interessare alla sua curiosità infinita.
Le risposte devono essere esatte, perché è capace di scoprire la minima contraddizione di una frase casuale. Un’altra fonte di vitale informazione sono i libri. È un lettore vorace. Nessuno si spiega come possa avere tempo né che metodo utilizza per leggere tanto e con tanta rapidità, benché lui insista che non ne ha nessuno in particolare. Molte volte sta leggendo un libro all’alba ed alla mattina seguente già lo commenta. Legge l’inglese ma non lo parla. Preferisce leggere in castigliano ed a qualunque ora è disposto a leggere una lettera che gli cada nelle mani. È lettore abituale di temi economici e storici. È un buon lettore di letteratura e la segue con attenzione.
Ha l’abitudine degli interrogatori rapidi. Domande successive che lui fa a raffica istantanea fino a scoprire il perché del perché del perché finale. Quando un visitatore dell’America Latina gli diede un dato affrettato sul consumo di riso dei suoi compatrioti, lui fece i suoi calcoli mentali e disse: Che raro che ogni persona si mangia quattro libbre di riso al giorno. La sua tattica maestra è domandare su cose che sa, per confermare i suoi dati. Ed in alcuni casi per misurare il calibro del suo interlocutore, e trattarlo di conseguenza.
Non perde occasione per informarsi. Durante la guerra dell’Angola descrisse una battaglia con tale minuziosità in un’accoglienza ufficiale che costò molto tempo convincere un diplomatico europeo che Fidel Castro non vi avesse partecipato. Il racconto che fece della cattura ed assassinio del Che, quello che fece dell’assalto de La Moneda e della morte di Salvador Allende o quello che fece delle stragi del ciclone Flora, erano come grandi reportage parlati. 
La sua visione dell’America Latina nel futuro, è la stessa di Bolivar e Martí, una comunità integrale ed autonoma, capace di muovere il destino del mondo. Il paese del quale sa di più dopo Cuba, sono gli Stati Uniti.
Conosce a fondo l’indole della loro gente, le loro strutture di potere, i secondi fini dei loro governi, e questo l’ha aiutato a contrastare il temporale incessante del blocco.
In un’intervista di varie ore, si trattiene su ogni tema, si avventura per i suoi luoghi impervi e per quelli meno pensati senza trascurare mai la precisione, cosciente che una sola parola usata male, può causare danni irreparabili. Non si è mai negato a rispondere a nessuna domanda, per provocatoria che sia, e non ha mai perso la pazienza. Su quelli che gli nascondano la verità per non causargli più preoccupazioni di quelle che ha: Lui lo sa. Ad un funzionario che lo fece, gli disse: Mi occultano verità per non inquietarmi, ma quando alla fine le scopro come minimo morirò per l’impressione di affrontare tante verità che non mi hanno mai detto. Le più gravi, senza dubbio, sono le verità che gli sono occultate per nascondere le deficienze, perché al lato degli enormi risultati che sostengono la Rivoluzione come i risultati politici, quelli scientifici, quelli sportivi, quelli culturali – c’è un’incompetenza burocratica colossale, che colpisce quasi tutti gli ordini della vita quotidiana, e specialmente la felicità domestica.
Quando parla con la gente della strada, la conversazione recupera l’espressività e la franchezza cruda degli affetti reali. Lo chiamano: Fidel. Lo circondano senza rischi, gli danno del tu, discutono con lui, lo contraddicono, gli reclamano cose, con un canale di trasmissione immediata dove circola la verità a fiotti. È allora che si scopre l’essere umano insolito che lo splendore della sua propria immagine non lascia vedere. Questo è il Fidel Castro che credo di conoscere: Un uomo di abitudini austere ed illusioni insaziabili, con un’educazione formale all’antica, di parole caute e maniere tenui ed incapace di concepire nessuna altra idea che non sia enorme.
Sogna con che i suoi scienziati trovino la medicina finale contro il cancro e ha creato una politica estera di potenza mondiale, in un’isola 84 volte più piccola rispetto al nemico principale. Ha la convinzione che il risultato maggiore dell’essere umano è la buona formazione della sua coscienza e che gli stimoli morali, più che i materiali, sono capaci di cambiare il mondo e spingere la storia.
L’ho sentito nelle sue scarse ore di nostalgia alla vita, evocare le cose che avrebbe potuto fare in un altro modo per vincere più tempo alla vita. Vedendolo molto oppresso dal peso di tanti destini altrui, gli domandai che cosa era quello che più volesse fare in questo mondo, e mi rispose immediatamente: fermarmi all’angolo".

(Traduzione Aldo Galvagno- Sipor Cuba)

domenica 27 novembre 2016

DESECRETATI I DOCUMENTI DELLA CIA COI PIANI E GLI ATTACCHI PER ROVESCIARE IL GOVERNO CUBANO





Eisenhower, Kennedy, Johnson, Ford, Carter, Reagan, Bush padre, Eisenhower, Kennedy, Johnson, Ford, Carter, Reagan, Bush padre, Clinton, Bush figlio, Obama.
Sono ben 10 i presidenti americani a cui Fidel Castro è sopravvissuto, insieme alla sua rivoluzione del ’59. E oggi finalmente l’ultimo dei 10 presidenti ha riconosciuto che l’embargo durato più di 50 anni non è servito a nulla.
Per capire meglio quanto la rivoluzione cubana abbia dato fastidio agli americani, ripubblichiamo alcuni documenti desecretati della CIA, nei quali gli “astuti” uomini di Langley mettevano insieme le idee più bizzarre per cercare di rovesciare il regime castrista. (Tutto questo, naturalmente, al netto di “Operation Northwoods”, dove si suggeriva di abbattere un drone americano nelle vicinanze di Cuba, per poi dare la colpa a Fidel Castro).
Desecretati i documenti della CIA: ecco quante volte gli USA hanno tentato di rovesciare Cuba

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“Questo fa sul serio”.
Dopo un pò di tempo dal successo della rivoluzione, gli USA capiscono che Castro non è un fringuello di passaggio, e cominciano a pensare seriamente di destabilizzarlo in tutti i modi. La CIA partorisce così centinaia di idee, ognuna con un particolare “nome in codice” – alcune praticabili, altre semplicemente ridicole, ma tutte comunque criminali – che mostrano già il germe di quella mentalità di inganno e tradimento che oggi si dà ormai per scontata in tutte le operazioni in cui la CIA sia in qualche modo coinvolta.

                                                                             
1. OPERAZIONE “STRITOLAMENTO”
a. SCOPO. Interrompere/danneggiare i centri di comunicazione militari e civili di Cuba.
b. METODO: Ciò si può ottenere grazie all’introduzione di uno “speciale” tubo a vuoto in particolari attrezzature di comunicazione. Il tubo, già disponibile, è praticamente impossibile da individuare, poiché diventa funzionale solo in seguito all’inserzione di un certo composto chimico alla sua base. Tale composto diventa un conduttore di elettricità solo quando riscaldato.

2. OPERAZIONE “BIGLIETTO OMAGGIO”
a. SCOPO. Creare subbuglio e dissenso nella popolazione.
b. METODO. Ciò si può ottenere paracadutando dei biglietti validi, di sola andata, della PanAmerican o della KLM, per Mexico City, Caracas, ecc. (ma non USA). Insieme ai biglietti si potrebbe paracadutare altro materiale di propaganda. La quantità di biglietti potebbe [man mano]aumentare. La loro validità dovrebbe essere limitata.
3. OPERAZIONE “INVERSIONE DI MARCIA”
a. SCOPO. Creare indicazioni che l’importanza di Castro per la causa della rivoluzione sia in caduta, al punto tale che se ne stia progettando la “rimozione”.
b. METODO – Uso dei vari sistemi dell’ intelligence, in un crescendo che arrivi un giorno a far scoprire a Castro l’inganno o trucco. [?]


4. OPERAZIONE “DISERTORE”
a. SCOPO. Indurre elementi o individui dell’esercito di Cuba a disertare, insieme ad equipaggmento/attrezzature.
b. METODO. Questo fenomeno, quando ben pianificato e messo in atto, porta ad una riduzione del potenziale di guerra. In un sistema totalitario la reazione immediata è quella di una stretta nei controlli accompagnata da un calo delle attività. Porta inoltre scompiglio all’interno dei servizi segreti. Si può ottenere coi [soliti]metodi di intelligence, e con la promessa di ricompense.
5. OPERAZIONE “CEDIMENTO MECCANICO”
a. SCOPO. Introdurre di nascosto materiali che possano causare incidenti ad aerei, veicoli, o navi.
b. METODO. Se possibile, questa attività andrebbe concentrata sugli aerei di produzione sovietica. Se ben eseguita, dovrebbe portare una perdita di fiducia nelle attrezzature, aumentare i problemi dei ricambi e della manutenzione, e intaccare seriamente le capacità belliche.
6. OPERAZIONE “INSABBIAMENTO”
a. SCOPO: convincere il governo comunista di Cuba che le forze navali assegnate al progetto Mercury [capsula spaziale, primo americano in orbita]non sono che una copertutra.
b. METODO: Non bisogna far sapere per che cosa sia esattamente la copertura. Questo va lasciato a loro da capire. Questa si può collegare all’operazione “Sporco Trucco”.
7. OPERAZIONE “SPORCO TRUCCO”
a. SCOPO. Produrre prove irrefutabili che, nel caso il volo Mercury dovesse fallire, la colpa è dei comunisti e dell’intera Cuba.
b. METODO. Preparare in anticipo prove varie che mostrino interferenze elettroniche da parte di Cuba.
8. OPERAZIONE “PIENO DI BENZINA”
SCOPO. Far perdere fiducia nei combustibili forniti dal Blocco Sovietico, suggerendo che siano contaminati.

METODO. Introdurre un particolare attivante biologico nei depositi di carburante dell’aviazione. Questo composto cresce a contatto col carburante fino a mangiarsi l’intero spazio disponibile all’interno del serbatoio.
9. OPERAZIONE “UOMO OMBRA”.
SCOPO. Convincere il governo di Castro che la penetrazione clandestina e il rifornimento di agenti sono costantemente in corso.
METODO. Grazie alle caratteristiche di BJ, UDT, e JJ [?], creare l’impressione che sbarchi siano avvenuti su varie spiagge e che lanci paracadutati siano avvenuti in altre zone. [Forse lasciare detriti, avanzi, pezzi di paracadute, ferraglia, roba varia?
10. OPERAZIONE “TOMBOLA”
SCOPO. Creare un incidente in cui appaia che le basi statunitensi a Cuba [Guantanamo] siano state attaccate, fornendo così una valida scusa per l’intervento militare USA, inteso a rovesciare l’attuale governo di Cuba.
METODO. Ciò è possibile grazie all’utilizzo di SNAKES [specie di mortaretti multipli]appena fuori dai limiti della base di Guantanamo. Gli snakes simulano i rumori di un effettivo scontro a fuoco, ed è più che lecito aspettarsi che in nostri soldati reagiscano come se la base fosse davvero sotto attacco. Con adeguata preparazione, a ciò si potrebbe far seguire un controattacco, e la base potrebbe “erogare” forze a sufficienza per reggere fino all’arrivo di aiuti – allertati in precedenza – che attaccherebbero poi altre zone dell’isola.
Si calcola che un sequenza di eventi come questa porterebbe al tracollo l’esercito cubano, causandone la sconfitta.
(1) Attacco simulato a Guantanamo.
(2) Se ne da notizia al Presidente.
(3) Il Presidente ordina il contrattacco, che include:
(a) Decollo immediato di bombardieri preallertati, con bersaglio le piste degli aeroporti cubani.
(b) Contrattacco con strategia coordinata in comunicazione con Cuba.
(c) Flotta, preallertata, muove verso bersagli o zone di sbarco predeterminati.
(d) Imbarco immediato via aria di truppe preallertate verso bersagli prestabiliti.
(e) Decollo addizionale di aerei per ripulire le zone di paracadutaggio, e bloccare ulteriormente le vie di comunicazione.
(f) Navi e aerei sbarcano truppe via mare/aria per impadronirsi di aereoporti, ferrovie, strade, ecc…
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UN COMMENTO: Il giochino di “farlo sapere al Presidente” è stato poi messo in atto, ed alla grande, con lo sbarco alla Baia dei Porci. Peccato che Kennedy abbia detto di no all’invio di rinforzi. Lui si è prenotato una pallottola per Dallas, ma il mondo ha evitato una possibile crisi atomica.

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11. OPERAZIONE “DOLCE VITA”
SCOPO. Disilludere la popolazione cubana riguardo alla figura di Castro, con distribuzione di falso materiale fotografico.
METODO. Preparare la foto prescelta, ad esempio con un Castro obeso e attorniato da un paio di “bellezze”, in una qualunque situazione, chiaramente in una stanza di casa sua, arredata di gran lusso, con la tavola imbandita del più prelibato cibo cubano, con una scritta (adeguatamente cubana) tipo “La mia porzione è diversa”. Farne quante copie se ne vuole, su carta sterilizzata [?] e poi paracadutarle sul paese o distribuirle via agenti [sul territorio]. Questo dovrebbe mostrare il vero volto persino di un dittatore rosso [Commie = dispregiativo] davanti alle masse deprivate di tutto.
12. OPERAZIONE “SOTTO PRESSIONE”
SCOPO. Far credere a Castro che alcuni piloti rossi “solo di facciata” stiano in realtà pensando di disertare, causando così un incremento dannoso delle misure di sicurezza.
METODO. E’ noto come molti piloti cubani conoscano personalmente dei piloti della CRAF (Civil Reserve Aviation Force). Di conseguanza, usando tutte le fonti disponibili, determinare i nomi di quei piloti considerati fedelissimi a Castro. Far girare poi la voce che questi piloti stiano per disertare, per motivi economici o ideologici. L’inevitabile giro di vite alle misure di sicurezza dovrebbe danneggiare la figura di Castro, oltre che imporre restrizioni insopportabili alle attività di esercitazione.

Fonte: www.pressnewsweb.it

Tratto da: morasta.it










Lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano spiega Fidel a Saviano



Consiglio questo commento dello scrittore uruguaiano Eduardo Galeano ai tanti Saviano che in queste ore commentano la morte di uno dei più grandi protagonisti del Novecento con la volgarità degna di Trump.


I suoi nemici dicono che è stato un re senza corona e che ha confuso l’unità con l’unanimità.
E in questo i suoi nemici hanno ragione.
I suoi nemici dicono che se Napoleone avesse avuto un giornale come il "Granma", nessun francese sarebbe stato messo al corrente del disastro di Waterloo.
E in questo i suoi nemici hanno ragione.
I suoi nemici dicono che esercitò il potere parlando molto e ascoltando poco, perché era più abituato agli echi che alle voci.
E in questo i suoi nemici hanno ragione.
Però i suoi nemici non dicono che non fu per posare davanti alla Storia che mise il petto di fronte ai proiettili quando venne l’invasione, che affrontò gli uragani da uguale a uguale, da uragano a uragano, che sopravvisse a seicento trentasette attentati, che la sua contagiosa energia fu decisiva per convertire una colonia in una patria e che non fu nè per un artificio del Demonio nè per un miracolo di Dio che questa nuova patria ha potuto sopravvivere a dieci presidenti degli Stati Uniti, che avevano il tovagliolo al collo per mangiarla con coltello e forchetta.
E i suoi nemici non dicono che Cuba è uno dei pochi paesi che non compete per la Coppa del Mondo dello Zerbino.
E non dicono che questa rivoluzione, cresciuta nel castigo, è quello che ha potuto essere e non quello che avrebbe voluto essere. Né dicono che in gran parte il muro tra il desiderio e la realtà si fece sempre più alto e più largo grazie al blocco imperiale, che affogò lo sviluppo della democrazia cubana, obbligò la militarizzazione della società e concesse la burocrazia, che per ogni soluzione tiene un problema, l’alibi per giustificarsi e perpetuarsi.
E non dicono che considerando tutte le afflizioni, considerando le aggressioni esterne e l’arbitrarietà interna, questa isola rassegnata, però testardamente allegra, ha generato la società latino-americana meno ingiusta.
E i suoi nemici non dicono che questa impresa fu opera del sacrificio del suo popolo, però anche fu opera dell’ostinata volontà e dell’antiquato senso dell’onore di questo cavaliere che sempre combatté per i vinti, come quel suo famoso collega dei campi di Castilla.

Eduardo Galeano – dal libro "Specchi"



sabato 26 novembre 2016

DEPUTATO EUROPEO DEL PD, SCHIERATO PER IL NO, SMENTISCE LE BUGIE DEL PARTITO



di Flavio Zanonato
deputato europeo



Affermazioni che non si possono smentire e di cui nella discussione sul Referendum bisognerebbe tenere conto.

1. Non c'è stata nessuna discussione nel PD prima della proposta della riforma Boschi; nella delegazione dei democratici in Parlamento Europeo MAI discusso, nel gruppo regionale PD veneto idem, lo stesso negli organismi dirigenti veneti e provinciali del PD. 
2. L'iniziativa per la riforma é del Governo e non del Parlamento. Viene smentito Calamandrei che dice: «Quando l’assemblea discuterà pubblicamente la nuova Costituzione, i banchi del governo dovranno essere vuoti; estraneo del pari deve rimanere il governo alla formulazione del progetto, se si vuole che questo scaturisca interamente dalla libera determinazione dell’assemblea sovrana». Ovviamente si può dissentire da Calamandrei senza però citarlo quando fa comodo.
3. L'Italicum é stato votato sotto il ricatto del Governo che ha posto per 3 volte la fiducia. La legge é pensata per un sistema bipolare (csx vs cdx) Ora Renzi afferma di volerlo radicalmente cambiare. Innegabile il collegamento con la riforma costituzionale. La stessa suprema corte ha deciso di giudicare l'Italicum dopo i, Referendum dimostrandone la stretta connessione.
4. Il Parlamento nell'approvare la riforma costituzionale ha dovuto "tenere conto" dell'affermazione del Presidente del consiglio che annunciava le dimissioni in caso di mancata approvazione della riforma.
5. Il Referendum si é trasformato per la gran parte degli Italiani in un voto su Renzi e pochi conoscono il contenuto della riforma. Il principale responsabile, non l'unico, di questo é lo stesso Renzi.
6. Nelle recenti votazioni amministrative il PD ha perso tutti i ballottaggi nei capoluoghi, Roma ha visto la Raggi al 67%, a Torino ha vinto la candidata 5 S. Il rischio di consegnare il Paese ai grillini non dipende dal l'esito del Referendum. Dipende dalle aspettative deluse di una grande parte degli elettori.
7. TUTTE le leggi che sono approvate dalla Camera possono essere discusse dal Senato su richiesta di un terzo (34) dei senatori, facile immaginare che l'opposizione avrà almeno un terzo dei senatori e che quindi tutte le leggi saranno discusse anche dal Senato con successivo ritorno alla Camera. Serviranno più di due giorni al mese!
8. Le decisione relative alle normative europee saranno discusse sia dalla Camera che dal Senato in modo paritario; questo significa che se il Senato non condivide l'opinione della maggioranza della Camera non sarà possibile per il Paese adottare le decisioni europee e mancherà la possibilità per il Governo di porre la fiducia, perché al Senato il Governo non può porre la fiducia.

Fidel, grazie anche per la Pace




(UN ARTICOLO DI MARINELLA CORREGGIA PUBBLICATO NEL 2013)

13 AGOSTO 2013
Fra i tanti aspetti del suo agire politico, ricordiamo il suo ruolo di attore internazionale contro le guerre infinite; anzitutto per prevenirle. Come è stato per  Hugo Chavez.
Non c’è dubbio che Fidel abbia sempre ispirato il fermo impegno di Cuba in tutte le sedi (a cominciare dall’Onu) contro l’incubo della guerra nucleare. ma anche direttamente contro le guerre imperialiste che ci hanno fatto ingollare con la “dittatura mediatica”, per citare una sua espressione.
Un breve riepilogo sul ruolo di Cuba di fronte alle cinque guerre di bombardamenti portate avanti dall’Occidente e dai loro alleati.
Novembre 1990, Iraq. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu approva una risoluzione che autorizza il ricorso alla forza contro l’Iraq e un ultimatum per il 15 gennaio. E’ in pratica l’avallo alla terribile guerra che seguirà. Cuba, membro non permanente del Consiglio quell’anno, è l’unica a votare risolutamente contro – insieme allo Yemen. La Cina si astiene.
Baghdad, 1991. Un medico cubano di origine palestinese, Anuar, aiutava i colleghi iracheni nell’emergenza del dopoguerra e dell’embargo. In seguito, le brigate mediche internazionali di Cuba mandate negli epicentri del bisogno sono diventate un grande esercito pacifico.
Jugoslavia 1999. Sul quotidiano Granma il 25 marzo Cuba immediatamente esprime la propria posizione contro la “ingiustificata aggressione Nato contro la Jugoslavia, capeggiata dagli Stati uniti”, senza autorizzazione Onu. Pochi giorni dopo Fidel invita gli jugoslavi a “resistere, resistere e resistere”: lo ricorda anni dopo nel suo articolo Le guerre illegali dell’impero  parlando di un “unipolarismo oltraggioso, sostenuto da un impero guerrafondaio, che si erge a polizia mondiale.
2001, Afghanistan. Il 23 settembre Fidel Castro avverte che attacchi militari Usa sull’Afghanistan potrebbero avere conseguenze catastrofiche e dichiara l’opposizione di Cuba sia alla guerra che al terrorismo. Anni dopo, nel 2009, Fidel spiega che il ritiro del Nobel per la pace da parte di Barack Obama è stato un “atto cinico” visto il continuo impegno di guerra in Afghanistan “incurante delle vittime”, e visto che gli Usa sono una super potenza imperiale con centinaia di basi militari dispiegate in tutto il mondo e duecento anni di interventi militari".
2003, Iraq. Alla vigilia della nuova guerra annunciata, quasi tutti gli ambasciatori e relativi staff partirono in fretta. Non Cuba. L’ambasciatore e parte dello staff rimasero là, sotto le bombe, e per noi pacifisti dell’Iraq Peace Team, quell’ambasciata era un’isola di pace. L’ambasciatore partì solo all’arrivo dei marines: “non riconosciamo gli occupanti” ci disse salutandoci.
Marzo 2011. Fidel Castro, in un suo articolo del 3 marzo, chiede al mondo di sostenere la proposta negoziale per la Libia avanzata da Hugo Chavez, appoggiata ufficialmente dai paesi dell’Alba: “Il presidente bolivariano sta portando avanti un encomiabile sforzo per trovare una soluzione senza l’intervento della Nato in Libia. Le sue possibilità di successo saranno maggiori se egli otterrà l’appoggio di un ampio movimento di opinione a favore dell’idea, prima che si verifichi l’intervento armato e non dopo, per evitare che i popoli debbano veder ripetere altrove l’atroce esperienza dell’Iraq”. Se i movimenti e i popoli avessero dato seguito a questo appello, i paesi dell’Alba sarebbero diventati mondialmente un “pool di pronto intervento per la pace”. Chi, negli ultimi due anni – diciamo dall’inizio della guerra Nato alla Libia – ha sperimentato la difficoltà dell’impegno per la pace, nell’assordante silenzio della sinistra occidentale e del fu movimento pacifista, è a Cuba, al Venezuela e a pochi altri che ha fatto riferimento. Non a caso, nel  corso dei bombardamenti, è un cubano (Rolando Segura di Telesur) il giornalista che a Tripoli si discosta dall’esaltazione mediatica della guerra e della “rivoluzione”. Nel frattempo, da Cuba, Fidel definisce le operazioni Nato "un crimine mostruoso" e "genocidio".
2012 e 2013, Siria. Cuba si oppone ai tentativi di spacciare per umanitaria l’ingerenza Nato e petromonarchica in Siria. A questa ingerenza anche armata che ha fomentato una guerra devastante, Cuba e pochi altri – fra questi Venezuela, Bolivia, Nicaragua – hanno detto no in molte circostanze, quasi in solitudine, sia a Ginevra (Consiglio dei diritti umani dell’Onu) che a New York (Assemblea generale dell’Onu, l’ultima volta in maggio, i soliti 12 no e 57 astenuti). All’apice della propaganda internazionale, l’ambasciatore cubano a Ginevra dopo il massacro di Houla dichiarava: “(…) Il più elementare senso di giustizia deve impedire che si attribuiscano responsabilità a partire da semplici insinuazioni di parti interessate a promuovere la destabilizzazione e l’intervento militare straniero in Siria, per i quali i paesi della Nato dedicano notevoli risorse, finanziando e armando un’opposizione che soddisfi le loro ansie di cambio di regime in questo paese (…). La condotta di alcuni membri della Nato nella regione dell’Africa del nord e del Medio Oriente, i loro ingiustificabili bombardamenti, i crimini contro i civili indifesi e il silenzio complice di fronte alle azioni d’Israele contro il popolo palestinese, sostengono le tesi che non è precisamente la promozione e la protezione dei diritti umani la legittima motivazione del dibattito che oggi ci occupa“. (…)