di Susan Abulawa
17/11/2016
Un
giornalista mi ha chiesto se ero preoccupata (impaurita) della possibile
registrazione dei musulmani. Ho risposto qualcosa che non sentivo del tutto, ma
poi l’ho corretta. Ho paura, come mi è successo molto tempo prima delle recenti
elezioni, per intere nazioni – di animali ed esseri umani - che vivono al fine
di ricevere l'inesorabile, spietata, orribile crudeltà delle forze armate degli
Stati Uniti e della mostruosa macchina del capitalismo che fa appassire il
nostro pianeta sotto i nostri occhi. Sono preoccupata, come sempre, per milioni
di bambini neri e marroni che sono ammaestrati dalla società, in innumerevoli
modi - sia palesi che segreti; espliciti e impliciti – modi che giudico
indegni. Mi dolgo per la mia storia e il mio retaggio, usurpato tutti i giorni da
stranieri che pensano che Dio sia uno spietato magnate immobiliare che li ama
di più. Anche se so che un tale registro, insieme ai crescenti crimini contro i
musulmani e le persone di colore, ci farà male, e, certamente, non è quello che
domina la mia preoccupazione e la paura del vuoto Ci si sente egoisti se questo
fosse il caso. Io non sono migliore di milioni di mie sorelle irachene, siriane,
palestinesi e libiche le cui vite sono così deformate ora che non sanno come
mantenere i loro bambini al sicuro; come nutrirli, vestirli ed educarli. Lo
stesso si può dire per le donne di tutta l'America Latina, dei Caraibi, dell’Africa.
Un piccolo gruppo di persone hanno creato queste condizioni nel mondo, la
maggior parte dei quali ha agito nell’ombra. Uno degli aspetti chiave della
resistenza deve ruotare attorno al tipo di ricerca che li identifichi e li chiami
per nome, li processi e li condanni pubblicamente, e, quindi mettere in chiaro
che le loro ricchezze e la loro sicurezza non sono predestinate. Sono sempre
più convinta che la nostra più grande speranza riposi in una volontà
collettiva, aggressiva e militante.
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