La lettera è comparsa in Huffington Post
Dalla
chiusura delle urne del 4 dicembre, nonostante la direzione nazionale
permanente, siamo ancora privi di un dibattito serio e profondo sul significato
del voto per la vita, la natura e il destino del nostro Partito e del nostro
Paese. Non è una novità.
Anche dopo
la bruciante sconfitta delle amministrative in città come Roma, Torino e
Napoli, accadde la stessa cosa e fummo travolti da una nuova campagna
elettorale, quella referendaria. Eppure, a pochi giorni dal referendum, non
erano mancate altre spie eloquenti, come quella di Monfalcone, area storica del
nostro insediamento persa in modo eclatante. Ancora una volta, muti davanti a
questa catena di sconfitte - referendum compreso - il lavacro di nuove elezioni
sembra essere l'unica risposta possibile.
Leggi
l'intervento di Fabrizio Barca: "Una sola strada per il Pd, cambiare le
regole del gioco prima del Congresso".
È giunto
però il momento di fermare i motori e i camper, altrimenti lo schianto sarà
distruttivo. Dopo il voto amministrativo scrissi, da queste colonne, che la
causa della sconfitta elettorale andava cercata negli errori del governo e del
premier-segretario Matteo Renzi, identificati come sostenitori di un assetto
economico e sociale ostile alla nostra gente.
Invocavo
allora politiche serie a favore dei vecchi e nuovi poveri, dei disoccupati e
delle famiglie in sofferenza che sostengono anziani, malati e disabili, dei
giovani senza lavoro, dei pensionati al minimo, delle partite iva e delle
imprese più dinamiche, che sono in cerca di nuove relazioni territoriali e
servizi più efficienti.
L'unica
politica possibile e alternativa all'austerità può muovere da una legge contro
la povertà assoluta, piani occupazionali mirati, investimenti pubblici e
sostegno a quelli privati, dalla riduzione del cuneo fiscale. In assenza di un
intervento massiccio saranno solo i lavoratori a pagare il conto. Ecco perché
insisto col dire che portare in primo piano la questione sociale e l'emergenza
lavoro, a partire dal Mezzogiorno e dai giovani, è l'unica azione prioritaria e
urgente che tocca al nuovo governo, per evitare di restare fotocopia del
precedente nella forma e nella sostanza.
Per il
Partito invece, allora e ora, chiedo - come ha già fatto Fabrizio Barca - di
dar vita a un organismo collegiale, che rappresenti al di là del loro peso
tutte le aree del partito, le personalità e i territori.
Solo così il
pluralismo del Pd potrà esprimersi e confrontarsi nel merito, superando il
deserto occupato dalle macerie della sconfitta e dall'ombra di un leader in
solitudine lanciato di nuovo verso le urne. Affidiamo a un organismo ristretto,
legittimato da un voto in assemblea e da un mandato preciso, il compito di
preparare il congresso, riformare lo statuto e ripensare le "regole del
gioco". Il voto è stata una fiammata di partecipazione popolare e
democratica che ha visto in prima linea i giovani. Un'ondata che dobbiamo
accogliere e riscoprire.
Alle scelte
politiche sbagliate, pagate nel voto a caro prezzo - l'attacco ai corpi
intermedi, la detassazione indiscriminata, la pioggia di bonus, la stretta
sugli enti locali, l'aumento del debito pubblico e l'assenza di un vero piano
di investimenti per il lavoro e per il Mezzogiorno - si è aggiunta una campagna
elettorale referendaria completamente sbagliata. Segnata dal distacco profondo
tra propaganda e realtà. Dalla violenza di uno scontro gratuito e non adeguato
ai tempi.
Una campagna
condotta con argomenti non di sinistra, come l'attacco al parlamentarismo e la
riduzione del numero dei politici. Chi ha concepito questi slogan e chi li ha
seguiti con incoscienza ha pensato, sbagliando, che il veleno si contrasta col
veleno e il populismo con il populismo. Il nostro elettorato si è diviso e ha
espresso un moto di fastidio e rigetto.
Nel fuoco
della sconfitta sono arsi anche i feticci di un'epoca probabilmente chiusa. Il
leaderismo senza freni, il consenso come "plebiscito d'ogni giorno" e
il peronismo mediatico, cascami di una rivoluzione linguistica e politica
avviata da Berlusconi e riesumata da Renzi. In questa corsa continua verso gli
"unti del signore" non abbiamo fatto i conti con una crisi economica
senza precedenti, che ha smontato strutture sociali e corpi intermedi, rompendo
il compromesso tra "democrazia" e "capitalismo" che ha sostanziato
la vita italiana dal dopoguerra in poi.
Siamo
sembrati anzi gli interpreti di una svolta fondata sulla riduzione e la
privatizzazione della politica. A differenza di tanti pessimisti, nel voto del
4 dicembre ho letto però un grande e positivo investimento di speranza. La riscoperta
della Costituzione come insieme dei valori comuni che correva il rischio di
essere disperso. Pur nel disagio della sofferenza sociale, il tessuto che sta
dietro la carta comune è tornato a parlarci di un "patriottismo
costituzionale" che pareva introvabile.
Questo nuovo
senso di cittadinanza però senza un soggetto politico organizzato per ricucire
le fratture tra centro e periferia, tra Nord e Sud, tra ceto politico e corpo
sociale rischia di restare inascoltato e ritornare passivo. Dopo una sconfitta
di questa entità è certo necessario tornare al voto in tempi rapidi, dopo gli
opportuni interventi in materia di legge elettorale. Ma la nuova fase che si
apre non è più compatibile con la democrazia del leader. La ripartenza deve
portare il segno del pluralismo e della dialettica, non quella dell'assolutismo
e del plebiscito.
Il Pd deve
tornare a essere coerente con la sua storia. Non registro, pur partecipando a
molti confronti e dibattiti, alcun bisogno, da parte dei nostri amici e
compagni, di sconfiggere la sinistra. Piuttosto sento l'urgenza di un congresso
vero e ordinato. Non accetterò in alcun modo che chi assume posizioni di
critica e dissenso sia emarginato o espulso. Sono per ragionamenti e confronti
schietti, tra di noi e verso il Paese. Le travi che reggono la nostra casa si
sono incurvate.
Una nuova
torsione sulle regole, condotta da una parte contro un'altra, sarebbe un colpo
fatale. Io mi candido per spostare a sinistra l'asse culturale e politico del
partito, e sono pronto subito, ma è importante dedicare il tempo che serve
all'elaborazione di regole comuni e condivise. Ha ragione Fabrizio Barca:
bisogna snellire gli organismi.
È
intollerabile una direzione elefantiaca dove non si discute quasi mai e dove
manca un ordine del giorno e bisogna accantonare lo streaming forzato, che
rischia di trasformare le riunioni in conferenze stampa interminabili e in gare
di retorica. Anche le primarie non possono ridursi al solo scontro tra
personalità. Devono diventare il punto di approdo di un confronto politico che
coinvolge i circoli e i territori, che esprime concretamente le tendenze
culturali e valoriali prevalenti tra la nostra base e il nostro elettorato. Per
far questo è necessario mobilitare tutto il nostro capitale umano,
riconquistando soprattutto chi non ha rinnovato la tessera e si è allontanato
per disagio e senso di estraneità.
Caro
Fabrizio, io ci sono. Uniamoci e lavoriamo in comune per salvare la politica e
il Partito. Mai come ora le due categorie sono tornate a coincidere.
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