venerdì 2 dicembre 2016

Israele scarica i rifiuti in Palestina come estremo segno di disprezzo




L’Autorità Palestinese per l’Ambiente ha presentato una denuncia contro Israele presso il Segretario Generale della Convenzione di Basilea per aver cercato di scaricare rifiuti pericolosi in un villaggio vicino a Betlemme. La Convenzione di Basilea è un accordo internazionale che ha il preciso obiettivo di scongiurare questi movimenti oltre confine per lo smaltimento dei rifiuti pericolosi. Il Portavoce dell’Autorità Palestinese per l’Ambiente, Yasser Abu Shanab, ha annunciato che due camion israeliani sono stati bloccati il 18 ottobre mentre entravano nel villaggio di Zaatratold, e che l’Autorità Palestinese ha giustamente sporto denuncia, ottemperando agli obblighi che ciascuno Stato Membro della Convenzione di Basilea ha di denunciare traffici illeciti di rifiuti. Non è la prima volta che rifiuti tossici passano il confine di Israele per essere depositati in Palestina. Lo scarico improprio di rifiuti tossici è da tempo una minaccia per l'acqua potabile nella regione, che è anche molto poca. I rifiuti tossici infatti si infiltrano nei terreni, e sostanze quali cloro, arsenico ma anche metalli pesanti come cadmio, mercurio e piombo finiscono nelle falde acquifere. Il bacino che alimenta queste falde è per lo più in Cisgiordania e fornisce acqua ad una popolazione di oltre 2,3 milioni di palestinesi. La gestione del ciclo dei rifiuti - e ovviamente non si parla di comuni rifiuti urbani - è certamente l'aspetto meno noto della vita quotidiana nei territori palestinesi di Cisgiordania. Eppure è una vera crisi, una vera emergenza. Da anni gli israeliani usano la Cisgiordania come alternativa facile per scaricare i loro rifiuti, a spese della salute dei palestinesi. Molte industrie israeliane preferiscono questa soluzione di stampo mafioso, piuttosto che portare i loro scarichi tossici e nocivi nella discarica apposita per i rifiuti speciali, situata a Ramot Havav, nel Sud di Israele. Eclatante, poi, il caso della ditta produttrice di pesticidi per l'agricoltura che nel 1985 ha dovuto chiudere il suo stabilimento a Kfar Sava, in territorio israeliano, per ingiunzione del tribunale locale, e ha creduto bene di spostare l’attività 5 produttiva in un nuovo stabilimento a Tulkarem, nella Cisgiordania settentrionale. Ma non si è trattato di un episodio isolato. Secondo l'Applied Research Institute (ARI), un istituto indipendente di ricerca ambientale che ha sede a Gerusalemme, le autorità israeliane sono piuttosto tolleranti quando si tratta di scarichi tossici che avvengono in territorio palestinese. Secondo l'ARI, molti provengono direttamente dagli insediamenti israeliani, e includono sia reflui domestici, sia sostanze tossiche agricole, amianto, batterie, cemento e alluminio. L’invasione dei rifiuti israeliani non fa che aggravare la gestione del ciclo dei rifiuti palestinese, di per sé problematica per le restrizioni ai movimenti imposte dall'esercito israeliano. Se ciò non bastasse, l’ONG internazionale Friends of the Earth ha denunciato da qualche anno la comparsa di una nuova minaccia alla salute degli abitanti della Cisgiordania: i frequenti roghi di rifiuti speciali di provenienza israeliana. Tutto questo rappresenta un ennesimo segno di prevaricazione, una delle tante forme che può assumere l’occupazione: in questo caso l’occupazione attraverso i rifiuti, ai danni di un popolo trattato come se fosse uno scarto dell’umanità

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