di Diego Pautasso*
La Turchia è un attore centrale nelle dinamiche geopolitiche del Medio Oriente. Ma la sua importanza è proporzionale agli interessi contraddittori che permeano il suo inserimento nella regione.
Da un lato, questo paese è stato un alleato storico dell'Occidente, membro decisivo della NATO durante il periodo della Guerra Fredda, con un ruolo chiave nel controllo dello Stretto del Bosforo e dell'accesso sovietico/russo al Mar Mediterraneo. Con la guerra civile in Siria, innescata dalla Primavera Araba (2011), il governo turco è stato parte del sostegno concesso all'opposizione insorgente contro il governo di Bashar al-Assad, convergendo sulle posizioni delle monarchie del Golfo Persico guidate dall'Arabia Saudita e dal Qatar nel Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG). Anche con l'avvento dello Stato Islamico, il governo turco ha beneficiato sia del contrabbando del petrolio che finanziava il jihadismo, che della lotta condotta contro Assad e i separatisti curdi. In altre parole, la Turchia era un elemento importante dell'asse NATO-CCG nello scenario della crisi siriana.
D'altra parte, l'abbattimento di un caccia russo nel novembre 2015 alla frontiera della Turchia con la Siria ha cominciato a cambiare il quadro politico. Invece di scatenare una rappresaglia russa, Putin è stato refrattario e non si è lasciato “prendere all'amo”. L'obiettivo era quello di provocare un inasprimento dell'animosità tra le due parti e ampliare l'accerchiamento e il contenimento della Russia, con la conferma di un arco Ucraina-Turchia-Georgia. Il tentativo di golpe contro Erdogan nel luglio del 2016 con il probabile assenso degli Stati Uniti ha intensificato l'approccio bilaterale, poiché tutto indica che l'intelligence russa abbia informato le autorità turche dei movimenti golpisti, oltre ad avere prestato solidarietà dopo l'insuccesso dei militari. Nella stessa direzione, è chiaro, come ha rilevato Putin, che l'assassinio dell'ambasciatore russo in Turchia, Andrei Karlov (19/12), sia il tentativo di far implodere il processo di pace in Siria e di sabotare la normalizzazione delle relazioni tra Mosca e Ankara.
Questo movimento di attrazione della Turchia rafforza l'asse Russia-Iran nel conflitto siriano. Va notato come da quando la Russia ha deciso di fornire appoggio politico e militare alla Siria nel settembre 2015, l'ingerenza occidentale sia stata neutralizzata evitando che al paese toccasse la stessa sorte della Libia. E ancora di più: esso ha garantito la conservazione di Assad, l'integrità politica e territoriale siriana, la lotta allo Stato Islamico e la diminuzione della crisi umanitaria. La svolta della politica estera turca prende in considerazione non solo i destini della guerra siriana, ma anche l'appoggio ai suoi conflitti territoriali e alla potenziale interruzione di condotti energetici nella regione (dal momento che senza la Siria, il progetto del Qatar e impraticabile, a differenza dei progetti russo-iraniani).
Sebbene caratterizzato da incertezze, il destino dell'avvicinamento Russia-Turchia e la recente conquista di Aleppo da parte di Assad e dei suoi alleati nel dicembre 2016 segnalano uno scenario non solo un poco più promettente per la crisi siriana ma anche il potenziale cambiamento negli allineamenti e nei rapporti di forza della regione. Staremo a vedere...
*Diego Pautasso è dottore in Scienze Politiche, professore di Relazioni Internazionali dell'UNISINOS, autore del libro China e Russia no Pos-Guerra Fria. E-mail: dgpautasso@gmail.com
Traduzione di Marx21.it
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