mercoledì 15 marzo 2017

LO SCERIFFO NORDAMERICANO VIOLA I DIRITTI UMANI PIU' DI TUTTI




di Diego Angelo Bertozzi 



14 Marzo 2017 
per Marx21.it

Ogni anno il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti pubblica un rapporto sullo stato dei diritti umani nel Mondo, sorvolando puntualmente sulla propria preoccupante situazione interna. A redigerlo è la superpotenza militare e tecnologica che elevandosi a tutore mondiale degli stessi, dal 1990 non ha esitato a scatenare guerre di aggressione, disintegrando interi Paesi e seminando morte.

Ma non solo: questo autoproclamato “sceriffo” ha partorito – come rivelato dal gruppo Wikileaks sotto la sigla “Vault 7” – un piano di controllo globale – avrebbe senso l’utilizzo della parola “totalitario” - per intromettersi nella vita privata di cittadini di Paesi amici e nemici senza distinzione sfruttando (si pensi al caso europeo con il consolato americano a Francoforte operante come base CIA per l'hackeraggio) anche la propria capillare presenza militare.

Fortunatamente non tutti sono ancora disposti a subire in silenzio l'irrevocabile giudizio e l'imposizione di una concezione assai ristretta dei diritti in oggetto; non tutti sono inclini ad accettare un “bombardamento dell’indignazione”  - nuova espressione della vecchia “missione di civiltà” dell’Occidente colonialista – chiamato a giustificare embarghi e nuovi interventi militari; c'è chi replica ad una operazione politica che ha il chiaro compito di delegittimare Paesi considerati avversari od ostacoli allo spiegamento del disegno di dominio imperiale.

Da qualche anno a questa parte, l'Ufficio Informazioni del Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese, basandosi su fonti statunitensi e in generale occidentali, stende un proprio rapporto che racconta un quadro desolante, in continuo peggioramento - “catastrofico” -  della situazione dei diritti umani nel Paese che da secoli si arroga l'imperiale diritto di esportare civiltà e democrazia. Un rapporto, quello relativo al 2016, che ha il pregio di allargare la propria analisi sull’impatto globale in termini di diritti umani delle politiche statunitensi, con speciale riferimento alla cosiddetta guerra al terrorismo. Inoltre, nel rispetto di una tradizionale visione dei comunisti cinesi, il campo dei diritti umani è allargato al terreno economico e sociale. Ne consigliamo, quindi, una puntale lettura, paragrafo per paragrafo.

Qui ci limitiamo a dare risalto ad alcuni aspetti che disegnano – come anticipato – un ritratto impetuoso della “Città sulla collina”.

Nel 2016 la percentuale di adulti statunitensi che gode di un lavoro a tempo pieno ha raggiunto il minimo storico dal 1983, la classe media – tradizionale vanto della “american way of life” - vive da decenni una progressiva contrazione: negli ultimi trent’anni il 70% dei redditi prodotti è andato nelle tasche del 10% dei più ricchi; i 500 amministratori delegati (Ceo) più ricchi del Paese hanno ottenuto un salario medio 340 volte superiore a quello di un lavoratore medio (il cui stipendio è stagnante da ormai cinquant’anni); se lo stipendio degli amministratori delegati delle 350 imprese più grandi è cresciuto tra il 1970 e il 2015, tenendo conto dell’inflazione, del 940%, la paga di un semplice lavoratore ha visto un incremento di solo il 10%. Non è tutto, perché questi dati preoccupanti incidono pesantemente sul più importante tra di diritti umani quale quello alla vita: uno statunitense su sette (circa 45 milioni di persone) vive in condizioni di povertà, per la prima volta in più di due decenni è diminuita l’aspettativa di vita, sono in continuo aumento i senzatetto e il numero dei suicidi. Forti lacune permangono anche sul fronte delle “questioni di genere” con le lavoratrici statunitensi che soffrono di un consistente differenziale retributivo (il 18% in meno nello Stato di New York) o costituiscono la maggior parte dei lavoratori a salario minimo a livello nazionale. Per non parlare della tutela dei minori: secondo l’Us Urban Institute quasi 7 milioni di persone tra i 10 e i 17 anni vivono in una situazione di insicurezza alimentare.

Sul fronte della discriminazione, oltre a casi specifici e report con dati statistici, sono riprese le conclusioni dell’indagine condotta sul campo, dal 9 al 29 gennaio del 2016, da un gruppo di esperti del Consiglio dei diritti umani della Nazioni Uniti. Queste le osservazioni di chi ha diretto il gruppo di esperti: "Il divario persistente in quasi tutti gli indicatori di sviluppo umano, come l'aspettativa di vita, reddito e ricchezza, livello di istruzione, l'alloggio, l'occupazione e il lavoro, e anche la sicurezza alimentare, tra gli afro-americani e il resto della popolazione degli Stati Uniti, riflette il livello di discriminazione strutturale che crea di fatto barriere per le persone di origine africana nell’esercitare pienamente i loro diritti umani. […]. Omicidi della polizia e il trauma che crearicordano il terrore razziale e il linciaggio del passato. L'impunità per la violenza di stato ha portato alla crisi attuale dei diritti umani e deve essere affrontata come una questione di urgenza".

C’è poi il campo delle violazioni dei diritti umani compiuti dagli Stati Uniti in altri Paesi, con tutto il loro portato di vittime civili. Citiamo: “Secondo Airwars, un progetto che monitora gli attacchi aerei in Medio Oriente, gli Stati Uniti hanno più volte guidato le forze della coalizione nel lancio di attacchi aerei contro le forze militari Isis in Iraq e in Siria a partire dall’8 agosto 2014. Dal 19 dicembre 2016 gli Stati Uniti ha lanciato 7.258 attacchi aerei in Iraq e 5.828 in Siria, provocando 733 incidenti con un numero stimato di morti civili tra 4568 e il 6127 (www.airwars.org 19 dicembre 2016). Secondo un rapporto del sito web del Los Angeles Times del 2 dicembre, un attacco aereo americano ha ucciso almeno 15 civili in Afghanistan, nella provincia di Nangarhar (www.latimes.com, 2 dicembre, 2016). Dal 2009, il limite superiore del numero di morti civili da droni statunitensi si attesta a più di 800 persone in Pakistan, Yemen e Somalia (www.theguardian.com, 1 luglio 2016)”. A dispetto della promessa dell’amministrazione Obama, la prigione di Guantanamo ospita ancora una sessantina di detenuti, mentre prosegue il ricorso alla tortura in prigioni Cia situate in Paesi stranieri come l’Afghanistan. Nel novembre del 2016 – ricorda il testo - “il procuratore capo della Corte penale internazionale ha detto in un rapporto che le forze armate degli Stati Uniti e la CIA possono avere commesso crimini di guerra torturando i detenuti in Afghanistan (www.csmonitor.com, 15 novembre 2016).”

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