mercoledì 24 maggio 2017

TENERI LUPI - LA POESIA DI PAOLO DI MIZIO



di Diego Siragusa

Paolo Di Mizio
Teneri lupi
Capponi Editore
pagg. 427

Quante volte abbiamo visto la figura elegante, professionalmente impeccabile, di Paolo Di Mizio composto dentro lo schermo televisivo mentre commentava le notizie o ci leggeva la rassegna stampa? Forse ci siamo chiesti cosa si nascondesse dietro la sua personalità misurata di giornalista. Per me Paolo era il professionista dell'informazione consapevole della responsabilità del suo lavoro. Ricordo il  suo racconto delle ultime ore trascorse negli studi di Mediaset prima di andare in pensione: il commiato dai colleghi, un brindisi e  il saluto a tutti i dipendenti che gli stavano vicino, compreso il portinaio. Alcuni mesi dopo, fattasi più frequente la nostra corrispondenza, mi comunica di aver scritto un libro e mi invia la bozza curioso di conoscere il mio parere. 
Ero convinto che il libro fosse una collezione di articoli, reportages, memorie di incontri in tutti quegli angoli del mondo che, come giornalista, lui aveva visitato. Invece, con mia sorpresa, si sono aperte davanti a me pagine di versi, interrotte da prose, riflessioni e osservazioni. Nell'ultima parte, Paolo ha raccolto brevi saggi letterari, le sue emozioni di lettore e le sue prove di traduttore dall'inglese. Un'attività che da parecchio tempo occupa anche me e mi sono riconosciuto nel suo rovello e nella sua "disperazione" mentre traduceva le licenze lessicali e le invenzioni linguistiche di Ezra Pound. Superata la sorpresa, ho cominciato a leggere (come mi capita spesso) i versi a caso, saltando da una pagina all'altra. In anni lontani avevo pubblicato tre libri di versi, ma l'urgenza politica del presente mi ha allontanato da quella mia passione giovanile che dura tuttora. 



Paolo dice che voleva essere poeta. Ascoltiamo il suo racconto: 

"Da bambino volevo fare il poeta. Sono diventato un giornalista, e questa è stata la professione prevalente in tutta la mia vita. Ma da una certa età sono stato anche scrittore e poeta."

Il libro è una inconsueta autobiografia, più condotta attraverso il ritmo dei versi che della prosa. L'autore, a scanso di equivoci, ci dice anche cosa intende per poesia, come a prevenire una eventuale obiezione:

CHE COS’È LA POESIA

Che cos’è la poesia?
mi chiedi.
La poesia è il fascio
delle uniche debolissime
scintille
che l’uomo
riesce ad emettere
entro il buio infinito
dell’universo.

Ora lo sappiamo. Sappiamo cosa il poeta intende per poesia e come noi lettori dobbiamo predisporci a leggere i suoi versi. Egli, con immagini suggestive, ci dice subito da dove viene;

Vengo da un paese di mare
ma ho sempre navigato la terra.
I venti dell’Adriatico mi hanno spinto
tra genti e porti.
L’odore di salsedine
non mi ha mai abbandonato.
E ovunque mi hanno seguito
gli odori della ruggine
delle sàrtie cotte dal sale
della nafta esalante dal motore ansimante.
Con animo di marinaio
ho solcato onde
ho sfidato tempeste
ho combattuto mostri del giorno e della notte.
Il mio mare è stato il mondo
così bello così terrificante.
Vengo da un paese di mare
ma ho sempre navigato la terra.
La parte più lunga del viaggio
è compiuta
ma la carta nautica e la bussola
ora non dicono
quante miglia dovrò ancora consumare.
Attendo che il mio vecchio peschereccio
tocchi l’ultimo porto, per riposare.

Diversamente da tanti giornalisti, che ci ossessionano da anni col loro servilismo di coscienze al guinzaglio, Di Mizio partecipa emozionalmente alle tragedie del nostro tempo e i suoi versi sono pagine di diario intimo, lacerato:

I nuovi padroni della Terra s’avventarono al saccheggio,
pirati transeunti ma non meno crudeli,
e spazzarono ogni memoria bruciando
le effigi e gli alfabeti
e ogni segno delle ragioni
erette dalle generazioni.
Bruciarono i borghi e i templi
e come vichinghi a Lindisfarne
disfecero il monastero e la biblioteca
e uccisero gli ultimi uomini
e sventrarono donne e bambini e libri
consegnando carne, pagine e inchiostro alle fiamme.
Così ebbe inizio la Storia dell’uomo...

La sensibilità del poeta deve fare i conti con senso di sconfitta davanti al desiderio di un mondo nuovo che tarda ad arrivare:

Mi trovo sconfitto
in una battaglia che non so
di aver combattuto.
Cerco i nemici, cerco le armi
che non trovo.


STANCO DI GUERREGGIARE

Per Eley S. Lawanan

Sono stanco di guerreggiare.
Chi può darmi il congedo da questa guerra?
C’è qui un generale, un colonnello?
Signore, sì, sono tanto stanco.
E se il congedo non è previsto,
Per favore mi assegni una licenza
Per qualche tempo.
Voglio tornare nel luogo
Dove non sono mai stato
E vivere con la persona
Che non ho mai conosciuto.
Sì, Signore, là, una piccola casa
In una piccola vallata azzurra
Sempre fresca di brezze
Là dove mi aspetta la mia amata
Alta e bruna mi dicono
Forte come un giovane albero
Bella come un fiore blu,
Lei che profuma di semplici gioie.
Sono stanco di guerreggiare.
Chi può darmi il congedo da questa guerra?
Voglio tornare nel luogo
Dove non sono mai stato
E vivere con la persona
Che non ho mai conosciuto.
Sì, siamo tutti soldati, Signore.
Ma nessun soldato può guerreggiare per sempre.
Così stanco di guerreggiare, Signore.

In questo panorama di disillusioni, le certezze sono i valori antichi che danno un senso alla nostra pietas domestica: il padre e la madre. Paolo dice di non essere credente, si definisce un "non credente religioso" e l'aggettivo "religioso" non significa "chiesastico o praticante", significa dedito ad una concezione etica della vita, la coscienza dell'uomo che nel rapporto con "l'altro" misura l'abisso del mistero dell'esistenza. Intendiamo così la "religiosità" del dolore del figlio dopo la morte dei propri genitori:

LUNGA LA TUA STRADA, VINCENZO IVO

Per la morte di mio padre, avvenuta il 18 Marzo 2013

Lunga la tua strada, Vincenzo Ivo,
e così accidentata a volte
ma soddisfatta e felice altre volte.
Lunga la tua strada
dietro speranze sogni ambizioni
affrontando le intemperie delle sconfitte
e godendo i clamori delle vittorie.
Partito da lontano
inseguivi gli orizzonti
scritti nel tuo pensiero.
Quante volte sei caduto
quante volte ti sei rialzato
quante volte non ti sono stato vicino
sbagliando deludendoti addolorandoti.
Ma per un tratto di strada
ho camminato con te
siamo stati anche felici.
Ancora un tratto di strada, pur breve,
avrei voluto
percorrere con te.
Ora che non ci sei più
mi manca il suono dei tuoi passi.
Né potrò più tenere la tua mano nella mia,
come negli ultimi giorni,
quando alimentavo il tuo sorriso stanco
con dolci promesse di un futuro immaginario.
Ora sarò solo,
padre mio.
Addio.
Hai camminato tutti i tuoi giorni,
è stata lunga la tua strada, Vincenzo Ivo


ALLA MADRE

Nel giorno della morte di mia madre

Il focolare è spento
tutte le braci sono fredde
Adesso che anche tu te ne sei andata.
La casa è vuota,
le finestre chiuse per sempre.
Ogni cosa è finita ora.
Addio, madre

Iniziando la professione di giornalista, un saggio capocronista lo mette in guardia sulla fragilità del loro lavoro. Meritano un'attenta lettura questi versi:


IL CRONISTA

Fin dall’inizio il mio primo capocronista
mesto m’aveva avvertito:
“Non t’illudere,
scriviamo sulla sabbia.
Che sia con l’inchiostro o col microfono,
alla fine di ogni giorno
la coda di un’onda cancellerà le nostre parole”
Per oltre tre decenni raccontai
- dissi di sogni e delusioni,
di passioni scintillanti e di infime miserie,
di virtù e di vizio,
del potere e della caduta,
di ogni cosa dissi.
Cronache di uomini e di donne raccontai,
con zelo, con amore,
con involontario errore,
con pietà
raccontai.
Ma di tanto narrare
tutte le parole andarono a nutrire il mare,
ad una ad una,
alghe disfatte, esili cadaveri
ogni giorno dall’onda inghiottiti
Quelle larve di carta
conservate in cantina
o quegli inerti DVD gettati in un cassetto e già morti
non hanno più voce per testimoniare
che raccontai
del fuoco, della carne e della furia
- cronache di uomini e di donne
cronache del mondo
per oltre tre decenni raccontai
Fin dall’inizio il mio primo capocronista
mesto m’aveva avvertito: “Non t’illudere,
scriviamo sulla sabbia
e un’onda cancellerà le nostre parole”

Nella vita di Paolo un posto malinconico è occupato dall'amore erotico: le donne amate, incontrate, conosciute, lasciate e, a volte, morte. 

NO, NON TI AMO

No, non ti amo
ma lasciami trovare tenerezza
nel tuo corpo
penetrato
con sudato abbraccio
finché io non mi disfi
o insieme ci disfiamo
e sarà dolce
il disciogliersi dei grumi,
tu ed io
finalmente liberi
di fronte alle porte aperte della notte


LE PORTE DI BOREA

Per Laura Efrikian

Sfioriranno questi fiori
che oggi ti dono:
presto perderanno la vita.
Rimane solo un attimo,
un attimo.
Ma tu, amore, corri, corri,
oltrepassa le porte di
Borea
corri , ti prego,
infila in fretta lo spiraglio
del tempo che si chiude,
corri
prima che l’ago della bussola arrivi
a segnare il nord,
corri più che puoi,
corri, amore.
Solo così
carezzerò le tue gote arrossate
le tue gambe nervose
quando ci vedremo
ancora una volta
una sola volta
prima di perderci
per sempre.

Indignati e strazianti i versi e le prose dedicati ad una causa dolorosissima che mi accomuna a Paolo di Mizio: la tragedia palestinese. L'autore conosce bene la storia della colonizzazione della Palestina. Da bravo giornalista segue con passione umana e civile, giorno dopo giorno, lo strazio di un popolo e l'ignavia delle istituzioni sovranazionali che si girano dall'altra parte, l'ignavia complice di politici e uomini di cultura che fingono di non sapere o non vogliono sapere. Ci tornano in mente, in modo ossessivo, in questa landa desolata, i versi del nostro poeta: SONO STANCO DI GUERREGGIARE!. 

La poesia dedicata al massacro dei palestinesi a Gaza è dolente e non cela la rabbia, soprattutto quando Paolo ci racconta che cosa lo spinse a scrivere questi versi:

GAZA No, nessun Dio veglia su Gaza, nessun Dio veglia su di voi, fratelli palestinesi Fratelli, sorelle, voi oppressi, voi schiavi, creature scosse dall’orrenda tempesta di fuoco il terrore nel petto la polvere nei polmoni l’odore dell’esplosivo la furia del mondo inferno in terra le nubi nere delle bombe vi schiacciano le vostre case esplodono la materia va in pezzi l’anima va in pezzi non avete salvezza non potete salvare i vostri figli i vostri figli sono divorati da un nuovo Moloch sono divorati dai figli spietati di un Dio immaginario e disumano Ultimi discendenti di Canaan, udite? Sono crollate le mura di Gerico. Non c’è pietà non c’è pietà nel mondo Fratelli palestinesi fratelli vittime di eccidio fratelli del nuovo olocausto carne vivente per l’eccidio oh fratelli voi non siete figli di alcun Dio nessun Dio veglia su di voi, siete carne vivente per l’eccidio. Lascerete come unico segno la nostra eterna vergogna per non avervi noi salvati, voi che siete carne vivente per l’eccidio

"La poesia fu scritta dopo che ebbi letto un resoconto in cui si parlava di medici palestinesi che uscivano dalle sale operatorie piangendo, sconvolti: dovevano operare senza anestetici, e molti dei pazienti erano bambini, ai quali le bombe avevano staccato mezzo viso o un braccio o una gamba. Circolano ancora oggi foto atroci, inguardabili, di quei momenti e di quelle piccole vittime. Poco prima di scrivere avevo visto un filmato girato in una piazza di Gerusalemme. Alcune centinaia di israeliani manifestavano a favore dell’attacco a Gaza e festeggiavano la nuova strage di bambini palestinesi. Cantavano una specie di coro da stadio: “Domani a Gaza / le scuole sono chiuse. / Non hanno più bambini / non hanno più bambini / olé olé olé / olé olé olé”. Credo che neppure le SS tedesche o gli aguzzini sovietici agli ordini di Stalin o i torturatori cileni al servizio di Pinochet abbiano mai irriso un massacro di bambini." Grazie, Paolo, per averci regalato un libro denso di umanità e di passione civile.

Curriculum professionale di Paolo Di Mizio:
Editorialista presso Nuovo Corriere Nazionale Alganews Precedentemente Caporedattore presso Mediaset TG5 Precedentemente Inviato speciale presso Corriere della Sera Domenica del Corriere Precedentemente Redattore presso L'occhio quotidiano Precedentemente Foreign Correspondent presso Agenzia di stampa NEA Precedentemente Italian Lecturer presso City Literary Institute

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