martedì 27 giugno 2017

Strategia Nato della tensione


di Manlio Dinucci


Che cosa avverrebbe se l’aereo del segretario Usa alla Difesa Jim Mattis, in volo dalla California all’Alaska lungo un corridoio aereo sul Pacifico, venisse intercettato da un caccia russo dell’aeronautica cubana? La notizia occuperebbe le prime pagine, suscitando un’ondata di preoccupate reazioni politiche. 

Non si è invece mossa foglia quando il 21 giugno l’aereo del ministro russo della Difesa Sergei Shoigu, in volo da Mosca all’enclave russa di Kaliningrad lungo l’apposito corridoio sul Mar Baltico, è stato intercettato da un caccia F-16 statunitense dell’aeronautica polacca che, dopo essersi minacciosamente avvicinato, si è dovuto allontanare per l’intervento di un caccia Sukhoi SU-27 russo. Una provocazione programmata, che rientra nella strategia Nato mirante ad accrescere in Europa, ogni giorno di più, la tensione con la Russia. 

Dall’1 al 16 giugno si è svolta nel Mar Baltico, a ridosso del territorio russo ma con la motivazione ufficiale di difendere la regione dalla «minaccia russa», l’esercitazione Nato Baltops con la partecipazione di oltre 50 navi e 50 aerei da guerra di Stati uniti, Francia, Germania, Gran Bretagna, Polonia e altri paesi tra cui Svezia e Finlandia, non membri ma partner della Alleanza. 

Contemporaneamente, dal 12 al 23 giugno, si è svolta in Lituania l’esercitazione Iron Wolf che ha visti impegnati, per la prima volta insieme, due gruppi di battaglia Nato «a presenza avanzata potenziata»: quello in Lituania sotto comando tedesco, comprendente truppe belghe, olandesi e norvegesi e, dal 2018, anche francesi, croate e ceche; quello in Polonia sotto comando Usa, comprendente truppe britanniche  e rumene. 

Carrarmati Abrams della 3a Brigata corazzata Usa, trasferita in Polonia lo scorso gennaio, sono entrati in Lituania attraverso il Suwalki Gap, un tratto di terreno piatto lungo un centinaio di chilometri tra Kaliningrad e Bielorussia, unendosi ai carrarmati Leopard del battaglione tedesco 122 di fanteria meccanizzata. Il Suwalki Gap, avverte la Nato riesumando l’armamentario propagandistico della vecchia guerra fredda, «sarebbe un varco perfetto attraverso cui i carrarmati russi potrebbero invadere l’Europa». 

In piena attività anche gli altri due gruppi di battaglia Nato: quello in Lettonia sotto comando canadese, comprendente truppe italiane, spagnole, polacche, slovene e albanesi; quello in Estonia sotto comando britannico, comprendente truppe francesi e dal 2018 anche danesi. 

«Le nostre forze sono pronte e posizionate nel caso ce ne fosse bisogno per contrastare l’aggressione russa», assicura il generale Curtis Scaparrotti, capo del Comando europeo degli Stati uniti e allo stesso tempo Comandante supremo alleato in Europa. 

Ad essere mobilitati non sono solo i gruppi di battaglia Nato «a presenza avanzata potenziata». Dal 12 al 29 giugno si svolge al Centro Nato di addestramento delle forze congiunte, in Polonia, l’esercitazione Coalition Warrior il cui scopo è sperimentare le più avanzate tecnologie per dare alla Nato la massima prontezza e interoperabilità, in particolare nel confronto con la Russia. Vi partecipano oltre 1000 scienziati e ingegneri di 26 paesi, tra cui quelli del Centro Nato per la ricerca marittima e la sperimentazione con sede a La Spezia. 

Mosca, ovviamente, non sta con le mani in mano. Dopo che il presidente Trump sarà stato in visita in Polonia il 6 luglio,  la Russia terrà nel Mar Baltico una grande esercitazione navale congiunta con la Cina. Chissà se a Washington conoscono l’antico proverbio «Chi semina vento, raccoglie tempesta».

(ilmanifesto, 27 giugno 2017)

lunedì 26 giugno 2017

PROFESSORE UNIVERSITARIO EBREO: ISRAELE OGGI E’ SIMILE ALLA GERMANIA NAZISTA



DI YOCHEVED LAUFER 

23 GIUGNO 2017 10:48

Fonte:  (Jerusalem Post Israel News


Il dottor Ofer Cassif dell'Università ebraica affronta critiche pesanti dopo che i suoi studenti hanno diffuso una registrazione video dalla sua aula di scienze politiche.
Il professore dell'università ebraica, il dottor Ofer Cassif, ha paragonato la legislazione israeliana recentemente proposta e passata a quella del terzo reich nella Germania nazista, ha riferito il Canale 2 di giovedì quando la registrazione della sua classe è diventa pubblica.
La dichiarazione si è verificata durante un corso su Politica e Governo come parte di un programma di studi preparatorio presso l'Università Ebraica di Gerusalemme.
Uno degli studenti di Cassif non ha condiviso il paragone, ma il professore di scienze politiche ha continuato con la sua analogia affermando che è comodo negare la situazione per non adattarsi alla realtà, ma che sarebbe molto pericoloso continuare a fare così.
Ha anche spiegato ai suoi studenti che il confronto è una questione reale piuttosto che un’opinione. Su questo argomento, i suoi pensieri personali sono anche molto più ampi.

Cassif ha criticato ulteriormente l'attuale situazione in Israele dicendo: "coloro che rifiutano di vedere le somiglianze tra ciò che sta succedendo in Israele, in particolare negli ultimi due anni, e la Germania negli anni Trenta, ha un problema e sarà responsabile della situazione potenziale dello Stato ".
Cassif ha tracciato specifici paralleli tra la legislazione israeliana più recente per quanto riguarda gli arabi e gli ebrei, e le politiche della Germania nazista.
Il professore dell'Università Ebraica ha affermato che la legge statale israeliana proposta è simile ai metodi della Germania del 1930 tesa a creare una gerarchia dei cittadini divisi in classi.
Cassif ha anche criticato la legislazione recente che ha permesso la legalizzazione di 4.000 case in Cisgiordania, affermando che questa legge "consente agli ebrei di impossessarsi dei terreni di proprietà dei palestinesi per se stessi, proprio come agli ariani in Germania nel 1930 fu consentito di scacciare gli ebrei dalle loro case".
Il successivo paragone di Cassif riguardava la recente proposta legislativa promossa da Netanyahu di vietare finanziamenti provenienti da ONG straniere. Cassif ha spiegato ai suoi studenti che questo disegno di legge è simile alle leggi approvate dalla Germania nazista che limitavano le organizzazioni che criticavano il regime.
La destra israeliana era furiosa per gli insegnamenti del Prof. Cassif.
Il partito di estrema destra Likud ha difeso la legge dello stato, spiegando che "è basata sulla Dichiarazione di Indipendenza israeliana, e pertanto secondo questo professore la creazione stessa dello stato è razzista".
"Paragonare lo Stato di Israele con il regime più malvagio nella storia dell'umanità non è solo un disgustoso esibizionismo della propaganda anti-israeliana, ma qualcosa di più grave della negazione dell'Olocausto", ha affermato Matan Peleg presidente della NGO di destra Im Tirtzu.
In risposta alle critiche che circondano la diffusione della sua lezione, Cassif ha affermato che "lo scopo di una classe è quello di discutere e io non ho impedito a nessuno dei miei studenti di parlare, quindi non permetterò il tentativo di silenziare e impedire una discussione aperta e costruttiva ".
Ha anche aggiunto di essere convinto dei suoi paragoni degli israeliani coi nazisti.
L'Università Ebraica di Gerusalemme ha risposto dicendo che la "discussione di Cassif si è svolta durante la lezione in classe dedicata a " Fascismo - passato e presente ", e non è buon segno che alcuni studenti abbiano scelto di registrare il loro professore quando dissentono dalla sua posizione, invece di condurre una discussione aperta basata su fatti e opinioni ".
Questa non è la prima volta che Cassif è stato criticato per aver paragonato i nazisti agli israeliani.
Alla fine del 2015, il professore dell'Università Ebraica ha chiamato il ministro della Giustizia Ayelet Shaked "feccia" neo-nazista ".
In tale occasione, Cassif si è rivolto ai social media lo scorso anno, scrivendo che Facebook lo ha bloccato per aver fatto un riferimento a Hitler come reazione a un commento a favore di Netanyahu.
Ciò avviene dopo che il ministro dell'Istruzione Naftali Bennett ha proposto un nuovo codice etico per le università, che impedisce ai professori di esprimere le loro posizioni politiche personali in aula all'inizio di questo mese.

Traduz. di Diego Siragusa


domenica 25 giugno 2017

Lettera dal Venezuela alle italiane e agli italiani




Care italiane, cari italiani, cari connazionali,

leggendo nei siti on line di gran parte dei quotidiani italiani ed ascoltando i report radiofonici e televisivi emessi dalla Rai e da altre catene, abbiamo purtroppo registrato che rispetto ai fatti venezuelani, vige una informazione a senso unico che rilancia esclusivamente le posizioni e le interpretazioni di una delle parti che si confrontano.

Abbiamo anche letto e ascoltato spesso che l’attenzione prestata alla situazione venezuelana viene giustificata per la presenza in Venezuela di una “consistente comunità italiana o di origine italiana” in sofferenza e che sembrerebbe essere accomunata in modo unanime alle posizioni dell’opposizione.

Noi sottoscrittori di questa lettera, siamo membri di questa comunità. Ma interpretiamo in modo assai diverso l’origine e le cause della grave situazione che attraversa il paese dove viviamo da tanti anni e dove abbiamo costruito la nostra vita e formato le nostre famiglie. Siamo in questo paese perché vi siamo arrivati direttamente o perché siamo figli e nipoti di emigrati italiani che raggiunsero il Venezuela nel dopoguerra per emanciparsi dalla situazione di povertà o di mancanza di opportunità e di lavoro in Italia.

In tanti abbiamo condiviso e accompagnato il progetto di socialismo bolivariano proposto da Chavez e proseguito da Maduro, sia come militanti o elettori, sia partecipando direttamente il progetto di un Venezuela più giusto e solidale.

Ciò che era ed è per noi inaccettabile è che in un paese così bello e ricco di risorse e di potenzialità, decine di milioni di persone vivessero da oltre un secolo in una situazione di oggettiva apartheid, al di fuori da ogni opportunità di emancipazione sociale e quindi senza i diritti essenziali che sono quelli di una vita dignitosa, cioè quello delle reali condizioni di vita, di lavoro, di educazione, di servizi sanitari pubblici, di pensioni per tutti.

Questa situazione è durata in Venezuela per oltre 100 anni e bisogna chiedersi perché, soltanto all’inizio di questo secolo, con Hugo Chavez, per la prima volta nella storia di questo paese, questi problemi sono stati affrontati in modo deciso. E come mai, prima, questo non era accaduto. Chi oggi manifesta nelle strade dei quartieri ricchi delle città del nostro paese, gridando “libertà!” dove stava, cosa faceva, di cosa si occupava, prima che Chavez fosse eletto in libere elezioni democratiche ?

In questi anni, diverse agenzie dell’Onu e l’Onu stessa, hanno certificato che il Venezuela è stato tra i primi paesi al mondo nella lotta alla povertà, all’analfabetismo, alla mortalità infantile, raggiungendo risultati che non hanno confronti per la loro entità, rapidità e qualità.

Si citano la mancanza di prodotti di primo consumo e di farmaci, ma nessuno dice che è in atto una azione coordinata di accaparramento e di speculazione che ha fatto lievitare i prezzi e fatto crescere in modo esponenziale l’inflazione. Chi ha in mano il settore dell’importazione di questi prodotti ? Alcune grandi e medie imprese private per giunta sovvenzionate dallo Stato. La penuria di questi prodotti è in realtà l’effetto dell’inefficienza di questi gruppi privati nel migliore dei casi, o piuttosto dell’uso politico che essi stanno operando, analogamente a quanto avvenne in Cile, nel 1973 per abbattere il governo democratico di Allende.

E’ evidente che l’obiettivo principale di questa specie di rivolta dei ricchi (perché dovete sapere che le rivolte sono situate solo nei quartieri ricchi delle nostre città) sia rimettere in discussione tutte le conquiste sociali raggiunte in questi anni, svendere la nostra impresa petrolifera e le altre imprese nascenti che operano in settori strategici, come il gas, l’oro, il coltan, il torio scoperti recentemente e in grandi quantità nel bacino del cosiddetto arco minero: l’obiettivo di questi settori sociali è tornare al loro mitico passato, un passato feudale in cui una piccola elite godeva di tanti privilegi e comandava sul paese, mentre decine di milioni languivano nell’indigenza.

Noi non abbiamo una verità da trasmettervi; abbiamo però tante cose che possiamo raccontare e far conoscere agli italiani in Italia. Che possiamo dire ai vostri giornalisti e ai vostri media. A partire dal fatto che la comunità italiana non è, come oggi si vuol dare ad intendere, schierata con i violenti e con i vandali che distruggono le infrastrutture del paese o con i criminali che hanno progettato e che guidano le cosiddette proteste che non hanno proprio nulla di pacifico.

La comunità italiana in Venezuela è composta di circa 150 mila cittadini di passaporto e oltre 2 milioni di oriundi. Questi cittadini, che grazie alla Costituzione venezuelana approvata sotto il primo governo di Hugo Chavez possono avere o riacquisire la doppia cittadinanza, hanno vissuto e vivono insieme agli altri venezuelani i successi e le difficoltà di questi anni. Gran parte di loro hanno sostenuto e sostengono il processo di modernizzazione e democratizzazione del Venezuela. Molti di loro sono stati e sono sindaci, dirigenti sociali e politici, parlamentari della sinistra, imprenditori aderenti a “Clase media en positivo”, ad organizzazioni cristiane come Ecuvives ed hanno sostenuto e sostengono il processo bolivariano. Diversi di loro hanno partecipato alla stesura della Costituzione, che molto ha preso dalla Costituzione italiana. In gran parte hanno sostenuto Hugo Chavez e sostengono Maduro, opponendosi alle manifestazioni violente e vandaliche organizzate dai settori dell’ultra destra venezuelana.

Un’altra parte, limitata, come è limitata l’elite venezuelana, è sulle posizioni dell’opposizione. Grazie a sostegni finanziari esterni svolgono una continua campagna di diffamazione del Venezuela bolivariano in molti paesi, compresa l’Italia.

L'Ambasciata italiana censisce una ventina di associazioni italiane in Venezuela. Si tratta di associazioni costituite sulla base della provenienza regionale dei nostri emigrati, veneti, campani, pugliesi, abruzzesi, siciliane, ecc. che aggregano circa 7.000 soci e che intrattengono relazioni stabili con l’Italia e le proprie regioni. Solo alcune di queste associazioni, insieme a qualche giornale sovvenzionato con fondi pubblici italiani, hanno svolto in questi anni, in piena libertà, una campagna di informazione contro l’esperienza bolivariana; esse hanno costituito talvolta le uniche “fonti di informazione” privilegiate e accreditate da diversi organi di stampa italiani.

Ma questa non è “la comunità italiana” in Venezuela. Ne è solo una parte limitata, le cui opinioni vengono amplificate da alcuni organi di informazione. Il resto della comunità italiana e il resto del mondo degli oriundi italo-venezuelani si organizza e si mobilità in questo paese nello stesso modo in cui si mobilita e si organizza il resto del paese. Vi è chi è contro e chi è a favore del processo bolivariano.

Da questo punto di vista, non vi è alcun pericolo per la collettività italiana in Venezuela. Come in ogni paese latino americano, e come dovunque, si parteggia e si lotta con visioni politiche e sociali differenti. Strumentalizzare la presenza italiana in Venezuela è un gioco sbagliato, pericoloso e che non ha alcun fondamento se non l’obiettivo di alimentare lo scontro e la menzogna.

Caracas, Venezuela, 23 giugno 2017

Giulio Santosuosso - Caracas,

Donatella Iacobelli - Caracas,

Mario Cavani - Cumana,

Cecilia Laya - Caracas,

Angelo Iacobbi Por la Mar - Margarita,

Michelangelo Tavaglione - Maracay,

Giordano Bruno Venier - Caracas,

Mario Neri - Caracas,  

Isa Carascon - Caracas,

Franca Giacobbe - Valencia,

Alfredo Amoroso, Caracas

Evedia M. Ochoa - Caracas,

Beda Sanchez - Caracas,

Antonio Mobilia - Caracas,

Ennio Di Marcantonio V. - Caracas,  

Fulvio Merlo - Caracas,  

Pietro Altilio - Caracas,

Luca Spadageo - Caracas,

Celestino Stasi - Maracay,

Luigino Bracci - Caracas,

Sandra Emanuela Neri - Caracas,

Immacolata Diotaiuti - Caracas,

Stella Coiro - Valencia,

Nancy Guerra - Caracas,

Marco Aurelio Venier - Caracas,

Irving Francesco Sanchez - Caracas,  

Leo Zanelli - Caracas,  

Antonietta  Zanelli - Caracas,

Damaris Alcala - Barcelona,

Giovannina De Vita - Caracas,

Domenico Mosuca - Caracas,

Vittorio Altilio - Caracas,

Marina Yanes - Caracas,

Elio Gallo - Caracas,

Antonio Gerardo Di Santi - Caracas,  

Luisa Fabbro - Caracas,

Vita Napoli - Caracas,

Alfedo Tepedino - Caracas,

Donato Jose Scudiero - Lecheria,

Maria Bernieri - Valencia,

Francesco Misticoni - Caracas,

Gimar Patricia - Valencia,  

Escudiero - Puerto La Cruz,

Margy Rosina Escudiero - El Tigre,

Orietta Caponi - Caracas, 

Mario Gallo - Caracas,

Mercedes de Cavani - Cumana,

Maira Garcia - Caracas,

Arcangelo Manganelli - Valencia,

Franco Altilio - Caracas,

Giuseppe Tramonte - Caracas,

Antonieta Petroni - Guarico,

Nelson Mendez - Puerto la Cruz,

Ennio F. Di Marcantonio - Caracas,

Monica Vistali - Caracas,

Antonio Neri - Barcelona,

Tramonte Andrea - Caracas,

Biagio Scudiero - Lecheria,

Giuliana Geremia - Valencia,

Pasquale di Carlo - Maracay,

Lira Millan - Caracas,

Bruna Mijares - Caracas,

Valeria D’Amico - Caracas,

Maurizio Conforto - Barinas,

Lucia Di Natale - Acarigua,

Antonietta Rivoltella - Puerto la Cruz,

Alessandro Carinelli - Caracas,

Gianni Daverio - Morrocoy,

Giacomo Altilio - Caracas,

Mayira Leandro - Puerto la Cruz,

Marta Trappiello - Valencia,

Vincenzo Gallo - Caracas,

Alfonso Bruni - Caracas,

Claudio Manganelli - Valencia,

Maria Eugenia Tepedino - Caracas,

Luigi Puglia - Caracas,

Mariaelena De Vita - Caracas,

Rosanna Percepese - Caracas,

Gabriela Merlo - Caracas,

Vincenzo Policcello - Barquisimeto,

Ada Martínez - Maracay.

Barbara Meo Evoli Caracas

Valeria D’Amico Puerto la Cruz



CBantoniogramsci@hotmail.com

*. Colectivo de Italovenezolanos Bolivarianos

* V.O.I. - Venezolanos de Origen Italiana;

* CEIC - Colectivo Estudiantes de Origen Italiano

* Circulo   Bolivariano Antonio Gramsci CBantoniogramsci@hotmail.com

sabato 24 giugno 2017



Il mio editore, Giuseppe Zambon, ebreo antisionista risponde all'estensore del "Rapporto sull'antisemitismo 2016", dott. Luzzato Voghera, sionista. Nonostante lo stile pacato e civile di questa corrispondenza, il dialogo è impossibile. Il dissenso, come dice Voghera, "è incolmabile". Il lettore legga entrambe le lettere e si convincerà che il blocco mentale degli ebrei sionisti e "irreversibile". L'unica critica che accettano al sionismo e a Israele è quella che si riferisce a dettagli minimi "interni" al sionismo e alla religione di Israele. Il giudizio sprezzante che Voghera appiccica a un grande studioso come Shlomo Sand è sufficiente a creare un muro invalicabile tra noi e lui. Dice Voghera: 

"Purtroppo le fonti che lei cita sono ampiamente screditate (Shlomo Sand è un autore che non gode di alcuna stima nel mondo scientifico e le sue tesi sono saccheggiate in vari modi dalla più bieca propaganda antisemita che va dall'intransigentismo cattolico ai negazionisti neonazi)." 

Naturalmente gli studiosi che godono della stima sono solo quelli dell'ossequio al sionismo e a Israele. Colgo l'occasione per ringraziare il dott. Voghera per aver inserito il mio nome tra gli antisionisti. Siccome gli arabi, le cui ragioni io difendo, sono semiti, e avendo io parecchi amici tra gli ebrei antisionisti, lo metto subito in guardia: etichettare quelli come me come antisemiti potrebbe essere pericoloso. In Francia è stata emessa da un  tribunale una sentenza che condanna l'accusa gratuita di antisemitismo come "diffamazione". 

DS 



Egregio Direttore Gadi Luzzatto,

mi addolora che Lei abbia voluto accomunarmi nel suo rapporto al coro antisemita.
Abituato sin dalla nascita a subire ogni tipo di discriminazione, avevo già deciso di non dar peso alle sue ridicole accuse di antisemitismo nei miei confronti, ma i colleghi della redazione della casa editrice mi consigliano di prender posizione per puntualizzare alcuni fatti.
Lei scrive: "L’editore Zambon afferma di avere origini ebraiche ed in ragione di ciò ha più volte mosso pesanti accuse all’ebraismo/sionismo, nel 2003 ha diffuso un manifesto “Il privilegio di essere ebreo” in cui si ritrovano tutti i principali stereotipi dell’antisionismo di sinistra (ebrei = nazisti , ebraismo = razzismo, etc. ) .

1) nella mia lettera "Il privilegio di essere ebreo"
non mi sono mai sognato di equiparare (come lei afferma expressis verbis) le colpe dei nazisti a quelle dei sionisti. Riconoscevo invece che il sionismo divenne un movimento di massa solo a seguito degli orrori nazisti e tacevo (per amor di "patria") sulla fiorente collaborazione fra nazisti e sionisti prima dello scoppio della guerra e sul fatto che, fra i sostenitori del nazismo, si distinguano i ben noti sionisti Jabotinsky e Avraham Stern.
Facevo, invece, notare come la più accesa solidarietà verso Israele venga espressa proprio da quella maggioranza silenziosa che in Italia e in Germania aveva ieri appoggiato il fascismo e invitavo i lettori a diffidare dei mezzi d'informazione guidati da personaggi prezzolati al servizio dei potenti (per mia e nostra fortuna Berlusconi non è ebreo).

Quanto la solidarietà verso gli ebrei, come vittime dei nazisti, sia un fenomeno non spontaneo e "indotto" viene a mio avviso dimostrato dal fatto che i 25 milioni di cittadini sovietici, vittime dell'invasione nazista, trovano uno spazio molto limitato nelle pubbliche commemorazioni (quando lo trovano). Esprimevo comprensione, senza giustificarlo, con il "terrorismo" palestinese e lo paragonavo al "terrorismo" di Sansone; e paragonavo la resistenza disperata di Gaza a quella eroica del Ghetto di Varsavia
 Ho riportato poi, senza commentarli:
  • alcuni passaggi biblici, degni quanto meno di riflessione, in cui il profeta MICHEA condanna "chi si appropria con la violenza degli altrui campi";
  • una ben motivata dichiarazione antisionista del rabbino Mordechai Weberman;
  • una dichiarazione del portavoce di Hamas a Gaza che esprime una sostanziale identità politica con le tesi espresse da Weberman.


Evidentemente su queste mie citazioni Lei era d'accordo, visto che non ha ritenuto opportuno citarle fra le accuse nei miei confronti. (Voglio davvero sperare che questa mia affermazione non sia solo una battuta ironica)
La invito poi a prender visione di un angolo riservato alla lingua ivrit nella nostra libreria di Francoforte (in Kaiser Strasse 55)

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2) Sul libro di Petras
È una manifestazione di antisemitismo quella di denunciare l'innegabile potere esercitato da Israele e dalla lobby AIPAC sui governi USA? A me pare sia soltanto una manifestazione di Antisionismo (senza virgolette per favore!).

A conclusione posso solo azzardare la tesi che a essere "antisemiti"(*) siano invece tutti coloro che, volendo difendere ad oltranza i crimini di uno stato razzista, prevaricatore e che nega i diritti umani (**) tentano di criminalizzare coloro (ebrei e non ebrei) che si sentono in dovere di elevare una necessaria e liberatoria protesta contro l'ingiustizia.

Distinti saluti

Giuseppe Zambon

(*) uso anch'io la definizione di "semita" e "antisemitismo" malgrado il termine non sia corretto e riprenda pari pari uno stereotipo - coniato dai razzisti tedeschi nella seconda metà dell'ottocento traducendo in chiave moderna e razziale l'odio contro gli ebrei,  tipico dell'antigiudaismo cristiano.
A far piazza pulita di ogni forma di stereotipo o pregiudizio su questa tematica è l'autore israeliano Shlomo Sand: L'invenzione del popolo ebraico (Rizzoli) che lei certamente conosce e la cui lettura consiglio vivamente ad ognuno perché stabilisce correttamente la distinzione fra l'ebraismo (in quanto religione) e l'essere semiti (appartenere cioè ad una etnia).
(**) quasi il 50% dei palestinesi in età adulta è passato attraverso le carceri israeliane!


giovedì 22 giugno 2017

ISRAELE PREPARA L'INGANNO PER IL PROSSIMO MASSACRO A GAZA


di Gideon Levy

15 giugno 2017
Haaretz

Un’altra ora senza elettricità a Gaza e verrà dato il segnale: razzi Qassam. Ancora una volta Israele sarà la vittima ed il massacro avrà inizio.

Israele e Gaza non sono di fronte ad un’altra guerra, né stanno gridando ad un’altra “operazione” o “attacco”. Questa mistificante terminologia ha lo scopo di fuorviare e banalizzare ciò che rimane della coscienza.

Ciò che è in questione ora è il rischio di un altro massacro nella Striscia di Gaza. Sotto controllo, misurato, non troppo massiccio, ma pur sempre un massacro. Quando dirigenti, politici e commentatori israeliani parlano di “prossimo round”, stanno parlando del prossimo massacro.

Non si farà una guerra a Gaza perché là non c’è nessuno che possa combattere contro uno degli eserciti più potentemente armati del mondo, anche se in televisione il commentatore sulle questioni militari Alon Ben David dice che Hamas può mettere in campo quattro divisioni. Non ci sarà neppure alcuna prodezza (israeliana) a Gaza, perché non vi è niente di eroico nell’attaccare una popolazione indifesa. Ed ovviamente non ci sarà moralità o giustizia a Gaza, perché non c’è moralità o giustizia nell’attaccare una gabbia chiusa piena di prigionieri che non hanno nemmeno dove fuggire, se potessero.

Allora chiamiamo le cose con il loro nome: questo è un massacro. E’ di questo che si parla adesso in Israele. Chi è per un massacro e chi è contrario? Sarà un bene per Israele? Contribuirà alla sua sicurezza ed ai suoi interessi o no? Abbatterà il governo di Hamas o no? Sarà vantaggioso per la “base” del Likud o no? Israele ha un’alternativa? Ovviamente no. Qualunque attacco a Gaza finirà in un massacro. Nulla può giustificarlo, perché un massacro non può essere giustificato. Perciò dobbiamo domandarci: siamo a favore o contro un altro massacro a Gaza?

I piloti stanno già scaldando i motori in pista, altrettanto pronti sono gli artiglieri e le soldatesse che brandiscono i comandi a distanza. Un’altra ora senza elettricità a Gaza e verrà dato il segnale: razzi Qassam. Ancora una volta Israele sarà la vittima, e milioni di israeliani torneranno nei rifugi. Siamo usciti da Gaza e guardate che cosa abbiamo ottenuto. Oh, Hamas, il più crudele di tutti, che ama la guerra.

Quale altro modo ha Gaza per ricordare al mondo la propria esistenza e la sua sofferenza disumana, se non i razzi Qassam? Sono stati tranquilli per tre anni e adesso sono i soggetti della ricerca coordinata di Israele e dell’Autorità Nazionale Palestinese: un grande esperimento sugli esseri umani. Un’ora di elettricità è sufficiente per l’esistenza umana? Forse lo sono 10 minuti? E che cosa accade agli umani del tutto senza elettricità? L’esperimento è al suo culmine, gli scienziati trattengono il respiro. Quando cadrà il primo razzo? Quando seguirà il massacro?

Sarà più tremendo dei due precedenti, perché la storia insegna che ogni “operazione” israeliana a Gaza è peggiore della precedente. Confrontiamo l’ “Operazione Piombo Fuso” (a fine 2009), con 1300 morti palestinesi, 430 dei quali bambini e 111 donne, con l’ “Operazione Margine Protettivo” (estate 2014), con 2.200 morti, 366 dei quali bambini, di cui 180 neonati e 247 donne. Complimenti per il progresso e l’aumento del numero di bambini uccisi. La nostra forza aumenta da un’operazione all’altra. Avigdor Lieberman ha promesso che questa volta si avrà la vittoria decisiva. In altre parole, questa volta il massacro sarà più tremendo di tutti i precedenti, se è mai possibile prendere sul serio qualunque cosa dica questo ministro della Difesa.

Non è il caso di dilungarsi sulle sofferenze di Gaza, comunque non interessano a nessuno. Per gli israeliani Gaza era ed è un covo di terroristi. Non ci sono persone come loro laggiù. Queste sono le menzogne che diciamo su Gaza. Là l’occupazione è finita, ha ha ha. Tutti i suoi abitanti sono assassini. Costruiscono tunnel per il terrorismo invece di inaugurare impianti ad alta tecnologia. No, davvero, come mai Hamas non ha sviluppato Gaza? Come osano? Come hanno potuto non impiantare un’industria sotto assedio, non sviluppare l’agricoltura in prigione e l’alta tecnologia in una gabbia?

Ed un’altra bugia che diciamo su Gaza – abbatteremo il governo di Hamas. Non è possibile e inoltre Israele non lo vuole veramente.

I numeri dei morti appaiono sistematicamente sui nostri schermi, senza significato per nessuno. Centinaia di bambini morti, chi può concepire una cosa simile? L’assedio non è un assedio e nemmeno il pensiero di un’ora di blocco dell’elettricità a Tel Aviv nel caldo asfissiante dell’estate provocherebbe un briciolo di empatia verso coloro che vivono quasi del tutto senza elettricità, ad un’ora di distanza da Tel Aviv.

Quindi continuiamo ad occuparci dei fatti nostri – la parata del gay pride, le agevolazioni edilizie per le giovani famiglie, l’insegnante pedofilo. E quando cade un razzo Qassam faremo finta di stupirci e, per la nostra sacra auto-vittimizzazione, i bravi piloti decolleranno all’alba, verso il prossimo massacro.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)

martedì 20 giugno 2017

INTERVISTA CONCESSA DA MIKO PELED AL BISETTIMANALE "IL BIELLESE"


MIKO sara' a Biella il 22 giugno prossimo presso la sede ARCI 

Perché suo padre entrò in contrasto con Dayan per la Guerra dei Sei Giorni?

Mio padre, il Generale Matti Peled, che era membro dell'Alto Comando dell'esercito israeliano, stava facendo una forte pressione sul governo per dare il permesso di iniziare la guerra. Non si oppose a Dayan, si oppose al governo israeliano perché riteneva che non era sufficientemente "deciso", secondo lui, e che stava aspettando troppo a lungo per avviare la guerra. Non c'era problema con Moshe Dayan su questo. Ebbe, in seguito, un grave disaccordo con Moshe Dayan sul cosa fare dei territori conquistati ed ebbe dei disaccordi personali con lui perché era un corrotto.

Un'altra domanda. Suo padre ha detto: "La tesi secondo cui il pericolo di genocidio pendeva su di noi nel giugno 1967 e secondo cui Israele stava combattendo per la sua sopravvivenza fisica, non era altro che un bluff che era nato e cresciuto dopo la guerra".
In un dibattito radiofonico, il generale Peled ha anche detto: "Israele non è mai stato in un reale pericolo e non c'era alcuna prova che l'Egitto avesse qualche intenzione di attaccare Israele". Ha aggiunto che "l'intelligence israeliana sapeva che l'Egitto non era preparato per la guerra". La vigilia della Guerra dei Sei Giorni, suo padre era un falco, che cosa, in seguito, lo ha convinto che quella guerra fosse un inganno?

Credeva che Israele avrebbe dovuto usare la vittoria del 1967 e i nuovi territori per negoziare la pace. Vedeva che invece Israele stava progettando di mantenere i territori e la scusa che Israele aveva dato era che abbiamo bisogno dei territori per la "sicurezza" e che prima della guerra c'era una minaccia esistenziale per Israele. Naturalmente, questa era una menzogna. Così ha spiegato questa bugia. Nel mio libro vi sono le citazioni tratte dalle riunioni dei generali prima della guerra. Sono negli archivi dell’esercito israeliano. Mio padre e gli altri generali dicono che l'Egitto non è pronto per la guerra e quindi è un buon momento per attaccare!

Lei sostiene la causa palestinese, come distingue la posizione di Hamas con quella di Abu Mazen?

Hamas e Fatah rappresentano due legittimi movimenti all'interno della politica palestinese. Ci sono molti altri gruppi e non dobbiamo limitare tutta la Palestina a due movimenti che operano su una piccola parte della Palestina, in Cisgiordania e a Gaza. Essi rappresentano solo due partiti. Devo dire che Hamas è stato eletto democraticamente, ma per più di dieci anni il Primo Ministro eletto democraticamente dall'autorità palestinese è sotto assedio in una prigione a cielo aperto nella Striscia di Gaza e non riconosciuto o accolto da alcun governo occidentale. Ma ci sono altri partiti, altri movimenti. Ci sono i rifugiati nei campi che oggi non sono rappresentati politicamente e ci sono palestinesi del 1948, con cittadinanza israeliana di seconda classe che seguono altri movimenti politici.

Come ebreo israeliano, come concilia questa posizione con alcune frange estremiste palestinesi che negano il diritto all'esistenza dello Stato israeliano?

Nessun regime colonialista razzista ha il diritto di esistere. Israele è un progetto colonialista di insediamento con un governo di apartheid che dà privilegi speciali agli immigrati ebraici a scapito di persone native palestinesi. Come si può accettare questo? Israele sta occupando la Palestina da 69 anni, Israele commette crimini di guerra, massacri e pulizia etnica. Come può qualcuno dire che Israele ha il diritto di esistere? Gli ebrei israeliani come me, sono come i bianchi del Sudafrica. Siamo i figli e i nipoti dei colonialisti. Naturalmente abbiamo il diritto di vivere, ma non essere una società privilegiata. Abbiamo solo il diritto di vivere con piena parità di diritti come i palestinesi. Ma finché Israele è un occupante con un regime di apartheid, non ha diritto di esistere.

Quale, secondo lei, sarebbe la soluzione giusta per il problema arabo-israeliano?

Se crediamo nella giustizia, nell'uguaglianza, nei diritti umani allora dobbiamo combattere per creare un unico Stato democratico in tutta la Palestina. E voglio dire tutta la Palestina! Dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo. Dobbiamo trasformare Israele in uno stato democratico con piena parità di diritti. Ciò significa piena uguaglianza per i palestinesi e gli ebrei, il ritorno dei profughi palestinesi, liberare tutti i prigionieri politici, liberare Gaza e porre fine all'occupazione militare israeliana. Gli ebrei ei palestinesi possono vivere in pace, insieme ma solo in uno stato democratico con pari diritti.

(Traduzione di Diego Siragusa)