sabato 5 agosto 2017

Libano: la battaglia di Ersal e la vittoria di Hetzbollah

(Nella foto: miliziani di al Nusra)


1 agosto 2017


Sui media e sui siti libanesi, in particolare quelli vicini ad Hezbollah, rimbalza l’euforia per la vittoria di Ersal. Nel silenzio dei media occidentali che invece non hanno dato importanza a quanto si è consumato in questi giorni nel territorio libanese al confine con la Siria.

Tale territorio nel 2014 era stato occupato dalle milizie jihadiste, e nello specifico da al Nusra, che ha poi cambiato nome nel tentativo di allontanare da sé il marchio terrorista sventolato per anni con orgoglio (per gli appassionati della materia il nuovo nome è Jabhat Fatah Al-Sham). Al di là del nome, si tratta di al Qaeda, la sezione siriana della nota Agenzia.

L’occupazione del territorio di Ersal, parte della regione del Qalamoun, era dettata da una ragione strategica di primaria importanza: situata al confine con la Siria, questa zona è stata fondamentale per far transitare in territorio siriano rifornimenti, armi e nuovi miliziani a sostegno degli jihadisti in lotta contro Damasco.

Al Nusra aveva presidiato con cura tale zona, cento chilometri quadrati secondo le fonti di hezbollah, tanto che sembrava inespugnabile. Ma alcuni giorni fa è scattata l’offensiva improvvisa, che in una sola settimana ha avuto ragione degli occupanti.

Un’azione coordinata con l’esercito libanese, che ha messo in sicurezza la zona, e accompagnata dall’offensiva parallela dell’esercito e dell’aviazione di Damasco.

Dopo i primi rovesci, i capi di al Nusra hanno capito di non avere nessuna possibilità di resistere e hanno negoziato la resa. I miliziani residui e le loro famiglie hanno accettato di trasferirsi altrove, in territorio siriano, liberando l’area.

La vittoria di Hezbollah ha avuto l’esito di guadagnare alla formazione sciita il consenso della popolazione libanese, che da tempo vedeva la zona di Ersal come una sorta di testa di ponte del Terrore nel Paese dei Cedri. Foriera di disgrazie future.

Ed è stata salutata con gratitudine da molti esponenti politici libanesi: in particolare il presidente Michel Aoun, da tempo in buoni rapporti con Hezbollah. E, a sorpresa, anche da Samir Geagea, leader delle Forze Libanesi, che invece ha sempre avversato la milizia sciita.

Riconoscimenti di peso, dal momento che si tratta dei leader politici cui fanno riferimento i cristiani libanesi: da sempre su posizioni avverse, la convergenza dei due esponenti politici sul punto ha suscitato grande sorpresa, ma anche irritazione da parte di quegli ambiti, libanesi e non, che avversano Hezbollah.

Il primo ministro Saad Hariri (filo-saudita), che aveva manifestato la sua contrarietà all’offensiva, è volato subito negli Stati Uniti a ricercarne il sostegno dopo quella che considera una cocente sconfitta politica.

E per capire che aria tira in America: infatti il rovescio di al Nusra ad Ersal è stato facilitato dalla chiusura del sostegno americano alle cosiddette milizie ribelli siriane decretato dall’amministrazione Trump (vedi Piccolenote). Infatti parte di questi aiuti, e non certo piccola, andava a finire, per vie più o meno indirette, alle milizie di Al Nusra (vedi ad esempio il Washington Post).

Insomma il quadro politico libanese resta, al solito, un rebus di difficile decrittazione, al quale si sono aggiunte nuove variabili: il rafforzamento di Hezbollah, l’espulsione di al Nusra dal Paese (almeno come forza di occupazione) e il riposizionamento, forse provvisorio stante la natura del personaggio, di Geagea.

Un rebus nel quale si confondono torti e ragioni, e dove i terroristi di al Nusra sono stati considerati a lungo da diversi ambiti internazionali come un male minore e un argine ad Hezbollah, nonostante al Qaeda abbia terrorizzato il mondo per decenni.

Proprio questo resta il nodo della vicenda, il motivo per il quale la battaglia di Ersal ha avuto poca risonanza mediatica: perché le cronache avrebbero dovuto dar conto che a sbaragliare la pericolosa enclave terrorista libanese è stata una formazione che l’Occidente considera a sua volta terrorista. Qualcosa non quadra.

Come qualcosa non quadra a riguardo di Israele, che stavolta non è intervenuta, come altre volte, con bombardamenti aerei contro i miliziani di Hezbollah, operazioni spesso effettuate in Siria in funzione anti-terrorismo, come da motivazione ufficiale.

Più che probabile che tra Tel Aviv e Beirut ed Hezbollah siano intercorsi messaggi a vario livello, che hanno convinto gli israeliani a non rischiare di innescare un conflitto su vasta scala.

Non solo, Tel Aviv registra uno scacco alla sua strategia regionale. Infatti non pochi ambiti israeliani avevano sperato nella caduta di Assad, considerato un pericolo alla sicurezza nazionale.

In parallelo, avevano registrato l’impegno di Hezbollah in Siria come un’opportunità e registrato con soddisfazione le sue perdite in questo teatro di guerra: fiaccata dal conflitto siriano, la formazione sciita avrebbe potuto essere facilmente debellata in seguito.

Non è andata così. Non solo Assad resiste, ma Hezbollah ne esce rafforzata, come dimostra in maniera simbolica la battaglia di Ersal. Dove peraltro, per la prima volta (almeno a questi livelli), Hezbollah si è coordinato con l’esercito regolare libanese.

Uno sviluppo previsto in ambito israeliano, che da tempo si prepara a un nuovo scontro diretto con Hezbollah, dopo quello del 2006. Un conflitto, prospettano i politici israeliani, più complesso, dal momento che potrebbe vedere l’esercito di Beirut non più neutrale come nel passato (sul punto vedi anche al Monitor).

La caduta dell’enclave jihadista ad Ersal rappresenta, infine, un altro importante tassello per la costituzione di quella mezzaluna sciita tanto temuta da Israele e dai Paesi sunniti, che vede la realizzazione di una continuità territoriale sciita lungo l’asse che collega Teheran al Sud del Libano (controllato da Hezbollah).

Tante le implicazioni di questa battaglia, che vanno registrate per dovere di cronaca. Resta da capire se l’insicurezza riguardo le prospettive immaginate da Tel Aviv e dai Paesi sunniti porterà a un qualche ripensamento nella strategia dispiegata finora, che vedeva il rifiuto di ogni dialogo con la controparte nella certezza di un’evoluzione favorevole dello scontro tra sciiti e sunniti nell’aera iracheno-siriana.

Certo, è impensabile a oggi immaginare un appeasement tra i due grandi schieramenti che si danno battaglia in Medio oriente, con Israele ormai schierato con i Paesi sunniti che fanno riferimento ai sauditi.

Ma forse proprio la contezza che il perdurare dello scontro potrebbe portare a incendi non controllabili potrebbe schiudere le porte a un rapporto meno conflittuale tra le parti. È solo una speranza, dal momento che ciò dipende da tanti fattori, ad oggi imponderabili.


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