martedì 26 dicembre 2017

LE “FOLLIE” DI TRUMP MOSTRANO LE CONTRADDIZIONI, LA FRAGILITA’ E LA PERICOLOSITA’ DELL’IMPERIALISMO USA.


di Vincenzo Brandi

Roma 18/12/2017 

Nessuno pensava che il neo-presidente statunitense fosse un rivoluzionario e avrebbe cambiato in meglio la politica degli USA. La sua elezione a sorpresa segna – però – un momento di grande
confusione e di estrema fragilità della politica statunitense. I clan politici tradizionali, come quelli dei Clinton e dei Democratici finti progressisti, o dei Repubblicani conservatori, eseguivano perfettamente le politiche imperiali dettate dai poteri forti (alta finanza, grandi multinazionali, complesso militar-industriale, la potente lobby ebraica USA), ma con apparente moderazione e grande ipocrisia. Basti pensare a tutte le guerre promosse, o continuate durante la presidenza del Premio Nobel per la Pace Obama, o durante le precedenti presidenze di Clinton e George Bush, ai colpi di stato, alle destabilizzazioni di tanti paesi (dalla Jugoslavia, all’Afghanistan, all’Iraq, alla Libia, alla Siria, alla Georgia, all’Ucraina, la Somalia, il Sudan, la Repubblica Democratica del Congo, ecc.).
Anche sulla questione di Gerusalemme è utile ricordare che fu il Congresso USA nel 1995 (22 anni fa!) a riconoscere di fatto la città come capitale indivisibile di Israele e raccomandare lo spostamento dell’ambasciata statunitense. Il presidente pro-tempore Clinton ed i successivi presidenti non si opposero minimamente a questa risoluzione, ma semplicemente la “sospesero” con grande ipocrisia per tenere buoni gli Arabi ed indurre i Palestinesi a continuare le inutili trattative su un fantomatico Stato Palestinese. Nel frattempo la colonizzazione dei territori palestinesi occupati continuava e la parte araba di Gerusalemme era di fatto annessa ad Israele.
Ora, dopo la provocazione del “pazzo” Trump, incapace di diplomazia ed ipocrisia, persino qualche dirigente palestinese che in passato si era speso (opportunisticamente) a favore delle trattative e di una presunta “mediazione” americana, riconosce che questa mediazione non esiste perché gli USA stanno dalla parte dei Sionisti. I Palestinesi, che se ne stavano buoni, si mobilitano di nuovo. Si è scatenata una nuova Intifada condotta da Hamas, organizzazione che in passato si era addirittura schierata contro la Siria di Assad. Il mondo arabo è in subbuglio e persino gli alleati degli USA, come l’Arabia Saudita, la Giordania e la Lega Araba prendono le distanze. L’Egitto si riaccosta alla Russia e presenta all’ONU una mozione di condanna della provocazione americana. Gli USA pongono il veto e restano isolati. Il Re è nudo! Paradossalmente la mossa di Trump ha fatto cadere tutti i veli e rimesso positivamente in moto la situazione.
Negli USA, Trump, eletto dal voto di protesta della classe media statunitense impoverita dalla crisi, è sottoposto a feroci attacchi da parte della vecchia classe dirigente; deve licenziare gran parte dei suoi collaboratori, e viene addirittura accusato di essere stato eletto con l’aiuto dei Russi (la stessa accusa che l’ex vice-presidente di Obama, Biden, rivolge agli Italiani che hanno votato contro la controriforma costituzionale di Renzi!). Persino l’ex fedelissima di Trump, il falco Nikki Haley, rappresentante USA all’ONU, nota per le sue minacce di stampo mafioso-camorristico alla Corea Democratica, gli volta le spalle avvalorando le accuse di presunti scandali sessuali.

Attaccato da tutte le parti, in quella che appare una crisi profonda di tutta la dirigenza americana, che si scanna a vicenda in una lotta senza esclusione di colpi, Trump reagisce tentando di alimentare il mito di capo forte e deciso. Ne sono testimonianza sia la denuncia degli accordi di compromesso realizzati da Obama con l’Iran, nel tentativo di assicurarsi l’appoggio della lobby ebraica anti-iraniana, sia le provocatorie esercitazioni militari congiunte statunitensi e sud-coreane ai confini della Corea Democratica. Gli USA non hanno mai accettato la sconfitta subita nella guerra del 1950-53, quando furono costretti a ritirarsi in disordine dalla Corea Settentrionale, e hanno continuato a minacciare, sanzionare e chiudere in un cerchio d’acciaio la Repubblica Popolare Nord-coreana, grazie anche ad un esercito di 30.000 uomini, potentemente armato, che tuttora occupa la Corea del Sud, appoggiato da altri 45.000 militari che tuttora occupano il Giappone, mentre le flotte e le portaerei USA percorrono i mari coreani e cinesi.
In tutto il settore del Pacifico gli USA mostrano il loro volto imperiale, attaccando ad esempio anche la loro ex-beniamina, il Premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi, accusata anche di genocidio dei ribelli musulmani Rohingya, solo perché, andando al potere, ha mantenuto l’indipendenza della Birmania (oggi Myanmar) e la tradizionale alleanza con la Cina. Anche il presidente filippino Duterte, reo di voler condurre una politica indipendente e non più al servizio degli USA, è accusato dei soliti orrendi crimini, come Assad e ancor prima Milosevic e Gheddafi.
Le provocazioni del “pazzo” Trump sono testimoni del caos in cui giace la classe dirigente americana, ed i vari settori politico-militari, nonché gli apparati di sicurezza e spionaggio, divisi ed incerti sulle strategie da seguire nel momento in cui la Russia - in Siria e Medio Oriente - e la Cina - con la nuova “Via della Seta” ed i progetti di valute alternative al Dollaro - guadagnano terreno.
Anche la resistenza eroica di piccoli paesi come la Siria e la Corea Popolare Democratica innervosiscono gli USA. Si tratta di una situazione interessante per la dimostrazione di fragilità che dà la dirigenza americana, ma anche molto pericolosa nel caso in cui volesse cercare di risolvere la situazione con una nuova grande guerra devastante.



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