di Vincenzo Brandi
Roma 18/12/2017
Nessuno pensava che il
neo-presidente statunitense fosse un rivoluzionario e avrebbe cambiato in meglio la politica degli
USA. La sua elezione a sorpresa segna – però – un momento di grande
confusione e di estrema
fragilità della politica statunitense. I clan politici tradizionali, come
quelli dei Clinton e dei
Democratici finti progressisti, o dei Repubblicani conservatori, eseguivano perfettamente le politiche
imperiali dettate dai poteri forti (alta finanza, grandi multinazionali, complesso
militar-industriale, la potente lobby ebraica USA), ma con apparente
moderazione e grande ipocrisia. Basti
pensare a tutte le guerre promosse, o continuate durante la presidenza del Premio Nobel per la Pace
Obama, o durante le precedenti presidenze di Clinton e George Bush, ai colpi di stato, alle
destabilizzazioni di tanti paesi (dalla Jugoslavia, all’Afghanistan, all’Iraq,
alla Libia, alla Siria, alla
Georgia, all’Ucraina, la Somalia, il Sudan, la Repubblica Democratica del Congo, ecc.).
Anche sulla questione di
Gerusalemme è utile ricordare che fu il Congresso USA nel 1995 (22 anni fa!) a riconoscere di
fatto la città come capitale indivisibile di Israele e raccomandare lo spostamento
dell’ambasciata statunitense. Il presidente pro-tempore Clinton ed i successivi presidenti non si opposero
minimamente a questa risoluzione, ma semplicemente la “sospesero” con grande ipocrisia per
tenere buoni gli Arabi ed indurre i Palestinesi a continuare le inutili
trattative su un fantomatico Stato
Palestinese. Nel frattempo la colonizzazione dei territori palestinesi occupati continuava e la parte
araba di Gerusalemme era di fatto annessa ad Israele.
Ora, dopo la provocazione
del “pazzo” Trump, incapace di diplomazia ed ipocrisia, persino qualche dirigente palestinese che
in passato si era speso (opportunisticamente) a favore delle trattative e di una presunta “mediazione”
americana, riconosce che questa mediazione non esiste perché gli USA stanno dalla parte dei
Sionisti. I Palestinesi, che se ne stavano buoni, si mobilitano di nuovo. Si è scatenata una nuova
Intifada condotta da Hamas, organizzazione che in passato si era addirittura schierata contro la Siria
di Assad. Il mondo arabo è in subbuglio e persino gli alleati degli USA, come l’Arabia Saudita, la
Giordania e la Lega Araba prendono le distanze. L’Egitto si riaccosta alla Russia e presenta all’ONU
una mozione di condanna della provocazione americana. Gli USA pongono il veto e restano
isolati. Il Re è nudo! Paradossalmente la mossa di Trump ha fatto cadere tutti i veli e rimesso
positivamente in moto la situazione.
Negli USA, Trump, eletto
dal voto di protesta della classe media statunitense impoverita dalla crisi, è sottoposto a feroci
attacchi da parte della vecchia classe dirigente; deve licenziare gran parte
dei suoi collaboratori, e
viene addirittura accusato di essere stato eletto con l’aiuto dei Russi (la
stessa accusa che l’ex
vice-presidente di Obama, Biden, rivolge agli Italiani che hanno votato contro
la controriforma
costituzionale di Renzi!). Persino l’ex fedelissima di Trump, il falco Nikki
Haley, rappresentante USA
all’ONU, nota per le sue minacce di stampo mafioso-camorristico alla Corea Democratica, gli volta le
spalle avvalorando le accuse di presunti scandali sessuali.
Attaccato da tutte le
parti, in quella che appare una crisi profonda di tutta la dirigenza americana, che si scanna a vicenda in
una lotta senza esclusione di colpi, Trump reagisce tentando di alimentare il mito di capo
forte e deciso. Ne sono testimonianza sia la denuncia degli accordi di compromesso realizzati da
Obama con l’Iran, nel tentativo di assicurarsi l’appoggio della lobby ebraica anti-iraniana, sia
le provocatorie esercitazioni militari congiunte statunitensi e sud-coreane ai confini della Corea
Democratica. Gli USA non hanno mai accettato la sconfitta subita nella guerra del 1950-53, quando
furono costretti a ritirarsi in disordine dalla Corea Settentrionale, e hanno continuato a
minacciare, sanzionare e chiudere in un cerchio d’acciaio la Repubblica Popolare Nord-coreana,
grazie anche ad un esercito di 30.000 uomini, potentemente armato, che tuttora occupa la Corea
del Sud, appoggiato da altri 45.000 militari che tuttora occupano il Giappone, mentre le flotte
e le portaerei USA percorrono i mari coreani e cinesi.
In tutto il settore del
Pacifico gli USA mostrano il loro volto imperiale, attaccando ad esempio anche la loro
ex-beniamina, il Premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi, accusata anche di genocidio dei ribelli
musulmani Rohingya, solo perché, andando al potere, ha mantenuto l’indipendenza della
Birmania (oggi Myanmar) e la tradizionale alleanza con la Cina. Anche il presidente filippino
Duterte, reo di voler condurre una politica indipendente e non più al servizio degli USA, è accusato dei
soliti orrendi crimini, come Assad e ancor prima Milosevic e Gheddafi.
Le provocazioni del
“pazzo” Trump sono testimoni del caos in cui giace la classe dirigente americana, ed i vari
settori politico-militari, nonché gli apparati di sicurezza e spionaggio,
divisi ed incerti sulle strategie da
seguire nel momento in cui la Russia - in Siria e Medio Oriente - e la Cina - con la nuova “Via della
Seta” ed i progetti di valute alternative al Dollaro - guadagnano terreno.
Anche la resistenza eroica
di piccoli paesi come la Siria e la Corea Popolare Democratica innervosiscono gli USA. Si
tratta di una situazione interessante per la dimostrazione di fragilità che dà la dirigenza americana,
ma anche molto pericolosa nel caso in cui volesse cercare di risolvere la situazione con una nuova
grande guerra devastante.
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