mercoledì 21 febbraio 2018

ALTRE PROVE DEI RAPPORTI TRA NAZISTI ED EBREI SIONISTI



di Yakov M. Rabkin (*)

Il genocidio nazista non servì che a rafforzare la determinazione dei leader sionisti a ottenere uno Stato ebraico: e anzi, fornì loro un argomento dotato di singolare potenza.
In una certa misura, tra il movimento sionista e il nazionalsocialismo esisteva un’affinità concettuale, anche se non politica: entrambi consideravano gli ebrei come un popolo straniero che non si sarebbe mai assimilato e per il quale non vi era posto in Europa. Il rabbino Joachim Prinz, militante sionista in Germania, salutò l’ascesa dei nazisti al potere celebrando «la fine del liberalismo» nel suo libro Wir Juden («Noi ebrei»), pubblicato a Berlino nel 1934.  In seguito, dalla sicurezza del suo rifugio britannico, confermò che i nazisti riservavano un trattamento di favore ai sionisti, in netto contrasto con quello inflitto agli altri ebrei.  Dopo essere emigrato negli Stati Uniti portò avanti tanto la sua vocazione rabbinica quanto il suo coinvolgimento nel movimento sionista, fino a ricoprire la carica di presidente di diverse organizzazioni ebraiche negli anni Sessanta.
Per assicurarsi la cooperazione delle autorità naziste, in Germania i sionisti esibivano orgogliosamente la propria devozione per la loro forma di nazionalismo. Fu in questa prospettiva che Kurt Tuchler, membro della Federazione Sionista Tedesca, invitò il barone Leopold Edler von Mildenstein, alto ufficiale delle SS, a redigere un articolo filo-sionista per la stampa nazista. Il barone, «un fervente sionista»  che partecipava ai congressi sionisti e che in seguito avrebbe reclutato Adolf Eichmann nel Dipartimento Ebraico del Sicherheitsdienst (SD, il servizio di sicurezza nazista), accettò la proposta – a condizione di poter prima visitare le colonie sioniste in Palestina. I due, accompagnati dalle loro consorti, partirono pochi mesi prima della conquista del potere da parte di Hitler: 

Ciò che li aveva spinti a intraprendere insieme questo viaggio in Palestina era il loro desiderio comune, benché motivato da obiettivi diversi, di rendere la Germania «ripulita dagli ebrei» – o, secondo l’espressione usata dai nazisti, judenrein. Se i nazionalsocialisti non avevano ancora escogitato una soluzione per la «questione ebraica», i sionisti, con la loro aspirazione a creare una patria ebraica e il loro impulso all’emigrazione ebraica in Palestina, avevano la risposta. (1)

Il barone fu di parola; dopo la sua visita, nell’autunno del 1934, una serie di articoli fece la sua comparsa sul quotidiano Angriff («l’assalto»), fondato da Joseph Goebbels nel 1927 (che cessò le pubblicazioni nel maggio 1945, letteralmente sotto il fuoco dei carri armati sovietici nelle strade di Berlino), che aveva svolto un ruolo cruciale per l’ascesa al potere dei nazionalsocialisti.  Dopo la guerra Tuchler – che si era stabilito in Palestina alla fine degli anni Trenta – e von Mildenstein riallacciarono la loro amicizia e trascorsero insieme le vacanze estive sulle Alpi. I sionisti conclusero inoltre un accordo con Hitler per il trasporto in Palestina di decine di migliaia di ebrei tedeschi e dei relativi capitali, in violazione dell’embargo economico comminato contro la Germania nazista.  
Se durante il conflitto la leadership sionista non ebbe alcuna fretta di riconoscere le proporzioni delle stragi naziste, l’insegnamento che ne trasse fu semplice e immediato: era indispensabile ottenere uno Stato a qualunque prezzo, rafforzarlo e popolarlo di ebrei contro ogni forma di resistenza araba. La Dichiarazione d’Indipendenza israeliana è esplicita: «La catastrofe che ha recentemente colpito il popolo ebraico – il massacro di milioni di ebrei in Europa – ha costituito un’ulteriore chiara dimostrazione dell’urgenza di dare soluzione al problema della sua mancanza di una patria, ripristinando in Eretz-Israel lo Stato ebraico». Per citare lo storico israeliano Moshe Zimmerman:

La Shoah è uno strumento di cui ci si serve con frequenza. Con un certo cinismo, si è tentati di aggiungere che il genocidio nazista è uno degli oggetti che meglio si prestano alla manipolazione dell’opinione pubblica, e del popolo ebraico in particolare, sia in Israele sia all’estero. Nella politica israeliana, l’insegnamento che viene opportunamente tratto dalla Shoah è che un ebreo disarmato equivale a un ebreo morto.  (2)

(*) Questo brano è tratto dal libro Capire lo Stato di Israele Ideologia, religione e società, di prossima pubblicazione prtesso l'editore ZAMBON. 

(1) Jacob Boas, «A Nazi travels to Palestine», History Today, vol. 30, n. 1, 1980, pp. 33-39.

(2) Moshe Zimmerman, cit. in Leibowitz, Peuple, Terre, État, cit., p. 61.

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