di Fulvio Grimaldi
(ex giornalista di RAI3)
Che il mostro sia ferito è indubbio, che abbia la forza per menare colpi di coda, o allestire
una soluzione finale è da vedere. La resa dei conti, in ogni caso, ha per obiettivo Putin e la
sua Russia, nonché i popoli europei a metà strada tra est e ovest. Quella Russia che,
sottratta al magliaro Eltsin e agli avvoltoi interni ed esterni che lo sbronzone aveva invitato
alla tavola apparecchiata con le membra mozzate dei popoli sovietici, rimessasi in piedi e
in cammino, ha dato l’altolà al processo della mondializzazione imperialista, ha asserito e
concretizzato il suo diritto ad avere una parola in merito a se stessa e al pianeta, si è
mossa in sostegno di tale diritto e a difesa di chi dalla mondializzazione imperialista
doveva essere spianato.
Siamo alle provocazioni che dovrebbero avvicinare quel confronto risolutivo da cui soltanto
degli invasati mentecatti, manovrati al potere dalla storica cupola finanzcapitalista,
possono aspettarsi una sistemazione dell’ordine mondiale che mantenga in vita l’umanità.
Ci stiamo avvicinando a quel confronto, inevitabilmente nucleare, o vi siamo già dentro?
That is the question. Vediamo.
Il Quarto Reich
La palma degli affossatori di ogni diritto, decenza, morale, umanità, spetta a Israele, ai
superatori dei nazisti che dirigono il paese e proclamano il “più morale del mondo” un
esercito che va alla partita di caccia contro donne uomini e bambini inermi e, dispiace
dirlo, caccia condivisa dall’incirca 80% della sua popolazione che con tale banda di
licantropi si schiera nell’occasione di ogni bagno di sangue, da 70 anni a questa parte. Per
farsi sparare come uccelli di passo da energumeni i cui cervelli grondano sangue e
cinismo, i palestinesi di Gaza, in trentamila e mani nude alle soglie delle terre loro rubate,
hanno preteso di ricordare il diritto al ritorno a dove erano stati spossessati. Un diritto
decretato innumerevoli volte dalla comunità internazionale, l’ONU, quella ufficiale,
vagamente più titolata di un’altra sedicente “comunità internazionale” che pretende di
prevalere su quella che comprende 193 nazioni, mentre non è che il decimo NATO
dell’umanità. Titoli dell’ONU manomessi nel tempo dalla protervia degli Usa e che un
segretario sguattero ha definitivamente sotterrato con la sua patetica equiparazione tra
assassini seriali e di massa e loro vittime.
Io quelli del ritorno li ho visti, conosciuti, frequentati. Ci ho vissuto insieme nei campi, da
Tel Al Zataar in Libano a Dheisheh sotto Betlemme. Ho visto dare loro la caccia, seconda
ondata di profughi, nella guerra dei Sei Giorni, 1967, su per la Galilea e sopra al Golan,
villaggi bruciati, gente in fuga con le masserizie caricate su carri e asini, i carri con la Stella
di Davide appresso, con i cingoli e le cannonate.
La “Grande Marcia del Ritorno” è stata fatta nella ricorrenza della Giornata della Terra,
quella di un altro 30 marzo, 1976. I morti ammazzati dall’esercito “più morale”del mondo”
erano stati sei, i feriti un centinaio. E una buona parte di mondo civile ha protestato,
manifestato, detto ai killer quello che gli era dovuto. Il vittimismo che Israele e buona parte
della comunità ebrea internazionale utilizzano come arma-fine- del mondo per asfaltare
chiunque osi alzare sopraccigli sulle nefandezze dello Stato etnico-confessionale sionista,
ne rimase incrinato per un po’. Stavolta la mattanza è di 17 morti (finora) e di 2000 feriti e
la stampa ciancia di “reazione sproporzionata” alle “minacce di Hamas”. Il New York
Times, standard aureo del giornalismo per la nostra comunità di presstitute, nasconde i
laghi di sangue e i campi della morte e delle mutilazioni sotto l’insegna “Il diritto di Israele
di difendersi”. Niente di sorprendente: è l’house organ degli antrpofagi di tutte le guerre, di
tutte le rapine, di tutte le devastazioni.
Israeliani contro la strage di Gaza
Ma qui non dovremmo esimerci dal tributare riconoscenza e onore a quei pochi ebrei che
hanno manifestato contro il massacro dei propri moralissimi carnefici. Basterebbe uno solo
di questi manifestanti coraggiosi, o un solo Pappè, un solo Finkelstein, un solo Atzomon,
per impedirci di generalizzare.
Come per i migranti, tutti “rifugiati”, nessuno parte mai dal primo anello della catena,
l’espulsione coatta o necessitata da interventi occidentali – bombe, multinazionali, Ong -
nel quadro dell’appropriazione di terre e risorse, così sono bastati pochi lustri perché
l’opinione pubblica, quella vigile e agguerrita, si adagiasse nella comoda sdraio dell’oblio.
Oblio del primo anello, il crimine, vero male assoluto, contro un popolo titolare millenario
della sua terra, invaso, espropriato, sradicato, massacrato, tenuto in ceppi. Un rigurgito del
più feroce colonialismo dei secoli precedenti, salutato come bastione di civiltà e unica
democrazia in un Medioriente popolato da selvaggi.
Quanto i cari rifugiati stanno sulle palle
A tale bastione di civiltà e diritti umani accorrono ora coloro che, ove incorsi nella rete
criminale di trafficanti e Ong nel Mediterraneo sono profughi da accogliere senza se e
senza ma, da Israele vengono messi davanti all’alternativa: o il carcere, o l’espulsione
verso Ruanda e altri paesi (che non li vogliono). Sono quei circa 30mila cui è riuscito di
penetrare in Israele sfuggendo alle fucilate delle guardie di frontiera nel Sinai. Si urla sulle
terribili condizioni in cui i migranti sono tenuti nei campi libici e, alla luce di racconti non
strumentali si esagera alla grande al solito scopo di incrementare il traffico, lo
sradicamento, l’operazione di spostamento di popolazioni. Andassero a vedere come sono
trattati quelli che finiscono nei campi israeliani in mezzo al deserto del Negev. Con una
sfrontatezza degna di coloro che a certi fondatori dello Stato canaglia dissero “O
Auschwitz, o la Palestina”, il plurindagato per ladrocinio e corruzione Netaniahu concorda
con i gaglioffi dell’ONU di scaricare sull’Italia parte dei primi 16mila da cacciare. Avete
udito anche solo un flebile fiato di sconcerto e riprovazione da parte di quella lobby,
israelita per buona parte, con a capo gli umanitaristi da Nobel Erri De Luca e Furio
Colombo, che si sdilinquisce h24 sulla disperazione dei migranti, la nobiltà dei soccorritori,
l’infamia di chi ne denuncia e indaga il malaffare e gli occulti mandanti?
Botta ai serbi, che Mosca non s’illuda….
Kosovo: uno Stato canaglia che non è neanche il caso di definire Stato e a cui la qualifica
di canaglia va stretta, dato che si tratta semplicemente di una gigantesca base Usa
circondata da pretoriani selezionati accuratamente tra tagliagole UCK, trafficanti di organi
e di stupefacenti e messi a capo, a Pristina, di un sedicente governo. Nel quadro
strategico delle botte da dare a destra e manca, in una dimostrazione di muscoli che
ricomponga un equilibrio largamente alterato dalle vittorie siriane, irachene e russe in
Mediorente (vittorie con retrogusto amaro, se la liberazione di Ghouta comporta la
ricollocazione degli sgherri Nato, sauditi e turchi a Idlib e Afrin, area definitivamente
sottratta dai turchi), sono state mosse anche le pedine criminali kosovare.
Un manipolo di sbirri albanesi è stato spedito nell’enclave rimasta ai serbi dopo la pulizia
etnica di 300mila dei titolari di questa terra. A Mitrovica, la città sull’Ibar divisa tra le due
nazionalità, nella parte serba era riunita la delegazione, con rappresentante di Belgrado,
incaricata delle trattative con Pristina sul futuro della regione. Era il 27 marzo ed erano
passati due mesi da quando un killer senza volto, ma con mandante certo, ha ucciso con
sette pallottole, sparate da un auto in corsa, il lader storico della minoranza serba, Oliver
Ivanovic. La soldataglia del premier narcos, Hashim Thaci, è penetrata nella sede della
riunione, ha sparato e picchiato, ferito 32 persone, arrestato il rappresentante del governo
di Belgrado, Marko Djuric, e ha sfasciato tutto. Nessun intervento, né prima, né dopo, delle
forze dell’ONU. Compiaciuto silenzio delle cancellerie e dei media che si sono inventate
questo aborto di entità. Lezione alla Serbia che tentenna su UE e Nato e, per proprietà
transitiva, alla Russia che, diversamente dal traditore della Serbia Eltsin, con Putin è
tornata a occuparsi di questa nazione sorella.
“Sinistra” di complemento per genocidi
Sullo sfondo del destino della Jugoslavia e della Serbia distrutte e devastate c’è,
ricordiamocelo, la sciagurata ed efferata “sinistra” chic, radicale, o comunque la si voglia
chiamare, in ogni caso collaborazionista, che, col “manifesto”, centri sociali, pezzi di
Rifondazione, slinguazzava i mentitori imperiali che distorcevano le figure apicali dei paesi
da obliterare in dittatori sanguinari intenti a massacrare i propri popoli e minacciare
l’Occidente. Così, satanizzando Milosevic, lastricarono la via all’aggressione, alla
restaurazione reazionaria, quando non fascista, nelle varie repubbliche, all’amputazione
dell’Europa. Truppe di complemento dei genocidi, non si sono mai fermate; ovunque il
maglio imperialista volesse abbattersi, allestivano il terreno con il loro glifosato. Peste li
colga.
Morto un Russiagate se ne fa un altro:
i gas nervini di Londra
Il Russiagate, arma farlocca che spara a salve, ma di notevole potenza deflagrante
mediatica, era stato messo quasi fuori gioco dalle rivelazioni del Senato sul dossier
confezionato da spie britanniche in accordo con il campo di Hillary Clinton (già in grave
difficoltà per lo scandalo delle mail riservate scambiate su indirizzi privati) e inteso a
inventarsi ogni sorta di porcata di Trump, compresi i connubi con Mosca e Putin. Polveri
bagnate da asciugare ed è uscito l’avvelenamento del russo, spia britannica, Sergei
Skipral e della figlia Julia. Non è stata esibita la minima prova, non è stata aperta un
indagine, non è stato individuato un avvelenatore. E’ bastata la parola di Theresa May,
come ogni premier britannico del dopoguerra velina o paggio dell’inquilino della Casa
Bianca, per determinare la responsabilità dei russi, anzi di Putin. Presunta patria del diritto
e della democrazia moderni, tali diritto e democrazia ha intossicato peggio di chi ha
avvelenato Skipral con il famigerato agente nervino Novichok.
Un ludibrio di cui Londra si era già coperta quando addossò a Gheddafi l’esplosione in
volo su Lockerbie in Scozia, a Natale 1988, di un aereo Pan Am con 268 persone a bordo.
Il giudice della sentenza conclusiva, a Edimburgo, definì la sentenza che aveva incolpato
la Libia un “travestimento della giustizia”.
Novichok, chi ce l’ha e a chi conviene usarlo
Del Novichok si sanno per certe alcune cose, del tutto ignorate dal coro di più o meno
riluttanti domestici obbedienti che alle espulsioni di diplomatici russi hanno aggiunto le
loro, per un totale di 150, riuscendo a infliggersi il danno del peggiore deterioramento di
rapporti con un partner prezioso come la Russia dai tempi della crisi dei missili a Cuba. La
sostanza chiamata Novichok era stata sviluppata in URSS negli anni ’70, ma fu distrutta
nel 1997, insieme all’intero arsenale chimico russo, sotto la sorveglianza
dell’Organizzazione Internazionale per la Proibizione delle Armi Chimiche (OPCW). Uno
scienziato russo coinvolto in quella ricerca, Vil Mirzayanov, oggi alloggiato in una villa
milionaria a Princeton, New Jersey, nel 1996 se ne fuggì negli Usa dove illustrò agli
interessantissimi colleghi del Pentagono ogni dettaglio della sostanza, di cui con ogni
probabilità portò qualche campione con sè, visto che già ne aveva venduto dosi a boss
mafiosi degli Stati baltici. Scrisse tutto in un libro “Segreti di Stato. Il racconto di chi ha
partecipato al programma russo delle armi chimiche”. Hillary Clinton ordinò di farlo sparire
e che non se ne facesse parola.
Non è dunque vero, come affermano gli accusatori, che solo i russi sapevano di Novichok.
E’ invece vero che coloro che per la Clinton confezionarono il falso dossiere Russiagate, i
vecchi spioni del britannico Mi6 Christopher Steele e Pablo Miller, in questa storia
c’entrano e parecchio. Fu Miller l’agente dei servizi britannici a reclutare Skipral. Fu
Skipral, con ogni probabilità, a fornire a Miller e Steele materiale per il Russiagate. Skipral
e figlia furono avvelenati a Salisbury. Miller vive a Salisbury ed era in rapporti di amicizia
con l’ex-agente russo. A poche miglia da Salisbury, a Porton Down, si trovano i più grandi
laboratori per armi chimiche del Regno Unito. E’ proprio un azzardo da complottisti in
delirio pensare che se agli americani è arrivato il Novichok, questi non l’abbiano condiviso
con gli azionisti di minoranza britannici? E ora una notizia dell’ultima ora, subito
soppressa dai giornaloni e schermoni, ci rivela che da Porton Down viene dichiarato
di non poter produrre prova che quel Novichok sia di provenienza russa. Forse la
bufala della May e del suo ministro degli esteri, il caratterista Johnson, è talmente
surreale che qualche testa responsabile tra gli scienziati ci ha messo una zeppa.
E non abbiamo neanche fatto ricorso alla logica che polverizza qualsiasi teoria: a chi è
convenuto accusare la Russia di aver condotto un attacco chimico (quello che,
grazie agli occhiuti russi, non si è riuscito a combinare a Ghouta, in Siria) contro la
popolazione su suolo britannico?
Siamo vicini a mezzanotte o già lì?
Gli scienziati che sorvegliano le condizioni per le quali ci stiamo avvicinando o
allontanando dall’ora X nucleare, hanno spostato l’orologio dell’apocalisse a due minuti da
mezzanotte. Ciò su cui è lecito argomentare è se l’offensiva Usa-UK- Israele-Nato sia una
virulenta risposta ai contraccolpi arrivati dalla Siria, alla recentissima firma tedesca
dell’accordo con i russi per la costruzione del secondo oleodotto attraverso il Baltico (Nord
Stream 2) e, addirittura, all’affermarsi in Italia di forze politiche poco in linea con l’UE e
con le sanzioni alla Russia. Per la verità non è più la Russia con i suoi hacker ad aver fatto
vincere Trump, Brexit e, si parva licet… Di Maio e Salvini. Ora i ruoli si sono invertiti e pare
che questi esiti nefasti li abbiano sulla coscienza FB e Cambridge Analytica. Ma vedrai
che ci troveranno una manina russa in qualche modo. Ma quali milioni impoveriti dalle
guerre di Obama/Clinton! Ma quali lavoratori e disoccupati inglesi stufi di sputare sangue
per l’austerity di Draghi e Juncker! ma quale un italiano su cinque sotto o attorno alla
soglia di povertà e nauseati da un partito di grassatori e da una sinistra che ne regge lo
strascico…!
Per cui, in vista di uno scontro decisivo con il grande antagonista in costante crescita, con
il suo ostico presidente confermato nel voto in misura come nessun governante
occidentale si sognerebbe, è necessario inventarsi continuamente nuovi motivi per
distrarre l’Europa dalle sue inclinazioni/tentazioni verso il proprio spazio economico
naturale, che non sta a ovest, ma a est. Armeggiando e costringendo ad armeggiare
intorno ai confini dell’Orso, tagliandosi gli attributi per fargli male.
Nell’ipotesi peggiore siamo già alla vigilia di quello scontro decisivo, del redde rationem,
dell’armageddon contro coloro, Russia e Cina, che oggi come oggi costituiscono per i
forsennati del governo mondiale unipolare dei ricchi un ostacolo insormontabile .
Ricordiamoci che a Washington sono pazzi e che a tutti gli altri intorno a noi in Uccidente
sono appassite le gonadi.
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