venerdì 29 giugno 2018

LA MORTE DI FELICIA LANGER, EBREA MERAVIGLIOSA, ANTISIONISTA, AVVOCATO A FIANCO DEI PALESTINESI



di Gideon Levy

Non l'ho mai incontrata, l'ho chiamata solo due o tre volte nel suo luogo d'esilio, ma ricordo bene quello che era per me e per la maggior parte della mia generazione, nella nostra gioventù sottoposta al lavaggio del cervello: un simbolo di odio per Israele, un nemico pubblico, un traditore emarginato e rinverdito. È così che ci fu insegnato presto a considerare lei e alcuni altri dissidenti, e non ci siamo interrogati per capirne le ragioni.
Ora, a 87 anni, è morta in esilio; la sua immagine risplende nei miei occhi attraverso la distanza del tempo e dello spazio. Felicia Langer, morta giovedì in Germania, era una eroina, un pioniere e una donna di coscienza. Lei e alcuni suoi amici non hanno mai ottenuto qui il riconoscimento che meritavano; non è chiaro se lo faranno mai.
In un luogo dove gli "alunni" di un'organizzazione terroristica ebraica assassina sono benvenuti - uno un editore di giornali, un altro un esperto di diritto religioso - e dove razzisti auto-dichiarati sono accettati come partecipanti legittimi nell'arena del dibattito pubblico come in nessun altro luogo, non c'è spazio per guerrieri della giustizia coraggiosi che hanno pagato un alto prezzo personale per aver cercato di guidare un campo a cui non si sono mai conformati.
Langer fu una sopravvissuta all'Olocausto proveniente dalla Polonia che studiò legge all'Università Ebraica di Gerusalemme. Dopo l'occupazione, fu la prima ad aprire uno studio legale dedicato alla difesa delle sue vittime palestinesi. In questo, ha seguito un'illustre tradizione di ebrei che hanno combattuto l'ingiustizia in Sud Africa, America Latina, Europa e Stati Uniti.
Qui, il suo senso della giustizia l'ha portata al conflitto con il suo stato. Occasionalmente ebbe anche successo. Nel 1979, in seguito alla sua petizione, l'Alta Corte di Giustizia bloccò un ordine di espulsione contro il sindaco di Nablus Bassam Shakaa. Un anno dopo, una organizzazione terroristica ebraica mise una bomba alla sua auto che gli distrusse le gambe, e la giustizia israeliana venne alla luce.
Langer fu un pioniere tra gli avvocati israeliani di coscienza che vennero allo scoperto per la difesa dei diritti della popolazione occupata, ma fu anche la prima a gettare la spugna, chiudendo il suo studio legale nel 1990 e andando in esilio. In un'intervista del 2012 con il documentarista Eran Torbiner, spiegò: "Ho lasciato Israele perché non potevo più aiutare le vittime palestinesi con il sistema legale esistente e il disprezzo per il diritto internazionale che avrebbe dovuto proteggere le persone che stavo difendendo. Non potevo agire. Stavo affrontando una situazione disperata". Disse al Washington Post che "non poteva più essere una foglia di fico per questo sistema".
Aggiunse che non aveva cambiato i fronti di battaglia, solo il suo posto sul fronte, ma il fronte è attualmente al suo punto più basso. L'occupazione è radicata come mai prima d'ora e quasi tutti i suoi crimini sono stati legittimati.
Langer giunse alla conclusione che le cose erano senza speranza. A quanto pare aveva ragione. La lotta nei tribunali militari era destinata al fallimento. Non c’è alcuna prospettiva di successo perché i tribunali militari sono soggetti solo alle leggi dell'occupazione e non alle leggi della giustizia. Il procedimento non comporta altro che un rituale giuridico vuoto e falso.
Persino l'ordinamento giuridico civile, guidato dalla vantata Alta Corte di Giustizia, non è mai sceso dalla parte delle vittime e contro i crimini dell'occupazione. Qua e là sono state emesse ordinanze restrittive, qua e là le azioni sono state ritardate. Ma negli annali dell'occupazione, la Corte Suprema di Israele sarà ricordata come il principale legittimatore dell'occupazione e come un abietto collaboratore con i militari. In questo stato di cose, forse non c'era davvero nulla da fare per Langer. E' una conclusione singolarmente deprimente.
Che cosa ha combattuto questa donna coraggiosa e intrepida? Contro la tortura da parte del servizio di sicurezza Shin Bet in un momento in cui non credevamo che tale tortura esistesse, ma era al culmine della sua crudeltà. Ha lottato contro l'espulsione di attivisti politici, contro i falsi arresti, contro la demolizione di case. Soprattutto, ha lottato per l'applicazione del diritto internazionale da cui Israele ha deciso di escludersi per motivi incredibili. Questo è ciò che ha combattuto ed è per questo che è stata considerata un nemico pubblico.
Nella sua vecchiaia, suo nipote le disse che alla fine i palestinesi vinceranno e otterranno uno stato proprio. "Non lo vedrai, ma lo vedrò io", ha promesso alla sua nonna. Alla fine, il nipote sarà deluso, proprio come fu la sua illustre nonna.

(Traduzione dall'inglese di Diego Siragusa)



ENGLISH VERSION



The death of Felicia Langer


by Gideon Levy 


I never met her, only called her two or three times in her place of exile, but I well remember what she was for me and most of my generation in our brainwashed youth: a symbol of hatred for Israel, a public enemy, a reviled, outcast traitor. That’s how we were taught to regard her and a few other early dissidents, and we neither questioned nor cared why.
Now, at 87, she has died in exile; her image glows brightly in my eyes through the distance of time and space. Felicia Langer, who died in Germany Thursday, was a hero, a pioneer and a woman of conscience. She and a few of her allies never got the recognition here that they deserved; it’s not clear they ever will.
In a place where “alumni” of a murderous Jewish terror organization are welcomed — one a newspaper editor, another an expert on religious law — and where self-declared racists are accepted as legitimate participants in the arena of public debate as they are nowhere else, there is no room for courageous justice warriors who paid a high personal price for trying to lead a camp that never followed.
Langer was a Holocaust survivor from Poland who studied law at the Hebrew University of Jerusalem. After the occupation, was the first to open a law office dedicated to defending its Palestinian victims. In this, she followed an illustrious tradition of Jews who fought injustice in South Africa, Latin America, Europe and the United States.
Here, her sense of justice brought her into conflict with her state.

Occasionally she even succeeded: In 1979, in the wake of her petition, the High Court of Justice blocked an expulsion order against Nablus Mayor Bassam Shakaa. A year later, the Jewish underground attached a bomb to his car that destroyed his legs, and Israeli justice came to light.
Langer was a pioneer among Israeli lawyers of conscience who came out for the defense of the rights of the occupied population, but she was also the first to throw in the towel, closing her law office in 1990 and going into exile. In a 2012 interview with documentary filmmaker Eran Torbiner, she explained: “I left Israel because I could no longer help the Palestinian victims with the existing legal system and the disregard for international law that was supposed to protect the people whom I was defending. I couldn’t act. I was facing a hopeless situation.” She told The Washington Post she “couldn’t be a fig leaf for this system anymore.”
She said she didn’t switch battlefronts, only her place on the front, but the front is currently at its lowest point. The occupation is entrenched as never before and nearly all of its crimes have been legitimized.
Langer came to the conclusion that things were hopeless. Apparently she was right. The fight in the military courts was doomed to failure. It has no prospect of success because the military courts are only subject to the laws of the occupation and not to the laws of justice. The proceedings involve nothing more than hollow and false legal ritual.
Even the civil legal system, headed by the vaunted High Court of Justice, has never come down on the side of the victims and against the crimes of the occupation. Here and there restraining orders have been issued, here and there actions have been delayed. But in the annals of the occupation, Israel’s Supreme Court will be remembered as the primary legitimizer of the occupation and as an abject collaborator with the military. In such a state of affairs, perhaps there really was nothing for Langerto do here. That is a singularly depressing conclusion.
What did this brave and courageous woman fight against? Against torture by the Shin Bet security service at a time when we didn’t believe that such torture existed, yet it was at the peak of its cruelty. She fought against the expulsion of political activists, against false arrests, against home demolitions. Above all, she fought for the enforcement of international law from which Israel decided to except itself on unbelievable grounds. That’s what she fought and that is why she was considered a public enemy.
In her old age, her grandson told her that ultimately the Palestinians will win and will get a state of their own. “You won’t see it, but I will,” he promised his grandmother. In the end, the grandson will be disappointed, just as his distinguished grandmother was. 

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