Storia alternativa dell’Iran islamico
Dalla rivoluzione di Khomeini ai giorni nostri
(1979-2019)
Prefazione di Diego Siragusa
Non riesco a dimenticare un
celebre quadro di Pieter
Bruegel il Vecchio, Parabola dei ciechi, in cui sei
ciechi vanno aggrappati l’uno all’altro con un bastone dietro a un cieco che è
caduto in un fosso. Il quadro riproduce le parole del vangelo di Matteo (15:14)
quando Gesù dice rivolto ai farisei: «Sono ciechi e guide di ciechi. E quando
un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!». In Bruegel scorgo
i segni della consapevolezza della follia collettiva, della cecità di massa di
un’umanità irrazionale dominata da un desiderio di ottimismo che le impedisce di
vedere le minacce che gravano sul proprio destino.
Alla vigilia della Prima
Guerra Mondiale, l’Europa e gli Stati Uniti vivevano una stagione di incanto
edonistico, di spensieratezza e di ottimismo determinato dalle conquiste
scientifiche, da stili di vita appaganti, da una più diffusa ricchezza indotta
dai commerci e dallo sviluppo industriale. Quel periodo, finito con le prime
cannonate della Grande Guerra, passò alla storia come la “Belle Époque”.
Nessuno poteva o voleva prevedere e vedere
la tragedia che si preparava dietro le quinte. Nemmeno le forze demiurgiche
della borghesia trionfante, che aveva costruito il transatlantico Titanic, seppero
intuire che quella tragedia, consumatasi nelle fredde acque del mare del nord,
fosse il preludio della catastrofe.
Oggi osservo che il
passaggio dal 2018 al 2019, nei messaggi augurali dei capi di stato rivolti
alla propria popolazione, è stato segnato da questo benevolo e rassicurante
ottimismo teso a sdrammatizzare e a tracciare sentieri di luce, nonostante una
situazione internazionale gravida di serie minacce alla pace. Ho ascoltato i
discorsi di Putin e Mattarella e nessuno di loro ha fatto riferimento alla
situazione internazionale e ai rischi di guerra e di logoramento dei rapporti
tra gli stati. Analogamente un capetto di un partitino della sinistra italiana,
rappresentato in Parlamento, ha rivolto un messaggio autoprodotto tramite
Facebook dicendo amenità e trascurando del tutto la politica estera. Quanto
diverso quel famoso messaggio augurale pronunciato dal Presidente della
Repubblica Sandro Pertini il 31 dicembre del 1978 rivolto agli italiani: «… Lo ripeto qui a voi, italiani e italiane, quello
che ebbi a dire innanzi al Parlamento quando fui insediato come Presidente
della Repubblica: “Si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte; si
colmino i granai, sorgente di vita per milioni di creature umane che stanno
lottando contro la fame”.»
Oggi solo Papa Francesco osa
mettere in guardia il mondo da quella Terza Guerra Mondiale che, dice lui, è
già iniziata e che ha definito “a bassa intensità” o “a pezzi”. Perché questa
trascuratezza mentre una parte del mondo, il Medioriente, da settant’anni non
conosce pace e, molto probabilmente, sarà ancora il teatro di conflitti
bellici? La “Belle
Époque”
occidentale, fatta di consumi tecnologici ed edonistici, di informatica, di
comunicazione tramite mezzi sociali di diffusione di notizie, ha trasformato i
cittadini in macchine desideranti di consumi illimitati, l’apoteosi del
materialismo capitalistico fondato sul pilastro dell’ideologia liberista.
Questa trasformazione antropologica ha contaminato ogni forma di pensiero
critico e falsificante. I linguaggi si sono dissolti per lasciare il posto a un
solo linguaggio: quello del dogma dell’unica formazione sociale vincente, del
modello di vita e di produzione che si sostanzia nel capitalismo liberista. Non
è casuale che le lingue europee abbiano ceduto la loro autonomia per accogliere
in modo servile la neolingua anglo-americano-sassone che imperversa a ogni pie’
sospinto come lingua universale dell’impero. In questa trasformazione
antropologica e linguistica emergono nitide le radici infestanti del pensiero
unico e dell’unico centro di diffusione dell’informazione che emargina ogni
forma di dissenso nel recinto dell’eresia e dell’irrilevanza. Eroica diventa la
resistenza delle minoranze militanti e degli intellettuali che hanno rifiutato
la greppia di conventicole organizzate attorno a partiti di potere o attorno a
giornali compiacenti controllati e finanziati dalle lobby sempre riconducibili
a massonerie economiche e finanziarie in combutta con lobby sioniste,
attivissime nella censura di ogni notizia che contraddica la religione e il
culto per lo stato di Israele. L’accordo sottoscritto tra lo stato ebraico e
facebook,[1]
per censurare e bloccare tutti coloro che criticano le politiche criminali israeliane,
sono un esempio allarmante di questo stato di degrado e di controllo
totalitario dell’informazione. Analogamente segnalo l’attacco ai liberi pensatori,
ai docenti del mondo accademico la cui carriera e stata rovinata dalle
pressioni delle lobby sioniste. Questa è stata la sorte di Norman Finkelstein,
di Tim Anderson, Marc Lamont Hill, Steven Salaita. Hatem Bazian, Ahlam
Muhtaseb, William Robinson, Rabab Abdulhadi sono stati anche minacciati.
Il lettore sappia che in
questo poderoso lavoro di Paolo Borgognone troverà la documentazione necessaria
per capire l’architettura del potere imperiale israelo-americano che governa il
mondo occidentale e che non desiste, nonostante le sconfitte e gli incidenti di
percorso, nel suo progetto di dominio del mondo intero. Nel caso dell’Iran vi
sono tutti gli ingredienti per capire la strategia globale dell’imperialismo
nordamericano, in coppia con lo stato coloniale sionista, finalizzata alla reductio ad unum dei modelli
socio-economici su scala planetaria e, in particolare, alla frammentazione del
Medioriente in tanti piccoli stati, divisi e disarmati, sotto l’egemonia totale
dello stato ebraico allargato fino ai futuri confini del Grande Israele, dal
Nilo fino all’Eufrate, un territorio giudaizzato che dovrebbe comprendere tutta
la Palestina storica, la Giordania, metà dell’Iraq, quasi tutta la Siria, un
terzo dell’Arabia Saudita e una parte dell’Egitto. Un disegno messianico folle
che si chiama TERRA PROMESSA. Promessa da chi? Gli ebrei, credenti e atei,
rispondono all’unisono: da Dio. Bene: allora che dio sia convocato a testimone
e firmi un atto notarile! Gli ebrei sionisti, però, sanno che le promesse
divine non esistono nel diritto internazionale. Ma insistono, confidando nella
credulità religiosa dei più e nel sostegno dei sionisti cristiani che negli USA,
si dice, che siano circa cinquanta milioni. Per raggiungere questo obiettivo,
nel medio e lungo periodo, Israele ha bisogno di sconvolgere il Medioriente e
di imporre la propria volontà, scatenando guerre per procura e mettendo l’uno
contro l’altro le varie fazioni in lotta, sia politiche che religiose. In
questo progetto c’è una convergenza di interessi tra Stati Uniti e Israele che
agiscono come una volontà monolitica e senza contraddizioni interne. Questo
potentissimo blocco politico-militare si comprende in tutta la sua dimensione
se si prende atto che ormai è Israele che comanda gli Stati Uniti, almeno nella
politica estera, e che il controllo che la lobby ebraica esercita sull’economia,
sulla finanza, sull’informazione, sulla scuola pubblica e privata è capillare
ed efficacissimo. Anche tutte le case produttrici cinematografiche di Hollywwod
sono controllate da ebrei sionisti. Intendeva dire questo Sharon con quella
frase famosa mai smentita: «Ogni volta
che facciamo qualcosa tu mi dici che l’America farà questo o quello… Devo dirti
qualcosa molto chiaramente: non preoccuparti della pressione americana su
Israele. Noi, il popolo ebraico, controlliamo l’America, e gli americani
lo sanno».[2]
Questo controllo ossessivo dell’informazione, a
livello planetario, se da una parte dimostra la potenza degli ebrei sionisti,
dall’altra è il segno della perdita della sua sicurezza e rivela la paura che
la sua narrazione di piccolo paese super sviluppato, accerchiato da un’orda di
arabi barbari, sta perdendo molti seguaci. La consapevolezza che ampi settori
dell’opinione pubblica americana non sono più disposti a vedere le proprie
tasse dirottate per armare Israele, si sta rivelando un fiume carsico che ogni
giorno rafforza la sua capacità di penetrazione. Indagini sociologiche rivelano
la perdita di credibilità di Israele presso i grandi mezzi di informazione,
CNN, CBC, New York Times, Washington Post, e il successo di fonti alternative
messe a disposizione da internet che stanno liberando la mente dei cittadini
dal culto acritico verso Israele e il sionismo. Così Philip Weiss, ex giornalista
del New York Times, ora blogger esperto di questioni mediorientali, ha
dichiarato: «Farò sventolare alta la mia strana bandiera di anti-sionista, non
di post-sionista».[3]
Il 2019 sarà l’anno del 40° anniversario della caduta
dello scià di Persia, Reza Pahlavi, e del sequestro dei diplomatici americani
nella sede della loro ambasciata a Tehran. Quell’assedio, grazie al tam tam
dell’apparato della disinformazione occidentale, fu presentato come la
violazione di elementari diritti diplomatici e un oltraggio al diritto
internazionale. Non fu detto che nel comune sentire degli iraniani gli USA
rappresentavano il sostegno fondamentale del regime dello scià e un soggetto
che ebbe un ruolo di primo piano nel rovesciamento del governo democratico di
Mossadeq nel 1953, quel Mossadeq che aveva nazionalizzato il petrolio in mano
agli americani e agli inglesi sottraendolo alla Anglo-Iranian Oil
Company. Nel sentimento popolare era viva la coscienza che lo scià aveva
accumulato immense fortune depositate nelle banche americane e che il MOSSAD,
il famigerato servizio segreto israeliano, aveva addestrato la SAVAK, la
spietata polizia segreta dello scià. Gli iraniani volevano la restituzione di
quei beni, la garanzia che gli USA, e i suoi alleati, non avrebbero più
complottato contro l’Iran. La risposta fu una chiusura netta. Il presidente
dell’epoca, Jimmy Carter reagì con la missione americana fallita per salvare
gli ostaggi conosciuta come Operazione Artiglio dell'Aquila (Operation Eagle
Claw). Da allora i rapporti tra i due paesi peggiorarono.
Il 4 novembre 2018, grazie a un invito dell’Università
di Tehran, ho avuto la fortuna di partecipare ad una grande manifestazione per
il 39° anniversario dell’assedio all’ambasciata americana. Ho potuto verificare
direttamente, anche facendo una dichiarazione alla TV iraniana, la dimensione
dell’avversione del popolo iraniano agli Stati Uniti e a Israele. Mi ha colpito
la grandezza dell’ex ambasciata americana e le mura che recintano un enorme
parco, segno tangibile dell’immenso ed esclusivo ruolo di controllo e di
direzione esercitato in Iran sotto la monarchia dello scià.
Il giorno dopo, gli amici iraniani mi hanno portato a
visitare L'EBRAT MUSEUM, un edificio costruito come prigione, progettato da
ingegneri e disegnatori tedeschi nel 1932 per ordine di Reza Shah. L'edificio
fu terminato nel 1937 con una struttura progettata per impedire qualsiasi forma
di fuga. Le pareti sono insonorizzate per annullare all'esterno le urla dei
prigionieri torturati. Il direttore del Museo mi ha accompagnato nella visita
mostrandomi tutte le celle, i cimeli dei prigionieri, la squallida sala delle
docce, le stanze della tortura con manichini che mostrano le varie tecniche di
supplizio a cui i prigionieri furono sottoposti. In alcune salette si
proiettano dei cortometraggi con interviste alle vittime sopravvissute alla
detenzione e alle torture che raccontano le violenze subite. Anche i
rappresentanti del clero sciita entrarono e sostarono in questa prigione:
gli ayatollah Ali Khamenei, Rafsanjani, Ali Rajaee, Beheshti, Motahari e
Taleghani.
Gli
aguzzini dello scià non risparmiarono nemmeno le donne. Lungo i corridoi ho
osservato le centinaia di fotografie delle detenute, alcune coi segni in volto
delle percosse. Questo era il regno della SAVAK la spietata polizia segreta.
Uno dei capi della SAVAK, Parviz Sabeti, fuggì in Israele con la sua famiglia
all'inizio della rivoluzione e poi si trasferì negli Stati Uniti. È ancora vivo, si chiama Peter Sabeti e fa il
costruttore edile a Orlando in Florida. Diversa fu la sorte del Direttore
della SAVAK, il generale Nematollah Nassiri, che fu arrestato e
giustiziato con un processo sommario assieme a 438 agenti.[4]
L’assedio
dell’ambasciata durò 444 giorni e la data del 4 novembre per gli iraniani è una
specie di festa della liberazione dall’oppressione di un regime crudele di cui
gli USA furono il principale sostenitore. Poi vennero le pagine di storia
torbide del regime komeinista fatte di tribunali del popolo che comminavano
sentenze di morte sommarie agli oppositori e di imposizioni di costumi e stili
di vita anacronistici improntati a norme coraniche desuete e oscurantiste.
Da
allora, gli USA e Israele, e i paesi occidentali in generale, non hanno smesso
di complottare contro la repubblica islamica col proposito di farla cadere attraverso
rapporti e finanziamenti con tutta l’opposizione iraniana, in patria e
all’estero, compresi anche settori sedicenti marxisti. La dichiarazione di
sostegno alla causa palestinese, politica e materiale, fu un duro colpo per lo
stato sionista e per il suo protettore, gli USA. La repubblica islamica,
quindi, era divenutane parte “dell’asse del male” come i dirigenti americani
solevano allora, e anche adesso, denominare tutti coloro che non si piegano al
loro modello totalitario libero-scambista. Gli strumenti classici
dell’imperialismo nordamericano e della sua creatura sionista, lo stato di
Israele, per combattere l’Iran sono stati: la coscrizione obbligatoria degli
apparati di informazione e delle cancellerie dei paesi occidentali nei ranghi
della CIA e del MOSSAD, l’uso delle sanzioni economiche per destabilizzare
l’economia e innescare una rivolta dal basso, sostegno e finanziamento dei
gruppi di opposizione, prevalentemente attivi tra i ceti abbienti che
rimpiangevano l’epoca d’oro dello scià. Necessario, quindi, fare un uso
spregiudicato di ogni forma di dissenso interno all’Iran per dipingere i suoi
dirigenti, soprattutto i capi religiosi, come fanatici criminali assetati di
sangue che hanno trascinato l’Iran in un regime medievale, una replica tipica
dei rivoluzionari termidoriani francesi col loro “regno del terrore”. Per
onestà occorre dire che i dirigenti iraniani fornirono molti argomenti ai loro
avversari, interni ed esterni, e hanno continuato anche in seguito. Il libro di
Borgognone fornisce una descrizione minuziosa di tutte le fasi della tormentata
vicenda della repubblica islamica, mettendo in evidenza con ammirevole
attitudine analitica le lotte di potere tra i vari partiti e la dislocazione
politica delle classi iraniane.
In questi 40 anni l’Iran è cambiato, piaccia o no ai suoi
detrattori. Nonostante gli errori imperdonabili, la repubblica islamica si è
consolidata ed è diventata un baluardo della lotta antimperialista e
antisionista in Medioriente. La grande maggioranza della sinistra occidentale
non ha capito nulla di questo ruolo”progressista” del regime iraniano e si è
lasciata pietrificare dal confessionalismo religioso islamico, dalla presenza
degli hayatollah alla guida della repubblica, da intollerabili precetti
religiosi imposti al popolo per legge, dalle dimostrazioni speciose di dissenso
organizzato, come il movimento 18TIR e l’Onda Verde, e da episodi oscuri e
controversi, come la morte misteriosa di Neda Agha Soltan, una ragazza che si
trovava, per caso, presente a una manifestazione dell’opposizione. Su questi, e
altri, episodi la stampa occidentale, cosiddetta “mainstream”, ha suonato la
grancassa all’unisono inventando crimini inesistenti, alterando versioni di
fatti e incidenti coadiuvata da fuoriusciti iraniani e da agenti prezzolati
dell’opposizione in esilio. Valga per tutti la vicenda di Sakineh Mohammadi
Ashtiani, la donna iraniana, che dal 2006 al 2014 ha scontato una pena per omicidio volontario del proprio marito,
eseguito, su sua commissione, dal presunto amante e da un complice. Fu
diffusa la voce in occidente che fosse stata lapidata[5]
in quanto adultera, condanna che, ovviamente, suscitò un moto di profonda
indignazione nell’opinione pubblica. Notizia del tutto falsa, amplificata ad
ampio raggio con interventi personali della moglie dell’ex presidente francese
Sarkozy, Carla Bruni, e di Hillary Clinton Segretaria di Stato di Barak Obama.
Non taccio gli anacronismi e le arretratezze del sistema giudiziario iraniano,
ma mi sembra ragionevole la replica dell’ex presidente iraniano Mahmud
Ahmadinejad che denunciò il caso Sakineh come una campagna mediatica contro
l'Iran, evidenziando i casi delle 53 condanne a morte nei confronti di donne
pendenti negli Stati Uniti d'America al settembre 2010, del tutto ignorate dall’informazione
occidentale. Attivissimo in quest’opera di diffamazione dell’Iran il sanculotto
ebreo sionista Bernard-Henry Lévy votato al silenzio e alla giustificazione
quando Israele massacra migliaia di palestinesi innocenti, ma pronto e febbrile
nell’arte di cavalcare e diffondere menzogne al servizio dello stato ebraico.
In 40 anni di Repubblica islamica, l’Iran, nonostante
l’attacco alla sua economia e alla sua stabilità politica, ha conosciuto un
innegabile progresso materiale, culturale e scientifico. Le università sono
piene di giovani e le ragazze sono in numero prevalente. Gli scienziati
iraniani sono stati mobilitati nella ricerca sul nucleare civile con notevoli
risultati. Ricerca scientifica e sua applicazione alla difesa nazionale vanno
di pari passo. L’alleanza con la Russia e la Cina si dimostra solida e permette
di avere a disposizione un grande mercato. Israele, per realizzare il suo folle
progetto, ha esortato più volte gli Stati Uniti a intervenire militarmente
contro l’Iran diventato il suo più pericoloso antagonista. La ricostruzione
scientifica dei fatti avvenuti l’11 Settembre 2001 a New York e al Pentagono
portano logicamente alla ipotesi che la CIA, il Mossad e l’FBI abbiano
costruito un “inside job”, un lavoro fatto dall’interno per scatenare
l’arabofobia, l’islamofobia a vantaggio unico di Israele e dell’Occidente
egemonizzato dagli USA. Sono troppi gli indizi che conducono a Israele.[6]
Quando l’ex generale Wesley Clarck, ex Comandante in Capo della NATO in Europa,
rivela alla televisione Democracy Now[7]
che, pochi giorni dopo l’11 Settembre 2001, un collega del Pentagono lo informa
che il governo americano sta preparando la guerra contro l’Iraq di Saddam
Hussein e che è stato fatto un progetto per sovvertire in cinque anni i governi
di sette paesi: Siria, Iran, Iraq, Libano, Libia, Sudan e Somalia allora appare
evidente che l’unico e diretto beneficiario di questo progetto criminale ed
eversivo è, oltre al Complesso Militare Industriale americano, ISRAELE.
L’attacco all’Iraq nel mese di marzo del 2003, col falso pretesto delle armi di
distruzione di massa, che non furono mai trovate, fu il primo atto per
avvicinarsi ai confini iraniani. Primo atto coronato da successo. Il secondo
atto doveva essere la Siria. Un altro stato forte e coeso che “dava fastidio a
Israele” e che doveva essere eliminato per procedere, poi, all’eliminazione
dell’Iran sciita, sostenitore del movimento libanese Hetzbollah, pur esso
sciita, con un esercito di circa cento mila uomini, super armato e spina nel
fianco dello stato ebraico.
Dopo l’Iraq, come sovvertire la Siria? Semplice. Lo stesso
metodo applicato in Ucraina: la “rivoluzione colorata”. Organizzare
manifestazioni dell’opposizione, sull’esempio delle “primavere arabe”,
finanziare e introdurre migliaia di mercenari e innescare una guerra civile
fino al rovesciamento del governo legittimo. Così avvenne, come testimoniano
diverse fonti tra cui, la stessa Hillary Clinton e, soprattutto, l’ex ministro
francese degli Esteri Roland Dumas in una intervista televisiva durante la
quale racconta di essere andato a Londra al Foreign Office[8]
per salutare dei colleghi che gli avevano confidato che “stavano preparando una
cosa in Siria” e chiedendogli se i francesi volessero partecipare. La parte più
interessante di questa intervista è la domanda che il giornalista rivolge a
Dumas: “Perché?” La risposta è chiara e pronta: perché è nell’interesse di
Israele, come gli aveva confidato il primo ministro israeliano.
Come tutti sappiamo, il progetto di distruggere la Siria e
portare al governo dei fantocci filoisraeloamericani è clamorosamente fallito,
grazie all’esercito siriano, alla Russia di Putin, alle milizie di Hetzbollah e
all’Iran che ha aiutato e armato la Siria. Mentre scrivo, il presidente Trump
annuncia che ritirerà il contingente americano che era in Siria illegalmente senza
essere stato chiamato da nessuno. Israele ha manifestato il suo disappunto
vedendo fallire clamorosamente i suoi progetti criminali. Stati Uniti,
Inghilterra, Turchia, Israele, Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi sono
stati la Santa Alleanza in questa missione fallita che ha distrutto un paese
sovrano, tra i più evoluti del mondo arabo, provocando una catastrofe
umanitaria di immani proporzioni.
Un’altra ossessione di Israele è la possibilità che l’Iran
acquisisca la bomba atomica e diventi inattaccabile. L’uso del nucleare per
scopi civili è stato ripetutamente affermato dai dirigenti iraniani e
l’amministrazione Obama, mostrando flessibilità e lungimiranza, stipulò nel
2015 un accordo con Teheran e con i 5 membri permanenti del Consiglio di sicurezza
dell’Onu, più la Germania. Lo stato sionista, nell’ultimo decennio, ha
organizzato ed eseguito, con spietata precisione, l’uccisione di scienziati
iraniani come Ardeshir Hassanpour e Mustafa Ahmadi Roshan[9]
pur di impedire che l’Iran si dotasse dell’arma atomica che Israele possiede da
diversi decenni sfuggendo consapevolmente ai controlli dell’AIEA, l’Agenzia per
la limitazione delle armi atomiche. Con l’avvento dell’Amministrazione Trump,
gli Stati Uniti hanno deciso di annullare quell’accordo sempre avversato dallo
stato sionista che lo aveva definito «la resa dell’Occidente all’asse del male
guidato dall’Iran». La verità è che Israele possiede stivati nei bunker nel
deserto del Negev tra 300 e 400 missili a testata atomica pronti al lancio su
missili balistici, come il Jericho 3, e su cacciabombardieri F-15 e F-16
forniti dagli Usa, cui si aggiungono ora gli F-35. L’accordo sottoscritto dagli
iraniani consente le ispezioni dell’AIEA e vi è l’impegno a non costruire armi
atomiche sotto il controllo internazionale. Israele ha centinaia di armi
atomiche e non consente ispezioni a nessuna istituzione internazionale. Osserva
Manlio Dinucci: «Gli alleati europei degli Usa, che formalmente continuano a
sostenere l’accordo con l’Iran, sono sostanzialmente schierati con Israele. La
Germania gli ha fornito quattro sottomarini Dolphin, modificati così da poter
lanciare missili da crociera a testata nucleare. Germania, Francia, Italia,
Grecia e Polonia hanno partecipato, con gli Usa, alla più grande esercitazione
internazionale di guerra aerea nella storia di Israele, la Blue Flag 2017».[10]
Quindi: chi minaccia chi? La condotta israeliana è più simile a quella di
un’associazione per delinquere che a uno stato moderno e democratico.
Mentre scrivo, il Segretario di Stato americano, il
superfalco Mike Pompeo, sta visitando nove stati mediorientali per riprendere i
rapporti con gli arabi amici, isolare l’Iran e rassicurare Israele. È andato in
Egitto e ha fatto un discorso all'Università americana del Cairo accusando
Obama, senza mai nominarlo, per le sue politiche «fuorviate» che hanno «diminuito il ruolo dell'America nella regione,
danneggiato i suoi amici di lunga data e incoraggiato il suo principale nemico:
l'Iran».
Riprendendo il discorso pronunciato da Obama al Cairo nel
2009, ha detto a un pubblico invitato di funzionari egiziani, diplomatici e
studenti stranieri: «Ricordate: era qui, proprio qui in questa città, un altro
americano stava davanti a voi. Vi ha detto che gli Stati Uniti e il mondo
musulmano hanno bisogno di "un nuovo inizio". I risultati di questi
errori di valutazione sono stati disastrosi». Dopo aver criticato l’accordo del
2015 sul nucleare iraniano, l’alleggerimento delle sanzioni e l’inerzia di
Obama per impedire la crescita di Hetzbollah in Libano a scapito della
sicurezza di Israele, Pompeo, pomposamente, ha aggiunto: «La buona notizia è
questa: l'era della vergogna americana autoinflitta è finita, così come le
politiche che hanno prodotto tanta sofferenza inutile». Non basta, «Ora
arriva il vero 'nuovo inizio'», dice messianicamente dopo aver
intitolato, senza alcun pudore, il suo discorso: “Una forza per il bene: Il
ruolo rinvigorito dell'America in Medio Oriente”.[11]
“Una forza per il bene”!!! Questa è la dichiarazione più evidente della
IRREDIMIBILITA’ degli Stati Uniti come potenza globale terroristica e
aggressiva che attribuisce, da sempre, a se stessa il titolo di “forza
salvifica”. Pompeo in questo modo afferma che la guerra non dichiarata contro
l’Iran continua, dunque, annullando la politica di distensione obamiana e
facendo la faccia feroce come, certamente, gli ha chiesto di fare il primo
ministro israeliano Netanyhau. La questione palestinese, vera causa, prima e
ultima, della instabilità mediorientale? Di questa non si parla. Dopo aver
seppellito qualunque ipotesi di pace, l’amministrazione Trump si affida al
“genocidio incrementale dei palestinesi”, come direbbe Ilan Pappe, al furto
continuo di terra in Cisgiordania nella speranza che la disperazione dei
palestinesi si traduca in un esodo biblico verso la Giordania, la Siria in
ricostruzione e altri paesi arabi disposti ad accoglierli in massa. In tal modo
assisteremmo alla scomparsa della Palestina storica e alla sua giudaizzazione
completa. Non è forse questo il fine del “Piano Ynon” che Borgognone,
correttamente, rammenta all’inizio di questo saggio? Oded Ynon è un giornalista
e il suo breve saggio, apparso nel febbraio del 1982 sul giornale sionista Kivunim
(Direzioni), è intitolato “Una strategia per Israele negli anni Ottanta”, un
piano ideato per Ariel Sharon e per il generale Rafael Eitan. Esso prevede la
dissoluzione di tutti gli attuali stati arabi e la formazione di altri tanti
piccoli stati arabi in base a divisioni religiose ed etniche. Nonostante il
saggio sia caratterizzato da un volgare anticomunismo e faccia riferimento alla
minaccia sovietica, che non c’era e non esiste più, esso delinea il progetto di
trasformazione di Israele in una potenza imperiale mondiale. Ynon attacca gli
accordi di Camp David coi quali l’Egitto riottenne la penisola del Sinai
occupata da Israele in cambio della pace rimpiangendo “la perdita dei
giacimenti petroliferi del Canale di Suez” e di altre ricchezze naturali. Ynon
aveva previsto la distruzione dell’Iraq e auspicato anche la distruzione, che
non è avvenuta, della Giordania dove esiste una maggioranza di palestinesi:
“Non vi è alcuna possibilità che la Giordania continui ad esistere a lungo
nella sua struttura attuale, e la politica di Israele, sia in guerra che in
pace, dovrebbe essere diretta alla liquidazione della Giordania sotto l’attuale
regime e il trasferimento del potere alla maggioranza palestinese. (…) non è
possibile continuare a vivere in questo paese nella presente situazione senza
separare le due nazioni, assegnando agli arabi la Giordania e agli ebrei le
zone ad ovest del fiume [Giordano]”. Chiarissimo: i palestinesi siano deportati in Giordania
e tutta la Cisgiordania sia data a noi ebrei. “La convivenza autentica e la
pace regneranno sul paese solo quando gli arabi capiranno che senza il dominio
ebraico tra il Giordano e il mare essi non avranno né esistenza né sicurezza”.
Nella sua brutalità, Ynon non poteva essere più esplicito e perentorio. Qui sta
la chiave ermeneutica per capire la centralità della minaccia sionista sul
mondo intero. Se questo progetto fosse realizzato del tutto, regnerebbe nel
mondo la legge della jungla, la fine del diritto internazionale e delle
istituzioni sovrannazionali, come l’ONU, che oggi appaiono molto depotenziate e
svilite, prive di autorità. Ergo, chiunque ostacoli questo progetto è un nemico
di Israele e degli Stati Uniti controllati da Israele. L’Iran sostiene la causa
palestinese e combatte il sionismo? Che l’Iran sia sovvertito, come gli altri
sei paesi citati dal generale Clarck!
Se la diplomazia nordamericana fosse autonoma, e non condizionata strettamente dalla lobby sionista, probabilmente una politica di distensione e di fiducia reciproca sarebbe stata possibile con l’Iran. Nel 2000, gli USA riconobbero le proprie responsabilità in relazione al colpo di stato che aveva deposto, nel 1953, il governo laico e progressista di Mossadeq e riportato sul trono la dinastia dei Pahlavi. Fu Madeleine Albright, all’epoca segretario di Stato, che definì il regime dello scià «brutale e repressivo». Non si sa quanto fosse sincera quell’affermazione, ma occorreva iniziare dall’ammissione di quel crimine storico, chiedere scusa al popolo iraniano e avviare un nuovo corso tra i due governi perseguendo il reciproco vantaggio. Così non è mai stato perché, dietro le quinte, il veto israeliano ha orientato e imposto a tutte le amministrazioni USA l’obiettivo dell’eversione del regime antimperialista e antisionista iraniano. Accettare l’Iran così come esso è significa per Israele cancellare il progetto del grande Israele e la conseguente pulizia etnica della Palestina, così come si presenta nel “Piano Ynon”. Basta sfogliare i giornali e la pubblicistica occidentale, nel periodo in cui alla presidenza della repubblica islamica c’era l’uomo più antisionista del gruppo dirigente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, per avere la controprova del ruolo decisivo di Israele e dei sionisti. L’informazione occidentale lo presentò come un tiranno nazista, “l’Hitler iraniano”, sfruttando alcune sue infelici e maldestre affermazioni sulle dimensioni dell’Olocausto e sulle esagerazioni numeriche delle vittime ebraiche eliminate dai nazisti. Furono orchestrate campagne furibonde a favore dei candidati filo-occidentali e sfacciatamente filo-americani avversari di Ahmadinejad nelle elezioni del 2009. Ma Ahmadinejad vinse le elezioni per la seconda volta consecutiva col il 62,63% dei voti. Cosa accadde? In Occidente si levarono grida e strepiti accusando il regime di brogli. Se avesse vinto il candidato coccolato dagli americani e dai sionisti, ovviamente, le elezioni sarebbero state glorificate come un trionfo della democrazia, ma quando vincono gli altri tutta la stampa occidentale, come un plotone d’esecuzione, accusa il vincitore di brogli. Un’altra accusa diffusa a piene mani contro Ahmadinejad fu quella di essere “antisemita”. Fu alterata persino la traduzione di alcuni suoi discorsi pur di sostenere quest’accusa. Nessuno scrisse che, per legge, nel Parlamento iraniano devono essere rappresentati gli ebrei, i cristiani e le altre minoranze religiose. Nessuno mostrò le foto che ritraggono Ahmadinejad coi rabbini ortodossi iraniani, coi quali intratteneva ottimi rapporti, né le foto dei rabbini giunti dagli Stati Uniti a Tehran per incontrarlo. Avrebbero dovuto ammettere che il presidente iraniano era molto popolare nel suo paese, che era stato un efficace sindaco di Tehran e che aveva un occhio di riguardo per i più poveri.
Nella storia delle Repubblica islamica dell’Iran c’è
un episodio che non è stato narrato e che la grande stampa evita di divulgare.
Nel mese di maggio del 2003, mentre era in corso
l’attacco anglo-americano all’Iraq, le autorità iraniane inviarono una proposta
di negoziato agli Stati Uniti tramite gli svizzeri. Cosa chiedevano gli
iraniani?
• La
fine del comportamento ostile degli Stati Uniti per mezzo di interferenze, in
terne ed esterne e la presentazione dell’Iran come "asse del male";
(interferenza
nelle relazioni interne o esterne, lista del terrorismo).
•
Abolizione di tutte le sanzioni: sanzioni commerciali, restituzione dei beni
congelati, sentenze, impedimenti nel commercio internazionale e presso leistituzioni
finanziarie.
•
Iraq: creazione di un governo democratico e pienamente rappresentativo in Iraq,
sostegno alle richieste iraniane per le riparazioni di guerra irachene,
rispetto degli interessi nazionali iraniani in Iraq e legami religiosi con
Najaf / Karbal.
•
Pieno accesso alla tecnologia nucleare pacifica, alle biotecnologie e alla
tecnologia chimica.
•
Riconoscimento dei legittimi interessi di sicurezza dell'Iran nella regione con
capacità di difesa adeguate.
•
Terrorismo: ricerca di terroristi anti-iraniani, soprattutto MKO (Mojahedin-e-Khalq Organization
(People's Mujahedin of Iran) e sostegno al rimpatrio dei loro membri in
Iraq, azione decisiva contro i terroristi anti-iraniani, soprattutto l'MKO e le
organizzazioni affiliate negli Stati Uniti.
Cosa
chiedevano gli Stati Uniti?
• piena
trasparenza per la sicurezza con l’impegno che l’Iran non avrebbe sviluppato o
posseduto armi di distruzione di massa; piena cooperazione con l'AIEA (Agenzia
internazionale per l'energia atomica) basata sull'adozione da parte iraniana di
tutti gli strumenti e i protocolli AIEA)
•
Terrorismo: azione decisiva contro qualsiasi terrorista (soprattutto al Qaida)
sul territorio iraniano, piena cooperazione e scambio di tutte le informazioni
pertinenti.
•
Iraq: coordinamento dell'influenza iraniana per l'attività a sostegno della
stabilizzazione politica e la creazione di istituzioni democratiche e un
governo non religioso.
•
Medio Oriente:
1)
fine di ogni sostegno materiale ai gruppi di opposizione palestinese (Hamas,
Jihad, ecc.) dal territorio iraniano, pressioni su queste organizzazioni per
fermare azioni violente contro i civili entro i confini del 1967.
2)
l'azione su Hezbollah per diventare una mera organizzazione politica
all'interno del Libano
3)
accettazione della dichiarazione di Beirut della Lega Araba (iniziativa
saudita, approccio di due stati)
passi:
•
Iraq: costituzione di un gruppo comune, sostegno attivo dell'Iran per la stabilizzazione
dell'Iraq, impegno degli Stati Uniti per sostenere attivamente le richieste di
risarcimento iraniane nell'ambito delle discussioni sui debiti esteri
dell'Iraq.
•
Terrorismo: impegno USA per disarmare e rimuovere MKO dall'Iraq e agire contro
la sua leadership, impegno iraniano per un'azione rafforzata contro i membri di
Al Qaida in Iran, accordo sulla cooperazione e lo scambio di informazioni
•
Dichiarazione generale iraniana "per sostenere una soluzione pacifica in
Medio Oriente che coinvolga le parti interessate"
•
Dichiarazione generale USA secondo cui "l'Iran non apparteneva all'asse del
male"
•
Accettazione da parte degli Stati Uniti di eliminare gli impedimenti contro
l'Iran nelle istituzioni finanziarie e commerciali internazionali.[12]
Le
“colombe”, presenti in entrambi i campi in conflitto, si erano adoperate per
quello che nei documenti era chiamato “il grande affare” iraniano.
Nell’amministrazione di Bush Junior non mancavano i segnali di disponibilità,
come fanno supporre certe affermazioni di Condoleeza Rice. Tuttavia, era
oggettivamente difficile per un paese antimperialista e anticoloniale poter
accettare le limitazioni al sostegno alla causa palestinese e la trasformazione
di Hetzbollah in un partito politico. Nella controproposta americana risulta
evidente l’influenza della lobby sionista ampiamente presente
nell’amministrazione Bush. Nonostante gli incontri diplomatici e i traccheggiamenti
per non apparire come coloro che hanno voluto chiudere le trattative, il
tentativo di negoziato era destinato a naufragare.
La proposta iraniana, distensiva e conciliativa, si era
sviluppata all’interno della presidenza Khatami, notoriamente considerato un
moderato, un riformista, e fu un tentativo animato da buone intenzioni che la
controparte lesse come un segnale di debolezza per arginare la crisi interna di
un regime di cui gli USA e Israele si auguravano il collasso. Un’occasione
mancata che sul New York Times del 28 aprile 2007 Nicholas D. Kristof
commentò con queste parole:
Nella
rubrica di domenica ho esposto i tentativi di raggiungere un "grande
affare" tra Stati Uniti e Iran, prima che i sostenitori della linea dura
dell'amministrazione Bush uccidessero lo sforzo nel 2003. Qui sto fornendo
ulteriori informazioni di base e i documenti completi. (…) Sembra una cattiva
gestione diplomatica di altissimo livello che l'amministrazione Bush abbia
rifiutato quel processo a priori e ora stia invece battendo i tamburi di guerra
e considerando gli attacchi aerei sui siti nucleari iraniani.[13]
[2]
Ariel Sharon, Primo Ministro d’Israele, 31 ottobre 2001, risposta a
Shimon Peres, come riportato in un programma della radio Kol Yisrael.
[3]
https://www.ilfarosulmondo.it/lisraelizzazione-degli-usa-e-le-guerre-senza-nome/
[4]
https://diegosiragusa.blogspot.com/2018/11/rapporto-dalliran.html
[5]
In Iran non esiste la pena della lapidazione.
[6]
https://youtu.be/Xs9EJiGMfgs Conferenza di Christopher Bollyn, uno tra i
maggiori studiosi di terrorismo e autore di diversi libri sull’11 settembre.
Secondo Bollyn tutte le premesse e diversi indizi conducono a identificare
Israele come il beneficiario principale della messa in scena dell’11 settembre
2001.
[7] https://www.youtube.com/watch?v=69Xo5Gxn2o4
[8]
https://youtu.be/jeyRwFHR8WY
[9]
Diego Siragusa, Il terrorismo impunito, pagg: 481-483, Zambon Editore, 2012.
[10]
https://diegosiragusa.blogspot.com/2018/05/israele-200-armi-nucleari-puntate.html
[11]
Fonte:
https://abcnews.go.com/beta-story-container/Politics/wireStory/pompeo-egypt-amid-concerns-us-mideast-policy-60279845
[12]
Trita Parsi, Treacherous alliance,
the secret dealings of israel, iran, and the united states, yale university
press, 2007, pagg.341-346.
[13]
https://kristof.blogs.nytimes.com/2007/04/28/irans-proposal-for-a-grand-bargain/
[14]
Trita Parsi, Op. citata, pag. 346.
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