venerdì 13 agosto 2021

IL LORO PARADISO E' IL NOSTRO INFERNO

 

(Intervista a Fawzi Ismail a cura del 

Collettivo Eutopia)


"Sopra di lui si alzavano fumo e lamenti, il fragore delle

bombe. Il grandinare dei proiettili si confondeva con le

grida e la voce del mare, con lo scalpiccio dei passi

senza speranza e il rumore di remi che colpivano le onde."

(da Ritorno ad Haifa di Ghassan Kanafani)


Fawzi Ismail è il Presidente e il cofondatore dell’Associazione Amicizia Sardegna-Palestina (https://www.sardegnapalestina.org) che lavora quotidianamente per far crescere la coscienza dei diritti dei popoli e della loro autodeterminazione e che lotta per i Palestinesi, affinché ottengano piena libertà in uno stato indipendente.


Da bambino, durante la Guerra dei Sei Giorni nel 1967, Fawzi Ismail assiste alla distruzione del suo villaggio, alla devastazione della sua terra e viene costretto con la forza delle armi a lasciare la propria casa in quell’ennesima fase della pulizia etnica compiuta dall’esercito occupante sionista. Esattamente come accadde a suo padre e a suo nonno nel 1948. Anche loro vennero scacciati dalle abitazioni e videro l’annientamento del centro in cui erano nati.

Insieme alla sua famiglia, Fawzi diventa così uno delle centinaia di migliaia di numeri umani nei registri dell’UNRWA, confinati nelle tante tende dei campi profughi allestiti dalle Nazioni Unite in Giordania.

Vive dunque la sua infanzia da rifugiato e tra i rifugiati. Privato di tutto.

Ma coglie la possibilità di studiare interpretata, sottolinea, come “una sorta di rivincita” rispetto allo sterminio della sua gente e all’azzeramento della società palestinese da parte degli israeliani.

Dopo aver conseguito la maturità in Giordania, raggiunge la Sardegna e a Cagliari si laurea. Da molti anni presta servizio alla comunità sarda e italiana come medico.

Fawzi Ismail è una delle voci storiche degli esuli palestinesi in Europa e un operatore politico-culturale di riferimento nel nostro Paese. Il Collettivo Eutopia gli esprime la propria gratitudine per aver avuto il privilegio di ascoltare le sue parole sulle tragiche giornate di questo maggio del 2021.

Come il Popolo Palestinese ha vissuto e vive la linea dell’equidistanza – per noi va definita “complicità con i carnefici” – assunta dai governi europei rispetto al massacro compiuto a maggio dagli occupanti sionisti?

Per comprendere l’eccidio di queste settimane dobbiamo sempre ricordarci ciò che è avvenuto 73 anni fa, nel 1948.

Il colonialismo sionista in Palestina – deve essere chiamato colonialismo e non semplicemente occupazione – è un progetto europeo. L’Europa è artefice e parte integrante di tale disegno politico-militare, volto alla creazione di un avamposto coloniale nel Vicino Oriente.

Bisogna premettere e ricordare che il piano per costruire uno Stato ebraico in Palestina è molto precedente all’Olocausto.

Bisogna ricordare sempre che la Palestina era una Terra abitata dal Popolo Palestinese, dapprima che l’Occidente capitalista, imperialista massacrasse gli ebrei, per poi chiudere un occhio, anzi tutti e due gli occhi, quando i sionisti massacrano i palestinesi.

Il 14 maggio del 1948 con la nascita dello Stato di Israele, l’Europa ha consentito che le bande sioniste, che poi si sono aggregate per costituire l’esercito israeliano, sterminassero i palestinesi, distruggessero i loro villaggi e le loro case.

Nel 1948 è stata cancellata una società intera, la società palestinese. Una società evoluta e pluralista.

Da un momento all’altro un popolo è stato disperso, una moltitudine sconfinata di esseri umani sono stati ridotti a profughi.

Tanti però, per fortuna, hanno resistito e resistono ancora nella propria terra.

Ed è proprio questo che non viene perdonato ai palestinesi: non essersi piegati alla schiavitù che i sionisti tentano di imporre, non essersi lasciati spazzare via dalla violenza israeliana. 

L’Europa delle Cancellerie dunque non era equidistante allora e non lo è tantomeno oggi. È parte integrante del progetto per annientare la Palestina.

E le responsabilità politiche e culturali specificamente italiane?

Già durante il regime fascista, in seguito alle intese tra Mussolini e il leader sionista Zabotinskij, dal 1934 al 1938, l’Italia addestrò ebrei italiani ed europei all’Accademia della Marina Militare di Civitavecchia

Li preparava, li armava e li inviava in Palestina per compiere atti terroristici, per prendere parte alla pulizia etnica.

Pochi italiani conoscono questa vicenda, sebbene basti cercare nei documenti storici, negli archivi dell’Accademia Militare di Civitavecchia.

La collaborazione si fermò nel 1938 quando le leggi razziali antisemite vengono promulgate dal fascismo per consolidare l’alleanza con il Terzo Reich di Hitler.

La complicità dei governi italiani con i sionisti non è dunque nuova. Ha radici lontane e proseguì dopo la Seconda Guerra Mondiale sino ad oggi, anche con la nascita della Repubblica.

Per lavarsi la coscienza dall’Olocausto, l’Italia, così come l’intera Europa, sostenne le bande sioniste che cominciarono la pulizia etnica nel 1947-1948.

Negli anni successivi, tanti italiani, anche di sinistra, caddero poi nelle mistificazioni della propaganda sionista, guardando con ammirazione alla formula del kibbutz. Videro nelle comuni agricole socialiste ebraiche un punto di riferimento di vita collettiva, senza denunciarne l’aspetto coloniale e di discriminazione razziale.

I kibbutz, queste fattorie, sorgevano infatti sul sangue dei contadini palestinesi, sulle terre che venivano loro rubate, espropriate.

Salutare quei kibbutz, costruiti nell’assassinio di massa e nel furto, come grande espressione del sionismo, come portentosa invenzione sociale è una responsabilità gravissima di buona parte della sinistra italiana ed europea.

Una logica coloniale e criminale, quella della sottrazione di ogni spazio di sopravvivenza del Popolo Palestinese, che persiste anche oggi. Fino all’ultimo centimetro di terra…

Nelle ultime settimane abbiamo assistito all’espropriazione delle case dei palestinesi di Sheikh Jarrah, quartiere di Gerusalemme Est.

Nessuno nei media mainstream ha raccontato che gli abitanti di Sheikh Jarrah sono profughi provenienti dalla zona Ovest di Gerusalemme. Quindi famiglie palestinesi derubate già una volta dei loro tetti dai coloni sionisti e defraudate adesso per la seconda volta.

Nel 1956 queste famiglie hanno ricevuto i terreni nell’area di Sheikh Jarrah per poter costruire le loro abitazioni dall’ UNRWA, l’Agenzia ONU per i Rifugiati, col consenso del governo giordano che amministrava al tempo Gerusalemme Est.

Ci vivono, dunque, legittimamente dal 1956.

Ora i coloni sionisti sostengono che quelle terre appartenevano a delle agenzie ebraiche addirittura nel XIX secolo, falsificando ancora una volta la Storia per giustificare la loro violenza.

Hanno rubato una Nazione intera, hanno rubato la Palestina, e ora rubano persino un quartiere che appartiene ai rifugiati già colpiti dalla pulizia etnica.

L’arroganza dei coloni sionisti e dei loro sostenitori occidentali non ha limiti, arriva persino a rivendicazioni di possesso su Gerusalemme Est.

E la situazione dei palestinesi in Cisgiordania?

Non esistono differenze nella condizione dei palestinesi sotto l’occupazione coloniale sionista.

La cosiddetta convivenza tra arabi e israeliani è un’altra contraffazione propagandistica della verità e va chiamata col suo nome: apartheid.

Gli accordi di Oslo del ’93 hanno portato da un’unica Cisgiordania occupata a molte Cisgiordanie occupate, alla suddivisione della nostra terra in una serie di bantustan dove i palestinesi, tanto per fare un esempio, non sono liberi neanche di muoversi su determinate strade, riservate agli israeliani.

Perché in Europa si tende a leggere questa quotidiana realtà di sopraffazione come un conflitto di religione?

Perché lo vuole Israele. Le provocazioni continue, come l’irruzione dell’esercito sionista nella moschea di Al Aqsa, sono un tentativo di suscitare la reazione dei fedeli mussulmani per spostare l’asse dialettico dalla lotta di un popolo contro un occupante colonialista a una guerra di religione basata sul controllo dei luoghi sacri.

I sionisti sanno quanto siano forti i sentimenti islamofobi in Occidente e hanno tutto il vantaggio a giocare la carta del conflitto di civiltà. Così rafforzano il consenso che ricevono dalla destra razzista, antiaraba europea e dai laici della cosiddetta sinistra parlamentare europea (ciò che è autentica sinistra in Italia è da anni fuori dal Parlamento).

Chi occupa la nostra terra ha creato uno Stato confessionale già nel suo principio fondamentale che recita: Israele è uno Stato per gli ebrei. L’unico Stato al mondo a dare la cittadinanza in base all’appartenenza religiosa, uno Stato che si regge su leggi razziali.

La nostra invece è una lotta di liberazione, è una lotta contro un’ingiustizia infinita, è la lotta di un popolo orgoglioso che si rifiuta di vivere in schiavitù, che si rifiuta di andare ogni giorno al macello senza reagire.

I miei avi hanno combattuto sino all’inizio del Novecento contro i musulmani dell’impero ottomano, il mio bisnonno e mio nonno hanno combattuto contro i cristiani inglesi, oggi combattiamo contro gli ebrei israeliani. Noi combattiamo contro coloro che s’impadroniscono della nostra terra e delle nostre case, non ci importa in quale Dio credano.

Non facciamo e non faremo mai vittimismo perché la verità è dalla nostra parte e continueremo a batterci per affermarla.

Qual è il bilancio politico di queste atroci giornate?

Ciò che è successo in questi giorni ha unificato il popolo palestinese sia in Cisgiordania, sia a Gerusalemme, sia nella Palestina Occupata dal 1948, sia a Gaza e nella diaspora. Ovunque abbiamo visto una lotta unanime di un popolo che rivendica i suoi diritti. Compatto. Forte. È una lotta che si è rinnovata in modo unitario a trent’anni dai fallimentari accordi di Oslo.

Qual è il rischio più grande di questa tregua? Quale scenario ci attende?

Non c’è nessuna tregua e nessun cessate il fuoco. Si sono fermate le ostilità più spettacolari, i bombardamenti massicci su Gaza. È terminata una battaglia, ma il conflitto continuerà a esistere finché ci sarà l’occupazione. Nessun popolo sulla Terra può fare pace con un’occupante, tantomeno il Popolo Palestinese. Ci meravigliamo che i governanti italiani non lo capiscano dato che la storia della Repubblica nasce da una Resistenza armata che ha combattuto fino all’ultimo per la liberazione dal nazifascismo. Con la loro determinazione a vivere e a lottare, i palestinesi hanno dato una lezione agli israeliani. I razzi lanciati da Gaza, per quanto di ridotta efficacia militare, sono stati fondamentali sotto l’aspetto morale. Nemmeno il dato economico è da sottovalutare. Solo rapportando il costo per la produzione di un razzo ai soldi spesi da Israele per intercettarli, senza considerare chiusure e altri danni economici collaterali, capiamo che questo tipo di resistenza è molto più efficace di quanto non si creda. Quei razzi hanno detto a Israele: non potete continuare a sterminarci. Nelle prossime battaglie, gli israeliani saranno ancora più duri e feroci perché il loro fronte interno è scoraggiato. Da questa aggressione si aspettavano risultati militari definitivi mentre non sono riusciti ad annichilire la resistenza palestinese. Inoltre l’indignazione di tutti i popoli della Terra rappresenta per la causa palestinese un importante successo politico. Al posto dei sionisti non mi sentirei così tranquillo. Sono scesi in piazza milioni di persone in tutto il mondo per la libertà della nostra gente, evidenziando la totale discrepanza all’interno dell’Occidente capitalista tra quello che si dice nei Palazzi del Potere e quello che affermano i popoli nelle strade, in netta opposizione a chi li governa.

Quindi possiamo asserire che, grazie alla resistenza del Popolo Palestinese e al conseguente sostegno ricevuto nelle piazze europee dai semplici cittadini, dai movimenti, dalle associazioni, sia stata finalmente minata la credibilità dell’UE e dei governi occidentali?

Le dichiarazioni vergognose e ridicole degli esponenti del mondo politico parlamentare italiano ed europeo sul diritto degli israeliani a difendersi attirano tanto l’odio degli arabi quanto quello dei propri popoli. Sono i palestinesi ad avere il diritto di difendersi contro la discriminazione, contro la segregazione razziale, contro il massacro dei loro figli.  I governi europei che amano esportare quella che chiamano democrazia, non la vogliono però per i palestinesi. Il cosiddetto modello di democrazia israeliana – l’unica democrazia del Medio Oriente come la celebrano in tanti – è un insulto al concetto stesso di democrazia e definirlo tale è un insulto all’intelligenza umana, e questo mi disturba molto. Perché dobbiamo pagare noi per l’Occidente che si sente in debito con gli ebrei? L’Olocausto è un prodotto mostruoso del nazifascismo e della cultura europea. Per superare il loro senso di colpa, gli Stati e i governi europei si sono resi complici e si rendono complici ogni giorno di un altro Olocausto. L’Olocausto del Popolo Palestinese. Un Olocausto peggiore perché persiste da 73 anni. Ma sono fiducioso. Perché verrà un tempo in cui le classi dirigenti occidentali dovranno rendere conto della loro complicità nei crimini contro l’umanità commessi dai sionisti, nello sterminio di intere generazioni di palestinesi. E dovranno chiedere scusa.

Questa classe dirigente europea sembra vedere nello Stato-Fortezza israeliano un riferimento per un’era di perenne crisi ed eterna emergenza.

È vero. Il modello di repressione dei palestinesi da parte dell’occupazione israeliana è adottato da tutto l’occidente capitalista sia nell’ideologia militarista, sia nelle strategie antisommossa della polizia, sia nelle pratiche di tortura, sia dal punto di vista politico con la creazione di democrazie a senso unico. Ovvero libertà democratiche dispensate a pochi eletti e oppressione per coloro che non accettano il pensiero unico. Non è un caso che in Francia in questi giorni siano state vietate le manifestazioni per il Popolo Palestinese alla faccia della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità. Israele è un modello di repressione mondiale per il Nordamerica, per l’America Latina, per l’Asia e per l’Europa. E la società civile europea per riconquistare i diritti persi negli ultimi anni si sta scontrando con le metodologie di repressione ideate ed applicate dagli israeliani.

Come collettivo politico e artistico, Eutopia si propone e propone di andare più in là del concetto di solidarietà e arrivare al concetto di condivisione quotidiana con il Popolo Palestinese, di compartecipazione quotidiana alla resistenza dei palestinesi. Quali potrebbero essere gli strumenti di lotta per le persone e i movimenti europei che si oppongono ai governi occidentali filosionisti?

Di sicuro avete ragione quando dite che non bisogna manifestare ed esprimere il dissenso soltanto quando ci sono i loro bombardamenti pesanti sul nostro popolo. La lotta deve essere giornaliera. Bisogna boicottare Israele culturalmente ed economicamente, perché Israele è un pericolo per l’umanità intera. Non bisogna ascoltare la propaganda sionista che si diffonde attraverso la propaganda dei vari stati dell’Unione Europea. Israele spende milioni e milioni di dollari nella propaganda per lavare la propria faccia sporca davanti alla società civile europea. Va compiuto un profondo lavoro culturale per svelare le loro menzogne e spiegare i fatti storici nella loro essenza. Essere solidali con i palestinesi per gli europei significa essere solidali con se stessi, significa “restare umani”, come diceva Vittorio Arrigoni. I sionisti inoltre sottovalutano l’immigrazione arabo-palestinese in Europa e l’incontro che le seconde e le terze generazioni di immigrati hanno con i giovani italiani. Da questo incontro tra popoli sta sorgendo una nuova cultura dinamica. Una cultura dinamica che attraversa il tempo – nonostante i reazionari cerchino di fermarlo – e che originerà una ferma e costante opposizione al sionismo. Abbiamo pazienza e fiducia nel futuro perché alla fine la verità viene sempre a galla.

A proposito di propaganda, non possiamo non parlare delle mistificazioni compiute dai media mainstream nella diffusione delle notizie in questi giorni. In particolare delle menzogne di Stato della RAI contro cui ci sono state manifestazioni e proteste in tutta Italia sabato 22 maggio.

L’informazione della RAI è offensiva, è un’offesa inaudita a milioni di cittadini arabi, palestinesi e italiani. Ho sentito alla radio di Stato: “150 terroristi palestinesi uccisi dagli attacchi israeliani”. In realtà, in 11 giorni di aggressione sono stati assassinati 248 palestinesi. Più di 60 erano bambini, gli altri erano donne e uomini civili, e solo 12 erano combattenti. La Rai sposa dunque la versione israeliana dei fatti a spese della verità e dei contribuenti italiani. Gli italiani vengono presi in giro dalla tv nazionale; guardano talk show in cui vengono invitati sempre e soltanto scrittori e artisti israeliani o sostenitori occidentali del sionismo e mai scrittori e artisti palestinesi o filopalestinesi. Anche questo fa parte del tentativo dei sionisti di distruggere la nostra memoria e la nostra cultura che sono degne di essere rispettate, che resistono grazie ai racconti dei nostri nonni e dei nostri padri, e al lavoro dei nostri artisti e dei nostri intellettuali. I sionisti hanno costruito una narrazione in cui gli arabi sono visti come un popolo arretrato. Tante volte mi sono sentito dire da sostenitori italiani del sionismo: Israele ha trasformato il deserto in un Paradiso. Allora sin da ragazzo rispondevo: il mio Paradiso era quel deserto. Gli Occidentali hanno trasformato il mio Paradiso in un loro Paradiso e in un Inferno per me.

Un altro aspetto, per noi vile, che esiste in alcuni settori delle élite di sinistra europee è il rifiuto a dialogare con tutte le Quattro Forze che rappresentano il popolo palestinese: il Fronte popolare, il Fronte democratico, Hamas e la Jihad islamica. Come in tutti i popoli della Terra, anche da noi esistono visioni diverse. Ma nessuna di queste Quattro Forze dice che non bisogna liberare la Palestina. Ed è questa la priorità: la liberazione della Palestina e il ritorno dei profughi. Di fatto la solidarietà europea deve essere con la Palestina, col suo popolo intero. Tanti intellettuali europei vogliono decidere come deve essere organizzata la società palestinese esprimendo una forma di colonialismo culturale. “Se fate come voglio io sono solidale, se non fate come voglio io non sono solidale”, sembrano dire. Una posizione ambigua e inaccettabile. Coloro che vivono sotto le bombe, sotto la violenza sionista, sono gli unici ad avere il diritto di decidere come portare avanti la lotta. La lotta è unica. E io sono con loro perché la loro lotta è giusta, perché lottano anche per me, anche per noi. Personalmente appartengo alla sinistra internazionalista e anticapitalista, ma riconosco che Hamas è parte integrante della causa palestinese, che ha combattuto contro la corruzione dell’ANP, che ha reagito efficacemente dopo l’umiliazione subita da Arafat, e che è più concreta nel contrastare l’occupazione coloniale sionista. Ciò non toglie che Israele teme di più la sinistra palestinese rispetto ad Hamas. Per tale ragione i leader del Fronte Popolare sono tutti incarcerati, per tale ragione i media occidentali tacciono sul ruolo fondamentale che questa forza storica ha avuto nella battaglia di maggio.

Ci teniamo a far conoscere le attività centrali dell’Associazione Amicizia Sardegna – Palestina. La nostra associazione è nata nel 1997, tre anni dopo la tragedia degli accordi di Oslo, una tragedia per il Popolo Palestinese pari a quella del ’48. Dopo Oslo, lo smarrimento dei palestinesi a livello internazionale è stato enorme, le reti dell’associazionismo di categoria degli esuli si sono smantellate. Allora abbiamo deciso di reagire a questo disorientamento, creando la nostra piccola comunità costituita da palestinesi, arabi, sardi e italiani per far conoscere cosa succede in Palestina attraverso iniziative culturali, letterarie e cinematografiche. Nel 2001 nasce Al Ard Doc, rassegna del documentario palestinese ormai alla 17°edizione. Uno dei più longevi festival del cinema palestinese nel mondo. Abbiamo proiettato quasi 500 film che conserviamo nel nostro archivio audiovisivo. Inoltre diamo spazio a concerti, mostre di pittura, attività teatrali per far conoscere le creazioni artistiche palestinesi. Tutto nel segno del volontariato. Altre nostre aree di intervento fondamentali sono il contatto con le scuole, i progetti di cooperazione nei campi profughi in Libano e Siria, i progetti di cooperazione per le donne, i bambini, i prigionieri politici palestinesi, e quelli per l’istruzione come Handala va a scuola.

(http://cooperazione.sardegnapalestina.org/handala-va-a-scuola)

Ovviamente poi c’è la nostra attività politica. Occorre ribadire ogni giorno che quello che è avvenuto e avviene in Palestina ha implicazioni che riguardano l’umanità intera, non solo il Medio Oriente.

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