Attraverso l'incriminazione "precoce" di Milosevic ed il silenzio sui crimini commessi dalla NATO l'Organo titolare dell'azione penale, ha schierato il Tribunale Penale Internazionale contro la Jugoslavia, proprio nel momento in cui questo paese era sottoposto agli attacchi più duri da parte della NATO. In questo modo il Tribunale è stato - obiettivamente - trasformato in uno strumento funzionale alla guerra in corso, attraverso la delegittimazione totale del nemico dell'Occidente.
La vicenda dell'arresto e della consegna di Milosevic al Tribunale penale Internazionale per la ex Jugoslavia non può essere letta come una vittoria del diritto o un trionfo della giustizia internazionale, che riesce ad avere ragione - finanche- dei "dittatori", e a portarli alla sbarra, perché rispondano delle gravi ed ingiustificate sofferenze che hanno inflitto ai loro e agli altri popoli.
Il processo a Milosevic non rappresenta la giusta sanzione per quelle massicce violazioni dei diritti dell'uomo, che si sono verificate nel teatro dei Balcani - ad opera di molteplici attori - e che il diritto internazionale giustamente bandisce come crimini internazionali, sotto il triplice profilo del genocidio, dei crimini contro l'umanità e della violazione delle leggi ed usi di guerra (crimini di guerra).
Per sgombrare il campo dagli equivoci, è bene chiarire che non siamo in presenza di un processo attraverso il quale il diritto internazionale dei diritti umani ed in particolare il diritto bellico, da sempre considerato evanescente, comincia finalmente ad acquistare la solidità che deriva dalla sua effettività e riesce ad espletare la sua efficacia, superando la barriera dei particolarismi e delle sovranità nazionali.
In effetti l'Istituzione di un Tribunale penale internazionale, competente per i crimini commessi - da tutti i belligeranti - nel territorio della ex Jugoslavia, se aveva una funzione, era proprio quella di rafforzare l'effettività delle norme internazionali che interdicono quei fatti che la coscienza morale dell'umanità aveva ripudiato qualificandoli come crimini internazionali. In tal modo, raffreddando le efferatezze e riducendole ad episodi criminali, il Tribunale avrebbe reso più facile la composizione pacifica dei conflitti, attraverso le strade maestre della politica e della diplomazia.
Nel corpo di un conflitto aspro ed intricato, come quello Jugoslavo, caratterizzato dalla presenza di numerose linee di frattura, ideologiche, religiose, culturali e linguistiche, tuttavia, l'intervento coercitivo di un organismo giudiziario sopranazionale, o comunque sovraordinato alle parti in conflitto, avrebbe potuto svolgere una funzione positiva di contenimento ed appassimento del conflitto, soltanto ove fosse stata rigorosamente rispettata la metodologia giudiziaria, per sua natura portatrice di uno spazio istituzionale di terzietà e neutralità rispetto allo scontro diretto fra i portatori degli interessi in conflitto.
Il metodo giudiziario, infatti, è quello di depoliticizzare gli avvenimenti, frammentandoli in segmenti, che vengono analizzati nella prospettiva della emersione delle responsabilità meramente individuali. L'accertamento delle responsabilità individuali consente di depoliticizzare il conflitto e di farlo uscire dal circolo vizioso delle responsabilità e vendette collettive che si autoalimentano, nello stesso tempo pone un freno al delirio di onnipotenza che normalmente è alimentato dalla sensazione di impunità.
Alla luce di tali osservazioni, già nell'atto istitutivo del Tribunale penale internazionale, vi erano delle premesse sbagliate, in quanto, a fronte della totale discrezionalità dell'azione penale tipica dei sistemi anglosassoni, non veniva posta nessuna cautela procedurale nei confronti dei capi di Stato e di Governo, sebbene in tutti gli ordinamenti, anche i più democratici, esistono cautele procedurali o sostanziali per gli atti compiuti dagli individui-organi posti a vertici delle istituzioni (dalle autorizzazioni a procedere per i parlamentari a talune immunità o privilegi giurisdizionali per i capi di Stato). Ciò comportava il rischio di una precoce "politicizzazione" dell'attività del Tribunale penale Internazionale e della strumentalizzazione della sua attività da parte di Stati terzi.
L'esperienza concreta dell'attività del Tribunale nel suo complesso (tenuto conto soprattutto dell'attività del suo organo di impulso, la Procura), dimostra che quelle preoccupazioni non erano infondate, anzi si sono dimostrate talmente consistenti che, dopo la guerra del Kossovo, il Tribunale ha cambiato ruolo e funzione rispetto all'impostazione originaria che lo aveva partorito.
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