Ricevetti in lettura. l'anno scorso, questo testo del prof. Amedeo Cottino. Sapevo che si trattava di una ricerca originale e di notevole attualità. Durante l'estate lo lessi in pochi giorni, fui affascinato dall'argomento e dalla maestria della scrittura: chiamai il mio editore e gli proposi di pubblicarlo senza indugi. Così è avvenuto e oggi presentiamo questo libro ai lettori italiani affinché siano indotti ad aprire gli occhi sulle immani tragedie del nostro tempo e comprendano i meccanismi mediante i quali "il male" organizza il consenso attorno a sé. Mi conforta sapere che in alcune università è stato adottato come testo di studio per i nostri studenti.
Propongo la lettura di questa bella recensione di Aldo Garzia pubblicata dal quotidiano "il manifesto".
Il grande rifiuto all’assuefazione
«C’è chi dice no» di Amedeo Cottino pubblicato per le edizioni
Zambon
Aldo Garzia
Oltre
che il titolo di una bella e indignata canzone di Vasco Rossi, ora C’è chi dice no è anche il titolo dell’ultimo libro di
Amedeo Cottino pubblicato per le edizioni Zambon (pp. 192, euro 12). Cottino,
già ordinario di Sociologia del diritto presso l’Università di Torino, è
profondo conoscitore della cultura scandinava nonché ex direttore dell’Istituto
italiano di cultura a Stoccolma.
In questo agile volume l’autore affronta
una tematica complessa su cui ci si interroga sempre troppo poco: cosa provoca
la rivolta individuale e collettiva di fronte alle ingiustizie? Perché sembra
prevalere una insensibilità diffusa «nella maggioranza degli umani», come
scrive Marco Revelli nell’introduzione e ci racconta perfino Joseph Conrad in
Lord Jim? E a questo si può aggiungere il quesito su come sia facile passare
dal ruolo di «vittime» a quello di «carnefici». Tema riproposto con forza di
recente pure nei cinema italiani dal film danese Sotto la sabbia di Martin
Zandvliet, in cui si narra la storia di giovanissimi soldati tedeschi che
finita l’occupazione nazista della Danimarca furono usati come carne da cannone
per lo sminamento delle coste. Di questa problematica si era già occupato Lars
von Trier, altro regista danese, nel film Europa dove la Germania post nazista
vive lo smarrimento di un paese senza identità, territorio di soprusi e
vendette.
Nel prologo, Cottino spiega come a muovere
le sue riflessioni abbia contribuito anche un episodio di vita famigliare. Nel
gennaio 1945, suo fratello Gastone fu salvato dalla polizia fascista grazie a
due famiglie che abitavano nel centro di Torino. Persone semplici, non eroi,
mossi al sentimento della protezione e della solidarietà dalla «normalità del
bene» che a volte si contrappone alla «normalità del male». Ecco spiegato
l’interesse dell’autore a descrivere «la varietà di atteggiamenti che noi umani
– soggetti individuali e collettivi – possiamo assumere nei confronti
dell’Altro». Sapendo però che la contrapposizione tra «bene» e «male» non
spiega tutto. Chi ha sganciato le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki è
forse meno colpevole? Cosa porta al rifiuto di ciò che appare «naturale» è
l’assillo teorico di questo libro.
Il palcoscenico dell’immaginario diffuso –
scrive Cottino – ha sempre tre attori: mandante, esecutore, vittima. Che la
maggioranza degli uomini e delle donne attraversi la propria vita girando la
testa dall’altra parte è frutto di una manipolazione che va svelata e che trova
radici profonde in un sistema politico repressivo apparentemente neutro e
accomodante. Quindi, non va mai abbassata la guardia nei confronti di ciò che
appare ovvio o senso comune. Un pensiero critico, avverte Cottino, deve
continuamente confrontarsi con le forme del dominio e con le sue culture, siano
esse grossolane o sofisticate. Solo così si dice «no» alla manipolazione del
consenso. Un compito specifico spetta perciò al pensiero giuridico, da sempre a
confronto con le questioni della legalità e dei nuovi diritti, della
codificazione in norme di ciò che muta nei rapporti sociali. Ciò che appare
«naturale» è sempre il prodotto di qualcosa niente affatto naturale.
L’indifferenza è voluta da un potere dal
volto sempre più inafferrabile, almeno all’apparenza. Cottino ci offre vari
esempi di rivolta e assuefazione nel suo testo, come pure molti spunti teorici.
Si parte dalle metafore del Lord Jim di Conrad (un ufficiale della marina
inglese che aspirava a grandi imprese e che invece abbandona, in preda alla
paura, la sua tradotta che trasportava pellegrini musulmani) per analizzare le
tappe del processo e le mutazioni dell’imputato via via che si avanza
nell’accusa. Poi si procede all’analisi dei diversi comportamenti nei confronti
dell’ingiustizia e della sopraffazione partendo dalla constatazione che i più
non vogliono vedere e prendere contezza di ciò che accade, ma non sono niente
affatto il frutto della casualità dell’ignavia umana quanto piuttosto di
logiche anestetizzanti da disvelare.
La
lettura dei vari capitoli che compongono il libro è avvincente sia per i
cultori del diritto, i sociologi ma anche per coloro che non si arrendono
all’ordine costituito e vogliono smantellarne l’ideologia dominante, che è
sempre quella della presunta immodificabilità dell’agire umano e del
capitalismo liberista come formazione economica. Cottino, quando parla di
questioni più attuali, si rifà all’erosione del principio di legalità (le
guerre «preventive» e «umanitarie») e alla «normalizzazione della forma più
estrema che è la tortura» (vedi ad esempio l’uso della base militare di
Guantanamo). Di questo «impero della paura» in costruzione sono i migranti che
scompaiono in mare le principali vittime, dopo che le guerre hanno colpito gran
parte del Medio oriente e dell’Africa. Si può fare qualcosa contro le
ingiustizie che imperversano nel pianeta, dagli Stati uniti alla Cina? Questo è
l’interrogativo finale di Cottino a cui risponde affermativamente. È importante
che in molti dicano «no». E che lo facciano con dovizia di analisi e di
argomenti. Questo libro aiuta in tale direzione.
il manifesto, 7/3/16
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