venerdì 30 settembre 2016

ALTRE PROVE DIMOSTRANO CHE GLI USA E ISRAELE SONO AL COMANDO DELL'ISIS



Sion rimpasta i comandi di Al Nusra. Terroristi in subbuglio

Quneitra è una cittadina (ora città-fantasma) della Siria meridionale,  sulle alture del Golan, all’interno della fascia di sicurezza Onu che divide Siria e Israele – di cui è al confine. Dopo la sconfitta siriana nella guerra de Sei Giorno, è stata abbandonata. Dai siriani. Ma ci hanno fatto il nido le milizie di Al Nusra, ex Al Qaeda, oggi ribattezzatasi FAtah al Sham. Orbene, la notizia è questa:  il Mossad ha disposto un rimpasto dei comandanti di queste milizie  islamiste.   Le spie ebraiche hanno convocato  lo sceicco Asim Qassim, il mufti del Fatah al-Sham ex Nusra) nella regione di Jabat al-Khashab e Tarania (nella parte nord di Quneitra)  per ordinarli la riorganizzazione dei comandanti terroristi.
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L’incredibile notizia è data dal sito arabo Axis News  (http://www.axis-news.com/2016/09/28/14/) che, grazie alle sue fonti in loco, dà in particolari: “gli agenti israeliani hanno nominato tal Ali Mare’i Suleiman e suo fratello Faisal Mare’i Suleiman coma comandati del fronte orientale di Jabat al-Khashb, comprendente il fronte Qob al Hamry, la cittadina di Hazar e le aree davanti al distretto dove è posizionata la Quarta Divisione della armata regolare siriana. Parimenti Taj Leili e Adnan Leili sono stati assegnati al comando  delle zone di Tarania, Tal al-Ahmar e  al-Saraya, mentre Ma’as Nazar è stato re insediato al comando della parte occidentale di Jabata al-Khashab, vicina al  Golan”.
Le fonti dicono che  dopo che lo sceicco Qassim (che è stato giudice della Sharia   per il regime terrorista in zona) ha riferito degli ordini israeliani, “i  militanti che hanno di recente abbandonato Dara’a e si sono uniti a Fatah al-Sham a Quneitra hanno dato vita a rabbiose proteste, reclamando  un ruolo maggiore nella struttura di comando. La situazione è divenuta caotica e  possono scoppiare scontri fra i miliziani”.
Dara’a è la città che l’esercito siriano ha riconquistato a luglio, infliggendo gravi perdite ai miliziano. Dara’a ha una importanza strategica, perché  rende possibile al governo di Damasco di chiudere i due passaggi di frontiera con la Giordania,da cui  i guerriglieri wahabiti ricevono rifornimenti in uomini ed  armi;  la vittoria inoltre consente di reimpiegare altrove – ad Aleppo –   le truppe lì  impegnate.
Il Mossad avrebbe deciso il rimpasto dei terroristi al suo comando dopo il fallimento  di una puntata offensiva chiamata “Talaki”, che doveva congiungere Beit  Jen nella parte sud orientale  della provincia di Damasco a Quneitra,e quindi a Israele.
Secondo un alto ufficiale di Damasco, li israeliani hanno allestito una vera e propria “sala operativa” a Quneitra per   guidare i terroristi di Al Nusra.  I terroristi ritiratisi da Dara’a, circa seicento, avrebbero perso ordini da questa sala operativa israeliana durante l’attacco per prendere possesso delle basi di al-Raba’a e di Sha’ban nel nord di Quneitra, senza riuscirci  perché le forze legittime  siriane ne erano state preavvertite dalla  loro intelligence.
In ogni caso, ciò mostra definitivamente  che Al Nusra  è un corpo d’armata alle dirette dipendenze di Israele.   Come si ricorderà, una simile sala-comando di operazioni è stata colpita qualche giorno fa da tre missili Kalibr sparati da  navi russe. La sala si trovava nella parte occidentale della regione di Aleppo,   sulla montagna Sama’n, in vecchie cave  ritenute irraggiungibili.   La edizione in arabo di Sputnik ha detto che erano stati uccisi una trentina di ufficiali israeliani, britannici, turchi e sauditi che da quella sala operativa comandavano le offensive dei terroristi su Aleppo e Idlib.
 
Usa: “i terroristi manderanno  i russi nei body bags”
John Kirby minaccia come un gangsterJohn Kirby minaccia come un gangster

Abbandonata ogni finzione,  anche il portavoce del Dipartimento di Stato, John Kirby, ha previsto (ossia minacciato) che se  la  Russia “non cessa la violenza” contro i terroristi di Aleppo, città russe saranno attaccate dai medesimi terroristi, la Russia rimanderà  a  casa i suoi soldati “nei body bags” , e perderà “anche velivoli”. A questa inaudita minaccia – che è anche una sfrontata ammissione: siamo noi a guidare il terrorismo islamico – il ministero russo della Difesa  ha risposto, per bocca del generale Igor Konashenkov:
“Riguardo alle  minacce di Kirby sulle perdite possibili di  aerei russi  e sul mandare in Russia i soldati nei body bags,  voglio dire che noi siamo ben informati in quali luoghi in Siria, compresa la provincia di Aleppo, ed esattamente quanti ‘non pubblicizzati’ specialisti sono impegnati nel comando operativo dei militanti. Naturalmente si continuerà a dirci che sono lì per separare, ostinatamente ma  inefficacemente, Al Nusra dalla ‘opposzione’.  Ma se si tenterà di portare a compimento quelle minacce, sarebbe azzardato sperare che i  militanti riuscirebbero a salvare la loro pelle”.

Konashenkov ha poi invitato Kirby (che è un ex contrammiraglio) a non dimenticare il suo  onore militare, profferendo quelle minacce da gangster, quale è quella di colpire i civili in Russia  con i  terroristi islamici.  Le  forze armate russe sono ancora pronte a  continuare il dialogo con coloro che coordinano le misure contro i terroristi in  Siria, ha detto:
“Ma questo dialogo non deve contenere nemmeno l’ombra di una minaccia alle nostre truppe e ai nostri cittadini. Quando si tratta di assicurare la sicurezza dei cittadini russi, dovunque essi siano, non ci saranno compromessi. Questa è la nostra prima e incondizionata priorità”.
La frasi  disonorevoli di Kirby hanno fatto una profonda, sgradevole impressione a Mosca. “Quello che ha detto non è solo una minaccia diretta, ma la minaccia fatta da una  personalità di Stato”, ha commentato il vice presidente della Commissione Esteri alla Duma, Leonid Kalashnikov: “Non riesco nemmeno a ricordare  precedenti  del genere. Kirby ha alluso ad Al Qaeda e di come gli americani l’hanno messa contro l’Unione Sovietica, non solo in Afghanistan ma in Asia centrale. Questa è un’allusione al  fatto che il terrorismo può essere infiltrato in Russia, e a farlo saranno gli americani. Se gli Usa contribuiranno ad operazioni di terroristi in Russia, se gli americani li forniscono di armi, i servizi russi non lasceranno ciò senza ‘attenzione’. La Russia prenderà misure adeguate contro coloro che non solo minacciano, ma comandano una guerra di terrorismo contro la Russia. A Mosca già si discute delle misure da prendere in risposta a simili dichiarazioni. Ma i politici russi, al contrario di Kirby, non lo fanno pubblicamente”.

martedì 27 settembre 2016

LE OPERAZIONI PSICOLOGICHE CONTRO LA SIRIA




Psyop: operazione Siria

Manlio Dinucci

Le «Psyops» (Operazioni psicologiche), cui sono addette speciali unità delle forze armate e dei servizi segreti Usa, sono definite dal Pentagono «operazioni pianificate per influenzare attraverso determinate informazioni le emozioni e motivazioni e quindi il comportamento dell’opinione pubblica, di organizzazioni e governi stranieri, così da indurre o rafforzare atteggiamenti favorevoli agli obiettivi prefissi». 

Esattamente lo scopo della colossale psyop politico-mediatica lanciata sulla Siria. Dopo che per cinque anni si è cercato di demolire lo Stato siriano, scardinandolo all’interno con gruppi terroristi armati e infiltrati dall’esterno e provocando oltre 250mila morti, ora che l’operazione militare sta fallendo si lancia quella psicologica per far apparire come aggressori il governo e tutti quei siriani che resistono all’aggressione. 

Punta di lancia della psyop è la demonizzazione del presidente Assad (come già fatto con Milosevic e Gheddafi), presentato come un sadico dittatore che gode a bombardare ospedali e sterminare bambini, con l’aiuto dell’amico Putin (dipinto come neo-zar del rinato impero russo). 

A tal fine sarà presentata a Roma agli inizi di ottobre, per iniziativa di varie organizzazioni «umanitarie», una mostra fotografica finanziata dalla monarchia assoluta del Qatar e già esposta all’Onu e al Museo dell’olocausto a Washington per iniziativa di Usa, Arabia Saudita e Turchia: essa contiene parte delle 55mila foto che un misterioso disertore siriano, nome in codice Caesar, dice di aver scattato per incarico del governo di Damasco allo scopo di documentare le torture e le uccisioni dei prigioneri, ossia i propri crimini (sull’attendibilità delle foto vedi il report di Sibialiria e l’Antidiplomatico). 

Occorre a questo punto un’altra mostra, per esporre tutte le documentazioni che demoliscono le «informazioni» della psyop sulla Siria. Ad esempio, il documento ufficiale dell’Agenzia di intelligence del Pentagono, datato 12 agosto 2012 (desecretato il 18 maggio 2015 per iniziativa di «Judicial Watch»): esso riporta che «i paesi occidentali, gli stati del Golfo e la Turchia sostengono in Siria le forze di opposizione per stabilire un principato salafita nella Siria orientale, cosa voluta dalle potenze che sostengono l’opposizione allo scopo di isolare il regime siriano». 

Ciò spiega l’incontro nel maggio 2013 (documentato fotograficamente) tra il senatore Usa John McCain, in Siria per conto della Casa Bianca, e Ibrahim al-Badri, il «califfo» a capo dell’Isis. Spiega anche perché il presidente Obama autorizza segretamente nel 2013 l’operazione «Timber Sycamore», condotta dalla Cia e finanziata da Riyad con milioni di dollari, per armare e addestrare i «ribelli» da infiltrare in Siria (v. il New York Times del 24 gennaio 2016). 

Altra documentazione si trova nella mail di Hillary Clinton (declassificata come «case number F-2014-20439, Doc No. C05794498»), nella quale, in veste di segretaria di stato, scrive nel dicembre 2012 che, data la «relazione strategica» Iran-Siria, «il rovesciamento di Assad costituirebbe un immenso beneficio per di Israele, e farebbe anche diminuire il comprensibile timore israeliano di perdere il monopolio nucleare». 

Per demolire le «informazioni» della psyop, ci vuole anche una retrospettiva storica di come gli Usa hanno strumentalizzato i curdi fin dalla prima guerra del Golfo nel 1991. Allora per«balcanizzare» l’Iraq, oggi per disgregare la Siria. Le basi aeree installate oggi dagli Usa nell’area curda in Siria servono alla strategia del «divide et impera», che mira non alla liberazione ma all’asservimento dei popoli, compreso quello curdo.
 
(il manifesto,  27 settembre 2016)

UN MONDO LIBERO E GIUSTO





Il 20 aprile 2016, Maria Francesca Bottura, ha vinto il premio letterario "Diritti senza Difesa? Dalle parole ai fatti: l'Avvocato al servizio dell'uomo", bandito dal Consiglio nazionale dell’Ordine forense. A lei sono andati i complimenti del presidente dell’Ordine di Biella, Domenico Duso, della presidente del tribunale, Claudia Ramella Trafighet, e del Procuratore capo della Repubblica, Giorgio Reposo. Si sono unite, con una lettera, anche le componenti del Comitato pari opportunità del Foro cittadino, che l’hanno spronata ad avere fiducia nel futuro, nella giustizia, nei valori della libertà e dell’uguaglianza.




UN MONDO LIBERO E GIUSTO

di Maria Francesca Bottura
Ero stato in Israele molto tempo fa, i primi anni in cui i conflitti con la Palestina si erano fatti più pesanti e sanguinosi. Sapevo cosa significava la guerra, la morte, e sapevo che la mia attività di legale aveva aiutato a salvare la vita a molte persone, ma quella fu la prima volta nel carcere di Tel Aviv, quella fu la prima volta che avrei dovuto difendere una bambina.
Amira Yassin aveva 14 anni e lo sguardo di una donna di ottanta. Era stata picchiata, interrogata, obbligata a confessare un crimine che in realtà era stato solo uno sbaglio: aveva lanciato un sasso contro una macchina. 
Amira era in carcere per una ragione stupida, insignificante, era in carcere per quella parola scritta sul suo documento di identità, per le sue origini, per essere nata a Gaza City. Negli anni avevo sempre ascoltato le storie di uomini e donne dei due paesi, ma non avevo mai conosciuto una bambina cresciuta in “territorio nemico”. Il carcere di Tel Aviv sembrava un orfanotrofio: sono 151 i bambini e i ragazzi incarcerati là dentro. Loro piangevano, chiedevano scusa, ma nessuno li ascoltava, perché erano palestinesi e erano il nemico. 
Amira era minuta e sembrava ancora più piccola della sua età, ma non si scompose quando le chiesi di raccontarmi la sua storia. Lei mi disse che era fuggita con la sua famiglia dai bombardamenti, che suo fratello compariva nella lista delle oltre duemila vittime dell’Operazione Margine di Protezione, che nel luglio 2014 aveva visto palazzi, come buona parte della capitale palestinese, crollare sotto i bombardamenti israeliani. Mi disse che aveva lanciato un sasso contro una macchina israeliana e che la polizia l’aveva presa e portata in quel luogo in cui le persone sembrano cadere nell’indifferenza del mondo circostante. Mi disse che erano sei mesi che non vedeva la sua famiglia, che aveva smesso da poco di piangere la notte per la paura. Esitòsolo una volta, quando le chiesi qual era il suo sogno per il futuro. Ricordo molto bene la sua espressione titubante e un po’ scioccata, lo sguardo basso nel tentativo di cercare una risposta in quella mente sconvolta. E poi, in un sospiro disse: “voglio vivere in un mondo libero e giusto”. 
Senza saperlo, quella bambina che aveva appena imparato a leggere, aveva citato uno dei principi fondamentali dei diritti umani, l’obbiettivo che molti di noi si erano prefissati e che sembrava ancora tanto lontano. 
La mattina del processo Amira sedeva accanto a me: tra le mani stringeva un’immagine ritagliata dal giornale, forse da qualche pubblicità cinematografica del film Superman. Lo teneva tra le mani come se quella semplice fotografia avesse potuto cambiare le sorti di quel processo. 
Parlai a lungo, usai parole che molto probabilmente Amira non capì e che fece storcere il naso al giudice. Parlai della vita di una ragazzina, del suo futuro, del suo sogno di vivere in un mondo senza più guerre, senza più vittime. Spiegai che lanciare quel sasso era stato un errore, che se quella macchina fosse stata di un palestinese lei sarebbe a casa sua, con i suoi genitori e nulla di tutto quello sarebbe successo. 
Vedevo quella bambina spaurita affrontare il mondo da sola, e proprio come lei in quel momento mi sentii come un cavaliere senza armatura e senza armi, se non la mia voce, le mie parole. Dovevo, volevo, fare qualcosa per lei, per garantire quei diritti rubati, abbattere quella ingiustizia, aiutare a creare un mondo dove nessuno, e dico nessuno, è colpevole fino a prova contraria. Sono un avvocato, e prima di quel momento non avevo realizzato quando la mia parola potesse essere significativa, quanto avrei potuto fare per aiutare il mondo ad essere un posto migliore. In quel momento capii che tutti i miei sogni e le mie speranze per il futuro erano solo una piccola parte di un progetto che coinvolgeva milioni di uomini, donne e bambini che avevano bisogno del mio aiuto. Il mondo, a quel punto, sembrava essere diventato un luogo infinitamente grande, pieno di ferite da ricucire, ferite che volevo ricucire.
Passarono le ore, si discusse a lungo, e l’accusa chiese altri due mesi di reclusione e il pagamento di un indennizzo pari a 6.000 shekel per il presunto possesso di un coltello; ma Amira scosse il capo con determinazione, mentre le scendevano i lacrimoni. No, non era mai stata in possesso di un coltello, non lo aveva mai avuto. 
Verso il pomeriggio inoltrato il giudice emise il suo verdetto, e quelle parole furono per
Amira come quelle di un dio sceso tra gli uomini. 
AmiraRashad Yassin, età 14 anni, era stata dichiarata innocente e avendo scontato già sei lunghi mesi nel carcere di Tel Aviv, era libera di tornare a casa dalla sua famiglia con una semplice ammonizione. I suoi genitori, seduti nella stanza, erano subito corsi dalla loro bambina, e l’avevano abbracciata tra le lacrime di commozione. 
Amira era salva, Amira era libera. E quando tutto fu terminato, l’attesi fuori dal tribunale, dove sfuggì all’abbraccio di sua madre e mi venne incontro. Nel suo sguardo lessi tutto, e sapevo che non c’erano parole per descrivere quanto fosse felice di quel finale, eppure lei fece qualcosa che non mi aspettai: prese l'immagine di Superman, quella che aveva tenuto stretta tra le mani per tutta la durata del processo, la strappò e mi disse che aveva un altro sogno per il suo futuro: essere come me.
In quel momento mi sentii come se avessi contribuito a rimettere le cose a posto, come se quel verdetto e l’espressione felice di quella bambina fossero il punto di partenza per qualcosa di grande, il progetto di un mondo libero e giusto, dove a tutti, ma proprio a tutti, ovunque e in qualunque situazione, a prescindere da ogni altra considerazione, fosse data la possibilità di discolparsi. Avevo vinto una battaglia con l’uso della parola, senza creare vittime, senza spargere sangue, senza distruggere edifici e mettendo in pratica tutto ciò che in anni di lavoro avevo imparato.
E le ultime parole tra me ed Amira furono: 
“Vuoi diventare un avvocato?”
“No, voglio diventare un eroe”

Liberamente ispirato alla storia realmente accaduta di Malak al-Khatib



Perché Putin vuole salvare il cane che affoga (cioè Obama)




Perché Putin vuole salvare 
il cane che affoga (cioè Obama)

di Piotr


Civiltà contro barbarie
Mi è stata ricordata di recente da un amico. Era una scena così consueta che quasi me la scordavo: le ragazze a Damasco con la gonna sopra il ginocchio, a volte in compagnia di amiche col foulard islamico. E già, la Siria laica e multiconfessionale dove le donne hanno pari diritto. Bastava passeggiare per vederla. Durante la Pasqua i canti che uscivano dalle chiese cristiane si mescolavano al richiamo dei muezzin e nessuno ci faceva caso. Nella grande moschea degli Omayyadi, uno dei luoghi più sacri dell'Islam, su cui svetta il minareto di Gesù, il luogo più venerato era il cenotafio di San Giovanni Battista.
In quella città civile e tranquilla di notte si poteva girare senza problemi. Anche le ragazze sole, come anch'io ho visto.  
Aleppo era una meraviglia con una piacevole vita notturna nel quartiere armeno, dove nei suoi raffinati ristoranti si vedevano uomini e donne vestiti alla moda orientale od occidentale. Certo, senza tette e culi in vista, perché "laico" non vuol dire per forza "esibizione del corpo femminile". Ma è un discorso complesso di cui mi sa che dovremo riparlare, perché qui da noi in Occidente si esaltano le “compagne Pussy Riot” (Paolo Ferrero), cioè quelle che facevano orge in un museo di Mosca con una ragazza incinta che partorirà dopo una settimana, o che rubavano un pollo surgelato in un supermercato per farsi filmare mentre se lo infilavano nella vagina. Quel gruppazzo stonato diventato famoso perché cantava sull’altare di una delle maggiori chiese di Mosca “Merda, merda, merda del Signore!” facendosi finalmente arrestare (anche nei paesi UE la pena per questo genere di cose è di tre anni).

Le nostre eroine punk! Le eroine del pollo e del pancione! Cugine per affinità elettive delle Femen, un’agenzia di marketing imperiale (le "attiviste" sono  "assunte a progetto"), che punta tutto sul potere evocativo del corpo femminile nudo,  molto amata dalle nostre femministe. Per quali imprese? Forse perché si fecero fotografare in fila con le mutande abbassate e le regolamentari tette fuori mentre pisciavano sulla foto dell’allora presidente ucraino Janukovyč, in sostegno del golpe nazista in corso? O forse, Dio non voglia, perché si facevano fotografare esultanti davanti alla Casa dei Sindacati di Odessa mentre dentro i loro amici nazisti stupravano le donne e poi le bruciavano vive o le strangolavano? Anche donne col pancione. Sì, anche col pancione!
Perché parlo di queste cose? Perché si sta parlando di laicità, di diritti delle donne. Perché non ho mai sentito dire dalla sinistra che la Siria èlaica. Non ho mai sentito dire dalla sinistra che in Siria le donne hanno pari diritto. E nemmeno che possono fare il bagno in bikini. E perché, per la solita inversione occidentale, da noi c'è una propaganda grezza ma molto petulante che misura la civiltà sul burkini, su quanti centimetri di pelle femminile è possibile mostrare, sull'accettazione o il rifiuto della stretta di mano, sulla dose minima giornaliera ammessa di pornografia. Non su quante persone si è deciso a freddo di ammazzare.

Civiltà contro barbarie.
Chi è stato in Siria poco prima dell'aggressione imperiale capisce in modo palmare cosa intendo quando parlo di "fermare la barbarie".
E non la "barbarie dei Russi ad Aleppo" come straparla la velinara Lucia Goracci, con la voce notarile di chi è stata pagata e messa lì dal sinistro TG3 per dire un'idiozia a cui non crede, una che nella crisi siriana ha mostrato entusiasmo solo quando si fece fotografare raggiante e sorridente in mezzo ai tagliagole (Lucia, all’epoca ti si poteva concedere il beneficio dell’ignoranza, ma oggi?). D'altra parte, come potrebbe crederci una persona mediamente raziocinante a queste idiozie? 
Come potrebbe ad esempio credere al tentativo statunitense di controbilanciare il loro deliberato bombardamento sull'Esercito Arabo Siriano con il "bombardamento" del convoglio umanitario alle porte di Aleppo? Un tentativo da asilo infantile, dato che la propaganda di guerra deve dare per scontato o deve sperare che siamo tutti scemi, perché è alla frutta. Non è forse da asilo infantile (e criminale) mettere in scena un "bombardamento" in una delle zone più monitorate del globo così che i Russi ci hanno messo un nanosecondo a spiattellare fotografie aeree, rilievi, tracciati radar che hanno permesso ad ogni singolo esperto militare non corrotto di concludere che di bombardamento non si è trattato? E infatti, guarda caso, le fotografie mostrano i tagliagole proprio lì vicino al convoglio.
E poi, scusatemi tanto, ma perché bombardare un convoglio che: a) era già stato perquisito dall'Esercito Arabo Siriano, b) aveva ottenuto il via libera e, last but not least, c) era della Mezzaluna Rossa, cioè un'organizzazione che lavora a stretto contatto col governo di Damasco, cioè quel genere di organizzazioni "filo-Assad" denunciate dalle "vere" ONG super partes, cioè quelle pagate da Soros, USAID, Dipartimento di Stato e multinazionali varie? Qualcuno me lo spiega?


Civiltà contro barbarie
Ci sarà un crescendo di bugie ed accuse. E’ inevitabile, perché l’Esercito Arabo Siriano sta per liberare gli ultimi quartieri di Aleppo in mano ai tagliagole. E i tagliagole sono disperati e i loro sponsor sono furenti. Qualcuno ha fatto notare che se si contano tutti gli ospedali che l’aviazione siriana avrebbe distrutto, ne salta fuori il Paese col più alto numero in assoluto di nosocomi del mondo. E’ vero che la sanità pubblica è un diritto nella Siria laica e multiconfessionale, ma qui si esagera. Eppure vedrete se non ne verrà bombardato qualcun altro. Ne potete star certi. 
Ma le denunce disperate, le richieste di aiuto dei medici, degli infermieri, dei civili, dei leader religiosi dell’Aleppo martoriata da anni dai tagliagole e difesa strenuamente dall’Esercito Arabo Siriano, no, quelle non contano. Sono anni che due milioni di persone gridano letteralmente nel deserto. Nelle menti desertificate dei nostri governanti, dei nostri media e della nostra sinistra.

Eppure, non so se avete notato, in mezzo all’infuriare di accuse e contro accuse, nonostante le ingiurie e le patenti bugie che i nostri media e i nostri governi vomitano sulla Russia, Lavron e Kerry continuano a sentirsi e a incontrarsi. Perché? Ve lo siete mai chiesti?
Ho cercato di impostare una risposta qui:
Ogni crisi sistemica crea un caos sistemico. E il caos sistemico penetra anche nelle nazioni che lo generano, anche in quella più forte e potente. E il caos sta imperando a Washington.
Può quindi essere difficile da capire per chi pensa in bianco e nero, ma Lavron continua a incontrare Kerry non perché spera ancora in una tregua. Entrambi hanno detto che non ci credono più. Si incontrano perché Putin cerca disperatamente di mantenere in sella Obama, l’Obama azzoppato, l’Obama a cui forse ubbidiscono solo i figli, non certo il Pentagono e non certo la Cia, che conducono le loro specifiche guerre, che hanno le loro peculiari strategie, una elaborata sulla riva destra del Potomac e un’altra a Langley, tutte contro il Foggy Bottom dove Kerry prende decisioni che vengono immediatamente, anzi preventivamente, boicottate su indicazione delle tre arpie statunitensi assetate di sangue: Hillary Clinton, Samantha Power e Susan Rice alle quali possiamo aggiungere una degnissima quarta arpia, Victoria Nuland (le donne al potere sono meglio degli uomini? Ne riparleremo).
Putin ha fatto abbondantemente capire che preferisce una cattiva pace a una buona guerra. Per quello cerca di aiutare Obama, passando sopra a insulti ormai fuori misura e a provocazioni, anch’esse fuori misura. I Russi conoscono perfettamente la debolezza interna di Obama e non ne gongolano, ma la temono. Dopo il bombardamento di Der Ezzor che ha rotto la tregua non hanno puntato il dito su Obama, ma da un’altra parte. Di Obama e Kerry hanno detto una cosa molto precisa: Non hanno la capacità di onorare gli impegni presi. Non hanno affermato che li hanno traditi, ma che è al di fuori delle loro possibilità farli onorare.
Paradossale eh? Putin sta cercando di difendere Obama da uno strisciante pronunciamento militar-securitario contro di lui. 
I Russi hanno diviso gli States in una parte sana (anche se non santa) e in una parte malata (e satanica) e, in vista anche delle prossime elezioni, stanno dando tutto l’aiuto che è loro possibile alla parte sana, seppur non santa, con cui potrebbero negoziare l'adattamento al nuovo mondo multipolare (che sia questa alla fin fine l'interferenza di cui parlano i collaboratori della Clinton?).

Non sarebbe la prima volta che la Madre Russia salva un Occidente sull'orlo del suicidio.

Piotr

lunedì 26 settembre 2016

LA RIFLESSIONE DI RANIERO LA VALLE SUL REFERENDUM




La verità sul referendum


Raniero La Valle

Cari amici, poichè ho 85 anni devo dirvi come sono andate le cose. Non sarebbe necessario essere qui per dirvi come sono andate le cose, se noi ci trovassimo in una situazione normale. Ma se guardiamo quello che accade intorno a noi, vediamo che la situazione non è affatto normale. Che cosa infatti sta succedendo? Succede che undici persone al giorno muoiono annegate o asfissiate nelle stive dei barconi nel Mediterraneo, davanti alle meravigliose coste di Lampedusa, di Pozzallo o di Siracusa dove noi facciamo bagni e pesca subacquea. Sessantadue milioni di profughi, di scartati, di perseguitati sono fuggiaschi, gettati nel mondo alla ricerca di una nuova vita, che molti non troveranno.
Qualcuno dice che nel 2050 i trasmigranti saranno 250 milioni.
E l’Italia che fa? Sfoltisce il Senato.
E’ in corso una terza guerra mondiale non dichiarata, ma che fa vittime in tutto il mondo. Aleppo è rasa al suolo, la Siria è dilaniata, l’Iraq è distrutto, l’Afganistan devastato, i palestinesi sono prigionieri da cinquant’anni nella loro terra, Gaza è assediata, la Libia è in guerra, in Africa, in Medio Oriente e anche in Europa si tagliano teste e si allestiscono stragi in nome di Dio. 
E l’Italia che fa? Toglie lo stipendio ai senatori.
Fallisce il G20 ad Hangzhou in Cina. I grandi della terra, che accumulano armi di distruzione di massa e si combattono nei mercati in tutto il mondo, non sanno che pesci pigliare e il vertice fallisce. Non sanno che fare per i profughi, non sanno che fare per le guerre, non sanno che fare per evitare la catastrofe ambientale, non sanno che fare per promuovere un’economia che tenga in vita sette miliardi e mezzo di abitanti della terra, e l’unica cosa che decidono è di disarmare la politica e di armare i mercati, di abbattere le residue restrizioni del commercio e delle speculazioni finanziarie, di legittimare la repressione politica e la reazione anticurda di Erdogan in Turchia e di commiserare la Merkel che ha perso le elezioni amministrative in Germania. 
E in tutto questo l’Italia che fa? Fa eleggere i senatori dai consigli regionali.
E ancora: l’Italia è a crescita zero, la disoccupazione giovanile a luglio è al 39 per cento, il lavoro è precario, i licenziamenti nel secondo trimestre sono aumentati del 7,4 % rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, raggiungendo 221.186 persone, i poveri assoluti sono quattro milioni e mezzo, la povertà relativa coinvolge tre milioni di famiglie e otto milioni e mezzo di persone.
E l’Italia che fa? Fa una legge elettorale che esclude dal Parlamento il pluralismo ideologico e sociale, neutralizza la rappresentanza e concentra il potere in un solo partito e una sola persona. 
Ma si dice: ce lo chiede l’Europa. Ma se è questo che ci chiede l’Europa vuol dire proprio che l’istituzione europea ha completamente perduto non solo ogni residuo del sogno delle origini ma anche ogni senso della realtà e dei suoi stessi interessi vitali.
Ma se questa è la distanza tra la riforma costituzionale e i bisogni reali del mondo, dell’Europa, del Mediterraneo e dell’Italia, la domanda è perché ci venga proposta una riforma così.
La verità è rivoluzionaria, ma se si viene a sapere
E’ venuto dunque il momento di dire la verità sul referendum. La verità è rivoluzionaria nel senso che interrompe il corso delle cose esistenti e crea una situazione nuova. 
Il guaio della verità è che essa si viene a sapere troppo tardi, quando il tempo è passato, il kairós non è stato afferrato al volo e la verità non è più utile a salvarci.
Se si fosse saputa in tempo la bugia sul mai avvenuto incidente del Golfo del Tonchino, la guerra del Vietnam non ci sarebbe stata, l’America non sarebbe diventata incapace di seguire la via di Roosevelt, di Truman, di Kennedy, e avrebbe potuto guidare l’edificazione democratica e pacifica del nuovo ordine mondiale inaugurato venti anni prima con la Carta di San Francisco.
Se si fosse conosciuta prima la bugia di Bush e di Blair, e saputo che le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein non c’erano, non sarebbe stato devastato il Medio Oriente, il terrorismo non avrebbe preso le forme totali dei combattenti suicidi in tutto il mondo e oggi non rischieremmo l’elezione di Trump in America.
Se si fosse saputa la verità sul delitto e sui mandanti dell’uccisione di Moro, l’Italia si sarebbe salvata dalla decadenza in cui è stata precipitata.
Dunque la verità del referendum va conosciuta finché si è in tempo.
Ma la verità del referendum non è quella che ci viene raccontata. Ci dicono per esempio che la sua prima virtù sarebbe il risparmio sui costi della politica, e che i soldi così ottenuti si darebbero ai poveri. Ma così non è: secondo la Ragioneria Generale dello Stato, il cui compito è di verificare la certezza e l’affidabilità dei conti pubblici, il risparmio si ridurrebbe a cinquantotto milioni che si otterrebbero togliendo la paga ai senatori, mentre resterebbe il costo del Senato, e i poveri non c’entrano niente. 
L’altra virtù del referendum sarebbe il risparmio sui tempi della politica. Ci dicono infatti di voler abolire la navetta delle leggi tra Camera e Senato. Ma così non è. In realtà si allungano i tempi della produzione legislativa; infatti si introducono sei diversi tipi di leggi e di procedure che ricadono su ambedue le Camere: 1) le leggi sempre bicamerali, Camera e Senato, come le leggi costituzionali, elettorali e di interesse europeo; 2) le leggi fatte dalla sola Camera che entro dieci giorni possono essere richiamate dal Senato; 3) le leggi che invadono la competenza regionale che il Senato deve entro dieci giorni prendere in esame; 4) le leggi di bilancio che devono sempre essere esaminate dal Senato che ha quindici giorni per proporre delle modifiche; 5) le leggi che il Senato può chiedere alla Camera di esaminare entro sei mesi; 6) le leggi di conversione dei decreti legge che hanno scadenze e tempi convulsi se richiamate e discusse anche dal Senato. Ciò crea un intrico di passaggi tra Camera e Senato e un groviglio di competenze il cui conflitto dovrebbe essere risolto d’intesa tra gli stessi presidenti delle due Camere che configgono tra loro.
Ci dicono poi che col referendum si assicura la stabilità politica, e almeno fino a ieri ci dicevano che al contrario se perde il referendum Renzi se ne va. Ma queste non sono le verità del referendum. Finché si resta a questo la verità del referendum non viene fuori.
Non è la legge Boschi il vero oggetto del referendum
La verità del referendum sta dietro di esso, è la verità nascosta che esso rivela: il referendum infatti non è solo un fatto produttore di effetti politici, è un evento di rivelazione che squarcia il velo sulla situazione com’è. È uno svelamento della vera lotta che si sta svolgendo nel mondo e della posta che è in gioco. Il referendum come cunto de li cunti, potremmo dire in Sicilia, il racconto dei racconti, come togliere il velo del tempio per vedere quello che ci sta dietro, se ci sta Dio o l’idolo. Il referendum come rivelatore dello stato del mondo.
Ora, per trovare la verità nascosta del referendum, il suo vero movente, la sua vera premeditazione, bisogna ricorrere a degli indizi, come si fa per ogni giallo. 
Il primo indizio è che Renzi ha cambiato strategia, all’inizio aveva detto che questa era la sua vera impresa, che su questo si giocava il suo destino politico. Ora invece dice che il punto non è lui, che lui non è la vera causa della riforma, ha detto di aver fatto questa riforma su suggerimento di altri e ha nominato esplicitamente Napolitano; ma è chiaro che non c’è solo Napolitano. Prima
ancora di Napolitano c’era la banca J. P. Morgan che in un documento del 2013, in nome del capitalismo vincente, aveva indicato quattro difetti delle Costituzioni (da lei ritenute socialiste) adottate in Europa nel dopoguerra: a) una debolezza degli esecutivi nei confronti dei Parlamenti; b) un’eccessiva capacità di decisione delle Regioni nei confronti dello Stato; c) la tutela costituzionale del diritto del lavoro; d) la libertà di protestare contro le scelte non gradite del potere. 
Prima ancora c’era stato il programma avanzato dalla Commissione Trilaterale, formata da esponenti di Stati Uniti, Europa e Giappone e fondata da Rockefeller, che aveva chiesto un’attenuazione della democrazia ai fini di quella che era allora la lotta al comunismo. E la stessa cosa vogliono ora i grandi poteri economici e finanziari mondiali, tanto è vero che sono scesi in campo i grandi giornali che li rappresentano, il Financial Times ed il Wall Street Journal, i quali dicono che il No al referendum sarebbe una catastrofe come il Brexit inglese. E alla fine è intervenuto lo stesso ambasciatore americano che a nome di tutto il cocuzzaro ha detto che se in Italia viene il NO, gli investimenti se ne vanno.
Ebbene quelle richieste avanzate da questi centri di potere sono state accolte e incorporate nella riforma sottoposta ora al voto del popolo italiano. Infatti con la riforma voluta da Renzi il Parlamento è stato drasticamente indebolito per dare più poteri all’esecutivo. Delle due Camere di fatto è rimasta una sola, come a dire: cominciamo con una, poi si vedrà. Il Senato lo hanno fatto così brutto deforme e improbabile, che hanno costretto anche i fautori del Senato a dire che se deve essere così, è meglio toglierlo. Inoltre il potere esecutivo sarà anche padrone del calendario dei lavori parlamentari. Il rapporto di fiducia tra il Parlamento ed il governo viene poi vanificato non solo perché l’esecutivo non avrà più bisogno di fare i conti con quello che resta del Senato, ma perché dovrà ottenere la fiducia da un solo partito. La legge elettorale Italicum prevede infatti che un solo partito avrà – quale che sia la percentuale dei suoi voti, al primo turno o al ballottaggio – la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera (340 deputati su 615). Il problema della fiducia si riduce così ad un rapporto tra il capo del governo e il suo partito e perciò ricadrà sotto la legge della disciplina di partito. Quindi non sarà più una fiducia libera, non sarà una vera fiducia, sarà per così dire un atto interno di partito, che addirittura può ridursi al rapporto tra un partito e il suo segretario. 
Per quanto riguarda le altre richieste dei poteri economici, i diritti del lavoro sono stati già compromessi dal Jobs act, il rapporto tra Stato e Regioni ha subito un rovesciamento, perché dall’ubriacatura regionalista si ritorna a un centralismo illimitato, mentre, assieme alla riduzione del pluralismo politico, ci sono delle procedure che renderanno più difficili le forme di democrazia diretta come i referendum o le leggi di iniziativa popolare, e quindi ci sarà una diminuzione della possibilità per i cittadini di intervenire nei confronti del potere. 
Questo è il disegno di un’altra Costituzione. La storia delle Costituzioni è la storia di una progressiva limitazione del potere perché le libertà dipendono dal fatto che chi ha il potere non abbia un potere assoluto e incontrollato, ma convalidato dalla fiducia dei Parlamenti e garantito dal costante controllo democratico dei cittadini. E’ questo che ora viene smontato, per cui possiamo dire che la democrazia in Italia diventa ad alto rischio. 
Ma a questo punto è chiaro che quello che conta non è più Renzi, ed è chiaro che quanti sono interessati a questa riforma gli hanno detto di tirarsi indietro, perché a loro non interessa il sì a Renzi, interessa che non vinca il no alla riforma. 
Il secondo indizio è il ritardo della data della convocazione, che non è stata ancora fissata dal governo; ciò vuol dire che la partita è troppo importante per farne un gioco d’azzardo, come ne voleva fare Renzi, mentre i sondaggi e le sconfitte alle amministrative sono stati inquietanti. Perciò occorreva meno baldanza da Miles Gloriosus e più preparazione. E occorreva alzare il livello dello scontro, e soprattutto ci voleva il riarmo prima che si giungesse allo scontro finale. Il riarmo per acquisire la superiorità sul terreno era l’acquisto del controllo totale dell’informazione, non solo i giornali, di fatto già posseduti, ma radio e TV, ciò che è stato fatto in piena estate con le nomine alla RAI.
Se davvero si trattava di scorciare i tempi e distribuire un po’ di sussidi ai poveri, non c’era bisogno del controllo totale dell’informazione. 
Inoltre bisognava distruggere il principale avversario e fautore politico del No, il Movimento 5 Stelle. Questo spiega l’attacco spietato e incessante alla Raggi. E poi ci volevano i tempi supplementari per distribuire un po’ di soldi con la legge finanziaria.
C’è poi un terzo indizio. Interrogato sul suo voto Prodi dice: non mi pronunzio perché se no turbo i mercati e destabilizzo l’Italia in Europa. Dunque non è una questione italiana, è una questione che riguarda l’Europa, è una questione che potrebbe turbare i mercati. Insomma è qualcosa che ha a che fare con l’assetto del mondo.
Lo spartiacque non è stato l’11 settembre
A questo punto è necessario sapere come sono andate le cose. 
Partiamo dall’11 settembre di cui si è tanto parlato ricorrendone l’anniversario in questi giorni.
Il mondo è cambiato l’11 settembre 2001? Tutti hanno detto così. Ma il mondo non è cambiato quel giorno: quello è stato il sintomo spaventoso della malattia che già avevamo contratto. L’11 settembre ha mostrato invece il suo volto il mondo che noi stessi avevamo deciso di costruire dieci anni prima.
Nel 1991 con dieci anni di anticipo sulla sua fine fu da noi chiuso il Novecento, tanto che uno storico famoso lo soprannominò “Il secolo breve” e così fu dato inizio a un nuovo secolo, a un nuovo millennio e a un nuovo regime che nella follia delle classi dirigenti di allora doveva essere quello definitivo, tanto è vero che un economista famoso lo definì come la “fine della storia” .
Quello che avevamo fatto dieci anni prima dell’11 settembre è che avevamo deciso di rispondere alla fine del comunismo portando un capitalismo aggressivo fino agli estremi confini della terra; avevamo deciso di rispondere alla cosiddetta fine delle ideologie trasformando il capitalismo da cultura a natura, promuovendolo da ideologia a legge universale, da storicità a trascendenza; avevamo preteso di superare il conflitto di classe smontando i sindacati, avevamo deciso di sfruttare la fine della contrapposizione militare tra i blocchi facendo del Terzo Mondo un teatro di conquista. 
La scelta decisiva, che non si può chiamare rivoluzionaria perché non fu una rivoluzione ma un rovesciamento, e dunque fu una scelta restauratrice e totalmente reazionaria, fu quella di disarmare la politica e armare l’economia ma non in un solo Paese, bensì in tutto il mondo. Non essendoci più l‘ostacolo di un mondo diviso in due blocchi politici e militari, eguali e contrari, l’orizzonte di questo regime fu la globalità, la mondialisation come dicono i francesi, si stabilì un regime di globalità esteso a tutta la terra.
Quale è stato l’evento in cui ha preso forma e si è promulgata, per così dire questa scelta?
C’è una teoria molto attendibile secondo cui all’inizio di un’intera epoca storica, all’inizio di ogni nuovo regime, c’è un delitto fondatore. Secondo René Girard all’inizio della storia stessa della civiltà c’è il delitto fondatore dell’uccisione della vittima innocente, ossia c’è un sacrificio, grazie al quale viene ricomposta l’unità della società dilaniata dalle lotte primordiali.
Secondo Hobbes lo Stato stesso viene fondato dall’atto di violenza con cui il Leviatano assume il monopolio della forza ponendo fine alla lotta di tutti contro tutti e assicurando ai sudditi la vita in cambio della libertà.
Secondo Freud all’origine della società civile c’è il delitto fondatore dell’uccisione del padre.
Se poi si va a guardare la storia si trovano molti delitti fondatori. Cesare molte volte viene ucciso, il delitto Matteotti è il delitto fondatore del fascismo, l’assassinio di Kennedy apre la strada al disegno di dominio globale della destra americana che si prepara a sognare, per il Duemila, “il nuovo secolo americano”, l’uccisione di Moro è il delitto fondatore dell’Italia che si pente delle sue conquiste democratiche e popolari.
Ebbene il delitto fondatore dell’attuale regime del capitalismo globale fondato, come dice il papa, sul governo del denaro e un’economia che uccide, è la prima guerra del Golfo del 1991.
La guerra come delitto fondatore e il nuovo Modello di Difesa
È a partire da quella svolta che è stato costruito il nuovo ordine mondiale.
E noi possiamo ricordare come sono andate le cose a partire dal nostro osservatorio italiano Non è un punto di osservazione periferico, perché l’Italia era una componente essenziale del sistema atlantico e dell’Occidente, ma era anche il Paese più ingenuo e più loquace, sicché spifferava alla luce del sole quello che gli altri architettavano in segreto. 
Questa è la ragione per cui posso raccontarvi come sono andate le cose, a partire da una data precisa. E questa data precisa è quella del 26 novembre 1991, quando il ministro della Difesa Rognoni viene alla Commissione Difesa della Camera e presenta il Nuovo Modello di Difesa.
Perché c’era bisogno di un nuovo Modello di Difesa? Perché la difesa com’era stata organizzata in funzione del nemico sovietico, che non c’era più, era ormai superata. Ci voleva un nuovo modello. Il modello di difesa che era scritto nella Costituzione era molto semplice e stava in poche righe: la guerra era ripudiata, la difesa della Patria, intesa come territorio e come popolo, era un sacro dovere dei cittadini. A questo fine era stabilito il servizio militare obbligatorio che dava luogo a un esercito di leva permanente, diviso nelle tre Forze Armate tradizionali. Le norme di principio sulla disciplina militare dell’ 11 luglio 1978, definivano poi i tre compiti delle Forze Armate. Il primo era la difesa dell’integrità del territorio, il secondo la difesa delle istituzioni democratiche e il terzo l’intervento di supporto nelle calamità naturali. Non c’erano altri compiti per le FF.AA. La difesa del territorio comportava soprattutto lo schieramento dell’esercito sulla soglia di Gorizia, da cui si supponeva venisse la minaccia dell’invasione sovietica, e la sicurezza globale stava nella partecipazione alla NATO, che prevedeva anche l’impiego dall’Italia delle armi nucleari.
Con la soppressione del muro di Berlino e la fine della guerra fredda tutto cambia: non c’è più bisogno della difesa sul confine orientale, la minaccia è finita e anche la deterrenza nucleare viene meno. Ci sarebbe la grande occasione per costruire un mondo nuovo, si parla di un dividendo della pace che sono tutti i soldi risparmiati dagli Stati per le armi, con cui si può provvedere allo sviluppo e al progresso di tutti i popoli del mondo; servono meno soldati e anche la durata della ferma di leva può diventare più breve.
Ma l’Occidente fa un’altra scelta; si riappropria della guerra e la esibisce a tutto il mondo nella spettacolare rappresentazione della prima guerra del Golfo del 1991, cambia la natura della NATO, individua il Sud e non più l’Est come nemico, cambia la visione strategica dell’alleanza e ne fa la guardia armata dell’ordine mondiale cercando di sostituirla all’ONU e anche di cambiare gli ideali della comunità internazionale che erano la sicurezza e la pace. Viene scelto un altro obiettivo: finita la guerra fredda, c’è un altro scopo adottato dalle società industrializzate, spiegherà il nuovo “modello” italiano, ed è quello di “mantenere e accrescere il loro progresso sociale e il benessere materiale perseguendo nuovi e più promettenti obiettivi economici, basati anche sulla certezza della disponibilità di materie prime”. Di conseguenza, si afferma, si aprirà sempre più la forbice tra Nord e Sud del mondo, anche perché il Sud sarà il teatro e l’oggetto della nuova concorrenza tra l’Occidente e i Paesi dell’Est. Alla contrapposizione Est-Ovest si sostituisce quella Nord-Sud.
Tutto questo precipita nel nuovo modello di difesa italiano, è scritto in un documento di duecentocinquanta pagine e il ministro Rognoni, papale papale, lo viene a raccontare alla Commissione Difesa della Camera, di cui allora facevo parte. 
E’ un dramma, una rottura con tutto il passato. Cambia il concetto di difesa, il problema, dice il ministro, non è più “da chi difendersi” (cioè da un eventuale aggressore) ma “che cosa difendere e come”. E cambia il che cosa difendere: non più la Patria, cioè il popolo e il territorio, ma “gli interessi nazionali nell’accezione più vasta di tali termini” ovunque sia necessario; tra questi sono preminenti gli interessi economici e produttivi e quelli relativi alle materie prime, a cominciare dal petrolio. Il teatro operativo non è più ai confini, ma dovunque sono in gioco i cosiddetti “interessi esterni”, e in particolare nel Mediterraneo, in Africa (fino al Corno d’Africa) e in Medio Oriente (fino al Golfo Persico); la nuova contrapposizione è con l’Islam e il modello, anzi la chiave interpretativa emblematica del nuovo rapporto conflittuale tra Islam e Occidente, dice il Modello, è quella del conflitto tra Israele da un lato e mondo arabo e palestinesi dall’altro. Chi ha detto che non abbiamo dichiarato guerra all’Islam? Noi l’abbiamo dichiarata nel 1991. L’ho dichiarata anch’io, in quanto membro di quel Parlamento, anche se mi sono opposto.
I compiti della Difesa non sono più solo quei tre fissati nella legge di principio del 1978 ma si articolano in tre nuove funzioni strategiche, quella di “Presenza e Sorveglianza” che è “permanente e continuativa in tutta l’area di interesse strategico” e comprende la Presenza Avanzata che sostituisce la vecchia Difesa Avanzata della NATO, quella di “Difesa degli interessi esterni e contributo alla sicurezza internazionale”, che è ad “elevata probabilità di occorrenza” (e sono le missioni all’estero che richiedono l’allestimento di Forze di Reazione Rapida), e quella di “Difesa Strategica degli spazi nazionali”, che è quella tradizionale di difesa del territorio, considerata però ormai “a bassa probabilità di occorrenza”.
A seguito di tutto ciò lo strumento non potrà più essere l’esercito di leva, ci vuole un esercito professionale ben pagato. Non serviranno più i militari di leva; già succedeva che i generali non facessero salire gli arruolati come avieri sugli aeroplani, e i marinai sulle navi; ma d’ora in poi i militari di leva saranno impiegati solo come cuochi, camerieri, sentinelle, attendenti, uscieri e addetti ai servizi logistici, sicché ci saranno centomila giovani in esubero e ben presto la leva sarà abolita.
E’ un cambiamento totale. Non cambia solo la politica militare ma cambia la Costituzione, l’idea della politica, la ragion di Stato, le alleanze, i rapporti con l’ONU, viene istituzionalizzata la guerra e annunciato un periodo di conflitti ad alta probabilità di occorrenza che avranno l’Islam come nemico. Ci vorrebbe un dibattito in Parlamento, non si dovrebbe parlare d’altro. Però nessuno se ne accorge, il Modello di Difesa non giungerà mai in aula e non sarà mai discusso dal Parlamento; forse ci si accorse che quelle cose non si dovevano dire, che non erano politicamente corrette, i documenti e le risoluzioni strategiche dei Consigli Atlantici di Londra e di Roma, che avevano preceduto di poco il documento italiano, erano stati molto più cauti e reticenti, sicché finì che del Nuovo Modello di Difesa per vari anni si discusse solo nei circoli militari e in qualche convegno di studio; ma intanto lo si attuava, e tutto quello che è avvenuto in seguito, dalla guerra nei Balcani alle Torri Gemelle all’invasione dell’Iraq, alla Siria, fino alla terza guerra mondiale a pezzi che oggi, come dice il papa, è in corso, ne è stato la conseguenza e lo svolgimento.
Il perché della nuova Costituzione
E allora questa è la verità del referendum. La nuova Costituzione è la quadratura del cerchio. Gli istituti della democrazia non sono compatibili con la competizione globale, con la guerra permanente, chi vuole mantenerli è considerato un conservatore. Il mondo è il mercato; il mercato non sopporta altre leggi che quelle del mercato. Se qualcuno minaccia di fare di testa sua, i mercati si turbano. La politica non deve interferire sulla competizione e i conflitti di mercato. Se la gente muore di fame, e il mercato non la mantiene in vita, la politica non può intervenire, perché sono proibiti gli aiuti di Stato. Se lo Stato ci prova, o introduce leggi a difesa del lavoro o dell’ambiente, le imprese lo portano in tribunale e vincono la causa. Questo dicono i nuovi trattati del commercio globale. La guerra è lo strumento supremo per difendere il mercato e far vincere nel mercato. 
Le Costituzioni non hanno più niente a che fare con una tale concezione della politica e della guerra. Perciò si cambiano. Ci vogliono poteri spicci e sbrigativi, tanto meglio se loquaci. 
E allora questa è la ragione per cui la Costituzione si deve difendere. Non perché oggi sia operante, perché è stata già cambiata nel ‘91, e il mondo del costituzionalismo democratico è stato licenziato tra l’89 e il ’91 (si ricordi Cossiga, il picconatore venuto prima del rottamatore). Ma difenderla è l’unica speranza di tenere aperta l’alternativa, di non dare per compiuto e irreversibile il passaggio dalla libertà della democrazia costituzionale alla schiavitù del mercato globale, è la condizione necessaria perché non siano la Costituzione e il diritto che vengono messi in pari con la società selvaggia, ma sia la società selvaggia che con il NO sia dichiarata in difetto e attraverso la lotta sia rimessa in pari con la Costituzione, la giustizia e il diritto. 

Discorso tenuto il 16/09/2016 a Messina nel Salone delle bandiere del Comune in un’assemblea sul referendum costituzionale promossa dall’ANPI e dai Cattolici del NO e il 17/09/2016 a Siracusa in un dibattito con il prof. Salvo Adorno del Partito Democratico, sostenitore delle ragioni del Sì.



mercoledì 21 settembre 2016

LE EMAIL DELLA CLINTON




Esplosive mail della Clinton
Manlio Dinucci
 
Ogni tanto, per fare un po’ di «pulizia morale» a scopo politico-mediatico, l’Occidente tira fuori qualche scheletro dall’armadio. Una commissione del parlamento britannico ha criticato David Cameron per l’intervento militare in Libia quando era premier nel 2011: non lo ha però criticato per la guerra di aggressione che ha demolito uno stato sovrano, ma perché è stata lanciata senza una adeguata «intelligence» né un piano per la «ricostruzione». 

Lo stesso ha fatto il presidente Obama quando, lo scorso aprile, ha dichiarato di aver commesso sulla Libia il «peggiore errore», non per averla demolita con le forze Nato sotto comando Usa, ma per non aver pianificato «the day after». 

Obama ha ribadito contemporaneamente il suo appoggio a Hillary Clinton, oggi candidata alla presidenza: la stessa che, in veste di segretaria di stato, convinse Obama ad autorizzare una operazione coperta in Libia (compreso l’invio di forze speciali e l’armamento di gruppi terroristi) in preparazione dell’attacco aeronavale Usa/Nato. 

Le mail della Clinton, venute successivamente alla luce, provano quale fosse il vero scopo della guerra:  bloccare il piano di Gheddafi di usare i fondi sovrani libici per creare organismi finanziari autonomi dell’Unione Africana e una moneta africana in alternativa al dollaro e al franco Cfa. 

Subito dopo aver demolito lo stato libico, gli Usa e la Nato hanno iniziato, insieme alle monarchie del Golfo, l’operazione coperta per demolire lo stato siriano, infiltrando al suo interno forze speciali e gruppi terroristi che hanno dato vita all’Isis. Una mail della Clinton, una delle tante che il Dipartimento di stato ha dovuto declassificare dopo il clamore suscitato dalle rivelazioni di Wikileaks, dimostra qual è uno degli scopi fondamentali dell’operazione ancora in corso. 

Nella mail, declassificata come «case number F-2014-20439, Doc No. C05794498», la segretaria di stato Hillary Clinton scrive il 31 dicembre 2012: «È la relazione strategica tra l’Iran e il regime di Bashar Assad che permette all’Iran di minare la sicurezza di Israele, non attraverso un attacco diretto ma attraverso i suoi alleati in Libano, come gli Hezbollah». Sottolinea quindi che «il miglior modo di aiutare Israele è aiutare la ribellione in Siria che ormai dura da oltre un anno», ossia dal 2011, sostenendo che per piegare Bashar Assad, occorre «l’uso della forza» così da «mettere a rischio la sua vita e quella della sua famiglia».

Conclude la Clinton: «Il rovesciamento di Assad costituirebbe non solo un immenso beneficio per la sicurezza di Israele, ma farebbe anche diminuire il comprensibile timore israeliano di perdere il monopolio nucleare». La allora segretaria di stato ammette quindi ciò che ufficialmente viene taciuto: il fatto che Israele è l’unico paese in Medio Oriente a possedere armi nucleari. 

Il sostegno dell’amministrazione Obama a Israele, al di là di alcuni dissensi più formali che sostanziali, è confermato dall’accordo, firmato il 14 settembre a Washington, con cui gli Stati uniti si impegnano a fornire a Israele i più moderni armamenti per un valore di 38 miliardi di dollari in dieci anni, tramite un finanziamento annuo di 3,3 miliardi di dollari più mezzo milione per la «difesa missilistica». 

Intanto, dopo che l’intervento russo ha bloccato il piano di demolire la Siria dall’interno con la guerra, gli Usa ottengono una «tregua» (da loro subito violata), lanciando allo stesso tempo una nuova offensiva in Libia, camuffata da operazione umanitaria a cui l’Italia partecipa con i suoi «parà-medici». Mentre Israele, nell’ombra, rafforza il suo monopolio nucleare tanto caro a Hillary Clinton.
 
(il manifesto, 20 settembre 2016)