La verità sul referendum
Raniero La Valle
Cari amici, poichè ho 85 anni devo
dirvi come sono andate le cose. Non sarebbe necessario essere qui per dirvi
come sono andate le cose, se noi ci trovassimo in una situazione normale. Ma se
guardiamo quello che accade intorno a noi, vediamo che la situazione non è
affatto normale. Che cosa infatti sta succedendo? Succede che undici
persone al giorno muoiono annegate o asfissiate nelle stive dei barconi nel
Mediterraneo, davanti alle meravigliose coste di Lampedusa, di Pozzallo o di
Siracusa dove noi facciamo bagni e pesca subacquea. Sessantadue milioni di
profughi, di scartati, di perseguitati sono fuggiaschi, gettati nel mondo alla
ricerca di una nuova vita, che molti non troveranno.
Qualcuno dice che nel 2050 i trasmigranti saranno 250
milioni.
E l’Italia che fa? Sfoltisce il Senato.
E’ in corso una terza guerra mondiale non dichiarata,
ma che fa vittime in tutto il mondo. Aleppo è rasa al suolo, la Siria è
dilaniata, l’Iraq è distrutto, l’Afganistan devastato, i palestinesi sono
prigionieri da cinquant’anni nella loro terra, Gaza è assediata, la Libia è in
guerra, in Africa, in Medio Oriente e anche in Europa si tagliano teste e si
allestiscono stragi in nome di Dio.
E l’Italia che fa? Toglie lo stipendio ai senatori.
Fallisce il G20 ad Hangzhou in Cina. I grandi della
terra, che accumulano armi di distruzione di massa e si combattono nei mercati
in tutto il mondo, non sanno che pesci pigliare e il vertice fallisce. Non
sanno che fare per i profughi, non sanno che fare per le guerre, non sanno che
fare per evitare la catastrofe ambientale, non sanno che fare per promuovere
un’economia che tenga in vita sette miliardi e mezzo di abitanti della terra, e
l’unica cosa che decidono è di disarmare la politica e di armare i mercati, di
abbattere le residue restrizioni del commercio e delle speculazioni
finanziarie, di legittimare la repressione politica e la reazione anticurda di
Erdogan in Turchia e di commiserare la Merkel che ha perso le elezioni
amministrative in Germania.
E in tutto questo l’Italia che fa? Fa eleggere i
senatori dai consigli regionali.
E ancora: l’Italia è a crescita zero, la
disoccupazione giovanile a luglio è al 39 per cento, il lavoro è precario, i
licenziamenti nel secondo trimestre sono aumentati del 7,4 % rispetto allo
stesso periodo dell’anno precedente, raggiungendo 221.186 persone, i poveri
assoluti sono quattro milioni e mezzo, la povertà relativa coinvolge tre
milioni di famiglie e otto milioni e mezzo di persone.
E l’Italia che fa? Fa una legge elettorale che esclude
dal Parlamento il pluralismo ideologico e sociale, neutralizza la
rappresentanza e concentra il potere in un solo partito e una sola
persona.
Ma si dice: ce lo chiede l’Europa. Ma se è questo che
ci chiede l’Europa vuol dire proprio che l’istituzione europea ha completamente
perduto non solo ogni residuo del sogno delle origini ma anche ogni senso della
realtà e dei suoi stessi interessi vitali.
Ma se questa è la distanza tra la riforma
costituzionale e i bisogni reali del mondo, dell’Europa, del Mediterraneo e
dell’Italia, la domanda è perché ci venga proposta una riforma così.
La verità è rivoluzionaria, ma se si viene a sapere
E’ venuto dunque il momento di dire la verità sul
referendum. La verità è rivoluzionaria nel senso che interrompe il corso delle
cose esistenti e crea una situazione nuova.
Il guaio della verità è che essa si viene a sapere
troppo tardi, quando il tempo è passato, il kairós non è stato afferrato al
volo e la verità non è più utile a salvarci.
Se si fosse saputa in tempo la bugia sul mai avvenuto
incidente del Golfo del Tonchino, la guerra del Vietnam non ci sarebbe stata,
l’America non sarebbe diventata incapace di seguire la via di Roosevelt, di
Truman, di Kennedy, e avrebbe potuto guidare l’edificazione democratica e
pacifica del nuovo ordine mondiale inaugurato venti anni prima con la Carta di
San Francisco.
Se si fosse conosciuta prima la bugia di Bush e di
Blair, e saputo che le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein non
c’erano, non sarebbe stato devastato il Medio Oriente, il terrorismo non avrebbe
preso le forme totali dei combattenti suicidi in tutto il mondo e oggi non
rischieremmo l’elezione di Trump in America.
Se si fosse saputa la verità sul delitto e sui
mandanti dell’uccisione di Moro, l’Italia si sarebbe salvata dalla decadenza in
cui è stata precipitata.
Dunque la verità del referendum va conosciuta finché
si è in tempo.
Ma la verità del referendum non è quella che ci viene
raccontata. Ci dicono per esempio che la sua prima virtù sarebbe il risparmio
sui costi della politica, e che i soldi così ottenuti si darebbero ai poveri.
Ma così non è: secondo la Ragioneria Generale dello Stato, il cui compito è di
verificare la certezza e l’affidabilità dei conti pubblici, il risparmio si
ridurrebbe a cinquantotto milioni che si otterrebbero togliendo la paga ai
senatori, mentre resterebbe il costo del Senato, e i poveri non c’entrano
niente.
L’altra virtù del referendum sarebbe il risparmio sui
tempi della politica. Ci dicono infatti di voler abolire la navetta delle leggi
tra Camera e Senato. Ma così non è. In realtà si allungano i tempi della
produzione legislativa; infatti si introducono sei diversi tipi di leggi e di
procedure che ricadono su ambedue le Camere: 1) le leggi sempre bicamerali,
Camera e Senato, come le leggi costituzionali, elettorali e di interesse
europeo; 2) le leggi fatte dalla sola Camera che entro dieci giorni possono
essere richiamate dal Senato; 3) le leggi che invadono la competenza regionale
che il Senato deve entro dieci giorni prendere in esame; 4) le leggi di bilancio
che devono sempre essere esaminate dal Senato che ha quindici giorni per
proporre delle modifiche; 5) le leggi che il Senato può chiedere alla Camera di
esaminare entro sei mesi; 6) le leggi di conversione dei decreti legge che
hanno scadenze e tempi convulsi se richiamate e discusse anche dal Senato. Ciò
crea un intrico di passaggi tra Camera e Senato e un groviglio di competenze il
cui conflitto dovrebbe essere risolto d’intesa tra gli stessi presidenti delle
due Camere che configgono tra loro.
Ci dicono poi che col referendum si assicura la
stabilità politica, e almeno fino a ieri ci dicevano che al contrario se perde
il referendum Renzi se ne va. Ma queste non sono le verità del referendum.
Finché si resta a questo la verità del referendum non viene fuori.
Non è la legge Boschi il vero oggetto del referendum
La verità del referendum sta dietro di esso, è la
verità nascosta che esso rivela: il referendum infatti non è solo un fatto
produttore di effetti politici, è un evento di rivelazione che squarcia il velo
sulla situazione com’è. È uno svelamento della vera lotta che si sta svolgendo
nel mondo e della posta che è in gioco. Il referendum come cunto de li cunti,
potremmo dire in Sicilia, il racconto dei racconti, come togliere il velo del
tempio per vedere quello che ci sta dietro, se ci sta Dio o l’idolo. Il
referendum come rivelatore dello stato del mondo.
Ora, per trovare la verità nascosta del referendum, il
suo vero movente, la sua vera premeditazione, bisogna ricorrere a degli indizi,
come si fa per ogni giallo.
Il primo indizio è che Renzi ha cambiato strategia,
all’inizio aveva detto che questa era la sua vera impresa, che su questo si
giocava il suo destino politico. Ora invece dice che il punto non è lui, che
lui non è la vera causa della riforma, ha detto di aver fatto questa riforma su
suggerimento di altri e ha nominato esplicitamente Napolitano; ma è chiaro che
non c’è solo Napolitano. Prima
ancora di Napolitano c’era la banca J. P. Morgan che
in un documento del 2013, in nome del capitalismo vincente, aveva indicato
quattro difetti delle Costituzioni (da lei ritenute socialiste) adottate in
Europa nel dopoguerra: a) una debolezza degli esecutivi nei confronti dei
Parlamenti; b) un’eccessiva capacità di decisione delle Regioni nei confronti dello
Stato; c) la tutela costituzionale del diritto del lavoro; d) la libertà di
protestare contro le scelte non gradite del potere.
Prima ancora c’era stato il programma avanzato dalla
Commissione Trilaterale, formata da esponenti di Stati Uniti, Europa e Giappone
e fondata da Rockefeller, che aveva chiesto un’attenuazione della democrazia ai
fini di quella che era allora la lotta al comunismo. E la stessa cosa vogliono
ora i grandi poteri economici e finanziari mondiali, tanto è vero che sono
scesi in campo i grandi giornali che li rappresentano, il Financial Times ed il
Wall Street Journal, i quali dicono che il No al referendum sarebbe una
catastrofe come il Brexit inglese. E alla fine è intervenuto lo stesso
ambasciatore americano che a nome di tutto il cocuzzaro ha detto che se in
Italia viene il NO, gli investimenti se ne vanno.
Ebbene quelle richieste avanzate da questi centri di
potere sono state accolte e incorporate nella riforma sottoposta ora al voto
del popolo italiano. Infatti con la riforma voluta da Renzi il Parlamento è
stato drasticamente indebolito per dare più poteri all’esecutivo. Delle due
Camere di fatto è rimasta una sola, come a dire: cominciamo con una, poi si
vedrà. Il Senato lo hanno fatto così brutto deforme e improbabile, che hanno
costretto anche i fautori del Senato a dire che se deve essere così, è meglio
toglierlo. Inoltre il potere esecutivo sarà anche padrone del calendario dei
lavori parlamentari. Il rapporto di fiducia tra il Parlamento ed il governo
viene poi vanificato non solo perché l’esecutivo non avrà più bisogno di fare i
conti con quello che resta del Senato, ma perché dovrà ottenere la fiducia da
un solo partito. La legge elettorale Italicum prevede infatti che un solo
partito avrà – quale che sia la percentuale dei suoi voti, al primo turno o al
ballottaggio – la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera (340 deputati su
615). Il problema della fiducia si riduce così ad un rapporto tra il capo del
governo e il suo partito e perciò ricadrà sotto la legge della disciplina di
partito. Quindi non sarà più una fiducia libera, non sarà una vera fiducia,
sarà per così dire un atto interno di partito, che addirittura può ridursi al
rapporto tra un partito e il suo segretario.
Per quanto riguarda le altre richieste dei poteri
economici, i diritti del lavoro sono stati già compromessi dal Jobs act, il
rapporto tra Stato e Regioni ha subito un rovesciamento, perché
dall’ubriacatura regionalista si ritorna a un centralismo illimitato, mentre,
assieme alla riduzione del pluralismo politico, ci sono delle procedure che
renderanno più difficili le forme di democrazia diretta come i referendum o le
leggi di iniziativa popolare, e quindi ci sarà una diminuzione della
possibilità per i cittadini di intervenire nei confronti del potere.
Questo è il disegno di un’altra Costituzione. La
storia delle Costituzioni è la storia di una progressiva limitazione del potere
perché le libertà dipendono dal fatto che chi ha il potere non abbia un potere
assoluto e incontrollato, ma convalidato dalla fiducia dei Parlamenti e
garantito dal costante controllo democratico dei cittadini. E’ questo che ora
viene smontato, per cui possiamo dire che la democrazia in Italia diventa ad
alto rischio.
Ma a questo punto è chiaro che quello che conta non è
più Renzi, ed è chiaro che quanti sono interessati a questa riforma gli hanno
detto di tirarsi indietro, perché a loro non interessa il sì a Renzi, interessa
che non vinca il no alla riforma.
Il secondo indizio è il ritardo della data della
convocazione, che non è stata ancora fissata dal governo; ciò vuol dire che la
partita è troppo importante per farne un gioco d’azzardo, come ne voleva fare
Renzi, mentre i sondaggi e le sconfitte alle amministrative sono stati
inquietanti. Perciò occorreva meno baldanza da Miles Gloriosus e più
preparazione. E occorreva alzare il livello dello scontro, e soprattutto ci
voleva il riarmo prima che si giungesse allo scontro finale. Il riarmo per
acquisire la superiorità sul terreno era l’acquisto del controllo totale
dell’informazione, non solo i giornali, di fatto già posseduti, ma radio e TV,
ciò che è stato fatto in piena estate con le nomine alla RAI.
Se davvero si trattava di scorciare i tempi e
distribuire un po’ di sussidi ai poveri, non c’era bisogno del controllo totale
dell’informazione.
Inoltre bisognava distruggere il principale avversario
e fautore politico del No, il Movimento 5 Stelle. Questo spiega l’attacco
spietato e incessante alla Raggi. E poi ci volevano i tempi supplementari per
distribuire un po’ di soldi con la legge finanziaria.
C’è poi un terzo indizio. Interrogato sul suo voto
Prodi dice: non mi pronunzio perché se no turbo i mercati e destabilizzo
l’Italia in Europa. Dunque non è una questione italiana, è una questione che
riguarda l’Europa, è una questione che potrebbe turbare i mercati. Insomma è
qualcosa che ha a che fare con l’assetto del mondo.
Lo spartiacque non è stato l’11 settembre
A questo punto è necessario sapere come sono andate le
cose.
Partiamo dall’11 settembre di cui si è tanto parlato
ricorrendone l’anniversario in questi giorni.
Il mondo è cambiato l’11 settembre 2001? Tutti hanno
detto così. Ma il mondo non è cambiato quel giorno: quello è stato il sintomo
spaventoso della malattia che già avevamo contratto. L’11 settembre ha mostrato
invece il suo volto il mondo che noi stessi avevamo deciso di costruire dieci
anni prima.
Nel 1991 con dieci anni di anticipo sulla sua fine fu
da noi chiuso il Novecento, tanto che uno storico famoso lo soprannominò “Il
secolo breve” e così fu dato inizio a un nuovo secolo, a un nuovo millennio e a
un nuovo regime che nella follia delle classi dirigenti di allora doveva essere
quello definitivo, tanto è vero che un economista famoso lo definì come la
“fine della storia” .
Quello che avevamo fatto dieci anni prima dell’11
settembre è che avevamo deciso di rispondere alla fine del comunismo portando
un capitalismo aggressivo fino agli estremi confini della terra; avevamo deciso
di rispondere alla cosiddetta fine delle ideologie trasformando il capitalismo
da cultura a natura, promuovendolo da ideologia a legge universale, da
storicità a trascendenza; avevamo preteso di superare il conflitto di classe
smontando i sindacati, avevamo deciso di sfruttare la fine della
contrapposizione militare tra i blocchi facendo del Terzo Mondo un teatro di
conquista.
La scelta decisiva, che non si può chiamare
rivoluzionaria perché non fu una rivoluzione ma un rovesciamento, e dunque fu
una scelta restauratrice e totalmente reazionaria, fu quella di disarmare la
politica e armare l’economia ma non in un solo Paese, bensì in tutto il mondo.
Non essendoci più l‘ostacolo di un mondo diviso in due blocchi politici e
militari, eguali e contrari, l’orizzonte di questo regime fu la globalità, la
mondialisation come dicono i francesi, si stabilì un regime di globalità esteso
a tutta la terra.
Quale è stato l’evento in cui ha preso forma e si è
promulgata, per così dire questa scelta?
C’è una teoria molto attendibile secondo cui
all’inizio di un’intera epoca storica, all’inizio di ogni nuovo regime, c’è un
delitto fondatore. Secondo René Girard all’inizio della storia stessa della
civiltà c’è il delitto fondatore dell’uccisione della vittima innocente, ossia
c’è un sacrificio, grazie al quale viene ricomposta l’unità della società dilaniata
dalle lotte primordiali.
Secondo Hobbes lo Stato stesso viene fondato dall’atto
di violenza con cui il Leviatano assume il monopolio della forza ponendo fine
alla lotta di tutti contro tutti e assicurando ai sudditi la vita in cambio
della libertà.
Secondo Freud all’origine della società civile c’è il
delitto fondatore dell’uccisione del padre.
Se poi si va a guardare la storia si trovano molti
delitti fondatori. Cesare molte volte viene ucciso, il delitto Matteotti è il
delitto fondatore del fascismo, l’assassinio di Kennedy apre la strada al
disegno di dominio globale della destra americana che si prepara a sognare, per
il Duemila, “il nuovo secolo americano”, l’uccisione di Moro è il delitto
fondatore dell’Italia che si pente delle sue conquiste democratiche e popolari.
Ebbene il delitto fondatore dell’attuale regime del
capitalismo globale fondato, come dice il papa, sul governo del denaro e
un’economia che uccide, è la prima guerra del Golfo del 1991.
La guerra come delitto fondatore e il nuovo Modello di
Difesa
È a partire da quella svolta che è stato costruito il
nuovo ordine mondiale.
E noi possiamo ricordare come sono andate le cose a
partire dal nostro osservatorio italiano Non è un punto di osservazione
periferico, perché l’Italia era una componente essenziale del sistema atlantico
e dell’Occidente, ma era anche il Paese più ingenuo e più loquace, sicché
spifferava alla luce del sole quello che gli altri architettavano in
segreto.
Questa è la ragione per cui posso raccontarvi come
sono andate le cose, a partire da una data precisa. E questa data precisa è
quella del 26 novembre 1991, quando il ministro della Difesa Rognoni viene alla
Commissione Difesa della Camera e presenta il Nuovo Modello di Difesa.
Perché c’era bisogno di un nuovo Modello di Difesa?
Perché la difesa com’era stata organizzata in funzione del nemico sovietico,
che non c’era più, era ormai superata. Ci voleva un nuovo modello. Il modello
di difesa che era scritto nella Costituzione era molto semplice e stava in
poche righe: la guerra era ripudiata, la difesa della Patria, intesa come
territorio e come popolo, era un sacro dovere dei cittadini. A questo fine era
stabilito il servizio militare obbligatorio che dava luogo a un esercito di
leva permanente, diviso nelle tre Forze Armate tradizionali. Le norme di
principio sulla disciplina militare dell’ 11 luglio 1978, definivano poi i tre
compiti delle Forze Armate. Il primo era la difesa dell’integrità del
territorio, il secondo la difesa delle istituzioni democratiche e il terzo
l’intervento di supporto nelle calamità naturali. Non c’erano altri compiti per
le FF.AA. La difesa del territorio comportava soprattutto lo schieramento
dell’esercito sulla soglia di Gorizia, da cui si supponeva venisse la minaccia
dell’invasione sovietica, e la sicurezza globale stava nella partecipazione
alla NATO, che prevedeva anche l’impiego dall’Italia delle armi nucleari.
Con la soppressione del muro di Berlino e la fine
della guerra fredda tutto cambia: non c’è più bisogno della difesa sul confine
orientale, la minaccia è finita e anche la deterrenza nucleare viene meno. Ci
sarebbe la grande occasione per costruire un mondo nuovo, si parla di un
dividendo della pace che sono tutti i soldi risparmiati dagli Stati per le
armi, con cui si può provvedere allo sviluppo e al progresso di tutti i popoli
del mondo; servono meno soldati e anche la durata della ferma di leva può
diventare più breve.
Ma l’Occidente fa un’altra scelta; si riappropria
della guerra e la esibisce a tutto il mondo nella spettacolare rappresentazione
della prima guerra del Golfo del 1991, cambia la natura della NATO, individua
il Sud e non più l’Est come nemico, cambia la visione strategica dell’alleanza
e ne fa la guardia armata dell’ordine mondiale cercando di sostituirla all’ONU e
anche di cambiare gli ideali della comunità internazionale che erano la
sicurezza e la pace. Viene scelto un altro obiettivo: finita la guerra fredda,
c’è un altro scopo adottato dalle società industrializzate, spiegherà il nuovo
“modello” italiano, ed è quello di “mantenere e accrescere il loro progresso
sociale e il benessere materiale perseguendo nuovi e più promettenti obiettivi
economici, basati anche sulla certezza della disponibilità di materie prime”.
Di conseguenza, si afferma, si aprirà sempre più la forbice tra Nord e Sud del
mondo, anche perché il Sud sarà il teatro e l’oggetto della nuova concorrenza
tra l’Occidente e i Paesi dell’Est. Alla contrapposizione Est-Ovest si
sostituisce quella Nord-Sud.
Tutto questo precipita nel nuovo modello di difesa
italiano, è scritto in un documento di duecentocinquanta pagine e il ministro
Rognoni, papale papale, lo viene a raccontare alla Commissione Difesa della
Camera, di cui allora facevo parte.
E’ un dramma, una rottura con tutto il passato. Cambia
il concetto di difesa, il problema, dice il ministro, non è più “da chi
difendersi” (cioè da un eventuale aggressore) ma “che cosa difendere e come”. E
cambia il che cosa difendere: non più la Patria, cioè il popolo e il
territorio, ma “gli interessi nazionali nell’accezione più vasta di tali
termini” ovunque sia necessario; tra questi sono preminenti gli interessi
economici e produttivi e quelli relativi alle materie prime, a cominciare dal
petrolio. Il teatro operativo non è più ai confini, ma dovunque sono in gioco i
cosiddetti “interessi esterni”, e in particolare nel Mediterraneo, in Africa
(fino al Corno d’Africa) e in Medio Oriente (fino al Golfo Persico); la nuova
contrapposizione è con l’Islam e il modello, anzi la chiave interpretativa
emblematica del nuovo rapporto conflittuale tra Islam e Occidente, dice il
Modello, è quella del conflitto tra Israele da un lato e mondo arabo e
palestinesi dall’altro. Chi ha detto che non abbiamo dichiarato guerra
all’Islam? Noi l’abbiamo dichiarata nel 1991. L’ho dichiarata anch’io, in
quanto membro di quel Parlamento, anche se mi sono opposto.
I compiti della Difesa non sono più solo quei tre
fissati nella legge di principio del 1978 ma si articolano in tre nuove
funzioni strategiche, quella di “Presenza e Sorveglianza” che è “permanente e
continuativa in tutta l’area di interesse strategico” e comprende la Presenza
Avanzata che sostituisce la vecchia Difesa Avanzata della NATO, quella di
“Difesa degli interessi esterni e contributo alla sicurezza internazionale”, che
è ad “elevata probabilità di occorrenza” (e sono le missioni all’estero che
richiedono l’allestimento di Forze di Reazione Rapida), e quella di “Difesa
Strategica degli spazi nazionali”, che è quella tradizionale di difesa del
territorio, considerata però ormai “a bassa probabilità di occorrenza”.
A seguito di tutto ciò lo strumento non potrà più
essere l’esercito di leva, ci vuole un esercito professionale ben pagato. Non
serviranno più i militari di leva; già succedeva che i generali non facessero
salire gli arruolati come avieri sugli aeroplani, e i marinai sulle navi; ma
d’ora in poi i militari di leva saranno impiegati solo come cuochi, camerieri,
sentinelle, attendenti, uscieri e addetti ai servizi logistici, sicché ci
saranno centomila giovani in esubero e ben presto la leva sarà abolita.
E’ un cambiamento totale. Non cambia solo la politica
militare ma cambia la Costituzione, l’idea della politica, la ragion di Stato,
le alleanze, i rapporti con l’ONU, viene istituzionalizzata la guerra e
annunciato un periodo di conflitti ad alta probabilità di occorrenza che
avranno l’Islam come nemico. Ci vorrebbe un dibattito in Parlamento, non si
dovrebbe parlare d’altro. Però nessuno se ne accorge, il Modello di Difesa non
giungerà mai in aula e non sarà mai discusso dal Parlamento; forse ci si
accorse che quelle cose non si dovevano dire, che non erano politicamente
corrette, i documenti e le risoluzioni strategiche dei Consigli Atlantici di
Londra e di Roma, che avevano preceduto di poco il documento italiano, erano
stati molto più cauti e reticenti, sicché finì che del Nuovo Modello di Difesa
per vari anni si discusse solo nei circoli militari e in qualche convegno di
studio; ma intanto lo si attuava, e tutto quello che è avvenuto in seguito,
dalla guerra nei Balcani alle Torri Gemelle all’invasione dell’Iraq, alla
Siria, fino alla terza guerra mondiale a pezzi che oggi, come dice il papa, è
in corso, ne è stato la conseguenza e lo svolgimento.
Il perché della nuova Costituzione
E allora questa è la verità del referendum. La nuova
Costituzione è la quadratura del cerchio. Gli istituti della democrazia non
sono compatibili con la competizione globale, con la guerra permanente, chi
vuole mantenerli è considerato un conservatore. Il mondo è il mercato; il
mercato non sopporta altre leggi che quelle del mercato. Se qualcuno minaccia
di fare di testa sua, i mercati si turbano. La politica non deve interferire
sulla competizione e i conflitti di mercato. Se la gente muore di fame, e il
mercato non la mantiene in vita, la politica non può intervenire, perché sono
proibiti gli aiuti di Stato. Se lo Stato ci prova, o introduce leggi a difesa
del lavoro o dell’ambiente, le imprese lo portano in tribunale e vincono la
causa. Questo dicono i nuovi trattati del commercio globale. La guerra è lo
strumento supremo per difendere il mercato e far vincere nel mercato.
Le Costituzioni non hanno più niente a che fare con
una tale concezione della politica e della guerra. Perciò si cambiano. Ci
vogliono poteri spicci e sbrigativi, tanto meglio se loquaci.
E allora questa è la ragione per cui la Costituzione
si deve difendere. Non perché oggi sia operante, perché è stata già cambiata
nel ‘91, e il mondo del costituzionalismo democratico è stato licenziato tra
l’89 e il ’91 (si ricordi Cossiga, il picconatore venuto prima del
rottamatore). Ma difenderla è l’unica speranza di tenere aperta l’alternativa,
di non dare per compiuto e irreversibile il passaggio dalla libertà della
democrazia costituzionale alla schiavitù del mercato globale, è la condizione
necessaria perché non siano la Costituzione e il diritto che vengono messi in
pari con la società selvaggia, ma sia la società selvaggia che con il NO sia
dichiarata in difetto e attraverso la lotta sia rimessa in pari con la
Costituzione, la giustizia e il diritto.
Discorso tenuto il 16/09/2016 a Messina nel Salone delle bandiere del Comune in un’assemblea sul referendum costituzionale promossa dall’ANPI e dai Cattolici del NO e il 17/09/2016 a Siracusa in un dibattito con il prof. Salvo Adorno del Partito Democratico, sostenitore delle ragioni del Sì.
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