di Domenico Moro
(Controlacrisi.org, 2.1.17)
(L'autore parla, erroneamente di "guerra civile" in Siria e di "caduta di Aleppo" - In Siria non vi è stata una guerra civile ma una aggressione dall'esterno; Aleppo non è caduta ma è stata liberata)
Gli attentati terroristici di
Capodanno a Istanbul, dove sono state uccise trentanove persone, e del 19 dicembre a Ankara, dove è
stato ucciso l'ambasciatore russo Andrey Karlov, e a Berlino, dove sono state uccise
dodici persone, per quanto possano essere diversi, hanno qualcosa che li lega.
Il collegamento è rappresentato da quanto è accaduto in Siria. Qui, la caduta
di Aleppo non ha rappresentato soltanto la caduta della principale città
siriana nelle mani del fronte jihadista che combatte il presidente siriano
Assad.
Più in generale, rappresenta
la sconfitta delle forze jihadiste in Siria, che ora si vendicano nei confronti
di chi li aveva appoggiati, cercando di utilizzarli ai propri fini, per poi
abbandonarli. Non si tratta di una novità assoluta. L'ex agente dei servizi
segreti militari italiani, Nino Arconte, ha rivelato, come ho riportato nel mio
libro "La terza guerra mondiale e il fondamentalismo islamico", che
alla radice dell'odio contro gli Usa e l'Europa fu il "tradimento"
dei governi occidentali, che avevano utilizzato i fondamentalisti islamici
contro i governi laici del Medio-Oriente negli anni '80.
In realtà, la caduta di Aleppo
non segna soltanto la sconfitta strategica del fronte jihadista. La guerra
civile si è, sin dall'inizio, trasformata in una miniguerra mondiale. Essa è
stata il terreno di scontro tra potenze maggiori, cioè tra Usa e Francia, da
una parte, e Russia e, sebbene in modo indiretto, Cina, dall'altra. Inoltre, è
stata terreno di scontro tra potenze regionali, cioè tra Iran, da una parte, e
Arabia Saudita, Turchia e Qatar, dall'altra. Quindi, la caduta di Aleppo segna
la sconfitta di tutti coloro i quali avevano sollecitato o sfruttato le cosiddette
primavere arabe per promuovere l'abbattimento dei governi laici del
Medio-Oriente, tra i quali quelli di Gheddafi e di Assad.
Infatti, non dobbiamo
dimenticare che, se è vero che gli attentati in Europa, quelli di Bruxelles, di
Nizza, e di Berlino sono stati organizzati o almeno ispirati dall'Isis, è
altrettanto vero che:
a) L'Isis si afferma in Siria,
a seguito dello scoppio della guerra civile;
b) La guerra civile in Siria
ha il via libera di Usa e Francia, che speravano di cavalcare l'ondata della contestazione per liberarsi di
Assad e indebolire la Russia e l'Iran, recuperando spazi strategici e
economici;
c) La guerra contro Assad è
stata finanziata da stati fondamentalisti come l'Arabia Saudita e il Quatar,
che sono alleati di Usa e Europa occidentale. A questi stati arabi e alla loro
classe di rentier parassitari gli europei vendono miliardi in armi e permettono
la partecipazione al capitale delle proprie maggiori imprese e banche;
d) La guerra contro Assad è
stata condotta con il ruolo organizzativo decisivo della Turchia, che ha
permesso, fra le altre cose, l'apertura del corridoio tra Siria e Europa attraverso
cui sono transitati i foreign fighters europei, tra cui gli autori di attentati
come quello a Charlie Hebdo;
e) Le potenze occidentali e
arabe hanno appoggiato le formazioni jihadiste, come Al Nustra, già emanazione di
Al Quaida, che hanno rapidamente assunto l'egemonia nella lotta contro Assad.
f) Il tutto è stato avallato e
coordinato da Hillary Rodham Clinton.
Però, a differenza di Gheddafi
in Libia, Assad non si è trovato isolato e alla mercé di un ampio fronte di avversari. Con la Libia la Russia
e la Cina non posero il veto alla risoluzione Onu, che, sebbene in modo ambiguo,
permise le incursioni aeree della Nato contro Gheddafi e fece pendere i
rapporti di forza a favore delle formazioni ribelli, anche lì, come si è visto
successivamente, egemonizzate dai jihadisti. Con la Siria, la Russia e la Cina
non solo hanno chiarito che non ci sarebbe stata alcuna benedizione Onu a un bombardamento
occidentale, ma è stata la Russia a intervenire direttamente con la propria
aeronautica.
Inoltre, la posizione
geografica della Siria ha reso possibile l'arrivo di aiuti dal "fronte
sciita", composto da hezbollah libanesi e milizie sciite iraniane e
irachene. Dunque, a uscire sconfitti dal conflitto siriano sono gli Usa, in
particolare la linea politica di Obama e Clinton in Medio-Oriente, l'Europa
occidentale, in particolare la Francia, e le potenze regionali sunnite,
Turchia, Arabia Saudita e Qatar.
La linea Obama-Clinton in
Medio-Oriente, orientata al regime change e basata su proxy wars combattute da milizie
locali, sostanzialmente jihadiste-islamiche, con l'appoggio aereo occidentale,
è fallita, come era chiaro già da molto tempo prima della caduta di Aleppo. Le
conseguenze principali della sconfitta degli statunitensi e dei loro alleati
occidentali e arabi sono tre:
a) Il mutamento delle alleanze
in Medio-Oriente. La Turchia, resasi conto della sconfitta e arrivata a un
passo da un disastroso scontro militare con i russi, ha fatto una inversione a
U sul piano delle alleanze, stringendo un accordo con la Federazione Russa e
abbandonando le formazioni jihadiste di cui fino ad allora era stato lo sponsor
più diretto. La catena di attentati terroristici che insanguina la Turchia più
di altri Paesi è dovuta proprio a tale giravolta. Inoltre, molto probabilmente
il tentativo di colpo di stato di luglio, subito abortito, fu una reazione,
forse ispirata dagli Usa, degli ufficiali turchi legati alla Nato a questo
brusco cambiamento di rotta. Secondo alti ufficiali Usa, oggi tutto il
personale militare turco che lavorava stabilmente con la Nato è stato
arrestato, con immaginabili conseguenze anche sul piano pratico nei rapporti
tra Nato e Forze Armate turche. Non bisogna dimenticare che la Turchia ha, dopo
gli Usa, l'esercito più potente della Nato e che copre il decisivo fianco
Sud-Est dell'Alleanza. Le scelte turche in termini di alleanze e le conseguenze
del fallito colpo di stato indeboliscono gli Usa, la Nato e il loro sistema di
alleanze nel Mediterraneo.
b) Il mutamento dei rapporti
di forza a livello internazionale. A uscire vincente, almeno fino ad ora, è la Russia.
Questa, per la prima volta dalla fine dell'Urss, riacquista un ruolo decisivo a
livello internazionale, riuscendo a mettere sotto scacco gli Usa e i loro
alleati europei e arabi. La Russia, invece di essere cacciata dal
Medio-Oriente, come era nella strategia della Clinton, si è insediata ancora
più saldamente nel Mediterraneo, incrinando la compattezza della Nato. Oltre a
conservare in Siria la base navale di Latakia e a acquisire in modo permanente
quella aerea di Hmeimin, la Russia si è assicurata mediante l'alleanza con la Turchia,
non solo il passaggio degli oleodotti dalla Russia verso l'Europa, ma anche il
passaggio della flotta della Crimea (decisivo il mantenimento del controllo
russo sulla penisola) attraverso il Bosforo. In questo modo si risolve uno dei
problemi strategici della Russia, la mancanza di un accesso ai mari caldi,
rendendo possibile mantenere operativa la propria flotta anche durante
l'inverno che blocca i porti nordici.
c) Il mutamento drastico della
linea politica estera e del gruppo dirigente statunitense. Il disastro prodotto
da Hillary Clinton come ministro degli esteri soprattutto in Medio-Oriente è
una delle cause della sua mancata elezione alla Casa Bianca. Allo stesso tempo,
la sconfitta statunitense in Siria e in Medio-Oriente ha contribuito alla
vittoria di Trump. Questi, ha basato la sua campagna elettorale, tra le altre
cose, sul cambiamento di rotta rispetto alla Russia. Ciò, in parte, rappresenta
la registrazione del mutamento dei rapporti di forza usciti dal campo di
battaglia, nella consapevolezza che solo con un accordo con la Russia si può
uscire dal ginepraio siriano. In parte, però, è la dimostrazione che, alla fin
fine, il vero avversario strategico degli Usa è la Cina, unico Paese in grado,
in prospettiva, di metterne in discussione l'egemonia mondiale. La Russia ha
dimostrato notevoli capacità militari. Inoltre, ha un arsenale nucleare pari a
quello degli Usa e possiede vastissime risorse in materie prime. Ma
demograficamente, e ancor più economicamente e industrialmente è tutt'altro che
un peso massimo, con un Pil nominale al di sotto di quello italiano e un Pil
pro-capite quattro/cinque volte inferiore. Evitare che si saldi un blocco
russo-cinese, è l'orientamento che, se Trump riuscirà a mantenere i propositi
dichiarati fino ad ora, ispirerà la prossima amministrazione statunitense. In
tal caso, la linea diplomatica statunitense con la Russia sarebbe una versione
rovesciata della strategia adottata nel 1972 dal presidente Nixon con la Cina
di Mao. All'epoca Nixon isolò l'Urss dalla Cina, oggi Trump cerca di fare il
contrario.
La strategia del presidente
Obama, premio Nobel per la pace, si lascia dietro una scia di distruzioni,
sangue e caos, come poche altre volte è accaduto nella storia degli ultimi due
secoli, quando gli imperialismi avevano come obiettivo quello di organizzare i
territori sottomessi. Il regime change obamiano-clintoniano non ha prodotto
alcun governo democratico-liberale, ma ha promosso l'ondata di piena del
jihadismo, con il suo corollario di lotte settarie tra sciiti e sunniti e
brutali massacri, e l'affermazione, nel migliore dei casi, di signori della
guerra o di regimi militari. Contrariamente a quanto sostengono alcune fonti,
tra cui siti come Open democracy, finanziato da Soros e dalla Fondazione Ford,
in Siria non abbiamo assistito a una lotta popolare contro un sanguinario
dittatore, secondo lo stereotipo applicato ai personaggi e ai regimi scomodi per
l'Occidente. Il carattere della guerra in Siria è passato rapidamente da guerra
civile a guerra di aggressione dall'esterno. Ciò è avvenuto perché i Paesi
occidentali e i loro alleati arabi hanno dato inizio alla lotta per rovesciare
il governo siriano, mediante milizie provenienti dall'esterno del Paese.
Nessuna meraviglia che il governo siriano, messo alle strette, abbia accettato
e sollecitato l'aiuto russo e degli altri Paesi del fronte sciita.
In ogni caso, sarebbe bene evitare,
da una parte, di subordinarsi a una logica di neutralismo, astrattamente al di
sopra delle parti, e, dall'altra parte, a una logica di schieramento acritico,
che tenga conto soltanto dei rapporti di forza militari. Il governo Assad ha
combattuto una guerra il cui carattere prevalente, anche se non esclusivo, è
quello di guerra di aggressione dall'esterno. La Federazione russa ha bloccato
l'aggressività dell'imperialismo occidentale, per la prima volta dalla fine
dell'Urss, e sconfitto Isis e jihadisti. Ma la Russia di oggi non è l'Urss.
L'evoluzione dei rapporti di produzione capitalistici in Russia non è
assimilabile a quella registrata negli Usa e che li spinge a un ruolo espansivo
e aggressivo. Rimane, però, il fatto che oggi la Russia è un Paese capitalista,
fondato su una classe di oligopolisti, che si muove in base ai suoi interessi
economici e geostrategici.
Il punto principale su cui
focalizzarsi è, quindi, un altro: la ricostruzione di una sinistra con un punto
di vista autonomo in Medio-Oriente. Qui, la sinistra è stata ridotta ai minimi
termini da tre fattori. Il primo è rappresentato dalla crisi agricola, dovuta
principalmente all'inserimento nel mercato capitalistico mondiale, e dal
processo di urbanizzazione troppo rapido e massiccio. Il secondo è l'abbandono
da parte dei regimi laici populistici di politiche socialisticheggianti per
aderire alle indicazioni neoliberiste del Fmi e dei Paesi capitalistici
avanzati. Fatto questo che li ha portati a tramutarsi spesso in regimi burocratico-autoritari.
Il terzo è l'emergere del radicalismo islamico che si è affermato sia per
l'appoggio dell'imperialismo occidentale e di alcuni regimi autoritari, sia per
la capacità, grazie ai fondi delle petromonarchie reazionarie arabe, di offrire
agli ex contadini inurbati un welfare che lo stato non era in grado di offrire.
I radicali islamici, in particolare quelli di orientamento jihadista, sono
stati l'arma usata per schiacciare la sinistra, indebolita dai suoi errori e
dalla crisi e poi dal crollo dell'Urss. Nello specifico la Siria è stata
travolta dalla imponente crescita demografica, dalla siccità, durata dal 2006
al 2011, dalla crisi agricola e dall'esodo massiccio dei contadini nelle città.
Inoltre, la Siria di Assad ha praticato la politica più aperta tra gli stati
dell'area verso chi era in fuga dalla guerra, accogliendo, oltre a mezzo
milione di palestinesi, circa 1,5 milioni di iracheni. In proporzione, è come
se in Francia ci fosse una guerra e sette-otto milioni di francesi si rifugiassero
in Italia, considerando, in aggiunta, che le condizioni economiche della Siria
non sono neanche lontanamente paragonabili a quelle di un Paese avanzato e
industrializzato come l'Italia. Possiamo dire che la guerra in Siria è stata
l'ultimo effetto del domino iniziato con l'invasione dell'Iraq nel 2003 da
parte degli Usa e proseguito negli anni successivi con il contributo degli
europei occidentali.
È evidente, quindi, che senza
la sconfitta militare del jihadismo e delle componenti del radicalismo islamico
fanaticamente avverse a qualsiasi accordo con le forze laiche non si può
parlare di ricostruzione di un movimento popolare o di rinascita della
sinistra. Inoltre, la sconfitta del jihadismo passa per la sconfitta dei suoi
sponsor internazionali più o meno diretti. La lotta, però, non può essere
svolta solamente sul piano militare, in quanto per le ragioni suddette, la
riuscita della battaglia contro il jihadismo e l'imperialismo richiede la
capacità di offrire soluzioni economiche, politiche e sociali accettabili alle
masse impoverite del Medio-Oriente alle prese con le conseguenze non solo dei
cambiamenti climatici, ma soprattutto con la globalizzazione capitalistica. A
questo proposito, è evidente che una tale lotta deve avere un appoggio all'interno
del centro del sistema capitalistico mondiale, che è determinante sui processi
economici e politici che hanno un impatto così devastante sul Medio-Oriente. Di
conseguenza, anche la sinistra europea occidentale è direttamente chiamata in
causa. Non si tratta, però, soltanto di offrire una solidarietà umanitaria o di
manifestare per la pace. La lotta per la pace e per la stabilizzazione del
Medio-Oriente passa soprattutto per la critica alla collusione degli stati
europei con le petromonarchie arabe, a una alleanza militare occidentale, la
Nato, che dopo la fine dell'Urss non ha più alcuna ragione di esistere, e,
infine, all'Europa capitalistica nel suo assetto attuale. Passa, quindi, per la
critica di quei processi di integrazione economica e valutaria che, accentuando
la contrazione della base produttiva e della domanda interna, spingono i Paesi
europei a espandersi all'estero e a controllare aggressivamente i mercati e le
fonti energetiche del Medio-Oriente.
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