di Shadi Shurafa,
prigioniero politico palestinese
Sionismo è guerra
11 ottobre 2018
Alla luce delle ingiuste sanzioni imposte al nostro popolo nella Striscia di Gaza, posso immaginare solo due scenari che l'Autorità di Ramallah desidera: l’insurrezione della Striscia di Gaza contro Hamas e l’esplosione generale contro l’occupante. In entrambi i casi intravedo solo un bagno di sangue che causerà migliaia di martiri tra il nostro popolo intrappolato nella Striscia.
Se la convinzione dell'Autorità di Ramallah si basa sul controllo di Gaza a qualsiasi costo, anche al costo di migliaia di martiri, allora saremmo dinanzi ad una politica criminale e ad una disgrazia per la dirigenza politica palestinese.
L'impressione generale che si avverte nello scenario palestinese mostra il bisogno urgente di imporre un unico programma politico al popolo, nonostante il suo costante quanto attuale fallimento e la sua inutilità, stante l’irrealistico potenziale, rispetto alla conquista dei legittimi diritti del nostro popolo. Il percorso costellato di assurdi negoziati e tregue ha portato solo disastri: i problemi della Cisgiordania e di al-Quds sono gli esempi più lampanti dei risultati ottenuti dal progetto sionista a scapito della causa nazionale palestinese.
A seguito della vergognosa separazione e della conquista del potere da parte di Hamas, l'occupazione sionista ha compiuto diverse aggressioni nella Striscia di Gaza, la più recente delle quali, avvenuta nel 2014, ha provocato il martirio di circa duemila persone ed il ferimento di altre migliaia, oltre alla spaventosa distruzione di abitazioni, edifici ed infrastrutture.
I mass-media sionisti hanno fatto trapelare che da Ramallah diverse organizzazioni politiche e loro esponenti "hanno benedetto" la guerra, sperando che continuasse sino al rovesciamento del governo di Hamas nella Striscia di Gaza. Quello che l’ANP da Ramallah non è riuscita a raggiungere attraverso il dialogo nazionale e bilaterale ma che desidera è "l'entrata in scena dei carrarmati israeliani", come alcuni hanno peraltro già affermato. Partendo dal presupposto che questa accusa non ha alcun riscontro nella realtà, la sua "attendibilità" è avallata nei fatti dalle sanzioni imposte alla Striscia di Gaza e dalle implacabili politiche di proseguimento dell'ingiusto stato di assedio imposto al nostro popolo.
Qui non si parla dell'Accordo del Secolo o di altre cospirazioni intraprese per decenni contro il nostro popolo. Ciò che sta accadendo è un approccio di emarginazione nel quale l’umanità è stata nascosta dietro vuoti slogan nazionali, specialmente perché esiste un partito che parla di unità nazionale in una mera prospettiva geografica, anziché rivolgersi alle forze nazionali palestinesi attive e basate sul pluralismo e su un programma di unità nazionale palestinese. Ciò promuoverebbe il nostro diritto di Resistenza contro l’occupazione, come garantito dalle norme e dalle convenzioni internazionali.
La logica di monopolizzare il consesso dirigenziale palestinese, l’unilaterale rappresentanza, l’accentramento del potere decisionale, il monopolio di un partito politico nella formulazione del programma palestinese, in linea con la sua esclusiva analisi, non porterà altro che rovina alla nostra causa nazionale. Così facendo di distrugge l'unità del popolo palestinese, minando alla base gli elementi indispensabili per la sua coesione.
Il disimpegno è la caratteristica fondamentale del sistema politico palestinese, come se la voce della potente dirigenza dell’Autorità dicesse: “Voglio riprendere il controllo della Striscia di Gaza per promuovervi una politica di emarginazione ed eclusione”. In sintonia con la visione dell’Occidente, cioè promuovere la riconciliazione nazionale per poi attuare l’emarginazione. È proprio la posizione delle potenze occidentali che fa sì che le organizzazioni politiche più rappresentative si oppongano alla logica della riconciliazione, la quale ricomprende tra l’altro lo smantellamento del movimento di Resistenza e la conseguente dipendenza da sterili illusioni di ricostruzione.
Non può neanche essere quello della Cisgiordania il modello da seguire, dove l’occupazione con i suoi coloni avanzano con serenità e facilità senza alcun reale deterrente mentre la controparte lavora per l’accondiscendenza della propria comunità. La Cisgiordania dove gli affari economici e politici sono la vera specialità del suo massimo dirigente e la libertà di opinione viene recintata dalle sue forze di sicurezza.
Il modello presentato da una dittatura è simile ai modelli dei partiti di governo totalitari nel mondo arabo: tali partiti, guidati da un’unica persona, monopolizzano le decisioni ed i loro dirigenti vivono in uno stato di profonda corruzione e rapina: coerentemente con la situazione palestinese, che conduce ad un naturale scenario di critica, malcontento ed alienazione. Tale è la situazione sociale e politica.
L’eventualità che le politiche avverse al nostro popolo nella Striscia di Gaza non inneschino lo scontro con Hamas, che ancora detiene il controllo della situazione, non significa che l'Autorità di Ramallah, che monopolizza la "legittimità", non rinuncerà a tale illusione. Le implicazioni di questa guerra civile indicano che Hamas non rinuncerà facilmente al proprio governo e che qualche migliaio di palestinesi moriranno nel tentativo di dimostrare la "legittimità" alla comunità internazionale. Onestamente, non vi è parola più ripugnante nel dizionario politico di “legittimità”: non per il lemma in sè, ma per l’interpretazione faziosa e soggettiva che qualcuno ne fa, dimenticando che non esiste legittimità se non per il popolo e la sua parte viva.
Quanto a coloro che cercano di ostacolare il progetto di riconciliazione e di imporre sanzioni, tentando contemporaneamente di destabilizzare la Striscia di Gaza esponendola alle forze di occupazione e mescolando le carte, trattando come irrilevante il suo isolamento internazionale ed il vigente stato di assedio, va detto che anche questa è una pietosa scommessa destinata al fallimento, perché non rappresenta la morte di migliaia di martiri. Si tratta della stessa parte politica che non crede nel movimento di Resistenza e nella sua capacità di fermare l'occupante: la Resistenza è stata cancellata dal suo dizionario politico, sostituita dalla politica totale dipendenza dalle elemosine, come accaduto pochi giorni fa all'Assemblea Generale dell’ONU.
Le sanzioni imposte alla Striscia di Gaza dimostrano, sulla base degli eventuali scenari succitati, la volontà di camminare sopra i corpi, come se le masse del nostro popolo fossero solo combustibile e legna da ardere per servire una certa classe/partito politico, che antepone i propri interessi a quelli universali del popolo palestinese.
Fino a che punto la potente dirigenza intenderà raggiungere i propri obiettivi? La sofferenza della vita delle persone è solo uno strumento, la repressione politica e la confisca delle libertà quotidiane da parte del coordinamento delle forze di sicurezza sono sacre e le organizzazioni della Resistenza diventano (ecco la loro “legittimità”...) semplici milizie, nel tentativo di equipararle ai terroristi... Così spariscono i concetti basilari che mostrano la sofferenza del nostro popolo, lo stato di assedio della Striscia di Gaza e le manifestazioni delle Marce del Ritorno, oltre ad offuscare il diritto al Ritorno e la lotta per il riconoscimento di un’entità statale. La manifestazione più ovvia del conflitto palestinese è l'utilizzo di un linguaggio ingannevole da parte degli artefici di accuse sempre pronte, in particolare rivolte alla compiacenza altrui con il cosiddetto Accordo del Secolo, come se il popolo palestinese potesse essere facilmente manipolato. I "dirigenti" possono essere in grado di circuire una parte della popolazione, ma non possono e non saranno mai in grado di raggiungere un consenso universale attraverso agitazioni di piazza o azioni persecutorie.
L’evoluzione dei fatti inerenti alla guerra sulla Striscia di Gaza sono pressanti; la storia condannerà coloro che per primi ne portano la responsabilità. Tali accadimenti non possono essere censurati, così come chiunque si preoccupi realmente degli interessi del suo popolo non impone sanzioni, non impedisce la riconciliazione e certamente non ostacola gli sforzi per combattere lo stato di assedio. E non ha la minima idea di cosa stia accadendo nella strada percorsa dai palestinesi.
Questo ci ricorda la regina Maria Antonietta durante la Rivoluzione Francese del XVIII° secolo: ella chiese ai suoi consiglieri “Qual è la causa delle sommosse dei poveri e dei contadini (allo scoppio della Rivoluzione)? Le fu risposto: non hanno pane da mangiare. Così, lei rispose: "Se non c’è pane, date loro brioches!". Tale affermazione non rappresentava un insulto o una presa in giro, ma la conferma dell'incapacità di Maria Antonietta di comprendere i problemi e la realtà del popolo. È questo anche il caso della nostra potente dirigenza palestinese, completamente alienata dal popolo e che dunque soffre uno stato di tensione, esclusione e perdita di fiducia. Una dirigenza ottenebrata dall'illusione della conquista, anche a spese di migliaia di martiri.
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