domenica 12 gennaio 2014

L'ECONOMIA DELLA PAURA di Paul Krugman



New York Times - 27 dicembre 2013

 
L'economia della paura
di Paul Krugman
Più di un milione di americani disoccupati stanno per ricevere il più crudele dei regali di Natale, il taglio dei loro sussidi di disoccupazione. Per i deputati repubblicani chi non ha trovato un lavoro dopo mesi di ricerche non ha cercato con abbastanza impegno. Perciò è necessario dargli l'incentivo in più della pura disperazione.

Il risultato è che la situazione dei disoccupati, già terribile, diventerà perfino peggiore. Chi ha un lavoro sta certo molto meglio. Tuttavia la persistente debolezza del mercato del lavoro fa pagare un prezzo anche a loro. Vediamo come.
Ci vorrebbero far credere che i rapporti di lavoro sono proprio come qualsiasi altra operazione di mercato: i lavoratori hanno qualcosa da vendere, i datori di lavoro hanno i mezzi per comprare, si tratta semplicemente di mettersi d'accordo. Ma chiunque ha mai avuto un lavoro nel mondo reale - o anche solo visto un cartone animato di Dilbert - sa bene che non è così.
Il fatto è che un rapporto di lavoro comporta generalmente un rapporto di potere: hai un capo che ti dice cosa fare, e se ti rifiuti puoi essere licenziato. Questo non è necessariamente negativo. Se il prodotto dei lavoratori fa guadagnare i datori di lavoro, questi non faranno richieste irragionevoli, ma non si tratta mai di una semplice transazione commerciale. Quando c'è di mezzo un rapporto di lavoro è possibile che si creino situazioni come quella descritta da quella canzone di musica country che dice "Take This Job and Shove It" (Prendi questo lavoro e ficcatelo in quel posto). Per una normale transazione commerciale un'analoga canzone che dica "Puoi tenerti la merce durevole che mi offri" non avrebbe senso.
Il rapporto di potere tra lavoratori e datori di lavoro, già sbilanciato a danno dei lavoratori, è oggi notevolmente peggiorato dall'alto tasso di disoccupazione. Una misura del peggioramento è data dalla percentuale di lavoratori che ogni mese lasciano volontariamente il posto di lavoro (invece di essere licenziati). Ovviamente ci sono molte ragioni per le quali un lavoratore può desiderare di lasciare il suo lavoro, ma a meno che un lavoratore non ne abbia già un altro che lo aspetta, farlo è rischioso, perché a priori non sa né quanto tempo ci vorrà per trovarne uno nuovo, né a quali condizioni, rispetto a quello vecchio, lo troverà.
E il rischio è molto maggiore quando la disoccupazione è alta e le persone in cerca di occupazione sono molte di più delle offerte disponibili. Perciò il tasso di abbandoni volontari dovrebbe salire durante i boom e calare quando l'economia ristagna, e questo è quello che accade. Gli abbandoni sono diminuiti durante la recessione del 2007-2009, e hanno recuperato solo parzialmente, riflettendo la debolezza e l'inadeguatezza della nostra ripresa economica.
Ora pensate a cosa significa questo per il potere contrattuale dei lavoratori. Quando l'economia è forte, sono i lavoratori ad avere il potere di scegliere. Possono lasciare il lavoro se non sono contenti di come sono trattati e sanno che possono trovare rapidamente un nuovo lavoro se vengono licenziati. Ma quando l'economia è debole i lavoratori sono in una posizione molto debole, e i datori di lavoro sono in grado di chiedergli di lavorare di più, o di essere pagati di meno, o tutte e due le cose.
C'è qualche prova che questo stia accadendo? E come starebbe accadendo? Come ho detto altre volte la ripresa economica è stata debole e insufficiente, e tutto il peso della debolezza è stato sopportato dai lavoratori. I profitti delle imprese sono affondati durante la crisi finanziaria, ma hanno rapidamente invertito la corsa, sono continuati a salire e a questo punto gli utili dopo le tasse sono del 60 per cento più alti di quanto non lo fossero nel 2007, prima dell'inizio della recessione. Non sappiamo quanta parte di questo aumento di profitti possa essere spiegata dal fattore paura - cioè dalla capacità di spremere i lavoratori che sanno di non avere nessun altro posto dove andare. Ma questo fattore deve essere almeno parte della spiegazione, ed è possibile (anche se non certo) che i profitti delle aziende crescano di più in un'economia un po' depressa di quanto non farebbero in regime di piena occupazione.
Tuttavia la cosa più importante è che non sarebbe poi una gran forzatura dire che il nostro sistema politico ha voltato le spalle ai disoccupati. No, non credo a un complotto di amministratori delegati per mantenere l'economia debole. Ma credo che una delle ragioni principali per cui la riduzione della disoccupazione non è una priorità politica è che l'economia può essere pessima per i lavoratori, ma l'America delle aziende sta andando bene.
Una volta capito questo si capisce anche perché è così importante cambiare le priorità.
Ultimamente c'è stato un dibattito un po' strano tra progressisti, qualcuno sosteneva che il populismo e le condanne della disuguaglianza sono un diversivo, che la priorità assoluta dovrebbe invece essere la piena occupazione. Tuttavia, come alcuni importanti economisti progressisti hanno sottolineato, la piena occupazione è di per sé un argomento populista: mercati del lavoro deboli fanno perdere terreno ai lavoratori, e lo strapotere delle aziende e dei ricchi è il motivo principale per cui non si fa nulla per aumentare i posti di lavoro.
Troppi americani vivono attualmente nella paura per le possibili conseguenze della crisi economica. Ci sono molte cose che possiamo fare per porre fine a tale stato di cose, ma la più importante è rimettere all'ordine del giorno il problema dell'occupazione.
(Traduzione di Gianni Mula)

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