lunedì 30 giugno 2014

Quale obiettivo dopo l'Iraq?


Quale obiettivo dopo l'Iraq?

Gli USA finanziano apertamente l'opposizione armata siriana e installano vasti eserciti intorno all'Iraq, ma la minaccia va verso un terzo obiettivo. [Thierry Meyssan]

Redazione
lunedì 30 giugno 2014 00:06


«Sotto i nostri occhi», cronaca di politica internazionale n°87

di Thierry Meyssan.

La richiesta della Casa Bianca di avere 500 milioni di dollari per sostenere «l'opposizione siriana moderata» - sebbene lo stesso presidente Obama l'abbia definita come «incapace di rovesciare il presidente Assad» - è stata presentata come un impegno tardivo di Washington in Siria. Ma per Thierry Meyssan, questo dispositivo non è centrato sulla Siria: gli Stati Uniti installano vasti eserciti intorno all'Iraq e minacciano un terzo obiettivo.


Mentre la ministra della presidenza siriana, Bouthaina Shaaban, si trovava a Mosca, è stata invitata dal ministero norvegese degli Esteri a partecipare a un forum internazionale. Assieme a oltre 170 funzionari siriani, la signora Shaaban figura sulla lista delle personalità soggette a sanzioni occidentali, in particolare soggette a divieti di viaggio.

Bouthaina Shaaban è andata direttamente a Oslo, senza ritornare a Damasco. Lì, ha incontrato il 18 e 19 giugno l'ex presidente americano Jimmy Carter, l'attuale numero 2 dell'ONU, il diplomatico USA Jeffrey Feltman, nonché il Capo di Stato Maggiore del presidente iraniano sceicco Hassan Rohani.

Perché dunque la Norvegia, uno Stato membro della NATO, ha preso questa iniziativa? Quali sono i messaggi che gli Stati Uniti desideravano trasmettere? Che cosa volevano negoziare con la Siria?

Nessuna delle due parti ha emesso comunicati su questi colloqui e il sito web del Forum di Oslo è disperatamente muto.


Il bilancio operativo statunitense all'estero

Pochi giorni dopo, il 25 giugno, il presidente Obama ha presentato al Congresso il suo budget 2015 per le operazioni diplomatiche e militari all'estero (Overseas Contingency Operations - OCO). Su 65,8 miliardi, 5 miliardi saranno destinati alla creazione del Fondo di partenariato anti-terrorismo (Counterterrorism Partnerships Fund - CTPF) che il presidente aveva annunciato nel suo discorso di West Point, lo scorso 28 maggio [1].

Secondo un comunicato della Casa Bianca, 4 miliardi saranno gestiti dal Pentagono, e il quinto dal Dipartimento di Stato.

- 3 miliardi saranno utilizzati sia per addestrare le forze antiterrorismo locali, sia per lottare contro le ideologie radicali, sia per combattere il finanziamento del terrorismo, sia per promuovere maniere "democratiche" di governare.

- 1,5 miliardi saranno utilizzati per prevenire l'estensione del conflitto siriano con i suoi vicini, tanto formando i servizi di sicurezza che chiudono le frontiere quanto aiutando i rifugiati.

- 0,5 miliardi saranno utilizzati per «addestrare ed equipaggiare gli elementi controllati dell'opposizione armata siriana per aiutare a difendere il popolo siriano, stabilizzare le aree sotto il controllo dell'opposizione, facilitare la fornitura di servizi essenziali, contrastare le minacce terroristiche, e promuovere le condizioni per una «soluzione negoziata».

- Infine, 0,5 miliardi saranno conservati per affrontare nuove situazioni di crisi.

Stando al comunicato della Casa Bianca, che cosa mai significherà«stabilizzare le aree sotto il controllo dell'opposizione»? Non può trattarsi di creare embrioni di Stato poiché queste aree sono troppo piccole e disgiunte. Probabilmente si tratta di creare zone di sicurezza per Israele. La prima lungo la frontiera israelo-siriana e la seconda presso il confine turco-siriano, in modo che in caso di conflitto Damasco possa essere presa a tenaglia. Queste aree dovrebbero essere assegnate a «elementi controllati dell'opposizione armata siriana», confermando l'idea che il sostegno di Washington ai Contras non mira più tanto a rovesciare lo Stato siriano, quanto unicamente a proteggere l'insediamento ebraico di Palestina.

Questa tattica deve essere confrontata con la dichiarazione del presidente Obama del 20 giugno a CBS This Morning: «Penso che questa idea che ci fosse una forza siriana moderata in grado di sconfiggere [il presidente siriano Bashar] Assad semplicemente non sia vera, e voi lo sapete, abbiamo passato molto tempo a cercare di lavorare con un'opposizione moderata in Siria (...) L'idea che fosse in grado di rovesciare improvvisamente non solo Assad, ma anche degli spietati jihadisti, altamente qualificati, a condizione che le inviassimo alcune armi è una fantasia e credo che sia molto importante per il popolo americano -. ma forse ancora più importante, per Washington e per la stampa - capirlo.»[2].



Washington rischia una condanna della Corte internazionale di giustizia

Se il Congresso l'approva, l'assistenza fornita dagli Stati Uniti agli jihadisti in Siria sarà trasferita da un programma segreto della CIA a un vasto programma pubblico del Pentagono.

Questo trasferimento viola alla base il diritto internazionale, che proibisce severamente di sostenere finanziariamente e addestrare militarmente gli oppositori in un paese terzo, tanto più se lo si fa per dividerlo in due Stati. Il semplice fatto di annunciarlo come obiettivo, anche se il Congresso dovesse respingerlo, costituisce una minaccia contro la Siria che viola il diritto internazionale. Non c'è dubbio che la Siria otterrebbe una condanna degli Stati Uniti se dovesse portare la denuncia davanti alla Corte internazionale di giustizia, vale a dire presso il tribunale interno delle Nazioni Unite. Nel 1984, il Nicaragua aveva depositato così una denuncia contro gli Stati Uniti per via del loro sostegno ufficiale ai Contras. Occorre contare da uno a due anni affinché la Corte emetta la sentenza.

Non dovremmo dunque sorprenderci del fatto che il timido segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, abbia pubblicato uno strano editoriale in cui pur dicendone di ogni colore contro la Siria, definisce nel giro di una sola frase come sia «irresponsabile da parte delle potenze straniere continuare a sostenere militarmente le parti che commettono atrocità e gravi violazioni dei diritti umani nonché delle norme fondamentali del diritto internazionale. Ho insistentemente esortato il Consiglio di sicurezza affinché imponga un embargo sulle armi.»[3]

Certo, Washington si è impegnata in questo campo solo dopo aver ottenuto da Bouthaina Shaaban che il suo paese non avrebbe sporto denuncia contro gli Stati Uniti. Ma in cambio di che cosa? Chiaramente, benché il discorso statunitense sia diretto contro la Siria, il suo vero obiettivo è oggi altrove - e non si tratta semplicemente dell'Iraq.


La ricerca della destabilizzazione dell'Iraq

Lo sfondamento dell'EIIL ("Daesh") continua in Iraq. Pur fingendo sorpresa e di voler sostenere l'integrità dell'Iraq, Washington sovrintende subdolamente agli jihadisti, con l'aiuto della Francia e dell'Arabia Saudita.

Essendo la favola del gruppo terroristico che conquista in due giorni un terzo di un grande paese un po' dura da far digerire, i media della NATO e del CCG assicurano ormai che la popolazione sunnita si sia unita all'EIIL. Nel trascurare il fatto che 1,2 milioni di profughi sunniti e cristiani siano in fuga dagli jihadisti, questa spiegazione maschera meglio la preparazione dell'invasione da parte di Washington.

Come previsto, gli Stati Uniti hanno confermato che non interverranno con le truppe di terra e minacciano gli Stati che venissero in aiuto del governo iracheno di Nouri al-Maliki. Così, quando quest'ultimo ha ringraziato la Siria di essere entrata in territorio iracheno per bombardare le colonne dell'EIIL, John Kerry ha aggrottato le sopracciglia: «Abbiamo messo in chiaro a tutti gli attori della regione che non abbiamo bisogno che si verifichi qualcosa in grado di esacerbare le tensioni settarie che sono già molto elevate»[4].

Nella sua grande mansuetudine, il presidente Obama ha concesso l'invio di 300 soldati, essenzialmente per proteggere gli edifici USA, lasciando il governo di Nouri al-Maliki solo ad affrontare il suo destino. Affranto, il primo ministro è in cerca di nuovi alleati. Piuttosto che aspettare invano gli F-16, ha appena acquistato bombardieri dalla Bielorussia e dalla Russia.

L'Iran ha inviato armi e consiglieri, ma non combattenti, per venire in aiuto dei soli sciiti. Chiaramente, c'è un accordo, almeno tacito, tra Washington e Teheran per smantellare l'Iraq. Avremmo voluto tanto sapere che cosa l'ambasciatore Jeffrey Feltman e il capo di gabinetto del presidente Hassan Rohani sono riusciti a dire alla ministra della presidenza siriana Bouthaina Shaaban.

Il massimo che si può dedurre è che l'Iran e la Siria abbiano condizionato la loro passività o i loro aiuti al piano USA al mantenimento di un corridoio di traffico tra i loro due paesi, attualmente tagliato dall'EIIL.

In ogni caso, il piano di rimodellamento del «Medio Oriente allargato» (Greater Middle East) ha un'inizio di concretizzazione in Iraq nonostante i tentativi falliti del 2003 e del 2007. In generale, si deve ammettere che lo smantellamento di uno Stato non si può fare in un giorno, ma richiede almeno un decennio di caos preliminare.

I turchi, che sono i primi a soffrire, hanno ricevuto Nechirvan Barzani ad Ankara. Il Primo Ministro del governo regionale del Kurdistan iracheno li ha rassicurati sul fatto che non avrebbe mai restituito Kirkuk al governo federale di Baghdad e che si muove verso l'indipendenza, garantendo nel contempo che non avrebbe tentato di sollevare i curdi della Turchia. Ankara dispone quindi di tempo davanti a sé, ancorché la logica degli eventi riemergerà inevitabilmente nei prossimi anni, causando l'esplosione della Turchia. Messo alle strette, il governo di Recep Tayyip Erdoğan ha chiuso la sua frontiera con la Siria, cessando di colpo il suo sostegno ai mercenari stranieri che alimenta in armi da tre anni e ai quali ha fornito una base in retrovia. Non solo teme che rapidamente i suoi curdi si sollevino, ma anche che il suo esercito approfitti della situazione per rovesciarlo.

Il riallineamento di ex ufficiali e soldati della Guardia presidenziale di Saddam Hussein con l'EIIL cambia tutto. Questi uomini intendono innanzitutto vendicarsi del loro accantonamento da parte del governo al-Maliki, di cui ritengono responsabili sia gli Stati Uniti, sia l'Iran che l'Arabia Saudita. Dopo aver ricoperto delle responsabilità, non hanno alcuna difficoltà a lavorare oggi per Washington, come pure fece a suo tempo il loro leader Saddam Hussein. Sanno che le ambizioni iraniane si fermereanno alle sole popolazioni sciite e pertanto indirizzano la loro vendetta contro l'Arabia Saudita.

Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ricevuto dal re Abdallah dell'Arabia Saudita a bordo del suo aereo.


L'obiettivo saudita

In questa prospettiva, Washington ritiene che sia giunto il momento di rimodellare il regno saudita, secondo il piano di Laurent Murawiec. Nel 2002, lo stratega francese aveva concluso la sua presentazione al Pentagono con queste tre espressioni: «L'Iraq è il perno tattico; l'Arabia Saudita è il perno strategico; l'Egitto sarà la ricompensa» [5]. In altre parole, i sauditi potranno essere rovesciati solo dopo l'Iraq, e chi causerà la loro caduta controllerà l'Egitto.

Consapevole del fatto di essere il prossimo obiettivo, la dinastia ha lasciato da parte i suoi litigi familiari per difendere i propri interessi comuni. Re Abdallah, che ha trascorso un lungo periodo di riposo in Marocco, è tornato a Riyadh. Per inciso, il suo aereo ha segnato una tappa al Cairo. Non potendo muoversi, il re ha ricevuto il generale al-Sisi nel suo aereo [6]. Gli ha confermato che gli Stati Uniti non sarebbero in grado di sfrattare la sua famiglia così presto. E per farsi ben capire, gli ha garantito che il regno controllava e tuttora controllerebbe l'EIIL. Ecco perché aveva deciso di richiamare al suo servizio il principe Bandar bin Sultan, che lo accompagnava a bordo dell'aereo.

A partire dal 2001 e la morte reale di Osama bin Laden, il principe Bandar è stato il capo del movimento jihadista internazionale. Poiché questo gran maestro della guerra segreta non è riuscito a rovesciare Bashar al-Assad e siccome ha litigato con gli Stati Uniti durante la crisi delle armi chimiche, è stato rimosso su richiesta di John Kerry. Il suo ritorno è la carta vincente dei Saud: Washington non può sperare di lanciare gli jihadisti alla conquista del regno finché lui ne sarà a capo.

Furioso, il Segretario di Stato John Kerry si è recato all'improvviso al Cairo per mettere in guardia il presidente Abdel Fattah al-Sisi, affinché non metta tutte le uova nello stesso paniere. Il regime militare egiziano è infatti diventato totalmente dipendente dalle donazioni saudite. John Kerry ha stanziato 572 milioni di dollari (un terzo dei soliti aiuti all'Egitto, bloccati dal colpo di Stato) e ha annunciato l'imminente consegna di 10 elicotteri Apache promessi da tanto tempo per stabilizzare il Golan (e quindi per garantire la sicurezza di Israele).

Proseguendo i suoi viaggi volti a preparare la destabilizzazione dell'Arabia Saudita, John Kerry il 25 giugno era al vertice NATO, a Bruxelles.Lì ha sottolineato che la situazione in Iraq doveva spingere a «considerare da un'angolazione strategica la raccolta dei dati d'intelligence, i preparativi, la risposta, i tempi di reazione, la natura della risposta», in altre parole, la «disponibilità operativa» che sarà all'ordine del giorno del vertice del Galles, il 4 e 5 settembre prossimi.

Il giorno successivo, il 26, il Segretario di Stato ha incontrato a Parigi i suoi omologhi di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Giordania. Secondo l'Associated Press, Washington spera che l'Arabia Saudita e la Giordania utilizzeranno le tribù beduine transfrontaliere per il trasporto di armi e denaro volti a sostenere i sunniti iracheni (leggi: sostenere l'EIIL) [7].

Continuando il suo viaggio, John Kerry è andato, il 27, in Arabia Saudita. Ha incontrato il presidente della Coalizione nazionale siriana Ahmad Jarba. Ha allora sottolineato che Jarba è un membro della tribù beduina degli Shammar (come il re Abdallah), che si disloca anche in Iraq e che l'«opposizione siriana moderata» poteva aiutare militarmente a stabilizzare l'Iraq [8].

Ci si chiede come delle persone che sono state "incapaci" di rovesciare la Siria, nonostante tutti gli aiuti loro apportati, potrebbero svolgere un ruolo militare in Iraq e perché mai Jarba, che intrattiene dei legami personali con l'EIIL, andrebbe a combatterlo.


La parata saudita

Appena prima di ricevere il segretario di Stato, il re Abdallah decideva di «adottare tutte le misure necessarie per proteggere le conquiste della nazione e del suo territorio, e la sicurezza e la stabilità del popolo saudita (...) nel caso in cui delle organizzazioni terroristiche o altre fossero suscettibili di compromettere la sicurezza del paese»[9]

Lungo la stessa linea, il re Abdallah ha deciso di affidare la gestione della questione irachena al principe Bandar bin Sultan, che aveva rimosso appena il 15 aprile su richiesta di John Kerry, sia a causa della sua incapacità di rovesciare il presidente Bashar Assad sia per la sua improvvisa animosità contro l'amministrazione Obama.

Riyadh è pronta ad aiutare Washington a smantellare l'Iraq, ma non lascerà che sconfini in Arabia.
Comprendendo il messaggio, il «Governo provvisorio» siriano - istituito dalla Coalizione Nazionale - ha deposto il generale Abdel Ilah al-Bashir e il suo intero stato maggiore. Non avendo più né truppe né ufficiali, la coalizione potrebbe dire con certezza che, al momento del ricevimento, i 500 milioni di dollari promessi andrebbero quasi direttamente all'EIIL.



NOTE:
[1] «Discours à l'académie militaire de West Point», di Barack Obama, Réseau Voltaire, 28 maggio 2014.
[3«Crisis in Syria: Civil War, Global Threat», di Ban Ki-Moon, Huffington Post, 25 giugno 2014. Versione francese: «Syrie: mettre fin à l'horrible guerre», Le Temps, 27 giugno 2014.
[4] "Kerry issues warning after Syria bombs Iraq", par Hamza Hendawi et Lara Jakes, Associated Press, 25 juin 2014.
[5] Il lettore scaricherà qui il testo dell'esposizione Powerpoint che mi aveva a quel tempo trasmesso un informatore statunitense. Purtroppo, ho perso le immagini. Taking Saudis out of Arabia, Laurent Murawiec, Defense Policy Board, 10 luglio 2002.
[6] "Saudi king makes landmark visit to Egypt", Al-Arabiya, 20 giugno 2014.
[7] "US, Sunni States Meet on Mideast Insurgent Crisis", di Lara Jakes, Associated Press, 26 giugno 2014.
[8] «Kerry, Syrian Coalition Leader During Their Meeting in Jeddah», Department of State, 27 giugno 2014.
[9] «Decreto della Corte reale: il servitore delle Due Sante Moschee ordina di prendere dtutte le misure necessarie per preservare la sicurezza del regno», Agenzia di stampa saudita, 26 giugno 2014.


Questa "cronaca settimanale di politica estera" appare simultaneamente in versione araba sul quotidiano"Al-Watan" (Siria), in versione tedesca sulla "Neue Reinische Zeitung", in lingua russa sulla "Komsomolskaja Pravda", in inglese su "Information Clearing House", in francese sul "Réseau Voltaire".
Thierry Meyssan, 29 giugno 2014.


Traduzione a cura di Matzu Yagi.

domenica 29 giugno 2014

IL MONDO E' STANCO DI ISRAELE E DELLE SUE FOLLIE


Il mondo è stanco di Israele e delle sue follie

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Rachel Fraenkel   all’ONUFoto di Screenshot


di Gideon Levy

Pubblicato il 26.06.14 03:50
 
Che mondo crudele: Tre studenti di una yeshiva sono stati rapiti  e il mondo non è interessato; tre madri gridano e il mondo non rispondeE ‘tutto perché il mondo intero è contro di noi; è anti-semita e odia Israele. L’Anti-Defamation League sta già preparando una relazione.
Le tre madri sono andate fino a Ginevra. Una di loro è andata all’estero per la prima volta in vita sua per andare al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite  Per ironia della sorte: circa due anni fa Israele ha sospeso ufficialmente la  cooperazione con tale consiglio; insieme alle Isole Marshall, Palau e agli Stati Uniti, ma  ora  nella sofferenza e nell’angoscia delle madri, si è rivolta al Consiglio  che è davvero ostile a Israele e passa più tempo su di esso rispetto a qualsiasi altro paese. Improvvisamente  Israele ha bisogno del mondo. Ha bisogno anche dell’ ONU, che tutto ad un tratto non è il corpo inutile  come il Primo Ministro David Ben-Gurion una volta lo definì .
Ci vuole una notevole faccia tosta nel pretendere che il mondo si interessi al destino di tre israeliani rapiti e una notevole faccia tosta nell’ essere deluso dal fatto che  ha taciutoCerto Israele  presso le Nazioni Unite ha tenuto un discorso commovente nel tentativo di racimolare qualche punto in più  nei confronti di Hamas, ma quel mondo bizzarro è più interessato alla campagna di punizione collettiva inflitta   a  migliaia di residenti della Cisgiordania dopo il rapimento,  è più interessato  al mezzo secolo di occupazione, è più turbato per la sorte di tre milioni di palestinesi che al destino di tre israeliani. Nelle ultime due settimane che ho trascorso in Svezia, non ho letto una sola menzione del rapimento nei media. Non uno.
Il mondo non ha motivo di essere più interessato alla sorte di Naftali Fraenkel, Eyal Yifrah e Gilad Shaar rispetto a  Mohammed Dudin, un ragazzo di 15 anni , ucciso dal fuoco  dei soldati israeliani a Dura Venerdì scorso .
Non ha motivo di essere particolarmente commosso dalle parole ossessionanti di Rachel Fraenkel che il suo Naftali è un bravo ragazzo, che ama suonare la chitarra e  ama il calcio, anche Mohammed era un bravo ragazzo che ha aiutato suo padre a costruire la casa durante le vacanze scolastiche e ha venduto dolci per contribuire a sostenere la sua famiglia. Rachel vuole abbracciare Naftali? Jihad, il padre in lutto di Mohammed , vorrebbe anche lui  abbracciare suo figlio. Per inciso nessuno lo ha portato a Ginevra. E’ rimasto solo con il suo lutto, presso la casa miserabile la cui costruzione non è ancora stato terminata e , forse, non lo sarà mai.
Il mondo è un disastro come si suol dire. In Iraq, Nigeria, Siria e persino in Ucraina, la situazione è molto più crudele. Eppure, la totale mancanza di interesse per gli israeliani rapiti non deriva da questo solo. E' impossibile pretendere la simpatia dal mondo quando Israele ignora le decisioni di tutto il mondo; è impossibile chiedere un’azione quando Israele  perpetua l’occupazione;  è impossibile chiedere solidarietà per la sorte delle vittime israeliane quando la stessa vittima Israele continua ad uccidere, ferire e arrestare innocenti
Ora Israele sta scoprendo che non è più al centro dell’attenzione come è sempre stata prima e che il destino delle sue vittime di rapimento non ferma il mondo , nemmeno negli Stati Uniti. Il mondo è stanco di Israele e delle sue follie.  Quando Israele era un paese più giusto, il mondo si identificava con le sue vittime, ma ora, quando il negazionismo israeliano sta raggiungendo nuove altezze e la sua oppressione sui palestinesi sta tornando a quella che è stata durante i peggiori periodi, il mondo ha cominciato a stancarsi  di tutto. Anche le ragazze nigeriane sequestrate interessano di più.

venerdì 27 giugno 2014

LA NUOVA MODALITA' DI INVASIONE IMPERIALE: IL TERRORISMO ISLAMICO

LA NUOVA MODALITA' DI INVASIONE IMPERIALE: IL TERRORISMO ISLAMICO



Si tratta di una nuova modalità strategica di invasione e conquista senza l'utilizzo delle tradizionali forze militari degli Stati Uniti e delle potenze NATO. Consiste nel lanciare operazioni con gruppi terroristici islamici, finanziati e addestrati dalla CIA per rovesciare i governi e appropriarsi di paesi con il pretesto di guerre settarie o religiose.

Di  Manuel Freytas 



I gruppi fondamentalisti che operano in Siria dal 2011, e che hanno appena fatto esplodere il controllo delle regioni in Iraq, fanno parte di una strategia volta a promuovere la divisione e lo scontro razziale e religioso tra fazioni  arabo-musulmane, delegando i compiti sporchi dell'occupazione militare a gruppi mercenari motivati ​​dal denaro, dal fondamentalismo religioso, o da entrambi contemporaneamente, che sostituiscono le forze militari imperiali convenzionali in operazioni di invasione e acquisizione di mercati e paesi.

Con questa strategia gli Stati Uniti e le potenze "alleate" acuiscono la divisione tra  le fazioni, suscitano tensioni interne in ogni stato e aprono uno spazio per la conquista militare senza l'utilizzo di truppe militari.



Inoltre, con la nuova metodologia tentano di nascondere la loro responsabilità nei massacri di massa che organizzano per l'acquisizione dei mercati e delle risorse strategiche, principalmente di petrolio e gas, in diverse aree di conflitto in Asia, Africa e Medio Oriente.


Dopo vari fallimenti di operazioni militari in Asia, Africa e Medio Oriente, Washington, il Pentagono e le potenze alleate della NATO, hanno imparato. Così hanno deciso di non pagare più il costo umano, politico e finanziario delle occupazioni militari eseguite a viso aperto dalle loro forze regolari. Iraq e Afghanistan hanno fatto traboccare il vaso.
Miliardi di dollari di costo per il Tesoro, decadimento dell '"immagine" dell'impero locomotiva, delegittimazione, interna ed esterna delle guerre militari di conquista, hanno insegnato astrateghi del Pentagono che è meglio fare la "guerra con altri mezzi" senza esporsi o pagare i costi finanziari e politici.


In Iraq, per esempio, il finto "ritiro" delle truppe statunitensi (che conservano le loro basi e postazioni in periferia), ha fatto spazio ad una guerra civile programmata (tra sunniti, sciiti e curdi) per finire di dividere e distruggendo la resistenza irachena.


Si tratta di un piano, elaborato durante la gestione di Bush jr., orientato a tirar fuori le forze statunitensi dalla prima linea di fuoco, controllare il paese dalle basi militari segrete, e lasciare che gli  iracheni si distruggano a vicenda per mezzo di una sanguinosa guerra di "tutti contro tutti".



Dopo aver fallito in Siria, ora la strategia è stata proiettata di nuovo in Iraq. Il destino progettato per l'Iraq con l'attuale operazione terroristica lanciata oggi è quello della "Somalizzazione petrolifera" come hanno fatto con la Libia dopo averla distrutta attraverso la NATO.



In breve, gruppi fondamentalisti islamici, controllati dalle forze speciali della CIA e del Pentagono, che giocano insieme controllando pezzi di petrolio iracheno, e i cui beneficiari diretti sono gli Stati Uniti, l'Unione Europea e le monarchie del Golfo alleate.
E' l'obiettivo che non è riuscito in Siria. Che i musulmani si uccidano a vicenda, sembra essere la parola d'ordine della nuova strategia per l'invasione imperiale che ha avuto il suo primo esperimento in Libia con la morte di Gheddafi e la fine del suo regime, e ora cercano di proiettarla in Siria e in Medio Oriente.  
Alba Kan 

mercoledì 11 giugno 2014

Lettera aperta a Sua Eccellenza, Sig. Wladimir Putin – Presidente della Federazione Russa




Lettera aperta a Sua Eccellenza, Sig. Wladimir Putin – Presidente della Federazione Russa

Lettera aperta a Sua Eccellenza, Sig. Wladimir Putin – Presidente della Federazione Russa
28 marzo 2014
Con il permesso dell’autore/ispiratore di questa lettera aperta, il Sig. Jochen Scholz, tenente colonnello a riposo, la lettera aperta indirizzata a Wladimir sarà pubblicata qui ed auspicabilmente su numerosi altri blog.
Lo scritto è stato inviato per posta elettronica e mediante corriere alla
Ambasciata della Federazione Russanella Repubblica Federale di Germania
Unter den Linden 63-65    10117 Berlino.
Allo stesso tempo questa lettera aperta è stata trasmessa ai membri del Parlamento tedesco ed anche alle agenzie di informazione citate in elenco.
Pertanto ogni lettore ha la possibilità di verificare autonomamente, quali mezzi di informazione riportino in merito all’iniziativa della lettera – e chi passi sotto silenzio questo fatto!
La lettera aperta è stata inoltre inserita in un clip di youtube, il che ne facilita sicuramente la conoscenza e l’ulteriore diffusione.
“Egregio Signor Presidente,
Nel Suo Discorso dinanzi alla Duma,Lei ha invocato la comprensione dei Tedeschi.
Noi siamo cittadini tedeschi, che in maggioranza hanno vissuto il periodo della guerra nella parte occidentale della Germania. Allorchè nel 1990 terminò la guerra fredda e il nostro Paese fu riunificato, un sospiro di sollievo si levò nel mondo, poiché sembrò bandito il rischio sempre presente di un confronto militare nucleare con gravi ripercussioni su scala mondiale. La Germania sarebbe stata annientata.
L’Unione Sovietica diede, attraverso ineguagliabili sacrifici, il contributo decisivo alla liberazione dell’Europa dal Nazionalsocialismo. Nondimeno, essa era pronta ad appoggiare la riunificazione tedesca nel 1990, e nel 1991 a liquidare il Patto di Varsavia e accettare l’entrata della Germania riunificata come membro della NATO. Questo merito non è stato riconosciuto dall’Occidente.
Jack Matlock , ambasciatore USA a Mosca in quel periodo (dal 1987 al 1991), ha confermato alcuni giorni fa sul Washington Post che il Presidente Bush si era impegnato a non approfittare della magnanimità del Presidente Gorbaciov. L’estensione della NATO fino alle ex repubbliche sovietiche, la costituzione di basi di appoggio militare negli Stati ex aderenti al Patto di Varsavia e l’installazione di uno scudo antimissilistico nell’Europa orientale con la contemporanea revoca dell’Anti-Ballistic Missile Treaty (accordo sulla limitazione dei sistemi di difesa antimissilistici) da parte degli USA non sono soltanto eclatanti rinnegamenti.
Queste misure possono essere anche da noi intese solo come proiezione di forza delle potenze guida occidentali, rivolte contro il consolidamento statale ed economico del Suo Paese, da Lei attuato fin dall’inizio del Suo mandato nel 2000. Inoltre, su “Foreign Affairs“ nel 2006, A. Lieber e Daryl G. Press hanno spiegato in modo convincente con il loro articolo “The Rise of U.S. Nuclear Primacy” ( Il sorgere del primato nucleare USA), che lo scudo antimissilistico dovrà permettere un primo attacco atomico per la neutralizzazione nucleare della Russia.
Questo antefatto, riassunto per sommi capi, costituisce il retroscena sul quale noi valutiamo gli avvenimenti in Ucraina a partire da novembre 2013. Nel frattempo è ampiamente documentato che gli USA, perseguendo i loro fini, hanno strumentalizzato le legittime proteste della popolazione ucraina. Il modello noto è fotocopiato da altri Paesi: Serbia, Georgia, Ucraina 2004, Egitto, Siria, Libia.
Anche i fattori di disturbo, rappresentati da Unione Europea e OSCE ( Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), sono stati prontamente esclusi, nell’arco di dodici ore e con l’ausilio di forze fasciste, dopo il cambio di potere "soft" concordato dai ministri degli esteri dei Paesi aderenti alla triangolazione di Weimar (ndt: Germania, Francia, Polonia). Chi ci sia dietro l’attuale regia del "colpo di stato" a Kiev, è dimostrato dai partner sul sito web della Open Ukraine Foundation del presidente dei ministri in carica.
Alle questioni interne e di diritto internazionale, relative alla secessione della Crimea, è stata data risposta differenziata. In questa sede non vogliamo valutare e inquadrare i processi sotto il profilo giuridico, bensì esclusivamente sotto quello politico. Nello scenario creatosi con l'evoluzione in Europa a partire dal 1990, la dislocazione su scala mondiale delle circa 1000 basi militari USA, il controllo esercitato dagli USA sugli stretti di mare e il pericolo costituito dalle violenze di Majdan ai danni della flotta russa del Mar Nero, vediamo la secessione della Crimea come una misura difensiva con una valenza contemporanea di monito: fino a quel punto, e non oltre! La differenza sostanziale rispetto alla dichiarazione di indipendenza del Kosovo è che le condizioni preliminari per quello scopo si sono create solo con la guerra aerea della NATO, contraria al diritto internazionale - purtroppo con la partecipazione della Germania.
Egregio Signor Presidente, già da quattro anni Lei si è reso promotore di una comunità economica estesa da Lisbona a Vladivostok. Essa sarebbe la base economica per la “Casa Comune Europea“. L'Ucraina potrebbe assumere una funzione di ponte ideale per la futura cooperazione dell’Unione Eurasiatica e dell’Unione Europea, da Lei auspicate, non ultimo dal punto di vista culturale. Noi siamo convinti, che la massiccia influenza esercitata dagli USA abbia avuto lo scopo di abbattere questa funzione di ponte. Nella Commissione Europea si sono affermati gli stessi poteri, che sostengono la politica statunitense contro la Russia. A tale riguardo, il discorso del Segretario Generale Esecutivo dell'EEAS (servizio diplomatico europeo), Pierre Vimont, il 14 marzo ultimo scorso è inequivocabile (EurActiv: “La UE ha evitato l'incontro USA-Russia sull'Ucraina“).
Egregio Signor Presidente, confidiamo che il Suo storico discorso del 2001 al Parlamento tedesco costituisca anche per il futuro la base delle Sue azioni nei confronti della UE e della Germania. Inchieste attuali evidenziano, che la maggioranza dei Tedeschi non vuole affatto lo scontro con la Federazione Russa e dimostra comprensione per la reazione russa circa gli avvenimenti in Ucraina. Non sottovalutiamo le difficoltà, cui è soggetta la politica tedesca quale membro della UE e della NATO in relazione ala Russia; esse sono note anche a Lei. Tuttavia ci aspettiamo almeno che il governo federale tedesco sulla base dell'antico principio giuridico romano applichi la norma di ascoltare anche la controparte. Nel caso dell'Ucraina, questo passaggio è stato tralasciato a fronte di un sistema europeo di alleanze politico-strategiche (European Neighbourhood Policy, ENP).
Da parte sua, la Russia non ha strumentalizzato politicamente ai danni della Germania i suoi 27 milioni di morti nel secondo conflitto mondiale, nemmeno ai tempi della guerra fredda. Questo atteggiamento ha determinato di per sè un salto di qualità nei rapporti fra i nostri Paesi. Le persone in Germania hanno un fiuto fine per queste cose. Quando nel 1994 il “gruppo delle truppe sovietiche di stanza in Germania“ si congedò dal nostro Paese con un'esibizione della sua banda musicale sulla piazza di fronte alla Bundeskunsthalle a Bonn, si svolsero scene nobili tra i numerosi spettatori e i musicisti. In quel contesto, fra i resoconti dell'epoca e i commenti dei mezzi di informazione tedeschi, ci colpì solo un aggettivo lapidario in inglese: disgusting (disgustoso).
Egregio Signor Presidente, con i nostri modesti mezzi nella veste di semplici cittadini contribuiremo a sventare la trama della divisione dell'Europa, facendo in modo che invece le idee di Gottfried Wilhelm Leibniz risorgano a nuova vita. Siamo convinti: solo quando gli Stati e i popoli del doppio continente eurasiatico regoleranno le loro questioni reciprocamente in modo pacifico, rispettoso e cooperativo, sulla base del diritto e senza ingerenze dall'esterno, questo (clima) si diffonderà anche al resto del mondo. In questo senso La comprendiamo da alleati.
Per il Suo attuale mandato e, auspicabilmente anche per il successivo, Le auguriamo forza, tenacia, talento e fortuna.
Distinti saluti ,
Jochen Scholz, tenente colonnello a riposo.
Più i firmatari….
A titolo informativo a:
- Ambasciata degli Stati Uniti d’America, kontakt@germany.usembassy.gov- Ambasciata del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord,ukingermany@fco.gov.ukinfo@britischebotschaft.de
Care Lettrici e cari Lettori,
“ Egregi,
Vi ringrazio codialmente per il grandissimo consenso. Nel quadro della storia tedesco/prussiano-russa non possiamo permettere che si scavi una fossa tra la Russia e il resto dedll'Europa. A tale proposito, sufficientemente rivelatore è il quadro sotto l'intestazione “The New Containment” in questo lavoro commissionato di George Friedman.
http://www.stratfor.com/weekly/estonia-azerbaijan-american-strategy-after-ukraine
Si riallaccia all'articolo (“Mr X”) di George F. Kennan su Foreign Affairs del 1947.
Poichè esiste anche una lettera critica rispetto al ruolo - attribuitomi - di ufficiale attivo (fino al 2000), vorrei chiarire anche questo. Io non potei commettere “errori da occupante” anche per motivi legali, in quanto per i soldati tedeschi vige la legge militare.
Inoltre, durante la guerra fredda vi era un'ampia identità di interessi tra gli USA e l'Europa occidentale, al riguardo non devo spiegare nulla di più preciso.
Tuttavia, questa non esisteva più fin dalla fine del conflitto sistematico. Ne tengo conto fin dalla guerra del Kosovo, come fa pure Willy Wimmer, e mi ricollego alle parole del Dr. Gauweiler nel suo discorso del mercoledì grasso a Passau:  “quando Russia e Germania hanno intrattenuto buoni rapporti, questo è stato sempre un bene anche per l'Europa.” Helmut Schmidt la vede allo stesso modo, rileggendo l'attuale edizione di ZEIT. In verità, le lettere dei lettori nei numeri editi on line dei grandi quotidiani tedeschi non sono rappresentative, ma corrispondono stranamente agli attuali sondaggi di opinione.
In questa sede vorrei ancora ricordare quanto sia difficile per il governo federale percepire gli obiettivi tedesco/europei in relazione alla Russia nell'ambito delle strutture Europa e NATO e consiglio di non prendere per oro colato qualunque affermazione ufficiale.
Anche l'orso talvolta ha bisogno di zucchero. Nessuno da noi può avere interesse a riattivare Rapallo e il “Sonderweg tedesco” come neopolitica. In altri luoghi certamente questo interesse è molto sentito.
Si attende solo questo. Cordiali saluti.
Jochen Scholz”

Da oconomicus.wordpress
Traduzione di Laura F. per civg.it