venerdì 25 settembre 2015

REPARTI RUSSI ENTRANO IN COMBATTIMENTO


Reparti russi partecipano alla battaglia di Aleppo al fianco dell’Esercito Siriano ed Hezbollah



25 set. 2015


All’alba di ieri fonti israeliane affermano che reparti russi dei fanti di Marina, della 810 Brigata, hanno attaccato le postazioni dell’ISIS nella base aerea di Kweiris, ad Est di Aleppo, assieme all’Esercito siriano ed agli Hezbollah per liberare la base e ripulirla della presenza dei miliziani takfiri.
Nella base attaccata dalle forze congiunte russe/siriane, secondo le informazioni di intelligence, sono presenti miliziani ceceni sotto il comando di Abu Omar al-Shishani, uno dei capi ceceni, jihadisti di lingua russa e provenienti dalla Georgia, che sono ricercati dalle autorità russe per i crimini commessi sul suolo russo, sospettati di aver preso parte ad attentati terroristici avvenuti nel Caucaso. Questo spiega perchè i russi lo hanno scelto come primo obiettivo: per regolare i conti oltre alla necessità di rompere l’accerchiamento dei miliziani dell’ISIS su Aleppo, la seconda città della Siria.

Queste notizie hanno immediatamente allarmato le autorità israeliane che seguono con molta attenzione gli avvenimenti in Siria e non si aspettavano un coinvolgimento così diretto ed immediato dei reparti russi nella guerra sul territorio siriano. In particolare spavanta gli israeliani il fatto che i reparti russi affianchino non solo l’Esercito siriano ma anche Hezbollah, la formazione sciita libanese che Israele considera una organizzazione “terroristica” perchè difende il Libano dalle aggressioni di Israele e dell’ISIS .
Alle autorità di Israele invece sembra del tutto normale apppoggiare i gruppi terroristi come il Fronte Al Nusra che combattono in Siria per rovesciare il governo di Al-Assad, sembra normale rifornirli, proteggerli con la propria aviazione, assisterli e ricoverarli nei propri ospedali. Ci sono “terroristi buoni” e “terroristi cattivi”, secondo l’entità sionista. Anzi sembra che le autorità israeliane siano particolarmente preoccupate per le loro “creature” e temono che i russi possano ucciderle o catturarle e pubblicare tutte le prove della collusione di Israele con le organizzazioni terroriste che operano in Siria.
Per questo alcuni giornali israeliani come Debka File, normalmente ben informati, iniziano a lanciare “strilli” metaforici e denunciare che “Putin ha tradito gli accordi con Netanyahu”, ci aveva assicurato che le truppe russe non sarebbero intervenute nei combattimenti, questo cambia la natura dell’intervento russo ed altre lamentele simili.
I commentatori israeliani notano che l’affiancamento dei russi all’Esercito siriano non avveniva dal 1974, anno della Guerra del Kippur, quando Israele riuscì ad occupare le ature del Golan siriano (da cui non si è mai ritirato) e da dove partono alcuni gruppi di miliziani jihadisti che godono della protezione dell’Esercito israeliano e svolgono incursioni sul territorio siriano. Sono gruppi assistiti e protetti da Israele tanto che Tel Aviv invia gli elicotteri a recuperare i miliziani feriti e li ricovera presso i suoi ospedali, cosa ormai nota.
Il fatto grave per Israele è che i russi si trovino al fianco di Hezbollah, nemico giurato di Israele in quanto difende il Libano dalle incursioni israeliane. Israele teme che molte delle nuovi armi sofisticate consegnate dai russi alla Siria possano finire nella disponibilità di Hezbollah rafforzandone le sue capacità militari. Questo perchè Hezbollah da molto tempo affianca l’Esercito siriano nelle operazioni contro i gruppi terroristi, ben consapevole che, se cadesse la Siria di Al -Assad, i terroristi jihadisti dilagherebbero anche nel Libano e massacrerebbero la popolazione sciita, drusa e cristiana che vive nel paese dei cedri. Tanto che in Hezbollah si sono arruolati anche molti cristiani ed è stata formata la prima Brigata cristiana di Hezbollah.
Il conflitto in Siria con l’arrivo dei russi è ormai ad una svolta : il baluardo del governo di Al-Assad contro il terrorismo jihadista si è rafforzato e i piani di USA ed ISraele per rovesciare il regime e disarticolare il paese arabo sono stati bloccati da Putin. Israele deve adesso “ingoiare il rospo” e cambiare i suoi piani.

Fonti: Debkafile  Al Ahed News
Traduzione e commenti: Luciano Lago

Presentata in Parlamento un'importante risoluzione 

sulla situazione in Siria

Syria blog photo

















Una significativa iniziativa parlamentare del Movimento 5 Stelle per la fine delle sanzioni alla Siria e una risoluzione pacifica del conflitto in corso, con l'avvio, anche da parte italiana, di colloqui costruttivi con il legittimo governo siriano. Auspichiamo che tutte le forze comuniste, di sinistra e democratiche facciano proprie queste proposte, in parlamento e con la mobilitazione nel paese.

Atto Camera

Risoluzione in commissione 7-00771
presentato da DI STEFANO Manlio
testo di Mercoledì 16 settembre 2015, seduta n. 483

La III Commissione, premesso che: 

la Siria dal 15 marzo 2011 vive una terribile guerra per procura alimentata da terroristi provenienti da 89 Paesi, dove, finora, sono morte più di 250.000 persone tra civili e militari;
vista la situazione di caos, sul territorio siriano si sono sviluppate, grazie anche al supporto logistico, finanziario e di armamenti, le organizzazioni terroristiche di Jhabbat al-Nusra, filiale di al-Qaeda in Siria e il sedicente Stato islamico dell'Iraq e del Levante, ISIS; 

è stato documentato da diversi media in Turchia, così come dal dipartimento di Stato degli USA, il coinvolgimento dei servizi segreti turchi nel passaggio dei terroristi in Siria;
l'Isis continua a ricevere i proventi dalla vendita di petrolio alla Turchia a un prezzo ridotto (come documentato da vari analisti e reporter di guerra) e dai reperti archeologici saccheggiati in Siria e Iraq e poi rivenduti sui mercati europei;
la Giordania favorisce il passaggio di terroristi sul suolo siriano, mentre Israele accoglie i terroristi feriti in Siria e, come documentato dai media israeliani, offre loro supporto logistico per tornare nei campi di battaglia siriani;
dal mese di aprile 2015, l'Isis e il Fronte al-Nusra hanno proseguito la loro avanzata in Iraq e Siria, occupando Ramadi (Iraq), Idlib e Palmyra (Siria); l'inviato dell'Onu in Siria, Staffan De Mistura, ha ribadito più volte che il presidente siriano Bashar al-Assad è parte della soluzione alla crisi siriana e che sarebbe necessario un maggior coordinamento con le forze armate siriane contro le organizzazioni terroristiche Isis e al-Nusra, avendo acquisito nel tempo importanti informazioni di intelligence;
la cosiddetta coalizione anti-Isis a guida americana non solo si è dimostrata inconcludente, ma, come nel caso dell'occupazione di Palmyra, ha mostrato addirittura un chiaro atteggiamento non interventista, quasi benevolo. Preoccupante, inoltre, è l'intenzione da parte della suddetta coalizione di considerare al-Nusra tra i cosiddetti «ribelli moderati»;
la cosiddetta coalizione nazionale siriana è divisa e lacerata da divisioni al suo interno tra continue liti e scandali per sottrazione di fondi; ha un riscontro minimo di popolarità sul suolo siriano e la sua formazione militare, il cosiddetto Free Syrian Army, è ormai parte integrante delle organizzazioni terroristiche presenti sul territorio siriano;
dal 2011, la Repubblica araba siriana è vittima dell'embargo economico e delle sanzioni dell'Unione europea, i cui effetti diventano devastanti solamente su una popolazione impossibilitata, ora, ad accedere a medicinali e beni di prima necessità. Nel mese di maggio 2015, inoltre, il Consiglio europeo ha esteso le sanzioni economiche contro la Siria per un anno ulteriore, quindi, fino al 1o giugno 2016;
la Repubblica araba siriana è una nazione laica che consente ai cristiani e alle altre minoranze religiose di professare liberamente la propria fede religiosa. A Damasco c’è una delle più antiche sinagoghe del Medio Oriente, colpita dai mortaio dai ribelli dell'Esercito libero siriano, considerati da molti Governi occidentali dei «moderati»; in Siria la donna non è costretta a portare alcun velo e ha pieni diritti civili e piene libertà. Le donne possono esercitare qualsiasi professione e non è preclusa la carriera politica o l'accesso alle istituzioni;
la Siria, dal giorno della Nakba, 15 maggio 1948, ha accolto milioni di rifugiati palestinesi ai quali sono stati concessi pieni diritti e la cittadinanza siriana. In seguito alla guerra in Iraq, nel 2003, e al susseguirsi del conflitto, il Governo siriano ha accolto più di 1 milione di profughi iracheni, riservando loro alloggi e lavoro secondo le loro competenze, senza alcuna discriminazione etnica, religiosa o sociale; nel 2006 durante il conflitto tra Hezbollah e Israele, 600.000 libanesi in fuga dai bombardamenti israeliani sono stati accolti in territorio siriano;
la Repubblica araba siriana non è isolata. È riconosciuta dall'ONU, dai Paesi cosiddetti BRICS, dai Paesi membri dell'Alleanza bolivariana per le Americhe (ALBA), dall'Iran, Algeria, Libano, Kuwait e altri Paesi che stanno rivedendo la loro posizione. Stati che, nel complesso, rappresentano la maggioranza della popolazione mondiale;
il Ministro degli esteri austriaco Sebastian Kurz ha dichiarato recentemente che l'Occidente dovrebbe collaborare con il presidente siriano Bashar al-Assad e i suoi alleati Iran e Russia per combattere il gruppo terroristico ISIS. Altresì il Ministro degli esteri spagnolo José Manuel Garcia-Margallo ha dichiarato da Teheran di ritenere necessario l'apertura di un negoziato con il presidente Assad per un cessate il fuoco,
impegna il Governo:
a riconoscere e ripristinare le relazioni diplomatiche con la Repubblica araba siriana;
a condannare gli atti di terrorismo compiuti ai danni della popolazione siriana;
a intervenire nelle sedi internazionali, quali ONU e Unione europea, affinché sia rispettata la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU n. 2170 che prevede misure per ostacolare ogni tipo di supporto, finanziamento e armamento ai terroristi dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (ISIS), al fronte terroristico «Jabhat al-Nusra» e al flusso di terroristi in Siria e in Iraq;
a dissociarsi e a contribuire in sede europea alla rimozione delle inique sanzioni economiche alla Repubblica araba siriana;
a intraprendere e a promuovere iniziative di dialogo con il Governo siriano come proposto da altri Paesi europei, come la Spagna e l'Austria.
(7-00771) «Manlio Di Stefano, Del Grosso, Di Battista, Grande, Scagliusi, Sibilia, Spadoni».
terrorismo risoluzione ONU risoluzione

Fonte: http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=82&pg=12724
- See more at: http://www.marx21.it/internazionale/pace-e-guerra/26039-presentata-in-parlamento-unimportante-risoluzione-sulla-situazione-in-siria.html#sthash.cwLFTjeF.dpuf

HIRSCH CONTRO CORBYN - di GILAD ATZMON


Hirsch contro Corbyn 
(19.9.15)

di   GILAD ATZMON

                                
                                              David Hirsch e Jeremy Corbyn













In una lettera aperta pubblicata nel Jewish Chronicle, il noto fanatico sionista David Hirsch fa sapere al leader dell’opposizione cosa dovrebbe fare se cerca la “fiducia degli elettori ebrei”. Come al solito, Hirsch ha prodotto un documento oscuro che rivela poco all’infuori del livello deludente del giudeo-centrismo sintomatico di Hirsh e di quelli del suo stampo.

Hirsh elenca i crimini di Corbyn: «Hai lavorato per Press TV, il canale di propaganda del regime iraniano e consiglia Russia Today, la versione di Putin. Appari in foto amichevoli con Hugo Chavez, con Hamas, con Gerry Adams (giorni dopo il bombardamento di Brighton) e con Hezbollah. Hai detto che la NATO è l’aggressore in Ucraina e che Daesh non è peggiore degli USA. Eri il presidente nazionale di “Stop the War” anche quando mostrava di appoggiare l’uccisione di soldati britannici. Hai celebrato l’anniversario della rivoluzione iraniana».

Eppure, nonostante questo quadretto, Corbyn ha vinto la leadership laburista con una schiacciante vittoria che ha lasciato parecchio indietro, isolati e umiliati, i blairiani e i Goyim del Sabato. Come è potuto succedere questo? Semplice, per la stragrande maggioranza dei laburisti, i “crimini” di Corbyn non erano un problema, ma anzi il contrario. I membri del partito laburista hanno fatto di Corbyn il loro leader perché sono d’accordo con la logica che sta alla base dei suoi argomenti e delle sue affiliazioni. Hanno scelto Corbyn come loro leader perché non erano soddisfatti della Lobby ebraica che va fuorviando la politica del loro paese.

Hirsch chiama in causa il fascismo come una faccenda di primaria importanza; ma ci si aspetterebbe che un accademico ebreo sappia cosa il fascismo è stato ed è. «Non si può iniziare una guerra con Daesh e Assad;ma deve essere chiaro che in linea di principio si sta accanto con quelli che combattono contro il fascismo e per la democrazia». Per questo accademico ebreo tanto Assad quanto Daesh sono “fascisti”. Suppongo che dentro l’universo solipsistico kosher il fascismo è alla base di tutto ciò che gli ebrei odiano. Ma la vera definizione di fascismo è un poco più sfumata. Il fascismo è una visione del mondo abbastanza chiara. È laico, nazionalista, socialista e guidato da un governo forte che è spesso autoritario. Daesh, o un qualsiasi altro sistema islamico di governo, non potrà mai essere fascista per definizione.

Il fatto che Hirsch non comprenda il fascismo è un poco sorprendente, ma vediamo cosa l’antisemitismo significhi per un accademico ebreo. C’è sempre stata una tentazione a immaginare gli ebrei come potenti, nell'atto di vendere per denaro gli oppressi agli sfruttatori. L’immagine degli ebrei come attivatori di ingiustizie, torcitori di parole e facitori di male scorre in profondità.

Io non vedo come Corbyn sia coinvolto con nessuna delle cose di cui sopra, e, da un punto di vista intellettuale, non posso capire perché è più “complottista” nel dire che gli ebrei sono “troppo potenti” piuttosto che nel pretendere che gli ebrei non siano affatto potenti. La questione se gli ebrei sono potenti può essere facilmente misurata con la statistica e la demografia. Tuttavia, se il potere ebraico è definito come il potere di impedirci di guardare nel potere ebraico, allora la “diffamazione antisemita” è il mezzo, lo strumento usato per attuare un simile potere.

«L'Antisemitismo» - Hirsch continua - «si mobilita intorno a un mito vile invece che intorno a una critica razionale». Resto di nuovo perplesso: è davvero “irrazionale” esaminare o criticare la politica e la cultura del gruppo di persone più potenti all’interno della nostra società? Era irrazionale la ricerca di Max Weber sul ruolo dei protestanti nel capitalismo? Sarebbe irrazionale l’esame delle radici culturali e ideologiche dell’aristocrazia britannica? Il sionismo era una promessa di rendere gli ebrei simili a tutti gli altri popoli. Come minimo, gli ebrei sionisti dovrebbero insistere affinché la cultura e la politica ebraica sia soggetta alla stessa critica ed alla stessa analisi come le altre culture.

Hirsch vuole che Corbyn dimostri di capire «la distinzione fra la critica di Israele e l’antisemitismo». Ma è una falsa distinzione. Il Jewish Chronicle, che ha pubblicato la lettera di Hirsch e aggregato forze contro Corbyn per due mesi, pretendeva di parlare in nome della “maggioranza degli ebrei inglesi”. Ma il Jewish Cronicle non è esattamente un giornale israeliano; esso è in realtà un giornale ebraico. L’organo che quindi pretende di rappresentare l’ebraismo britannico ed è stato assai critico verso Corbyn non è nemmeno un giornale israeliano; è un’istituzione ebraica britannica. La falsa distinzione di Hirsch ignora il fatto che Israele effettivamente definisce se stesso come Stato ebraico e sembra che la grande maggioranza delle istituzioni ebraiche supporta Israele e la sua esistenza come lo Stato solamente degli ebrei. La distinzione fra gli ebrei e il loro stato non è per nulla evidente. In effetti, la sola persona che può offrire uno strumento utile per affrontare l’argomento facendo uso di distinzioni nette fra ebrei, giudaismo ed ebraicità è il sottoscritto (Errante chi? Zambon editore).
La missiva di Hirsch sembra esprimere il desiderio che Corbyn diventi un sionista ebreo come Hirsch: «Tu dici che odi l’antisemitismo. Allora supporta quelli che lottano per la pace, non per Hamas e Hezbollah che combatte per la vittoria sugli ebrei piuttosto che per la pace con Israele”.

Corbyn ha vinto la leadership laburista nonostante la vile campagna ebraica contro di lui gestita dal Jewish Chronicle e dagli altri punti di vendita ebraici. Corbyn ha vinto la leadership laburista in parte perché vede degli amici in Hamas e Hezbollah.

Apparentemente, Hirsch vuole ripristinare il ruolo degli ebrei nel partito «Al momento, molti ebrei si sentono bloccati fuori del partito; tanto il partito laburista quanto il carnevale della gioia e dell’ottimismo. Il tuo nuovo Partito laburista non è sentito come un luogo sicuro per gli ebrei».

Suppongo che Hirsch possa essere corretto nella sua osservazione. Ma Corbyn non ha nulla a che fare con ciò. Il senso ebraico del rifiuto è chiaramente auto-inflitto ed è la conseguenza diretta della solita sindrome da stress pre-traumatico (Pre-TDS). I leaders della comunità ebraica britannica forse vogliono guardarsi nello specchio e ammettere che ancora una volta sono riusciti a mettersi nell’angolo.

Hirsch scrive a Corbyn “puoi portarti dietro molti di noi”, ma egli sa che questa è una menzogna. Corbyn non può portarsi nessuno dietro. La festa dell’odio ebraico contro Corbyn e il Partito laburista non si fermerà o attenuerà. Tuttavia, la vittoria di Corbyn non indica un netto declino del potere ebraico. La storia ebraica ci insegna che quando il potere ebraico declina, accade molto rapidamente e le conseguenze sono spesso tragiche. Speriamo che questa volta le cose saranno diverse, ma perchè questo accada gli ebrei devono imparare a rilfettere su se stessi. Invece di dire a Corbyn cosa fare per placare gli ebrei, Hirsch e i capi della comunità ebraica dovrebbero chiedersi perché l’opposizione agli ebrei va crescendo. Se i capi della comunità ebraica non riescono a trovare la risposta, io sarei lieto di dirigermi verso Golders Green (quartiere ebraico di Londra) e dar loro una breve lezione in cambio di un sacchetto di shekel.

(Traduziione di Antonio Caracciolo)

domenica 13 settembre 2015

La Nakba: una storia che continua



Alcune riflessioni problematiche prima di un convegno sulla
Shoah e sulla Nakba di lunedì [7settembre] all'Istituto Van Leer di Gerusalemme
 
di Amira Hass


Haaretz 6 settembre 2015


Quando cerco di indovinare cosa prova un palestinese quando lascia la sua
“riserva” e vede la bandiera israeliana sventolare su ogni collina e sui pali
dell'elettricità lungo le strade della Cisgiordania, io al posto della Stella di Davide ci
metto la svastica. E quando provo a capire l'odio che i palestinesi sentono nei
confronti di Israele a causa dell'ingiustizia a loro inflitta, io sostituisco “Israele” con
“Germania”. Sono queste le forme di odio e disgusto che conosco.
Ma calmatevi. Non sto tentando di paragonare la Nakba alla Shoah. Prima cosa
fondamentale: vi è una differenza tra l'espulsione di massa di un popolo con lo
scopo di conquistare politicamente, demograficamente ed economicamente un
territorio e il genocidio come un obiettivo tra una serie di altri, tra cui il dominio del
mondo. Un popolo che vive in esilio e sotto occupazione non è lo stesso di un
popolo il cui luogo di sepoltura rimane sconosciuto.
Secondo, il fattore tempo. È diversa la sofferenza che ha un limite temporale da
quella che è continuata per quasi 70 anni senza che vi sia un segnale che indichi
che la sua fine è vicina. L'Olocausto è durato meno di sei anni. Il regime di terrore
nazista è esistito per 12 anni. Il mondo ha unito le sue forze per fermarlo e il sistema
– l'industria del nazismo tedesco dello sterminio- è stato bloccato.
La sofferenza dei sopravissuti non è stata cancellata; noi, i loro figli, abbiamo
ereditato un senso di vuoto e di pena. Per il mondo ebraico che è stato cancellato
ed è estinto non vi può essere resurrezione o riabilitazione. Ma una parte degli ebrei
che sono sopravissuti ha avuto successo nel far germogliare rami floridi, per
esempio un esercito che ha uno Stato e l'AIPAC [la potente lobby americana filo
sionista ndt] che speculano sulla sofferenza e lo sterminio degli ebrei, per avere la
possibilità di agire contro i palestinesi.
Dopo quasi 70 anni dalla sua costituzione, il regime sionista israeliano non dà
tregua al popolo palestinese. Continua a distruggere, frammentare, reprimere,
umiliare, diseredare, ammazzare, impoverire, espellere o rendere la vita
insopportabile. La Nakba, al contrario della Shoah, continua. Con la collaborazione
dell'Alta Corte di Giustizia [israeliana] e nonostante gli sforzi degli attivisti israeliani
contrari all'occupazione e delle organizzazioni a sostegno dei diritti umani.
Si possono mettere a confronto i regimi, la loro natura e i loro obiettivi e poi
scoprire delle differenze enormi. L'obiettivo e la pratica del regime sionista
israeliano – malgrado “episodi” di massacri – non è l'estinzione del popolo
palestinese. ( Se il regime nazista fosse durato “anche solo” 30 anni, e non 70, nel
suo dominio in espansione, quanti ebrei sarebbero stai lasciati vivi?)
Ma nessuno ha il diritto di mettere a confronto le sofferenze di un popolo e degli
esseri umani, o di quantificarle, classificarle, calcolarle. Com'è possibile calcolare
70 anni di espulsioni e di occupazione senza un fine,o di quantificare la paura di un
peggioramento indeterminato sotto il dominio di un popolo ebraico israeliano che
continua a spostarsi a destra – per stabilire che questo non è così orribile come
l'Olocausto? E' impossibile tanto quanto classificare le sofferenze degli africani
durante secoli di schiavitù e definire che erano “meno orribili”della sofferenza degli
ebrei sotto i nazisti.
Non quantifichiamo. Non definiamo quanto vale la sofferenza.
La svastica ancora oggi provoca disgusto, ma la sua concretezza riguarda la
memoria del passato, non una qualunque minaccia attuale contro di noi . Al
confronto la stella di Davide è certamente un simbolo di contemporaneità e di realtà
della violenza israeliana contro i palestinesi, il simbolo del senso della superiorità
israeliana e della sua presenza sul terreno. Oggi, ora, domani.
L'odio nei confronti della Germania è fondato su vicende del suo passato e
sull'ideologia imperante in quel periodo, che hanno velocemente prodotto, in un
periodo breve e concentrato, enormi cambiamenti tellurici. La Germania di ieri è
“archiviata”, e oggi esiste in quanto tale come l'eco che continua a sentirsi per un
lungo tempo dopo che le rocce sono rotolate giù per il precipizio, o dopo che il
suono di un urlo è finito. E ugualmente vi è anche un eco riguardo all'odio. Ma
Israele in qualità di Paese dominante straniero e oppressore dei palestinesi non è
un eco e non è un capitolo del passato. Per loro siamo il male presente che
continua e che è impossibile non odiare.
Le nostre biografie individuali e collettive sono legate a questo triangolo perverso di
ebrei, Germania, palestinesi. Prima del nazismo la stragrande maggioranza degli
ebrei del mondo non aveva scelto il sionismo e la terra santa come una soluzione al
problema dell'antisemitismo e al resto delle loro sofferenze. Si accontentavano di
essere un popolo della diaspora.
Se non fosse stato per Hitler, c'è da dubitare che il sionismo avrebbe avuto
sufficienti forze e risorse per cambiare completamente la situazione demografica e
lo scenario, per espellere gli altri durante le guerre, per impadronirsi di territori.
Se i Paesi del mondo avessero accolto gli ebrei che avevano capito per tempo che
dovevano scappare dall'Europa, essi non avrebbero avuto il bisogno di cercare un
rifugio o un modello di Stato nazione in Palestina-Terra di Israele.
I palestinesi dicono e giustamente: “Perché dobbiamo pagare il prezzo [di colpe
altrui]”? Non  dovrebbero, proprio come le popolazioni native in America e in
Australia non avrebbero dovuto pagare il prezzo per la cupidigia di un capitalismo
europeo alla ricerca di spezie, mercati, spazi e territori aperti per le colonie penali.
È impossibile analizzare Israele esclusivamente come parte del colonialismo e
dell'imperialismo ignorando il pesante fattore storico del Terzo Reich, anche se di
breve durata, che si è impegnato a sterminare tutti gli ebrei, riuscendovi
parzialmente. Periodi di tremende ingiustizie e di espulsioni in tutto il mondo hanno
dato luogo a nuovi scenari. Persone in carne ed ossa che sono state espulse 70
anni orsono saranno in grado di tornare a casa loro. Ma troveranno lì un altro
popolo.
Siamo bloccati qui in questa unica terra, due popoli, con una Shoah che c' è stata e
una Nakba che esiste tuttora, e che noi israeliani continuiamo a spingere verso il
precipizio.

(Traduzione di Carlo Tagliacozzo)

lunedì 7 settembre 2015

L'INTERVISTA DI MORDECHAI VANUNU



Mordechai Vanunu in tv, il nucleare segreto di Israele in prima serata
 
 
Mordechai Vanunu © Canale2     

 
Il Manifesto, 06.09.2015
 
http://ilmanifesto.info/mordechai-vanunu-in-tv-il-nucleare-segreto-di-israele-in-prima-serata/
 
Bombe atomiche. Venerdì sera su "Canale 2" l'ex tecnico della centrale di Dimona, che nel 1986 rivelò al "Sunday Times" i segreti del nucleare israeliano, dopo 29 anni ha potuto di nuovo denunciare pubblicamente i pericoli legati alle armi di distruzione di massa in possesso del suo Paese. Perchè governo e servizi segreti lo hanno lasciato parlare?


di Michele Giorgio

È facile incon­trare casual­mente Mor­de­chai Vanunu per le strade di Geru­sa­lemme Est, la zona pale­sti­nese della città, dove l’ex tec­nico della cen­trale di Dimona vive da quando fu libe­rato nel 2004, dopo 18 anni tra­scorsi nella pri­gione di Shikma (11 dei quali in iso­la­mento totale), per aver rive­lato nel 1986 i segreti dell’atomica israe­liana al gior­nale bri­tan­nico Sun­day Times. L’ultima volta è stata il mese scorso, dalle parti di via Salah Edin. «Hello» (Vanunu dal 1986 si esprime solo in inglese, non usa più l’ebraico), qual­che bat­tuta veloce sulle cose che cerca di fare, sul suo desi­de­rio di abban­do­nare Israele, un sor­riso sobrio a com­mento del suo recente matri­mo­nio con una docente uni­ver­si­ta­ria nor­ve­gese, Kri­stin Joa­chim­sen, e un «good­bye». Tutto qui. In pub­blico si com­porta così con tutti. Vanunu — che per i ser­vizi segreti israe­liani resta deten­tore di impor­tanti segreti di stato, anche se vec­chi di 30 anni — non può par­lare ai cit­ta­dini stra­nieri, in par­ti­co­lare ai gior­na­li­sti. È una delle tante restri­zioni sta­bi­lite dai giu­dici al momento della scar­ce­ra­zione. Non può rife­rire par­ti­co­lari, anche agli israe­liani, del lavoro che svol­geva Dimona. Vio­lando que­ste dispo­si­zioni il tec­nico nucleare si espone all’arresto e alla deten­zione, anche per mesi. Gli stra­nieri invece all’espulsione imme­diata da Israele. Per que­sto motivo ha fatto scal­pore l’intervista con l’ex tec­nico nucleare di Dimona tra­smessa venerdì in prima serata dalla rete tele­vi­siva israe­liana Canale 2.
 

È stato un evento ecce­zio­nale. Nono­stante domande e rispo­ste non siano sem­pre andate sugli aspetti più inte­res­santi delle rive­la­zioni fatte 30 anni fa da Vanunu — le fina­lità della pro­du­zione di plu­to­nio per ordi­gni ato­mici nella cen­trale di Dimona -, l’uomo che gran parte del Paese con­si­dera un “tra­di­tore” ha potuto ugual­mente par­lare del pro­gramma ato­mico segreto israe­liano e con­dan­narlo. Israele non ha fir­mato il Trat­tato di non-proliferazione nucleare e non ha mai ammesso (e nean­che smen­tito) di pos­se­dere bombe ato­mi­che (tra 100 e 200 secondo esperti inter­na­zio­nali). Da decenni Israele man­tiene la cosid­detta «ambi­guità nucleare». L’interrogativo per­ciò è d’obbligo. Per­chè i ser­vizi segreti e il governo hanno dato il via libera all’intervista in un momento deli­cato, in cui il pre­mier Neta­nyahu è impe­gnato in uno scon­tro accesso con gli alleati ame­ri­cani per il via libera che è stato dato a Vienna al pro­gramma ato­mico dell’Iran? Il rac­conto di Vanunu a Canale 2 in appa­renza è con­tro­pro­du­cente per gli inte­ressi israe­liani. Forse Neta­nyahu, lasciando par­lare il “tra­di­tore”, ha voluto man­dare un mes­sag­gio all’esterno. Ad esem­pio avver­tire Teh­ran di non dimen­ti­care che Israele le bombe le pos­siede già e potrebbe usarle se neces­sa­rio. Ma le spie­ga­zioni pro­ba­bil­mente sono più di una.
Vanunu venerdì sera ha rac­con­tato il pro­cesso gra­duale che lo portò nei nove anni di lavoro a Dimona alla deci­sione, anzi «all’obbligo», come ama dire lui, di rive­lare «ai cit­ta­dini di Israele, del Medio Oriente e del mondo», la natura della «pol­ve­riera» di Dimona. «Ho visto quello che sta­vano pro­du­cendo e il suo signi­fi­cato», ha detto. Ha aggiunto di aver por­tato nella strut­tura una nor­male mac­china foto­gra­fica, «una Pen­tax», e di aver scat­tato segre­ta­mente 58 foto, nascon­den­dola poi nel suo zaino che gli uomini della sicu­rezza non con­trol­la­vano più per­chè la sua era una pre­senza abi­tuale. Ha negato di aver fatto le sue rive­la­zioni in cam­bio di un com­penso da parte del Sun­day Times e ha ripe­tuto più volte che il nucleare è un peri­colo, un’arma ter­ri­bile, per tutti, anche per Israele e non sol­tanto per i suoi nemici. Ha infine riba­dito di voler andare via, per ricon­giun­gersi a suo moglie.
Vanunu, 60 anni, mem­bro di una fami­glia reli­giosa orto­dossa, giunse dal Marocco quando era ancora bam­bino. Comin­ciò a for­marsi una coscienza poli­tica sol­tanto all’inizio degli anni Ottanta. In pre­ce­denza aveva svolto con dili­genza il suo lavoro nella cen­trale di Dimona, costruita uffi­cial­mente per la pro­du­zione di ener­gia elet­trica ma che il labu­ri­sta Shi­mon Peres con l’aiuto del padre della ato­mica fran­cese Fran­cis Per­rin, tra­sformò in un cen­tro segreto. Vanunu comin­ciò a riflet­tere su ciò che avve­niva a Dimona quando fu tra­sfe­rito nel Machon 2, un com­plesso di sei piani sot­ter­ra­nei della cen­trale ato­mica dove veni­vano pro­dotti annual­mente una qua­ran­tina di kg di plu­to­nio. Nel 1985 Vanunu venne costretto a dimet­tersi per «insta­bi­lità psi­chica». Con uno zaino pieno di infor­ma­zioni partì per l’Australia dove si mise in con­tatto con il Sun­day Times. Giunto a Lon­dra nell’agosto del 1986, si recò al gior­nale rife­rendo per due intere set­ti­mane i suoi segreti. Il diret­tore del gior­nale però esitò a pub­bli­care il rac­conto. Sospet­tava che Vanunu fosse un agente del Mos­sad che, per conto del suo governo, inten­deva far sapere ai paesi arabi che Israele è in pos­sesso di un arse­nale nucleare in grado di ince­ne­rire l’intero Medio Oriente. Il ser­vi­zio gior­na­li­stico verrà pub­bli­cato solo il 5 otto­bre, quando si seppe della scom­parsa dell’israeliano.
Vanunu cadde in una trap­pola pre­pa­rata alla fine dell’estate da una donna affa­sci­nante, Cindy, al secolo Che­ryl Ben Tov, un’agente del Mos­sad per la quale perse la testa. Il seque­stro non avvenne a Lon­dra (i bri­tan­nici non vol­lero) ma Roma (sem­pre dispo­ni­bile) dove Cindy lo attirò pro­po­nen­do­gli un wee­kend roman­tico, come Gre­gory Peck e Audrey Hep­burn. Invece appena arri­vato in Ita­lia, gli agenti del Mos­sad lo rapi­rono e lo por­ta­rono in un appar­ta­mento nella peri­fe­ria della capi­tale, poi lo tra­sfe­ri­rono a La Spe­zia e, imbar­can­dolo sul mer­can­tile israe­liano Tapuz, lo rispe­di­rono (in una cassa) in Israele. Vanunu si rivide in pub­blico il 7 otto­bre, solo per qual­che attimo, a Geru­sa­lemme, durante il pro­cesso per diret­tis­sima, quando con uno stra­ta­gemma — scri­vendo sul palmo della mano che mostrò ai foto­grafi fuori dall’aula — fece sapere di aver rag­giunto Roma il 30 set­tem­bre con il volo 504 della Bri­tish Air­ways e di essere stato rapito. L’altra sera ha ammesso di non aver capito, anche dopo il rapi­mento, che Cindy era stata la pro­ta­go­ni­sta del piano del Mos­sad e di averlo com­preso solo dopo parec­chi giorni men­tre navi­ga­vano verso il porto di Haifa.
L’Italia, come fa spesso quando agi­sce il Mos­sad, finse di non accor­gersi della vio­la­zione della sua sovra­nità ter­ri­to­riale e del rapi­mento a Roma. Le inda­gini avviate dal sosti­tuto pro­cu­ra­tore Dome­nico Sica non por­ta­rono a nulla, nes­suno aveva visto e sen­tito. Vanunu per anni ha chie­sto invano un inter­vento delle auto­rità ita­liane su Israele. Roma non ha mai rispo­sto ai suoi appelli.

domenica 6 settembre 2015

Un generale francese: ‘L’ISIS l’hanno creato gli USA’



Un generale francese:

‘L’ISIS l’hanno creato gli USA’

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Il generale Desportes rinuncia a parlare con ‘langue de bois’, e in Parlamento denuncia le responsabilità dirette di Washington nella creazione ed espansione dell’ISIS – da megachip.globalist.it

da Agence Info Libre.

Il 17 dicembre 2014 la commissione per gli Affari Esteri, per la Difesa e per le Forze Armate ha dibattuto in seduta pubblica la proroga dell’operazione “Chammal” in Iraq. Presieduta da Jean-Pierre Raffarin, la commissione ha sentito − durante la discussione – il generale di seconda sezione Henri Bentégeat [1], ex capo di stato maggiore delle forze armate, il generale di corpo d’armata Didier Castres, vicecapo operativo di stato maggiore, l’on. Hubert Védrine, ex ministro degli Esteri, il generale di divisione a riposo Vincent Desportes − professore associato presso la facoltà di Scienze Politiche di Parigi − e l’on. Jean-Yves Le Drian, ministro della Difesa.
Rivediamo in dettaglio l’intervento del generale Vincent Desportes. Iniziando il suo discorso con una breve presentazione dell’ISIS (Daech), nel mettere soprattutto in evidenza il vero pericolo di questo gruppo terroristico rispetto ai nostri interessi vitali, ha detto senza mezzi termini :
Chi è il dottor Frankenstein che ha creato questo mostro? Diciamolo chiaramente, perché ciò comporta delle conseguenze: sono gli Stati Uniti. Per interessi politici a breve termine, altri soggetti – alcuni dei quali appaiono come amici dell’Occidente − hanno contribuito, per compiacenza o per calcolata volontà, a questa creazione e al suo rafforzamento, ma le responsabilità principali sono degli Stati Uniti. Questo movimento, con la fortissima capacità di attrarre e diffondere violenza, è in espansione. È potente, anche se è caratterizzato da punti profondamente vulnerabili. È potente, ma sarà distrutto. Questo è certo. Non ha altro scopo che quello di scomparire.
Ecco chi ha il pregio di essere chiaro!
Mettendo in guardia i membri della commissione sulle implicazioni di una guerra in un contesto di ridimensionamento delle nostre forze, il generale Desportes ha aggiunto:
In bilancio, di qualsiasi esercito si tratti, ci siamo impegnati oltre situazioni operative standard, nel senso che ogni esercito sta usando le proprie risorse senza avere il tempo di rigenerarle. In termini reali abbiamo forze insufficienti: per compensare, a livello sia tattico che bellico, le facciamo girare a un elevatissimo ritmo di utilizzo. Vale a dire che, se continua questo sovraccarico di impiego, l’esercito francese si troverà nella situazione dell’usurato esercito britannico in Iraq e in Afghanistan, costretto da alcuni anni a interrompere gli interventi e rigenerare le proprie risorse “a casa”. Il notevole sforzo prodotto ora a favore degli interventi avrà ripercussioni forti e quantificabili sulle forze nel nostro Paese, in particolare in termini di prontezza operativa. Il senso di responsabilità impone di sfatare definitivamente il mito della guerra breve.
Dopo alcuni cenni sulle basi della strategia militare, il generale Desportes ha delineato una serie di cinque principi che dovranno guidare qualsiasi decisione di intervento .
Secondo il primo principio, ci si deve impegnare solo se si può controllare il livello strategico. Se questo precetto non è rispettato, è evidenziato il rischio di usare le proprie forze armate col discredito e la perdita d’immagine che ne conseguono.
È il caso della Francia in Afghanistan: ha fatto una “guerra americana” senza un controllo strategico d’insieme, senza controllo sullo svolgimento delle operazioni e senza controllo sulla direzione della coalizione.
Il secondo principio dice che si deve intervenire solo laddove ci sia “senso strategico”.
La Francia è grande nel mondo, in particolare per il suo posto nel Consiglio di sicurezza dell’ONU, ma poiché questo posto le viene contestato ogni giorno, deve difenderlo e legittimarlo ogni giorno. E può farlo solo attraverso la sua capacità di gestione utile dei focolai di tensione del mondo. Il che, tra l’altro, richiede assolutamente la necessità di rafforzare la nostra capacità di agire come “nazione guida” e di “entrare per primi”. Non ci sono dubbi: il nostro posto tra i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU e la nostra influenza nelle questioni mondiali si basano in primo luogo sulla nostra capacità di agire concretamente nelle situazioni di crisi (capacità e credibilità).
Terzo principio: occorre definire obiettivi raggiungibili. Prendendo l’esempio dell’Afghanistan, Desportes dice che «gli obiettivi hanno assai rapidamente deviato e superato i mezzi di cui disponeva la coalizione (soprattutto in termini di tempi e di capacità di controllo dello spazio terrestre)».
Quarto principio: intervenire solo quando l’azione considerata è compatibile con i mezzi a disposizione, immediatamente e nel lungo termine. Essendo uno dei primi ad avere criticato pubblicamente il Libro bianco sulla difesa del 2013, il generale Desportes ha dichiarato:
Il Libro bianco 2013 parla di «volume di forze sufficienti». In effetti, come è noto, l’operazione “Serval” è stata una scommessa estremamente rischiosa, a causa del basso volume di forze dispiegate combinato con la grande obsolescenza della maggior parte delle attrezzature impiegate. L’operazione “Sangaris” un azzardo finito male, poiché la scommessa fatta sulla “sorpresa iniziale” non è stata vinta. Poi la negazione della realtà unita alla nostra mancanza di risorse ha impedito l’adattamento della forza alla reale situazione sul campo e allo schieramento immediato dei cinquemila uomini che erano indispensabili.
Quinto principio: non fare il primo passo senza considerare l’ultimo.
Ciò significa che si devono valutare − senza condizionamenti ideologici, senza essere ciechi − le conseguenze di un intervento, soprattutto se non si intende arrivare fino in fondo.
Al termine del suo discorso, il generale Desportes ha continuato a mettere sull’avviso i membri della Commissione sul decadimento delle nostre forze armate.
L’evidente sottodimensionamento della spesa operativa produce significativi effetti negativi di cui deve essere consapevole chi decide. Anzitutto, apprendere dai media − senza una chiara smentita − che i corpi militari spendono ingiustificatamente il magro bilancio francese evidenzia il fallimento morale, dal momento che i nostri soldati combattono su tutti i fronti, per la Francia e ai suoi ordini, con risorse veramente troppo scarse. Inoltre c’è che siamo sempre sotto il livello della “massa critica”: questo sottodimensionamento del budget ha un impatto diretto sia sul successo delle operazioni sia sulla sicurezza dei nostri soldati, che finiscono per ritrovarsi messi in pericolo.
A proposito dell’operazione “Chammal”, il generale dichiara:
Giungo a Chammal dopo un paio di giri, lo ammetto, ma non si perde mai tempo a prendere un momento di distanza strategica, in un’epoca in cui la tendenza è proprio quella di ragionare in fretta, in termini di spese di cassa, su problemi che richiedono tempi lunghi e investimenti pesanti. Non mi trattengo sull’attuale sconcertante contraddizione tra, da un lato, il conflitto del mondo alle nostre porte, nel nostro est, nel nostro sud-est, nel nostro sud, la moltiplicazione dei nostri interventi e, dall’altro lato, il deterioramento rapido e profondo delle nostre capacità di bilancio con, a valle, quello delle nostre capacità militari. A destra e a sinistra lo sanno tutti; alcuni, troppo pochi, lo dicono. […] E allora? Atteniamoci al ben noto principio della guerra, il principio di concentrazione… o alla sua versione popolare: “chi troppo vuole nulla stringe”. Smettiamo di espanderci! Guardiamo in faccia la realtà.
Stato islamico. “ISIS delenda est”: certamente! Siamo profondamente solidali, ma non siamo in alcun modo responsabili. I nostri interessi esistono, ma sono indiretti. Da quelle parti le nostre capacità sono limitate e irrisorie, rispetto agli Stati Uniti, e la nostra influenza strategica è estremamente limitata.

Fonte: http://www.agenceinfolibre.fr/general-v-desportes-les-etats-unis-ont-cree-daech/.

Traduzione per Megachip a cura di Emilio Marco Piano.

 NOTA
[1] Il termine “di seconda sezione” significa che il generale ha lasciato il servizio attivo ed è passato a disposizione del ministro della Difesa, NdT.