domenica 19 giugno 2016

UNA RECENSIONE DI LAURA TUSSI E FILIPPO BIANCHETTI AL LIBRO DI ALAN HART








Recensione di Laura Tussi e Filippo Bianchetti


Sionismo: il vero nemico degli ebrei - Volume 1 Il falso messia
Libro di Alan Hart
Traduzione e Prefazione di Diego Siragusa

Edizioni Zambon



21 giugno 2016 


Il libro di Alan Hart dal titolo “Sionismo: il vero nemico degli ebrei - Il falso messia” è il primo volume di una imponente trilogia di cui pare che nessuno voglia scrivere recensioni perché denuncia scottanti verità che destabilizzano i vertici del potere costituito. Il motivo di dissapore e dissenso da parte di determinati ambienti politici trova una sintesi efficace nella citazione, sul retro del volume, delle parole di Rabbi Ahron Cohen: “Alan Hart, con il suo agghiacciante e scorrevole racconto, rivelatore degli intrighi e dello sviluppo politico del sionismo, ha dato un contributo estremamente prezioso”. Un “contributo prezioso” nella ricostruzione storica, attraverso le varie e approfondite fonti citate dal giornalista britannico, del progetto imperialistico della colonizzazione della Palestina, imposto dal ruolo delle lobby sioniste negli Stati Uniti e in Gran Bretagna.
Lo storico Diego Siragusa, a cui va il merito di aver tradotto il primo volume di Hart, evidenzia innanzitutto l'implicita inesattezza e la latente scorrettezza della definizione di una “sinistra sionista”, in quanto non è possibile una mentalità aperta, creativa, antidogmatica e soprattutto antitotalitaria e antiautoritaria definibile (e cosiddetta) “di sinistra” che sostenga un progetto fondato sulla pulizia etnica. Infatti Diego Siragusa, nella sua prefazione al testo di Hart, sottolinea che la politica delle destre in Israele non è la negazione del sionismo ma il suo conseguente inveramento, la sua più logica attuazione. Il suo giudizio coincide con quello di Ilan Pappe. Il libro contiene la verità nel suo stesso titolo: il sionismo è il vero nemico degli ebrei. Questa è la rivelazione fondamentale: “il sionismo è un cerchio entro cui racchiudere gli ebrei di tutto il mondo, nucleo di una fortezza in cui esaltare e mantenere pura un'identità”.
Il giornalista britannico Alan Hart mostra come fin dalla nascita del movimento colonialista ebraico, il cui principale fautore e artefice fu Theodor Herzl, i sionisti non si sono fatti scrupoli nel collaborare con gli antisemiti più radicali, compresi i criminali nazisti. Secondo Herzl, nella congiuntura mondiale presente e anche nell'immediato futuro, la forza viene prima del diritto, per cui il bene e il male non esistono, nell'assenza di un'etica universale, ma si impongono solo il potere e il diritto della forza e la storia diventa la supremazia del più forte che impone una propria moralità suprema. Da questa convinzione scaturisce la prassi sionista caratterizzata da razzismo, suprematismo e giustificazione illimitata della violenza contro i “gentili”, ovvero i non ebrei.
L'imponente ricerca storica di Alan Hart mostra, in primo piano, le testimonianze di eminenti pensatori ebrei antisionisti, contrari alle politiche governative di Israele e strenui demistificatori della propaganda sionista, per i quali è stata coniata una definizione che ha ormai assunto una connotazione tragicomica: “ebrei che odiano se stessi”. Questa è stata la sorte oggi riservata al drammaturgo Moni Ovadia e, negli Stati Uniti, allo studioso Norman Finkelstein, licenziato dall’università presso cui insegnava, come anche alla filosofa Hanna Arendt negli anni '60.
La sempre maggior presenza dei sionisti in Palestina, spiega Alan Hart, fu facilitata dal colonialismo britannico, dalla collaborazione con i nazisti delle correnti ebraiche più fondamentaliste, integraliste, nazionaliste, dell'estrema destra ebraica, ma anche dalla grande crescita del potere della lobby sionista negli Stati Uniti.
L'imperialismo statunitense e le lobby sioniste sembrano proprio essere in stretto contatto ed è questo l'argomento fondamentale che il libro di Hart ha il merito di indagare e a cui tutta la società civile deve una risposta con coraggio e onestà.
Infatti, il sionismo, come spiega Hart in tutta la sua opera, non è solo un problema per i Palestinesi, ma mina gli assetti dell'equilibrio della pace in tutto il mondo.
Come sostiene lo storico israeliano Ilan Pappe, autore del celebre libro “La pulizia etnica della Palestina”, in questa opera davvero straordinaria, Alan Hart è riuscito a chiarire i pericoli connessi al sostegno occidentale incondizionato nei confronti del sionismo e delle sue politiche oppressive contro i palestinesi. L'Autore fornisce al pubblico un'esposizione agghiacciante di come questa connivenza si è sviluppata e continua a mettere in pericolo la stessa esistenza ebraica e di come essa continui a alimentare l'odio antisemita che rifiuta di scomparire. Alan Hart ha scritto non solo un forte atto d'accusa contro il sionismo e contro le politiche del governo di Israele, basato su una profonda ricerca e vissuta esperienza personale, ma ha anche fornito alla società civile una garanzia per un futuro migliore di pace, giustizia e solidarietà tra popoli, motivato da una sincera e genuina preoccupazione per gli equilibri e gli assetti di pace in Palestina e Israele. Hart è fiero di essere un pensatore indipendente e di non essere mai stato membro di nessun partito e gruppo politico.
Ormai sono molti i testi in cui si sostengono analoghe  tesi, diversi dei quali scritti da autori ebrei israeliani, e che a questo ben corrisponde  una vistosa crescita del risentimento di vasti strati dell’opinione pubblica europea verso le politiche di tutti i governi israeliani,  di “sinistra” o di destra, anche “estrema”, verso i palestinesi; questo fa sì che la consueta accusa di “antisemitismo”, brandita come una clava dai sionisti di tutto il mondo verso gli eredi europei degli sterminatori nazi-fascisti di ebrei, si manifesti sempre più per quello che è: un volgare sfruttamento di quella gravissima colpa per poter continuare (da quasi 70 anni!) con la violenta oppressione coloniale e razzista di un popolo incolpevole. Un’altra immane tragedia che da tanti anni si sta svolgendo sotto i nostri occhi, e quindi con la nostra sostanziale complicità, la cui soluzione è sempre più indispensabile per poter iniziare percorsi reali di pace sia nella cruciale regione medio-orientale che, a catena, in molte altre parti del mondo. Ma ormai è troppo tardi? Il giudizio storico sui nostri tempi sarà di condanna, senza appello?Forse parole di verità come quelle di questi autori coraggiosi  ci permettono ancora di sperare.

Note:Sul Sito di Diego Siragusa:
http://diegosiragusa.blogspot.it/2016/06/una-recensione-di-laura-tussi-al-libro.html
Su ILDialogo.org:
http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/cultura/Recensioni_1466618978.htm

mercoledì 8 giugno 2016

Il piano Yinon e il progetto per il "Grande Israele" nel Medio Oriente






Il piano Yinon e il progetto per il 

"Grande Israele" nel Medio Oriente

Di Michel Chossudovsky

Il seguente documento costituisce la pietra angolare della formazione della Grande Israele, di pertinenza di potenti fazioni sioniste all'interno dell'attuale governo Netanyahu, il Likud, e all'interno dei militari israeliani e delle istituzioni di intelligence.
Secondo il padre fondatore del sionismo Theodor Herzl, L'area dello Stato ebraico si estende dal fiume d'Egitto al fiume Eufrate.

Secondo Rabbi Fischmann, la terra promessa si estende dal fiume Nilo fino all'Eufrate, e comprende parti di Siria e Libano.
Se visti nel contesto attuale, la guerra in Iraq, la guerra del 2006 in Libano, l’intervento del 2011 in Libia, la guerra in corso in Siria, per non parlare del processo di cambiamento dei regimi in Egitto, devono essere intesi in relazione al Piano Sionista per il Medio Oriente. Quest'ultimo consiste nell’indebolimento e nella fratturazione degli stati arabi confinanti, come parte di un progetto espansionista israeliano.
Il Grande Israele consiste in un'area che si estende dalla Valle del Nilo a quella dell’Eufrate. Il progetto sionista appoggia il movimento ebraico dei coloni. Più in generale si tratta di una politica che tende ad escludere i palestinesi dalla Palestina portando alla eventuale annessione sia della Cisgiordania che di Gaza, allo Stato di Israele.
Il Grande Israele dovrebbe creare un certo numero di stati membri per procura. Esso include parti del Libano, la Giordania, la Siria, il Sinai, così come parti dell’Iraq e dell’Arabia Saudita. (Vedi mappa).
Secondo Mahdi Darius Nazemroaya in un articolo su Global Research del 2011, il Piano Yinon è una continuazione del progetto coloniale della Gran Bretagna in Medio Oriente. Il Piano Yinon è un piano strategico di Israele per garantirsi la superiorità regionale. Stabilisce che Israele deve riconfigurare il suo ambiente geo-politico attraverso la balcanizzazione degli stati arabi circostanti in stati più piccoli e più deboli.
Gli strateghi israeliani consideravano l'Iraq come la più grande sfida strategica da parte di uno stato arabo. È per questo che l'Iraq è stato delineato come il fulcro per la balcanizzazione del Medio Oriente e del mondo arabo. Sulla base dei concetti del Piano Yinon, gli strateghi israeliani hanno chiesto la divisione dell'Iraq in uno stato curdo e due stati arabi, uno per i musulmani sciiti e l'altro per i musulmani sunniti. Il primo passo verso la creazione di queste nuove entità era la guerra tra Iraq e Iran, che il Piano Yinon affronte e discute.
The Atlantic, nel 2008, e Armed Forces Journal, giornale delle forze armate degli Stati Uniti, nel 2006, entrambi hanno pubblicato mappe ampiamente diffuse che seguivano da vicino lo schema del Piano Yinon. A parte un Iraq diviso, che richiede anche il Piano Biden, il Piano Yinon prevede la divisione del Libano, dell'Egitto e della Siria. La suddivisione di Iran, Turchia, Somalia e Pakistan, tutti rientrano in linea con queste visioni. Il Piano Yinon include anche la dissoluzione del Nord Africa e prevede di iniziare con la destabilizzazione dell'Egitto, la creazione di divisioni tra fazioni all'interno dell’Egitto come orchestrato dalla primavera araba, che porterà alla formazione di uno Stato basato sull’identità settaria e dominato dai Fratelli Musulmani. Per poi contaminare il Sudan, la Libia, e il resto della regione.

Il Grande Israele richiede la rottura degli Stati arabi esistenti in piccoli stati.
Il piano opera su due premesse fondamentali. Per sopravvivere, Israele deve 1) diventare una potenza regionale imperiale, e 2) deve effettuare la divisione di tutta l'area in piccoli stati con la dissoluzione di tutti gli stati arabi esistenti. La loro dimensione reale dipenderà dalla composizione etnica o settaria di ogni stato. Di conseguenza, la speranza sionista è che gli stati settari diventino satelliti di Israele e, ironia della sorte, anche la sua fonte di legittimazione morale ... Questa non è un'idea nuova, né emerge per la prima volta come pensiero strategico sionista. Infatti, frammentando tutti gli stati arabi in unità più piccole è stato un tema ricorrente.
Visto in questo contesto, la guerra in Siria è parte del processo di espansione territoriale israeliana. Intelligence israeliana lavora al fianco di Stati Uniti, Turchia e della NATO, inoltre è direttamente solidale con i mercenari terroristi di Al Qaeda all'interno della Siria.


FONTE:http://www.globalresearch.ca/greater-israel-the-zionist-plan-for-the-middle-east/5324815

Traduzioni in italiano:http://sadefenza.blogspot.it/2013/08/grande-israele-il-piano-sionista-per-il.html

mercoledì 1 giugno 2016

Escalation Usa contro la Cina




Escalation Usa contro la Cina

di Manlio Dinucci

«La rivoluzione scientifica che ha portato alla scissione dell’atomo richiede anche una rivoluzione morale»: con questa storica frase (coniata dagli speech-writer presidenziali) è culminata la visita di Obama in Asia, dove da Hiroshima ha proclamato la volontà di «tracciare una via che conduca alla distruzione degli arsenali nucleari». 

Lo sconfessa la Federazione degli scienziati americani, dimostrando che l’amministrazione Obama ha ridotto meno delle precedenti  il numero di testate nucleari.  Gli Usa hanno oggi 4500 testate strategiche, di cui 1750 pronte al lancio, più 180 «tattiche» pronte al lancio in Europa, più 2500 ritirate ma non smantellate. Comprese quelle francesi e britanniche, la Nato dispone di 5015 testate nucleari, di cui 2330 pronte al lancio. Più della Russia (4490, di cui 1790 pronte al lancio) e della Cina (300, nessuna pronta al lancio). 

L’amministrazione Obama – documenta il New York Times (21 settembre 2014) – ha varato un piano da 1000 miliardi di dollari che prevede la costruzione di altri 400 missili balistici intercontinentali, 12 sottomarini e 100 bombardieri strategici da attacco nucleare. Per la «modernizzazione» delle testate nucleari, comprese quelle schierate in Italia, è in fase di espansione negli Usa un complesso nazionale composto da otto maggiori impianti e laboratori con oltre 40mila addetti. 

Rilanciata la corsa agli armamenti nucleari, Obama ha proclamato a Hiroshima la volontà di eliminare non solo le armi nucleari, ma la guerra stessa: ricordando che «la gente comune non vuole più guerre», ha sottolineato che «dobbiamo cambiare la nostra stessa mentalità sulla guerra, per prevenire i conflitti con la diplomazia». In quello stesso momento, a Washington, il Pentagono accusava la Cina di schierare sistemi di difesa nel Mar Cinese Meridionale per «controllare questo mare e limitare la nostra capacità di muoverci nella regione Asia/Pacifico». 

Regione nella quale gli Usa stanno accrescendo la loro presenza militare, in base a un piano che prevede di schierare, a ridosso di Cina e Russia, anche navi e basi Aegis analoghe a quelle schierate in Europa, dotate di sistemi di lancio adatti sia a missili intercettori che a missili da attacco nucleare. 

Mentre unità lanciamissili Usa incrociano nel Mar Cinese Meridionale, la U.S. Navy prepara nel Pacifico la Rimpac 2016, la più grande esercitazione navale del mondo. Le Filippine hanno già messo a disposizione degli Usa 5 basi militari e l’Australia, dove già sono dislocati i marines, si prepara ad ospitare bombardieri strategici Usa da attacco nucleare. 

Sulla posizione di Washington l’intero G7 (Usa, Canada, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna e Italia) che, riunito in Giappone, ha richiesto «libertà di navigazione e sorvolo» del Mar Cinese Meridionale e Orientale, confermando allo stesso tempo le sanzioni alla Russia per l’«aggressione» all’Ucraina (mentre la Ue conferma quelle alla Siria). 

La strategia Usa/Nato in Europa contro la Russia si salda a quella attuata dagli Usa contro la Cina e la Russia nella regione Asia/Pacifico, in alleanza col Giappone che sta assumendo un crescente ruolo militare.

 Nello stesso quadro strategico si inserisce la visita di Obama in Vietnam, a cui gli Usa tolgono l’embargo per fornirgli armi in funzione anti-cinese. Più i Peace Corps (di cui è nota la Cia connection), che andranno in Vietnam a insegnare inglese (anzi americano), e l’Università Fulbright che aprirà una sede a Città Ho Chi Minh per fornire ai giovani vietnamiti una «istruzione di classe mondiale». Gli Usa, sconfitti dall’eroica resistenza vietnamita, ritornano con altre armi. 

(il manifesto, 31 maggio 2016)