di Richard Falk
Source: Richardfalk.com
7 maggio 2017
Un piccolo campo di battaglia in una grande Guerra culturale
Poche settimane fa, il mio libro Palestine’s Horizon: Toward a Just Peace [L’orizzonte della Palestina: verso una pace giusta], è stato pubblicato in Gran Bretagna. In quel periodo sono stato a Londra e in Scozia per una serie di conversazioni all’università per contribuire al lancio del libro. La sua uscita è per caso è coincisa con la pubblicazione di un rapporto commissionato dalla Commissione Sociale ed Economica dell’ONU dell’Asia Occidentale, che ha dato alla mia partecipazione un rilievo che altrimenti non avrebbe avuto. Il rapporto ha concluso che la prova riguardo alle pratiche israeliane verso i Palestinesi equivalevano ad ‘apartheid,’ come viene definita nella legge internazionale.
C’è stata un forte contrattacco da parte dei militanti sionisti che minacciano le interruzioni. Queste minacce sono state sufficientemente intimidatorie per gli amministratori accademici al punto che le mie conferenze all’Università di Est Londra a dell’Università del Middlesex sono state cancellate per motivi di ‘ salute e sicurezza.’ Forse queste decisioni amministrative in parte riflettevano la consapevolezza che una mia precedente conferenza alla London School of Economics (LSE) era stata abbastanza disturbata durante il tempo dedicato alla discussione, tanto che il personale dell’Università, addetto alla sicurezza, aveva dovuto allontanare due persone del pubblico che avevano urlato insulti, avevano srotolato una bandiera israeliana, si erano alzati in piedi e si erano rifiutati di sedersi quando gli era stato richiesto gentilmente dal moderatore.
In tutti gli anni in cui ho parlato di vari argomenti in tutto il mondo, non erano stati mai cancellati i miei interventi, anche se, alquanto di frequente, era stata esercitata un’analoga pressione sulle amministrazioni universitarie, ma di solito erano minacce di ritorsioni finanziarie se mi si avessero permesso di parlare. Quello che è accaduto in Gran Bretagna, fa parte di un tentativo sempre più malevolo di attivisti pro-Israele di spegnere il dialogo impegnandosi in un comportamento di disturbo, in minacce alla sicurezza, e insultando gli oratori, considerati come critici di Israele, come ‘anti-semiti,’ e, nel mio caso, come un ebreo ‘che odia se stesso’, perfino come un ebreo che detesta se stesso.
Ritornando negli Stati Uniti, mi sono imbattuto in una nuova tattica. Proprio le stesse persone che mi avevano interrotto a Londra, evidentemente insieme ad altri compagni che la pensano allo stesso modo, hanno scritto recensioni violentemente dispregiative sul sito di Amazon negli Stati Uniti e nel Regno Unito, dando al libro la classificazione del grado più basso. Questo ha preoccupato il mio editore che ha detto che la classifica di un libro su Amazon influisce molto direttamente sulle vendite. Ho scritto un messaggio nel mio diario su Facebook che stavano attaccando il mio libro in questo modo, e ho incoraggiato i miei amici su Facebook a sottoporre le loro recensioni, cosa che ha avuto l’effetto di incrementare le valutazioni. A loro volta, gli ultra-sionisti sono tornati all’opera con una o due “tirate” in cui non si faceva assolutamente alcuno sforzo di affrontare l’argomento del libro. In questo senso c’era una differenza qualitativa dato che le recensioni positive erano più meditate e sostanziali. Questo, per me, è stato un nuovo tipo di esperienza negativa. Anche se ho pubblicato molti libri nel corso di questa epoca digitale, nessun mio libro era stato attaccato online , ovviamente per cercare di scoraggiare i potenziali acquirenti del libro e di squalificarmi come autore. In effetti, questa campagna è una versione innovativa del bruciare un libro in modo digitale, e mentre non è così vivida visualmente come un falò, le sue intenzioni vendicative sono le stesse.
Queste due esperienze, cioè la cancellazione di Londra e le “molestie” di Amazon, mi hanno portato a riflettere più ampiamente su che cosa stava succedendo. Molto più significativi di gran lunga della mia esperienza sono i tentativi decisi, ben finanziati, per punire l’ONU per i suoi sforzi di richiamare l’attenzione sulle violazioni dei diritti umani e della legge internazionale da parte di Israele, di criminalizzare la partecipazione alla campagna BDS, e di ridefinire e impiegare l’antisemitismo in modo che il suo disconoscimento e prevenzione si estendono all’antisionismo e anche alla critica accademica e analitica delle politiche e delle pratiche di Israele, il che è il modo in cui mi trovo in questa sempre più grande zona di obbrobrio. Israele ha agito contro le ONG che operano per i diritti umani entro i suoi confini, negando l’ingresso ai sostenitori della campagna BDS (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni, e anche praticamente vietando ai turisti stranieri di visitare la Cisgiordania. Con una notevole dimostrazione di unità, di recente tutti i 100 senatori statunitensi hanno superato l’atmosfera radicalizzata di Washington per unirsi nell’invio di una lettera imperiosa al nuovo Segretario generale dell’ONU, António Guterres, chiedendo un approccio più cordiale verso Israele all’ONU e minacciano conseguenze finanziarie se non si presterà attenzione alle loro opinioni offensive.
I sostenitori più ardenti e potenti di Israele, stanno trasformando il dibattito sulla politica di Israele/Palestina in un guerra culturale di aggressione. Questo nuovo genere di guerra è stato lanciato con l’incoraggiamento e il sostegno del governo israeliano, gli è stato dato sostegno ideologico da gruppi di pressione estremisti, come: l’Osservatorio dell’ONU, GO Monitor, AIPAC e molti altri. Questa guerra culturale è implementata dal basso da militanti che ricorrono a forme simboliche di violenza. Le conseguenze sfavorevoli per la libertà accademica e la libertà di pensiero in una società democratica, non dovrebbero essere sottovalutate. Un precedente molto negativo si sta stabilendo in vari paesi occidentali. I principali governi stanno collaborando con gli estremisti per eliminare un dibattito costruttivo su un argomento delicato di politica che influenza le vite e il benessere di un popolo oppresso da lungo tempo.
Ci sono due ulteriori dimensioni di questi sviluppi che meritano di essere ponderati: (1) in anni recenti Israele ha perduto man mano la Guerra di Legittimazione combattuta dai palestinesi, cioè quella che i gruppi di esperti israeliani chiamano il ‘progetto di delegittimazione,’ e queste bastonate e oltraggi nei riguardi dell’ONU sono le mosse disperate di un avversario sconfitto in rapporto alle dimensioni morali e legali della lotta palestinese per i propri diritti. In effetti, il governo israeliano e i suoi gruppi di supporto hanno rinunciato a quasi tutti i tentativi di rispondere in modo sostanziale, e di concentrare le loro restanti munizioni per ferire i messaggeri che danno testimonianze e che fanno del loro meglio per indebolire l’autorità e le capacità dell’ONU, in modo da screditare delle iniziative fondamentali; (2) mentre questo spettacolo patetico risucchia l’ossigeno alle reazioni di indignazione morale, viene deviata l’attenzione dalle prolungate prove di sofferenza che da lungo tempo vengono imposte al popolo palestinese come conseguenza delle pratiche e politiche illegali di Israele e anche di sui crimini contro l’umanità, sotto forma di apartheid, di punizione collettiva, di pulizia etnica e di molte altre azioni. Il vero scandalo istituzionale non è il fatto che l’ONU sia ossessionato da Israele, ma piuttosto che è bloccato rispetto a intraprendere un’azione che potrebbe esercitare sufficiente pressione su Israele per indurre allo smantellamento delle strutture di apartheid sulle quali si fa affidamento per soggiogare, trasferire e espropriare i palestinesi nel corso di più di 70 anni e senza che se ne veda la fine.
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/israels-new-cultural-war-of-aggression
Originale: Richardfalk.com
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0
http://znetitaly.altervista.org/art/22229
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