PREFAZIONE
di Diego Siragusa
I
sionisti sono terrorizzati da questo libro di Alan Hart! In Inghilterra, si
erano mobilitati per impedirne la pubblicazione. L’autore trovò chiuse tutte le
porte degli editori. Dovette pubblicare l’opera a proprie spese, e anche la
disponibilità di un tipografo, all’inizio, non fu facile. Subito dopo la pubblicazione
dell’opera, nessun giornale volle recensirla, nessuna radio, nessuna
televisione. Ebbe meno difficoltà David H. Lawrence a pubblicare il suo romanzo
L’amante di lady Chatterley. Persino
la BBC, la rete televisiva per cui Hart aveva lavorato a lungo come
corrispondente per il Medioriente, diramò l’ordine a tutti i suoi collaboratori
che Alan Hart non esiste. Nessun contatto e nessuna intervista con lui.
La
prova di questo potere pervasivo e totalitario degli ebrei sionisti, ovunque
nel mondo, dovetti sperimentarla personalmente subito dopo la pubblicazione del
I° volume della presente opera.
Nel
mese di dicembre del 2015, a Roma, fu sufficiente che una sezione volenterosa
dell’ANPI organizzasse un mio incontro di presentazione per determinare, immediatamente,
la reazione rabbiosa dell’estrema destra sionista romana che si scagliò contro
il libro, contro Hart e contro la mia persona con la solita rivoltante barzelletta
dell’antisemitismo. I dirigenti romani e nazionali dell’ANPI, tradendo la
lezione dei martiri della nostra Resistenza, si piegarono e mi impedirono di
parlare nella sede di una loro sezione romana. L’evento fu salvato grazie alla
disponibilità della Comunità Cristiana di Base di S. Paolo Fuori le Mura che
mise a disposizione il proprio salone.
Il
tentativo dei sionisti proseguì il giorno dopo alla Fiera del libro, che si
svolgeva all’EUR dove era in programma, al mattino, un’altra mia presentazione.
Il rabbino capo di Roma, Riccardo di Segni, minacciò di disertare il suo
intervento pomeridiano di presentazione di un libro sul ghetto di Roma, se gli
organizzatori della Fiera mi avessero consentito di parlare. Ebbene, la
direzione della Fiera venne, ascoltò il mio discorso ed emise un comunicato
stampa nel quale si diceva che nelle mie parole non c’era nulla di antisemita
e, pertanto, non c’era motivo per annullare la presentazione. Furibondo, il
rabbino disertò l’incontro.
Nel
mese di aprile del 2016, il mio amico Nabil Khair, coordinatore delle comunità
palestinesi in Italia, aveva preparato accuratamente un viaggio in Sardegna,
per consentire ad Alan Hart di presentare il primo volume. Prima di partire per
Cagliari, Alan mi scrisse chiedendomi se erano state previste delle sale di
riserva. Sorpreso chiesi ad Alan il motivo. “Perché in Inghilterra, tutte le
volte che incontro il pubblico, mezz’ora prima mi negano la sala su pressione
degli ebrei sionisti”. Lo rassicurai dicendo che in Sardegna avevamo l’amicizia
dell’ARCI e della CGIL che avevano messo a disposizione le loro strutture. Non era
convinto. E a ragione.
Il
giorno prima di partire con un aereo per Cagliari, mi arrivò la notizia che i
sionisti erano già in movimento. Un consigliere regionale del Partito Sardo
d’Azione presentò un’interrogazione al
presidente della Regione Sardegna con la quale attaccava noi e gli
organizzatori accusandoci di essere “antisemiti” e che la presentazione,
programmata nella città di Sassari, doveva essere annullata. Pubblicai la sua
dichiarazione nella mia pagina facebook e il soggetto in questione venne
sommerso da decine di epiteti oltraggiosi.
Io e
Alan fummo descritti così: “I due signori sono molto conosciuti negli ambienti
nostrani della sinistra radicale in quanto il primo è uno dei campioni di
complottismo anti-Israele, avendo persino affermato che la strage dell'11
settembre fu causata probabilmente dagli agenti del Mossad che avrebbero -udite
udite - deviato la rotta degli aerei, il secondo è conosciuto come un simbolo
del moderno antisemitismo di casa nostra”. Non sapevo di essere il “simbolo del
moderno antisemitismo di casa nostra”!!
L’11
aprile partii per Cagliari. All’aeroporto mi attendeva Nabil. Due ore dopo
arrivò da Londra Alan. Era il nostro primo incontro. Per aver tradotto il primo
volume del suo libro, e per aver scritto la prefazione, con una precedente
lettera, Alan mi aveva gratificato con parole generose e riconoscenti. Mentre
andavamo in albergo, un nostro amico dell’ARCI ci informò che la CGIL di
Sassari aveva ritirato il patrocinio dell’evento, annullato la disponibilità
della sala e chiesto la rimozione del proprio logo dalle locandine. Eravamo
sconcertati. Nabil era furibondo. È iscritto alla CGIL, il suo sindacato! Alan,
invece, non era sorpreso. Chiediamo spiegazioni. Ci dicono che i sionisti hanno
fatto pressioni a Roma e da lì è arrivata la telefonata alla CGIL di Sassari.
Riservatamente ci confermano che sia stata la Direzione Nazionale. Ma non abbiamo le prove. L’ARCI della Sardegna si mosse e ottenne
la disponibilità della sala di Amnesty International. La manifestazione era
salva. La giornata si concluse con meste considerazioni sul ruolo del Partito Democratico
di Matteo Renzi, che ormai aveva svenduto il partito ai sionisti e si era
portato dietro settori dell’ANPI e della stessa CGIL. Tutti costoro, senza aver
letto il libro e senza sapere chi è Alan Hart, si erano prostrati e avevano
obbedito “perinde ac cadaver”.
Il
giorno dopo, 12 aprile, a Sassari, nella sede di Amnesty International,
l’incontro ebbe successo e il pubblico acquistò molte copie del libro.
13
aprile. Presentazione a Nuoro presso la Biblioteca “Satta”. Prima di iniziare,
gli attivisti e i palestinesi presenti in città, avevano già venduto 40 copie
del libro. La sala della biblioteca vi sono circa 50 persone. Nessuna traccia
di sionisti né di minacce e sfracelli di antisemitismo. Come a Sassari, la
presentazione segue un copione collaudato fine alla fine. Secondo successo e
secondo smacco per i sionisti.
14
aprile. Ore 18,30 presentazione a Iglesias. Siamo ospiti dell’ARCI. Una bella
sede e la sala piena. Prende la parola anche il vicesindaco del P.D. che
pronuncia parole giuste e da tutti condivise. Molte domande dal pubblico
notevolmente interessato. Terzo successo consecutivo.
15
aprile. Quarta tappa del nostro giro: Monserrato, vicino Cagliari. Ero già
stato qui per presentare il mio libro sul terrorismo israeliano. E i sionisti?
Su un sito compare il testo di una interrogazione di un consigliere comunale
rivolta al sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, esortandolo ad impedire la
presentazione del libro, in programma per il giorno seguente, presso il MEM
(Mediateca del Mediterraneo). Il titolo: “Zedda patrocina le manifestazioni
antisemite: è inaccettabile”. Si legge nel documento, che costui aveva
pubblicato pochi minuti prima sulla sua pagina facebook: “Tale presentazione,
che prevede la presenza oltreché dell’autore inglese anche dell’italiano Diego
Siragusa, si caratterizza incontrovertibilmente per antisemitismo e becero
pacifismo radical chic. I due signori sono infatti molto conosciuti negli
ambienti nostrani della sinistra radicale, in quanto il primo è uno dei
campioni di complottismo anti-Israele, avendo persino affermato che la strage
dell’11 settembre fu causata probabilmente dagli agenti del Mossad che
avrebbero deviato la rotta degli aerei, il secondo è conosciuto come un simbolo
del moderno antisemitismo di casa nostra.”
Come
si può vedere, questo solerte consigliere aveva copiato il testo della
precedente interrogazione regionale e l’ha distribuita ai giornalisti.
Risultato? Anche a Monserrato l’incontro si rivela soddisfacente e ci
prepariamo per quello del giorno dopo, a Cagliari.
Incontro
il mio amico palestinese, Fawzi Ismail, un medico molto attivo sulla scena culturale
cagliaritana. Mi conferma che, il giorno dopo, 16 aprile, saremo ospiti della Mediateca
del Mediterraneo (MEM), un centro modernissimo dotato di sale per conferenze,
attrezzature audiovisive e didattiche di prim’ordine.
Alle
17,30 siamo al MEM. Osservo il salone ampio, luminoso e conto le sedie: sono
più di cento. Quante resteranno vuote? Chi verrà a sentirci? Nabil e Fawzi mi
dicono di non preoccuparmi. “La gente verrà” – mi dicono. Hanno ragione:
lentamente la sala si riempie completamente e c’è gente in piedi. Nabil fa una
introduzione appassionata sul futuro dell’Autorità Nazionale Palestinese e sul
suo ruolo e invita Alan per un altro convegno coi responsabili europei delle
varie comunità palestinesi della diaspora. A me non resta che rammentare che
coloro che si sono associati ai sionisti in quest’opera di censura preventiva
senza aver letto il libro, dovranno rendere conto di questa condotta
liberticida e, particolare non secondario, in contraddizione con la storia
delle loro organizzazioni di appartenenza.
Alan
comincia mostrando la foto di Golda Meir con una dedica per lui “Ad un caro
amico, Alan Hart. Golda Meir”. “Voi pensate che Golda Meir avrebbe avuto con me
un’amicizia così intensa se io fossi un antisemita?” - esordisce Alan. Il
pubblico lo segue nella sua analisi e nel racconto di fatti privati e pubblici
che nessun giornale ha mai riferito ma che dimostrano quanto distante sia dalla
realtà la ricostruzione dozzinale di giornalisti improvvisati e privi di statura
morale.
Ore
19,30. Alan deve partire. Firma le copie dei libri ormai tutte vendute. Abbiamo
contato circa 150 persone. E i sionisti? Continuano nella loro paranoia. Un
altro attacco ci arriva dall’Associazione “Memoriale Sardo della Shoah” con una
invocazione rivolta al sindaco: “Sindaco, Annulli la Concessione della MEM per
la Manifestazione Antisemita di Sabato!”
Un
testo delirante dove, a un tratto, si legge:
Inoltre, Diego Siragusa non è nuovo a posizioni Antisemite
ed Antistoriche, dove si parla di Israele come di uno stato etnico e
confessionale che sta praticando un Genocidio dei Palestinesi .
Siamo del parere, come Associazione Memoriale Sardo della
Shoah, che parlare di un Genocidio dei Palestinesi mentre la Popolazione
Palestinese in questi ultimi anni è addirittura raddoppiata, o presentare libri
con titoli carichi di odio come questo di Hart fomenti solo odio Antisemita e
carne al fuoco di organizzazioni Islamiste vicine al terrorismo Antisemita. Già
a Sassari, la Cgil ha ritenuto opportuno ritirare il suo logo da una simile
manifestazione non dando più la disponibilità degli spazi.
Le chiediamo, Sindaco Zedda, di fare Altrettanto su
Cagliari, impedendo che la Mem-Mediateca del Mediterraneo, ospiti l'iniziativa
prevista per Sabato Pomeriggio. Iniziativa per la quale tra l'altro, la
responsabile della MEM ci ha scritto sostenendo l'assurda tesi secondo la quale
a suo giudizio non si tratterebbe di una manifestazione Antisemita, con un’argomentazione
secondo la quale si dovrebbero a questo punto presentare i libri di tutti,
compresi quelli magari dei terroristi Islamisti.
In
tutta questa congerie di idiozie non c’è una sola parola sui massacri di
palestinesi, sulla loro espulsione, sulla distruzione delle loro case, sul
furto continuo di terra, sulla loro disumanizzazione, sui complotti, sulle
violazioni del diritto internazionale e sulle minacce che i sionisti si
permettono di rivolgere a chiunque non si assoggetti ai loro voleri totalitari
e fanatici. Nulla di nulla. La cecità totale, crudele, disumana, irredimibile
che tanti ebrei onesti, vicini alla causa di questo popolo oppresso, hanno
sempre denunciato con vigore morale.
Cinque
eventi, cinque vittorie contro questa potentissima setta di stolti che da un
secolo insanguina il Medioriente.
Finora
non risulta che parti del presente libro siano state sottoposte ad una
confutazione scientifica basata su documenti. Gli ebrei sionisti sanno che gran
parte della letteratura prodotta contro di loro è fondata su prove che, spesso,
essi stessi forniscono. Sanno che, ovunque nel mondo, l’opinione pubblica può
accedere alla contro-informazione diffusa in internet e, a dispetto dei
miliardi di dollari investiti nella campagna di menzogne dei media ufficiali,
sempre più ampia diventa la schiera di coloro che si impegnano contro lo stato
illegittimo di Israele e contro le comunità sioniste che agiscono come sezioni
estere dello stato di Israele.
Una
prova ulteriore che il progetto sionista è fondato sul razzismo, sul
suprematismo e sul genocidio dei palestinesi, ci viene ancora da una fonte
ebraica con il libro All’ombra
dell’Olocausto di Yosef Grodzinsky(1),
docente di Psicologia all’Università di Tel Aviv. Tramite un’ampia
documentazione, Grodzinsky ci racconta come i sionisti agirono, subito dopo la
sconfitta del nazismo, all’interno dei campi profughi, per convincere, con la
pressione e la violenza, gli ebrei sopravvissuti a trasferirsi in Palestina e a
non ritornare nei luoghi da cui furono prelevati. Persino i bambini, orfani e
bisognosi di cure, furono trattenuti nei campi, dove le condizioni di vita,
nonostante fossero migliorate, rimanevano precarie, pur di impedire il loro
trasferimento in Inghilterra, in Francia o negli Stati Uniti dove
organizzazioni umanitarie e famiglie adottive erano disposte ad accoglierli e
garantire un ambiente sano e una alimentazione adeguata. I sionisti, con il
ruolo diretto di Ben-Gurion, prolungarono queste sofferenze degli ebrei rimasti
pur di incrementare in modo illimitato il numero di immigrati in Palestina, per
scacciare i palestinesi e impossessarsi della loro terra che chiamavano già
Terra di Israele. Tutta la Palestina, non solo una parte come quella che fu
assegnata dalle Nazioni Unite DOPO la spartizione. Questa storia poco
conosciuta della condotta criminale dei sionisti è stata riassunta dal rabbino
Michael Lerner sul periodico Tikkun
Magazine:
Prima dell’Olocausto, il sionismo non raccoglieva il
consenso di tutti gli ebrei, ma persino dopo il genocidio di molti milioni di
noi, godette solo di un sostegno ambiguo. Benché a gran parte della nostra
gente sia stato insegnato che i sopravvissuti dell’Olocausto, raccolti nei campi
profughi, non desideravano altro che
rifarsi una vita in Eretz Israel, ora, al contrario, emerge che molti di quei
superstiti, pur essendo favorevoli alla creazione di uno Stato ebraico, alla
fine scelsero di non andarci. Gli attivisti sionisti ritenevano di conoscere
quale fosse l’interesse dei sopravvissuti meglio di loro, li manipolarono e, in
alcuni casi, li costrinsero a emigrare in Palestina e prestare servizio
nell’esercito.
Ecco
svelato l’arcano! Ai sionisti non interessava il bene degli ebrei sopravvissuti
allo sterminio; ad essi interessava l’incremento demografico degli ebrei di
Palestina, uomini e donne, per irrobustire l’esercito in formazione al fine di
espellere i palestinesi dalle loro case e combattere gli arabi in tutte le
guerre che essi avevano previsto di combattere.
Come viene in genere presentata, la lotta per una patria
nazionale ebraica nella Palestina occidentale procedeva secondo due ovvie
direttive: la terra e il popolo. Guadagnare il controllo sul territorio
designato portava alla guerra contro gli Stati arabi circostanti, e
naturalmente contro gli arabi che reclamavano un diritto su quella terra – i
palestinesi; ma per lo Stato emergente era altrettanto necessario avere più
popolazione ebraica. (…) I sionisti seguivano la massima di Ben-Gurion:
‘l’essenza del sionismo è un’impresa di insediamento, popolare Eretz Israel con una moltitudine di
ebrei’. Per questo serviva… ‘un buon materiale umano’, una frase che gli
attivisti sionisti usavano spesso”.(2)
Con la
spartizione della Palestina, decisa dall’ONU con la Risoluzione n. 181, Israele
ricevette il 56% del territorio, pur essendo minoranza, contro il 44% dei
palestinesi che erano la maggioranza. Ciò nonostante, l’estrema destra sionista
impersonata da Menachem Begin, comandante del gruppo terrorista Irgun, futuro
fondatore del partito Likud e futuro Primo Ministro di Israele, dichiarò che “La
divisione della Palestina è illegale. Non sarà mai riconosciuta. Il Grande
Israele sarà ristabilito per il popolo di Israele. Tutto. E per sempre.”
Possono sussistere ancora dubbi sulla volontà dei sionisti di impossessarsi di
tutta la Palestina e di cacciare i suoi legittimi abitanti?
Subito
dopo la proclamazione dello stato di Israele, i sionisti iniziarono la pulizia
etnica contro 405.000 palestinesi che vivevano nei villaggi del territorio loro
assegnato: li sottoposero alla legge marziale, limitarono i loro movimenti e
confiscarono i loro passaporti. I paesi arabi intervennero, ma, privi di un
esercito, di armi e di forti motivazioni, furono sconfitti. Durante questa
guerra, che consentì a Israele di ricevere armamenti moderni, soprattutto dalla
Cecoslovacchia, lo stato ebraico annesse nuova terra, giustificandola come
effetto della conquista militare, e costrinse almeno 700.000 arabi alla fuga
negli stati limitrofi.(3)
Tuttora,
i sionisti negano una delle pagine più sporche della loro storia di
colonizzazione della Palestina, ma, per fortuna, ogni tanto qualche storico
onesto o qualche testimone emerge e racconta la verità sui crimini orrendi
nascosti, negati e censurati con la solita accusa di manifestazione di
antisemitismo.
L’anno
scorso, la storia della pulizia etnica della Palestina si è arricchita di una
nuova rivelazione: il massacro di Al Dawayima. Il merito è del giornale di
sinistra israeliano Haaretz che il 5
febbraio 2016, ha raccontato questa storia agghiacciante. Pur nell’ambito di
una prefazione, questo crimine deve essere raccontato poiché NESSUNO in
Occidente ha voluto parlarne. L’articolo è stato ripreso da Jonathan Ofir e
pubblicato sul sito di ebrei antisionisti MONDOWEISS:(4)
Il Venerdì 5 febbraio, 2016, Haaretz ha pubblicato un articolo in ebraico dello storico
israeliano Yair Auron, che riferisce uno dei più grandi massacri del 1948. Il
massacro di Al Dawayima, ad ovest di Al-Khalil (che viene spesso definito come
Hebron). In una intervista del 2004 con Haaretz,
lo storico israeliano Benny Morris si riferisce a questo come un massacro di
“centinaia di persone”.
Dopo il massacro, una lettera fu inviata al direttore del
giornale di sinistra affiliato di Al-Hamishmar,
ma mai pubblicata. Come osserva Auron, ci sono ancora molti archivi dell’epoca che
sono classificati. Auron afferma inoltre che vi fu un’indagine mai conclusa ed
“estinta” quando un'amnistia di massa fu concessa al personale militare nel
febbraio del 1949.
Questo è un articolo molto esaustivo, ma ho trovato
abbastanza utile tradurre questa lettera per intero. La lettera, che in un
primo momento “scomparve”, fu fornita ad Auron dallo storico Benny Morris.
Anche se questi aspetti sono stati riferiti nel passato in riassunti storici,
la lettera non è mai stata pubblicata prima in forma integrale.
La lettera è stata portata alla luce da un membro del
partito di sinistra Mapam, S. Kaplan, che ha ricevuto la lettera di
testimonianza del soldato. È indirizzata a Eliezer Peri, direttore di Al
Hamishmar, e datata 8 novembre 1948 (18 giorni dopo la strage):
Al
compagno Eliezer Peri, buona giornata,
oggi ho letto l'editoriale di “Al
Hamishmar” dove è andata in onda la questione del comportamento del nostro
esercito, l'esercito che conquista tutto tranne i propri desideri.
Una
testimonianza mi è stata fornita da un ufficiale che era ad [Al] Dawayima il
giorno dopo la sua conquista. Il soldato è uno dei nostri, intellettuale,
affidabile al 100%. Egli mi aveva confidato un bisogno di scaricare il peso
della sua coscienza dall'orrore del riconoscimento del livello di barbarie che
può essere raggiunto dalla nostra gente istruita e colta. Si confidò con me,
perché oggi non sono molti i cuori disposti ad ascoltare.
Non ci
fu alcuna battaglia e nessuna resistenza (e non c’erano egiziani). I primi occupanti
uccisero da ottanta a cento arabi [compresi] donne e bambini. I bambini furono
uccisi spaccando i loro crani con dei bastoni. Non c'era una casa senza morti.
La seconda ondata dell'esercito [israeliano] fu un plotone al quale il soldato
che dà la testimonianza appartiene.
Nel
paese furono lasciati arabi maschi e femmine, che furono messi in case e poi
chiusi dentro senza ricevere cibo o bevande. Più tardi gli ingegneri
artificieri vennero per far saltare in aria le case. Un comandante ordinò a un
ingegnere di mettere due donne anziane nella casa che doveva essere fatta
saltare in aria. L’ingegnere rifiutò e disse che era disposto a ricevere ordini
solo dal proprio comandante. Allora [il suo] comandante ordinò ai soldati di
mettere le donne in casa e fu eseguita l’azione
criminale.
Un
soldato si vantò di aver violentato una donna araba dopo di che la uccise. Una
donna araba con un bambino di pochi giorni fu utilizzata per la pulizia del
cortile dove i soldati mangiavano. Li servì per uno o due giorni, dopo di che
spararono a lei e al bambino uccidendoli. Il soldato dice che i comandanti,
colti e gentili, considerati bravi ragazzi nella società, sono diventati vili
assassini, e questo non accadde nella tempesta di una battaglia e durante una
reazione animata, ma piuttosto in un sistema di espulsione e di distruzione.
Meno arabi rimangono e meglio è. Questo principio è il maggiore movente
politico [del] le espulsioni e degli atti di orrore a cui nessuno si è opposto,
né nel comando di campo né all’interno del comando militare superiore. Io
stesso sono stato al fronte per due settimane e ho sentito le storie di soldati
e comandanti che si vantavano di essere bravissimi a dare la caccia e a
“scopare” [sic]. In ogni circostanza, scopare un’araba, proprio così, è
considerata una missione suggestiva e c’è competizione per vincere questo
[trofeo].
Ci
troviamo davanti ad un enigma. Divulgare questa storia tramite la stampa
significherà dare una mano alla Lega Araba, le cui denunce sono respinte dai
nostri dirigenti. Non reagire significherebbe essere solidali con la corruzione
morale. Il soldato mi ha detto che Deir Yassin [un altro massacro, eseguito dai
militanti dell'Irgun nel mese di aprile
del 1948] non è considerato come la punta massima del teppismo. È
possibile gridare su Deir Yassin e tacere su qualcosa di molto peggio?
È
necessario sollevare lo scandalo attraverso i canali interni, insistere per
ottenere un'indagine interna e punire i colpevoli. Prima di tutto è necessario
creare nell’esercito un’unità speciale per contenere la condotta dei soldati.
Io stesso accuso prima di tutto il governo, che non sembra avere alcun
interesse a combattere questi fenomeni e, forse, li incoraggia anche
indirettamente. Evitare di prendere provvedimenti contro questi atti significa
incoraggiarli. Il mio comandante mi ha detto che c'è un ordine scritto di non prendere
prigionieri di guerra, e l'interpretazione di “prigioniero” è data
individualmente da ogni soldato e comandante. Un prigioniero può essere un uomo
arabo, donna o bambino. Questo non è stato fatto solo davanti agli occhi di
tutti [nelle principali città palestinesi], come Majdal e Nazareth.
Con
questa lettera mi rivolgo a voi in modo che nella redazione e nel partito la
verità sia conosciuta e qualcosa di efficace possa essere fatto. Almeno non
siate indulgenti verso quella diplomazia fasulla che copre lo spargimento di
sangue e gli omicidi e, per quanto possibile, anche la stampa non deve lasciare
nel silenzio quanto è accaduto.
Kaplan
La
storia del massacro di Al Dawayima non compare nell’opera di Hart. Compare,
invece, un crimine che ebbe risonanza universale per il prestigio e il ruolo
internazionale della vittima.
L’ONU
dovette costatare che esisteva uno stato ebraico e non esisteva uno stato arabo
di Palestina: il capovolgimento speculare della Risoluzione n. 181 e del piano
di spartizione! Per dirimere la controversia, fu inviato come mediatore il
conte Folke Bernadotte. Questo diplomatico svedese, aristocratico e gentile,
era stato uno dei direttori della Croce Rossa, aveva salvato migliaia di ebrei
e, dopo la fine della guerra, aveva avviato il trasferimento da Bergen Belsen
alla Svezia di circa 6.000 ebrei malati. Tuttavia, per ironia della sorte,
Bernadotte, per il suo tentativo di contenere l’espansionismo di Israele e
scongiurare la permanenza del conflitto, fu assassinato, il 17 Settembre 1948,
su ordine del futuro Primo Ministro Yitzhak Shamir, un terrorista dell’Irgun.
L’assassino fu un ebreo sionista, fascista fanatico, Yehoshua Cohen.(5)
L’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite, al colmo
dell’indignazione, adottò la risoluzione 194, che riaffermava i principi della
risoluzione 181 e, inoltre, proclamò il diritto inalienabile dei palestinesi a
tornare alle loro case e ad essere risarciti per il danno che avevano subito.
Israele,
isolato e condannato dal resto del mondo, arrestò gli assassini di Bernadotte,
li processò e li condannò per attenuare l’ondata di riprovazione suscitata dal
turpe assassinio di un uomo che si era speso per salvare gli ebrei. Consapevole
del rischio di essere cacciato dall’ONU, Israele promise di rispettare ed eseguire
le risoluzioni. Ma mentì sapendo di mentire ostentando la solita chutzpah, la faccia tosta sionista, la
faccia di bronzo. Infatti, subito dopo gli assassini furono graziati e
l’esecutore materiale del crimine divenne la guardia del corpo personale del
Primo Ministro Ben-Gurion. Alcuni mesi prima, i sionisti avevano iniziato ad
eseguire il “Piano Dalet” per ripulire definitivamente la Palestina dei suoi
legittimi abitanti, col terrore, i massacri, la deportazione e il memoricidio.
Questa
parte della storia è stata rimossa ufficialmente dai testi scolastici
israeliani: è vietato parlarne.(6) Chiunque
abbia tentato di raccontare la verità, anche in modo parziale, è stato
sottoposto a censura o obbligato a ritrattare. Altri hanno scelto il metodo
artistico, la finzione letteraria, per raccontare la sussistenza di aree di
dissenso verso la politica razzista e coloniale dei sionisti. Mi sembra di
rintracciare questi barlumi di coscienza nel romanzo Giuda di Amos Oz. C’è un personaggio, Shaltiel Abrabanel, considerato
un traditore perché frequenta gli arabi, i loro villaggi e i capi delle loro
organizzazioni. Di lui dice Amos Oz:
“Dopo molti anni di colloqui con i suoi amici arabi qui e
nei paesi vicini, lui era arrivato alla conclusione che gli arabi avevano
soprattutto paura di ciò che ai loro occhi si prefigurava come superiorità
degli ebrei in materia di cultura, tecnologia, intuito, motivazione, una
superiorità che alla fin fine li avrebbe portati a dominare e spadroneggiare in
tutto l’Occidente. Avevano paura, diceva lui, non tanto del piccolo feto
sionista quanto del predatore gigante in esso latente. (…) Gli arabi non
credono mai alle belle parole sioniste, secondo cui un manipolo di ebrei è
venuto qui per trovare un piccolo rifugio per scampare alle persecuzioni in
Europa. Un capo del governo in Iraq, tal Adnan Pachachi, nel 1947 ha dichiarato
che quando gli ebrei in Palestina sarebbero arrivati al milione addio
Palestina, perché nessuno avrebbe più potuto far nulla. E quando sarebbero
arrivati a due milioni addio Medioriente, perché nessuno avrebbe più potuto far
niente. Se poi fossero arrivati a tre o quattro milioni, addio mondo musulmano.
Queste paure, diceva Shaltiel Abrabanel, il terrore dei nuovi crociati, la fede
magica nella forza satanica degli ebrei, il timore irrazionale di trame occulte
degli ebrei per radere al suolo le moschee sul Monte del Tempio e ricostruire
al loro posto il Santuario e fondare un Impero ebraico dal Nilo all’Eufrate, queste paure sono all’origine della
strenua opposizione degli arabi di fronte alla realtà delle cose, e cioè quel
pezzetto di terra degli ebrei, fra la piana costiera e le pendici delle
montagne. Quella paura araba… siamo ancora in tempo a dissiparla se agiamo con
pazienza, buona volontà, dialogando strenuamente con gli arabi, creando sindacati di lavoratori misti, aprendo gli insediamenti ebraici ai residenti arabi, aprendo le nostre scuole e Università agli studenti arabi, e soprattutto – accantonando la pretesa di fondare uno stato ebraico separato con un esercito ebraico e un governo ebraico e con istituzioni che appartengono solo agli ebrei.”
Il
personaggio del romanzo di Oz ha disegnato un progetto politico antitetico a
quello sionista, minoritario, perdente e destinato ad essere additato con lo
stigma del tradimento. Perché questo sono i sionisti; non c’è margine al
dissenso e alla divergenza, come dimostra tutta la vicenda della sconfitta di
Moshe Sharett che, in queste pagine, Hart documenta con dovizia di particolari.
Non so dire se il personaggio di Amos Oz rifletta un personaggio reale o che
sia lo stesso Oz a dirci il suo pensiero dietro lo schermo della finzione
letteraria. Certamente, le parole del
nostro scrittore rappresentano bene quello che è già accaduto e quello che sta
accadendo.
Mentre
scrivo, negli Stati Uniti muove i primi passi il Presidente Donald Trump che ha
promesso, durante la campagna elettorale, il trasferimento dell’ambasciata
americana da Tel Aviv a Gerusalemme e il riconoscimento delle colonie ebraiche
in Cisgiordania. Due intenzioni che incendieranno il Medioriente! Un
incoraggiamento a Israele a continuare a violare il diritto internazionale, a
impossessarsi di tutta Gerusalemme e a minacciare la pace mondiale irridendo le
risoluzioni dell’ONU e del Consiglio di Sicurezza. I legami organici di Israele
con gli USA e la Gran Bretagna, membri del Consiglio di Sicurezza che
dispongono del diritto di veto, gli consentono di collocarsi al di fuori del
diritto internazionale. Da cosa trae Israele quest’arroganza e questa sicurezza
dell’impunità? Il racconto di Hart fissa costantemente la presenza della lobby
sionista negli Stati Uniti come un potere-ombra che tutto vede e tutto
controlla. La Casa Bianca, il Congresso, il Senato e il governo sono abitati
dai sionisti. Non è vero che gli Stati Uniti siano la prima potenza al mondo:
la prima potenza è Israele che controlla e ricatta gli Stati Uniti. È sbagliato
pensare che esso agisca solo in Medio Oriente. “Oggi, agisce militarmente in
tutto il mondo – scrive Tierry Meyssan - a copertura dell’imperialismo
anglosassone. In America Latina, ci furono agenti israeliani che organizzarono
la repressione durante il colpo di stato contro Hugo Chávez (2002) o il
rovesciamento di Manuel Zelaya (2009). In Africa, erano ovunque presenti
durante la guerra dei Grandi Laghi e hanno organizzato l’arresto di Muammar
el-Gheddafi. In Asia, hanno condotto l’assalto e il massacro delle Tigri Tamil
(2009), ecc. Ogni volta, Londra e Washington giurano che non c’entrano per
nulla. Inoltre, Israele controlla numerose istituzioni mediatiche e finanziarie
(come la Federal Reserve statunitense).”(8)
Anche
questo secondo volume conduce il lettore dentro i meandri storici in cui si è
consumata, e si consuma tuttora, la somma ingiustizia contro i palestinesi e
gli arabi. Figure storiche ossequiate e riverite, come quella di Ben Gurion o
di Moshe Dayan, si mostrano, invece, nel loro cinismo assoluto, protese al
perseguimento violento del loro progetto del Grande Israele.
L’inganno
e il ricatto sono gli strumenti mediante i quali i sionisti muovono le loro
pedine con formidabile abilità, provocando falsi incidenti, atteggiandosi a
vittime, ricattando i dirigenti politici inglesi e americani che tentano di
tenere a bada i “leoni di Giuda” ormai avviati a diventare potenza militare
anomala in Medioriente.
La
conquista di terra sottratta agli arabi con l’inganno, la violazioni degli
armistizi, gli scontri armati scatenati contro la Siria e l’Egitto di Nasser,
grazie alla complicità di Francia e Inghilterra, sono lo scenario che precede
l’infausta Guerra di Suez. Una guerra coloniale e di aggressione contro
l’Egitto, di cui ancora poco si sa o non si vuole sapere perché, come nel gioco
del domino, quando si scopre che una narrazione storica è falsa, allora anche
le altre cominciano a vacillare.
In
queste pagine, Hart documenta le lotte disperate che le “colombe” del sionismo
avevano intrapreso nel vano tentativo di invertire il corso di guerre e
violenze in cui i “falchi” di Israele trascinavano, con lucida determinazione,
tutto il Medioriente.
Il
volume si conclude con la vicenda dell’assassinio di Kennedy e della
costruzione della bomba atomica israeliana, resa possibile con menzogne e
ricatti pur di sfuggire alle insistenti richieste di ispezione sia da parte del
Presidente Eisenhower che da parte del Presidente Kennedy. La lobby sionista
americana, onnipresente, aveva già ricattato Kennedy con l’offerta di voti e
danaro per la sua elezione. Per quanto questi avesse cercato di respingere la
nomea di essere “una puttana politica”, alla fine si piegò e prese impegni
precisi per schierare la sua amministrazione a fianco di Israele. Ma Kennedy
non si arrese e insistette nella richiesta di ispezioni nel deserto del Negev,
dove si stava costruendo la bomba atomica, ricevendo continui dinieghi e
raggiri. Alan Hart non lo dice, ma nella ricostruzione dell’assassinio di
Kennedy trapelano i tanti interessi che erano stati colpiti dal giovane
Presidente, non ultimo il progetto egemonico di Israele in Medioriente in
contrasto con gli interessi americani. I sionisti, infatti, con la morte di
Kennedy trassero un respiro di sollievo e si avviarono a ricavare i vantaggi
dall’entrata in scena del successore, il Vice-presidente Lindon Johnson,
filoisraeliano e politico clientelare al soldo della lobby sionista dei cui
interessi fu sempre un fedele esecutore.
Come
il primo volume, che si conclude con la inaccettabile e assurda versione del
“suicidio” di Forrestal, odiatissimo dai sionisti, anche questo volume si
conclude con un crimine in cui la vittima, odiata dai sionisti e dai poteri
criminali che reggono il potere occulto negli Stati Uniti, aveva commesso la
colpa di fare gli interessi della sua nazione e non di Israele.
Diego Siragusa
1/3/2017
http://diegosiragusa.blogspot.it/
(1)Yosef Grodzinsky, All’ombra
dell’Olocausto, La lotta tra ebrei e sionisti all’indomani della Seconda Guerra
Mondiale, Il Ponte, Milano, 2009. L’Autore fa un’osservazione molto grave a
pag. 18: “Nei momenti critici, i leader, gli attivisti e i politici sionisti
risposero alle richieste di aiuto [degli ebrei profughi] concentrandosi
strettamente sugli obiettivi del loro movimento, piuttosto che sui problemi
delle persone – problemi che la loro impresa diceva di voler risolvere. Peggio
ancora, vi furono momenti in cui i sionisti arrivarono a coartare e vessare
ebrei indifesi in nome della loro causa. Sono affermazioni gravi, e qualcuno
potrebbe trovarle difficili da credere. Tuttavia, i documenti su cui sono
fondate – documenti la cui scoperta non mi ha certo dato gioia – sono solidi e
consistenti”.
(2)Yosef Grodzinsky, op. cit., pag. 24.
(3)Fondamentale e ineludibile è il lavoro
di Ilan Pappe, La pulizia etnica della
Palestina, Fazi, 2008.
(4)http://mondoweiss.net/2016/02/barbarism-by-an-educated-and-cultured-people-dawayima-massacre-was-worse-than-deir-yassin/#sthash.UCpxRDdB.dpuf
(5)Per la ricostruzione dell’omicidio di Bernadotte, si veda il mio lavoro Il terrorismo impunito, pag. 104 e ss.,
Zambon, 2013.
(6)Si veda l’accurata ricerca di Nurit
Peled-Elhanan , La Palestina nei testi
scolastici di Israele. Ideologia e propaganda nell'istruzione, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2015.
(7) Amos Oz, Giuda, Feltrinelli, Milano, pagg. 241/242.
(8) http://www.voltairenet.org/article184986.html -
Secondo il quotidiano israeliano Haaretz
(http://www.haaretz.com/world-news/1.577114), nella piazza di Kiev, in
Ucraina, durante la sommossa per cacciare il legittimo presidente Viktor
Janukovyč, c’era un gruppo di 40 combattenti, armati e mascherati, guidato da
quattro ex-ufficiali dell’esercito israeliano che indossavano la kippah sotto i
loro elmetti. Il lettore potrà trovare in internet le foto della loro presenza.
Secondo un’altra fonte, questi ex-ufficiali, che vivono oggi in Ucraina,
all’inizio degli eventi si unirono al movimento del Partito della Libertà
(Svoboda), di estrema destra, anche se quest’ultimo è violentemente antisemita.
Tale forza d’intervento avrebbe anche assicurato, con l’aiuto dell’ambasciata
israeliana, il rimpatrio in Israele di 17 feriti gravi, che avrebbero curato.
La presenza di unità israeliane era stata segnalata in eventi simili in
Georgia, sia nella “Rivoluzione delle Rose” (2003), che nella guerra contro
l’Ossezia del Sud (2008).
Sulla cattura di
Gheddafi, Tierry Meyssan afferma con certezza la presenza di agenti del Mossad
israeliano. Su questa circostanza non esistono prove. Si può affermare che vi
era attiva una rete di agenti del Mossad nella Tunisia post rivoluzionaria,
come apertamente aveva comunicato il
quotidiano israeliano on line Ynetnews. Questa affermazione, evidentemente, è
stata ritenuta imprudente dai responsabili di questo quotidiano e, tuttora,
l’accesso alla pagina è impedito (http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4189637,00.html]). In
ogni caso, per le ragioni esposte da Tierry Meyssan, il ruolo del Mossad nella
cattura di Gheddafi è da ritenere molto probabile.
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